L'Anticristo secondo Soloviev
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Il Card. Biffi ci spiega, utilizzando la tesi formulata da Soloviev in un suo racconto, quale potrebbe essere il
clima culturale in cui si afferma l'Anticristo: quello in cui il
cristianesimo viene ridotto ad una serie di valori (pacifismo,
ecologismo, ecumenismo, filantropismo...) negando però la persona divina
di Gesù Cristo.
VLADIMIR SERGEEVIC SOLOV’ËV nasce a Mosca il 16 gennaio
1853. Poeta, scrittore, filosofo e critico letterario, è considerato il
più grande filosofo russo e l’“Origene dei tempi moderni”. “I tre
dialoghi e il breve racconto dell’Anticristo” (di cui si parla in questa
pagina) è il suo testamento spirituale dato alle stampe l’anno della
morte (1900). Studioso dei Padri della chiesa e delle scienze occulte,
delle teologie orientali e dei sistemi di tipo gnostico, Solov’ëv per
Hans Urs von Balthasar è “autore della più universale creazione
speculativa dell’età moderna, il pensatore che può essere considerato,
accanto a Tommaso d’Aquino, come il più grande artefice di ordine e di
organizzazione nella storia del pensiero”.
Sull’anticristo e sul romanzo di Solov’ëv, il Cardinale Biffi aveva già
svolto una dettagliata relazione il 4 marzo del 2000 in una conferenza
organizzata dal centro Culturale E. Manfredini e dalla Fondazione Russia
Cristiana. Il testo del suo intervento è stato poi riportato per intero
nel libro “Pinocchio, Peppone, l’Anticristo” (Cantagalli 2005). In
quell’intervento Ricordando le parole profetiche del filosofo russo, il
Cardinale di Bologna aveva detto: “Soprattutto è stupefacente la
perspicacia con cui (Solovev) descrive la grande crisi che colpirà il
cristianesimo negli ultimi decenni del Novecento, crisi che Soloviev
vede come l'Anticristo che riesce a influenzare e a condizionare un pò
tutti, quasi emblema, ipostatizzazione della religiosità confusa e
ambigua di questi nostri anni. L'Anticristo un sarà 'convinto
spiritualista', un ammirevole filantropo, un pacifista impegnato e
solerte, un vegetariano osservante, un animalista determinato e attivo”.
E ancora, ironizzava il Cardinale Biffi, quell'Anticristo sarà “anche
un esperto esegeta: la sua cultura biblica gli propizierà addirittura
una laurea honoris causa a Tubinga. Soprattutto, si dimostrerà
un eccellente ecumenista, capace di dialogare 'con parole piene di
dolcezza, saggezza ed eloquenza'".
Ma chi è l'Anticristo? Una potenza politica, religiosa, una persona
influente? Non lo sappiamo, però siamo chiamati alla continua vigilanza.
In tutto il Nuovo Testamento vi sono continui riferimenti alla figura
dell'Anticristo e della sua incessante azione nel mondo per allontanare i
Figli di Dio da Dio. Nella Seconda Lettera ai Tessaolnicesi, così
l'Apostolo San Paolo descrive la figura dell'Anticristo: «Nessuno vi
inganni in alcun modo! Prima infatti dovrà avvenire l'apostasia e dovrà
esser rivelato l'uomo iniquo, il figlio della perdizione, colui che si
contrappone e s'innalza sopra ogni essere che viene detto Dio o è
oggetto di culto, fino a sedere nel tempio di Dio, additando se stesso
come Dio. Non ricordate che, quando ancora ero tra voi, venivo dicendo
queste cose? E ora sapete ciò che impedisce la sua manifestazione, che
avverrà nella sua ora. Il mistero dell'iniquità è gia in atto, ma è
necessario che sia tolto di mezzo chi finora lo trattiene. Solo allora
sarà rivelato l'empio e il Signore Gesù lo distruggerà con il soffio
della sua bocca e lo annienterà all'apparire della sua venuta, l'iniquo,
la cui venuta avverrà nella potenza di satana, con ogni specie di
portenti, di segni e prodigi menzogneri, e con ogni sorta di empio
inganno per quelli che vanno in rovina perché non hanno accolto l'amore
della verità per essere salvi. E per questo Dio invia loro una potenza
d'inganno perché essi credano alla menzogna e così siano condannati
tutti quelli che non hanno creduto alla verità, ma hanno acconsentito
all'iniquità». (2Ts 2, 3-12) L'apostolo Giovanni, nella sua
Prima Lettera e nell'Apocalisse, riferendosi all'Anticristo lo descrive
come colui che non riconosce che Gesù Cristo è Figlio di Dio negandone
la divinità: «Chi è il menzognero se non colui che nega che Gesù è il
Cristo? L'anticristo è colui che nega il Padre e il Figlio». (1Gv 2,22)
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L’ammonimento profetico di Vladimir S. Soloviev
Meditazione tenuta il 27 febbraio 2007 dell'arcivescovo emerito di
Bologna Card. Giacomo Biffi durante gli Esercizi Spirituali quaresimali
alla Curia romana e a Papa Benedetto XVI e pubblicata sul quotidiano "Il
Foglio" del 15 marzo 2007.
Alla fine del secolo XIX la mentalità più diffusa prevedeva per il
secolo che stava per iniziare un avvenire di progresso, di prosperità,
di pace. Già Victor Hugo, sul finire dell’Ottocento, aveva profetizzato:
“Questo secolo è stato grande, il prossimo secolo sarà felice”.
1. Solov’ëv non si lascia contagiare da tanto
laicistico candore e, nella sua ultima opera, “I tre dialoghi e il
racconto dell’Anticristo”, datata alla Pasqua del 1900, pochi mesi prima
di morire, prevede che il secolo XX sarà contrassegnato da grandi
guerre, da grandi rivoluzioni cruente, da grandi lotte civili. Sul
finire del secolo, i popoli europei – persuasi dei gravi danni derivati
dalle loro rivalità – daranno origine, egli dice, agli Stati Uniti
d’Europa “Ma… i problemi della vita e della morte, del destino finale
del mondo e dell’uomo, resi più complicati e intricati da una valanga di
ricerche e di scoperte nuove nel campo fisiologico e psicologico,
rimangono come per l’addietro senza soluzione. Viene in luce soltanto un
unico risultato importante, ma di carattere negativo: il completo
fallimento del materialismo teoretico”. Ciò non comporterà però
l’estendersi e l’irrobustirsi della fede. Al contrario, l’incredulità
sarà dilagante. Sicché, alla fine si profila per la civiltà europea una
situazione che potremmo definire di vuoto. In questo vuoto appunto
emerge e si afferma la presenza e l’azione dell’Anticristo.
2. Più che la vicenda immaginata da Solov’ëv – nella
quale l’Anticristo prima viene eletto presidente degli Stati Uniti
d’Europa, poi è acclamato imperatore romano, si impadronisce del mondo
intero, e alla fine si impone anche alla vita e all’organizzazione delle
Chiese – mette conto di richiamare le caratteristiche che sono qui
attribuite a questo personaggio. Era – dice Solov’ëv – “un convinto
spiritualista”. Credeva nel bene e perfino in Dio, “ma non amava che se
stesso”. Era un asceta, uno studioso, un filantropo. Dava “altissime
dimostrazioni di moderazione, di disinteresse e di attiva beneficenza”.
Nella sua prima giovinezza si era segnalato come dotto e acuto esegeta:
una sua voluminosa opera di critica biblica gli aveva propiziato una
laurea ad honorem da parte dell’Università di Tubinga. Ma il
libro che gli ha procurato fama e consenso universali porta il titolo:
“La via aperta verso la pace e la prosperità universale”, dove “si
uniscono il nobile rispetto per le tradizioni e i simboli antichi con un
vasto e audace radicalismo di esigenze e direttive sociali e politiche,
una sconfinata libertà di pensiero con la più profonda comprensione di
tutto ciò che è mistico, l’assoluto individualismo con un’ardente
dedizione al bene comune, il più elevato idealismo in fatto di principi
direttivi con la precisione completa e la vitalità delle soluzioni
pratiche”. E’ vero che alcuni uomini di fede si domandavano perché non
vi fosse nominato nemmeno una volta il nome di Cristo; ma altri
ribattevano: “Dal momento che il contenuto del libro è permeato dal vero
spirito cristiano, dall’amore attivo e dalla benevolenza universale,
che volete di più?”. D’altronde, egli “non aveva per Cristo un’ostilità
di principio”. Anzi ne apprezzava la retta intenzione e l’altissimo
insegnamento. Tre cose di Gesù, però, gli riuscivano inaccettabili.
Prima di tutto le sue preoccupazioni morali. “Il Cristo – affermava –
col suo moralismo ha diviso gli uomini secondo il bene e il male, mentre
io li unirò coi benefici che sono ugualmente necessari ai buoni e ai
cattivi”. Poi non gli andava “la sua assoluta unicità”. Egli è uno dei
tanti; o meglio – diceva tra sé – è stato il mio precursore, perché il
salvatore perfetto e definitivo sono io, che ho purificato il suo
messaggio da ciò che è inaccettabile all’uomo di oggi. Soprattutto, non
poteva sopportare il fatto che Cristo fosse vivo, tanto che
istericamente si ripeteva: “Lui non è tra i vivi e non lo sarà mai. Non è
risorto, non è risorto, non è risorto! È marcito, è marcito nel
sepolcro…”.
3. Ma dove l’esposizione di Solov’ëv si dimostra
particolarmente originale e sorprendente – e merita la più approfondita
riflessione – è nell’attribuzione all’Anticristo delle qualifiche di
pacifista, di ecologista, di ecumenista.
I. Già s’è visto che la pace e la prosperità sono gli
argomenti del capolavoro letterario del nostro eroe. Ma sono idee che
egli riuscirà anche ad attuare. Nel secondo anno di regno, come
imperatore romano e universale, potrà emettere il proclama: “Popoli
della terra! Io vi ho promesso la pace e io ve l’ho data”. E proprio a
questo proposito matura in lui la coscienza della sua superiorità sul
Figlio di Dio: “Il Cristo ha portato la spada, io porterò la pace”. A
ben capire il pensiero di Solov’ëv su questo punto, gioverà citare
quanto egli dice nel terzo dialogo per bocca del Signor Z.,
l’interlocutore che rappresenta l’autore: “Cristo è venuto a portare
sulla terra la verità, ed essa, come il bene, innanzitutto divide”. “C’è
dunque – dice Solov’ëv – la pace buona, la pace cristiana, basata su
quella divisione che Cristo è venuto a portare sulla terra precisamente
con la separazione tra il bene e il male, tra la verità e la menzogna; e
c’è la pace cattiva, la pace del mondo, fondata sulla mescolanza o
unione esteriore di ciò che interiormente è in guerra con se stesso”.
Quanto al pensiero sulla guerra nel senso più comune e ovvio del
termine, ricordiamo che il primo dei tre dialoghi solovëviani è tutto
dedicato alla critica del pacifismo tolstojano e della dottrina della
non-violenza. La guerra – vi si afferma – è certamente un male, ma
bisogna riconoscere che, sia nella vita dei singoli sia in quella delle
nazioni, si danno situazioni in cui alla violenza malvagia non basta
rispondere con gli ammonimenti e le buone parole. Possiamo dire che,
secondo Solov’ëv, mentre gli ideali di pace e di fraternità sono valori
cristiani indiscutibili e vincolanti, tali non possono essere ritenuti
il pacifismo e la teoria della non-violenza che finiscono col risolversi
troppo spesso in una resa sociale alla prevaricazione e in un abbandono
senza difesa dei piccoli e dei deboli alla mercé degli iniqui e dei
prepotenti.
II. L’Anticristo sarà poi anche un ecologista o almeno
un animalista. Sono termini moderni che ovviamente Solov’ëv non usa; ma
la sua descrizione è abbastanza chiara: “Il nuovo padrone della terra –
egli precisa – era anzitutto un filantropo, pieno di compassione, non
solo amico degli uomini ma anche amico degli animali. Personalmente era
vegetariano, proibì la vivisezione e sottopose i mattatoi a una severa
sorveglianza; le società protettrici degli animali furono da lui
incoraggiate in tutti i modi”.
III. L’Anticristo infine si dimostrerà un eccellente
ecumenista, capace di dialogare “con parole piene di dolcezza, saggezza
ed eloquenza”. Convocherà i rappresentanti di tutte le confessioni
cristiane a “un concilio ecumenico da tenere sotto la sua presidenza”.
La sua azione mirerà a cercare il consenso di tutti attraverso la
concessione dei favori concretamente più apprezzati. “Se non siete
capaci di mettervi d’accordo tra voi – dirà ai convenuti dell’assise
ecumenica – spero di mettere d’accordo io tutte le parti, dimostrando a
tutti il medesimo amore e la medesima sollecitudine per soddisfare la
vera aspirazione di ciascuno”. Attuerà praticamente questo disegno,
ridonando ai cattolici il potere temporale del Papa, erigendo per gli
ortodossi un istituto per la raccolta e la custodia di tutti i preziosi
cimeli liturgici della tradizione orientale, creando a vantaggio dei
protestanti un centro di libera ricerca biblica lautamente finanziato. È
un ecumenismo esteriore e “quantitativo”, che gli riuscirà quasi
perfettamente: le masse dei cristiani entreranno nel suo gioco. Soltanto
un gruppetto di cattolici con a capo il Papa Pietro II, un esiguo
numero di ortodossi guidati dallo staretz Giovanni e alcuni protestanti
che si esprimono per bocca del professor Pauli resisteranno al fascino
dell’Anticristo. Costoro arriveranno ad attuare l’ecumenismo della
verità, radunandosi in un’unica Chiesa e riconoscendo il primato di
Pietro. Ma sarà un ecumenismo “escatologico”, realizzato quando ormai la
storia è pervenuta alla sua conclusione: “Così – racconta Solov’ëv – si
compì l’unione delle Chiese nel cuore di una notte oscura su un’altura
solitaria. Ma l’oscurità della notte venne a un tratto squarciata da un
vivido splendore e in cielo apparve un grande segno: una donna vestita
di sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul capo una corona di dodici
stelle”.
4. Qual è allora l’“ammonimento profetico” che arriva
ai nostri tempi da questa specie di parabola del grande filosofo russo?
Verranno giorni, ci dice Solov’ëv, quando nella cristianità si tenderà a
risolvere il fatto salvifico, che non può essere accolto se non
nell’atto difficile, coraggioso, concreto e razionale della fede, in una
serie di “valori” facilmente esitabili sui mercati mondani. Da questo
rischio dobbiamo guardarci. Anche se un cristianesimo che parlasse solo
di “valori” largamente condivisibili ci renderebbe infinitamente più
accettabili nei salotti, nelle aggregazioni sociali e politiche, nelle
trasmissioni televisive, non possiamo e non dobbiamo rinunciare al
cristianesimo “di Gesù Cristo”, il cristianesimo che ha al suo centro lo
“scandalo” della croce e la realtà sconvolgente della risurrezione del
Signore. Questo pericolo – vorrei aggiungere – nella società dei nostri
tempi non è puramente ipotetico. Don Divo Barsotti ha detto una parola
tremenda, ma di attualità incontestabile: in molte proposte, in molte
iniziative, in molti discorsi delle nostre comunità – egli afferma –
Gesù Cristo è una scusa per parlare d’altro. Il Figlio di Dio crocifisso
e risorto, unico Salvatore dell’uomo, non è “traducibile” in una serie
di buoni progetti e di buone ispirazioni, omologabili con la mentalità
mondana dominante. E’ una “pietra”, come egli ha chiaramente detto di sé
– e come noi raramente abbiamo il coraggio di ripetere –: su questa
“pietra”, o (affidandosi) si costruisce o (contrapponendosi) ci si va a
schiantare: “Chi cadrà su questa pietra sarà sfracellato; e qualora essa
cada su qualcuno, lo stritolerà” (Mt 21,44).
5. Qualche chiarificazione a questo punto si impone. È
indubitabile che il cristianesimo sia prima di ogni altra cosa
“avvenimento”; ma è altrettanto indubitabile che questo avvenimento
propone e sostiene dei “valori” irrinunciabili. Certo non si può, per
amore di dialogo, sciogliere il fatto cristiano in una serie di valori
condivisibili dai più; ma non si può neppure disistimare i valori
autentici, quasi fossero qualcosa di trascurabile. Occorre dunque un
discernimento. Ci sono dei valori assoluti – o, come dicono i filosofi,
trascendentali –: tali sono, ad esempio, il vero, il bene, il bello. Chi
li percepisce e li onora e li ama, percepisce, onora, ama Gesù Cristo,
anche se non lo sa e magari si crede anche ateo, perché nell’essere
profondo delle cose Cristo è la verità, la giustizia, la bellezza. Ci
sono valori relativi (o categoriali), come il culto della solidarietà,
l’amore per la pace, il rispetto per la natura, l’atteggiamento di
dialogo eccetera. Questi meritano un giudizio più articolato, che
preservi la riflessione da ogni ambiguità. Solidarietà, pace, natura,
dialogo possono diventare nel non cristiano le occasioni concrete di un
approccio iniziale e informale a Cristo e al suo mistero. Ma se nella
sua attenzione essi si assolutizzano fino a svellersi del tutto dalla
loro oggettiva radice o, peggio, fino a contrapporsi all’annuncio del
fatto salvifico, allora diventano istigazioni all’idolatria e ostacoli
sulla strada della salvezza. Allo stesso modo, nel cristiano, questi
stessi valori – solidarietà, pace, natura, dialogo – possono offrire
preziosi impulsi all’inveramento di una totale e appassionata adesione a
Gesù, Signore dell’universo e della storia; è, per esempio, il caso di
san Francesco d’Assisi. Ma se il cristiano, per amore di apertura al
mondo e di buon vicinato con tutti, quasi senza avvedersene stempera
sostanzialmente il fatto salvifico nella esaltazione e nel conseguimento
di questi traguardi secondari, allora egli si preclude la connessione
personale col Figlio di Dio crocifisso e risorto, consuma a poco a poco
il peccato di apostasia, si ritrova alla fine dalla parte
dell’Anticristo.
6. Nella prefazione a “I tre dialoghi” Solov’ëv
racconta che, ai suoi tempi, in qualche governatorato della Russia aveva
cominciato a diffondersi una nuova religione, che aveva estremamente
semplificato la sua attività di culto. I suoi adepti “dopo aver
praticato in qualche angolo buio nella parete dell’isba un buco di media
grandezza… applicavano ad esso le labbra e ripetevano molte volte con
insistenza: isba mia, buco mio, salvatemi!”. In questa incredibile
aberrazione – nota Solov’ëv – c’era almeno il pregio di un uso corretto
dei termini: “l’isba la chiamavano isba e il buco… lo chiamavano buco”.
Nel nostro mondo c’è invece di peggio, continua implacabilmente il
filosofo. “L’uomo ha perduto l’antica schiettezza. La sua isba ha
ricevuto la denominazione di “regno di Dio in terra”; quanto al buco, si
è cominciato a chiamarlo ‘nuovo vangelo’”. (Qui la polemica con Tolstoj
è scoperta e addirittura feroce). Ma il cristianesimo senza Cristo e
senza la buona notizia di una reale e personale risurrezione “è poi la
stessa cosa di uno spazio vuoto, come un semplice buco, praticato in una
isba di contadini”. In conclusione, a me pare che anche e soprattutto
oggi siamo alle prese con la cultura della pura e semplice “apertura”,
della libertà senza contenuti, del niente esistenziale. Questa è la più
grande tragedia del nostro tempo. Ma la tragedia diventa ancora più
grande quando a questo “niente”, a queste “aperture”, a questi “buchi”
si attribuisce per amore di dialogo qualche ingannevole etichetta
cristiana. Fuori di Cristo – persona concreta, realtà viva, avvenimento –
c’è solo il “vuoto” dell’uomo e la sua disperazione. In Cristo, che è
il plèroma del Padre, l’uomo trova la sua pienezza e la sua sola
speranza.
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