di Marco Politi
in “il Fatto Quotidiano” del 5 giugno 2012
I dissidenti vaticani alzano il tiro e puntano al segretario papale, don Georg Gaenswein. È bastato
che Benedetto XVI mercoledì scorso riconfermasse pubblicamente la fiducia ai suoi “più stretti
collaboratori” ed ecco che la rete clandestina, che combatte il cardinale Bertone, attacca l’uomo più
di tutti vicino al pontefice e che ne costituisce la “voce” nei rapporti con le massime gerarchie della
Curia.
Per il loro nuovo colpo i guerriglieri clandestini dei Vatileaks hanno scelto Repubblica, rivelando
una lettera – diplomaticamente arrabbiata – del cardinale statunitense Burke al Segretario di Stato
Bertone e inoltre ben due lettere firmate da don Georg. Con una raffinatezza: si vede la data, ma
non il contenuto sbianchettato.
Nel testo di accompagnamento l’anonimo dissidente esibisce la
volontà di non “offendere il Santo Padre”. Però minaccia di rendere note vicende vaticane
“incresciose e vergognose”, forse legate al caso Williamson, il vescovo anti-semita lefebvriano cui
Benedetto XVI (non sapendolo) tolse la scomunica. L’anonimo aggiunge un insulto: “Cacciate i
veri responsabili di questo scandalo: mons. Gaenswein e il card. Bertone”.
In Vaticano il nervosismo è altissimo. Lo testimonia la dichiarazione di Bertone al Tg1, che invoca
unità spiegando che il Papa non si lascia intimorire di fronte ad “attacchi feroci e dilanianti”.
L’aggressione a Gaenswein equivale a un attacco al pontefice. Tradizionalmente i segretari sono le
eminenze grigie, che operano dietro il trono papale. Gaenswein, oggi cinquantaseienne, non è stato
fino a pochi anni fa un segretario eminentemente politico come Capovilla, Macchi, Dziwisz, i
potenti prelati che operavano da agenti onnipresenti di Giovanni XXIII, Paolo VI e Giovanni Paolo
II. Ma oggi, con il procedere dell’età di papa Ratzinger, il suo ruolo è divenuto essenziale. Una sua
parola viene intesa come emanazione della volontà papale.
Bavarese come Ratzinger, nato in un villaggio della Foresta Nera, esperto di diritto canonico,
diventato poi docente di tale materia all’ateneo romano dell’Opus Dei, decisamente ratzingeriano
dal punto di vista dottrinale, don Giorgio – come ama farsi chiamare dai vecchi amici romani – era
approdato alla Congregazione per la Dottrina della fede nel 1996, ma è diventato segretario papale
per un colpo di fortuna. Il segretario precedente Joseph Clemens voleva far carriera in Vaticano e
infatti interrompe la collaborazione con il cardinale Ratzinger nel 2003 e dopo un paio di mesi viene
nominato – con l’aiuto dell’allora cardinale Segretario di Stato Sodano – segretario del pontificio
Consiglio per i Laici. Una scommessa sbagliata sul destino. Don Georg, subentratogli in corsa, sarà
due anni dopo il segretario di papa Benedetto XVI. Un segretario osannato dai media per il suo
fascino e la sua prestanza.
UN SEGRETARIO sportivo che i primi tempi si fa vedere vedere all’interno del Palazzo apostolico,
reduce da partite di tennis in t-shirt e calzoncini corti. Un segretario che ha incendiato le fantasie
della stampa femminile: memorabile il suo incedere accanto a Carla Bruni all’Eliseo durante la
visita di Benedetto XVI a Parigi nel 2008.
Benché impolitico e caratterialmente poco amante delle manovre curiali e dell’involuto linguaggio
clericale, Gaenswein è stato costretto giocoforza ad assumere negli ultimi tre anni un ruolo più
attivo di consigliere papale e di silenzioso organizzatore della sua agenda. Nelle sue mani stanno le
chiavi che aprono e chiudono i contatti diretti con il pontefice: udienze, lettere, incontri, telefonate.
Può frenare o incoraggiare il papa esitante. Suo è il compito di comunicare in Vaticano la “mente”
del papa (dicono così, in tono solenne, i monsignori di Curia). Quanto più fragile, affaticato e
concentrato sul libro su Gesù – il terzo – diviene papa Ratzinger tanto più delicato e importante si è
fatto il ruolo di Gaenswein come anello di congiunzione con la Segreteria di Stato e la Curia. Al suo
carteggio con Bertone – con divergenze e convergenze – allude in tono ricattatorio l’ultimo
messaggio anonimo uscito dal Vaticano. Sembra, ad esempio, che Gaenswein avesse dubbi sulla
rimozione di mons. Viganò, il prelato che aveva denunciato la corruzione in Vaticano. Sempre
Gaenswein è il depositario delle reazioni di stupore e disorientamento di Benedetto XVI per la
rimozione del presidente dello Ior, Gotti Tedeschi. È lui, infine, ad aver affrontato il maggiordomo
Paolo Gabriele due giorni prima del suo arresto, mettendolo con le spalle al muro e chiedendogli di
assumersi le sue responsabilità.
L’attacco portato a Gaenswein rivela che la rete anti-Bertone ha scelto la strategia del caos. Sono
pronte altre pubblicazioni micidiali. Minacciare rivelazioni sul segretario papale è un avviso sinistro
rivolto a Ratzinger per fargli capire che l’opposizione sotterranea è intenzionata a fare terra bruciata
finché non sarà cambiato il vertice della Curia. Vista la fedeltà a prova di bomba di don Georg e la
sua serietà nel trasmettere i desiderata di Benedetto XVI, l’operazione mira a una destabilizzazione
in grande stile della stessa leadership di papa Ratzinger. A mostrare lo stato di disgregazione della
Curia contribuisce anche la lettera del cardinale Burke a Bertone. Burke è un cardinale onestamente
conservatore, ha marciato recentemente contro la legge sull’aborto per le strade di Roma, è ultraratzingeriano.
Eppure denuncia che siano state sancite dal pontefice le pratiche liturgiche dei neocatecumenali,
millantando un’approvazione della Congregazione per il Culto che non c’è mai stata.
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