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giovedì 26 luglio 2012

Deo Gratias!


"Pro multis". La traduzione del papa guadagna consensi

Ha ordinato di tradurre "per molti" invece che "per tutti". Contro il parere, tra altri, dei vescovi italiani. Ma ora, proprio dall'Italia, due studiosi della Bibbia e della liturgia danno ragione a Benedetto XVI, sia pure con alcuni distinguo

di Sandro Magister


ROMA, 26 luglio 2012 – Con la sua lettera ai vescovi tedeschi dello scorso 14 aprile, Benedetto XVI ha voluto dire una parola definitiva sulla traduzione dell'espressione latina "pro multis" nella consacrazione del calice:

> "Per molti" o "per tutti"? La risposta giusta è la prima

In effetti, dopo il Concilio Vaticano II, nella gran parte delle traduzioni del messale romano nelle varie lingue il "pro multis" era stato reso con "per tutti", con una forzatura interpretativa.

E i ripetuti richiami della congregazione per il culto divino a una traduzione più letterale delle parole di Gesù nell'ultima cena – nei Vangeli di Matteo e di Marco – erano stati poco obbediti.

In questi ultimi anni, tuttavia, le nuove traduzioni del messale messe in opera da alcuni episcopati hanno ripristinato in vari paesi il "per molti".

È avvenuto così, ad esempio, negli Stati Uniti, a partire dall'Avvento del 2011: "for many". E sta per avvenire la stessa cosa anche in Germania: "für Viele".

In Francia la traduzione attualmente in uso è: "pour la multitude".

E in Italia?

Nella Chiesa italiana, che ha il papa come vescovo di Roma e suo primate, l'episcopato ha trasmesso in Vaticano per la "recognitio", ossia per il controllo e l'autorizzazione finale, una nuova traduzione del messale che mantiene ancora il "per tutti".

È questa infatti la traduzione voluta dalla schiacciante maggioranza dei vescovi italiani, quando nel novembre del 2010 furono chiamati a votarla.

Su 187 votanti, appena 11 optarono per il "per molti". Mentre altri 4 dissero di preferire la versione "per la moltitudine". A parte una scheda bianca, i restanti 171 votarono per mantenere il "per tutti". A loro giudizio l'abbandono di questa traduzione avrebbe potuto disorientare i fedeli, seminando dubbi sulla verità di fede che la salvezza è offerta a tutti senza eccezioni.

Anche papa Joseph Ratzinger, nella sua lettera ai vescovi tedeschi, si è detto consapevole di questo rischio. E infatti ha chiesto che il "per molti" della consacrazione sia adeguatamente spiegato ai fedeli, preparandoli al suo ripristino nei paesi dove esso sta per essere compiuto, se non per volontà dei vescovi per ordine della Santa Sede.

L'Italia è uno di questi paesi.

E la novità di questa estate in Italia è che si è già avviata una approfondita discussione sulla traduzione del "pro multis", in dialogo anche critico con le tesi di Benedetto XVI nella sua lettera ai vescovi tedeschi, ma approdando a soluzioni che  ne condividono la sostanza.

*

Gli studiosi che sono recentemente intervenuti sul tema sono Francesco Pieri, sacerdote della diocesi di Bologna e docente di liturgia, di greco biblico e di storia della Chiesa antica, e Silvio Barbaglia, sacerdote della diocesi di Novara e docente di esegesi dell'Antico e del Nuovo Testamento.

Il primo, Pieri, sta per pubblicare un libro sull'argomento, edito dalle Dehoniane di Bologna con la prefazione del teologo Severino Dianich, e ne ha anticipato le tesi in questo articolo sulla rivista "il Regno":

> "Per una moltitudine". Sulla traduzione delle parole eucaristiche

Pieri critica Benedetto XVI là dove egli sostiene – nella lettera ai vescovi tedeschi ma anche nel secondo volume del suo "Gesù di Nazaret" – sia che non c'è più consenso esegetico sulla interpretazione di 'molti' come semitismo che equivale a 'tutti', sia che l'eucaristia ha un differente raggio d'azione rispetto alla morte in croce di Gesù. Secondo il papa, infatti, "la portata del sacramento è più limitata; esso raggiunge molti, ma non tutti". Raggiunge cioè la concreta comunità celebrante ("per voi") e la Chiesa nel suo insieme ("per molti"). La Chiesa che a sua volta è chiamata a essere luce e lievito di salvezza "per tutti".

Commenta Pieri:

"L'interpretazione proposta non manca di suggestione, ma solleva al tempo stesso alcune forti riserve. Prima fra tutte quella di separare eccessivamente, restringendolo, il rito eucaristico dalla morte redentrice".

Al momento però di trarre le conclusioni, Pieri si ritrova vicino a quelle sostenute da Benedetto XVI.

Pieri mostra di condividere l'esegesi della parola ebraica "rabbim" fatta da Albert Vanhoye, l'insigne biblista che Benedetto XVI ha fatto cardinale, secondo cui essa significa semplicemente "un grande numero", senza specificare se esso corrisponde o no alla totalità.

E così prosegue:

"Nel caso del 'pro multis' riteniamo che esista una soluzione per avvicinarsi alla lettera della formula senza tradirne il senso. Essa è rappresentata dalla felicissima traduzione del messale francese, 'pour la multitude', che sarebbe senza difficoltà adottabile in italiano e probabilmente anche nelle altre lingue romanze: 'per la moltitudine' o se si preferisce 'per una moltitudine'. Una tale traduzione, più vicina alla lettera del messale romano di quella attualmente in uso, aiuterebbe a dischiudere a un maggior numero di fedeli il cuore stesso di quella preghiera eucaristica, con la quale per oltre un millennio e mezzo l'Occidente ha celebrato la messa, professando la propria fede e alimentando la propria devozione".

*

Per un'altra via, anche l'altro studioso intervenuto sul tema, Silvio Barbaglia, arriva a una proposta simile a quella di Pieri.

Barbaglia ha pubblicato il suo intervento sulla rivista "Fides et Ratio" dell'Istituto Superiore di Scienze Religiose "Romano Guardini" di Taranto.

Confessa di essere partito dall’intenzione di mostrare la maggiore plausibilità della versione "per voi e per tutti", ma di aver rovesciato radicalmente tale suo "pregiudizio" nel corso della ricerca.

Questo è il testo integrale del suo saggio, molto acuto nell'incrociare l'analisi dei testi biblici con quella dei testi liturgici:

> "Per tutti" oppure "per molti"? Un'alternativa infeconda


Barbaglia mostra come "l’aggettivo 'molti' porti in sé una natura 'in-definita', funzionale ad aprire in termini universali 'ex parte Dei' la destinazione del dono salvifico".

E così conclude:

"Se le parole della consacrazione sul calice affermano che la destinazione della nuova ed eterna alleanza nel suo sangue è rivolta contestualmente ai commensali della celebrazione ('per voi') e universalmente a molti altri ('per molti') la cui identità non ci è data a conoscere perché solo Dio la conosce, credo che l’espressione letterale più corretta che renda il senso innovativo dato dalla redazione liturgica sia: 'per voi e per moltitudini'.

"Ma l’espressione 'pro multis' potrebbe anche essere resa con due termini invece di uno: attraverso un sostantivo che esprima l’idea della moltitudine, accompagnato da un aggettivo che ne sottolinei la dimensione 'in-definita'. L’aggettivo della lingua italiana – proveniente dalla lingua latina – che meglio esprime tutto ciò è 'immenso', che significa 'senza misura': esattamente la dimensione di ciò che non è delimitato o definito.

"L’esito dell’analisi qui condotta sarebbe dunque il seguente: 'Prendete e bevetene tutti: questo è il calice del mio sangue per la nuova ed eterna alleanza, versato per voi e per moltitudini immense, in remissione dei peccati. Fate questo in memoria di me'".

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Alla sua proposta riguardante il "pro multis", Pieri aggiunge anche altre due modifiche da apportare alle parole della consacrazione, rispetto alla traduzione in uso attualmente in Italia:

"La prima è il ripristino della forma al futuro nei due verbi sul pane e sul vino, che vengono attualmente enunciati al presente: il corpo di Gesù 'sarà consegnato' ('tradetur') alla morte, così come il suo sangue 'sarà versato' ('effundetur') nella passione. Pane e vino rappresentano e anticipano misteriosamente – sacramentalmente – ai discepoli il dono che Gesù sta per fare di se stesso. Con particolare chiarezza, nel rito romano le parole eucaristiche non si riferiscono 'in primis' al sacrificio della messa, ma a quello della croce; un sacrificio che la messa non ripete e non moltiplica, ma attualizza. Restaurarne la letteralità offrirebbe quindi l’occasione per una catechesi assai opportuna, dalla quale vi è motivo di ritenere che non pochi fedeli italiani trarrebbero un autentico aiuto alla più piena intelligenza del senso stesso della messa.

"La seconda modifica desiderabile sarebbe l’eliminazione dell’aggiunta interpretativa 'in sacrificio' in riferimento al pane: un’esplicitazione molto marcata non solo rispetto al sobrio 'tradi' ('essere consegnato') del testo latino, che è il verbo più caratteristico in tutte le narrazioni della passione di Gesù, ma anche rispetto alle sue corrispondenti rese nei messali delle principali lingue europee".

Quindi Pieri auspica che la nuova traduzione italiana delle parole della consacrazione nel messale romano diventi la seguente:

"Prendete e mangiatene tutti: questo è il mio corpo che sarà consegnato per voi. Prendete e bevetene tutti: questo è il calice del mio sangue, della nuova ed eterna alleanza, che sarà versato per voi e per una moltitudine, in remissione dei peccati. Fate questo in memoria di me".

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Non è la prima volta, con questa disputa sul "pro multis", che il biblista Silvio Barbaglia si confronta con Benedetto XVI.

L'ultimo suo libro lo fa intuire fin dal titolo:

S. Barbaglia, "Il digiuno di Gesù all'ultima cena. Confronto con le tesi di J. Ratzinger e di J. Meier", Assisi, Cittadella, 2011.

In questo libro, Barbaglia sostiene due tesi. La prima è che l'ultima cena di Gesù fu veramente una cena pasquale secondo il calendario delle feste giudaiche (al contrario di quanto ha sostenuto Benedetto XVI nel secondo volume del suo "Gesù di Nazaret"). La seconda è che in quell'ultima sua cena Gesù decise di astenersi dal mangiare il cibo pasquale: digiunò per stare in mezzo ai suoi discepoli come "colui che serve".

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19.7.2012
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Chi è Matteo nel celebre quadro? È il giovane che raccoglie soldi a capo chino. La tv dei vescovi italiani rivoluziona l'interpretazione corrente. In accordo con un'omelia del papa

16.7.2012
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Nella sua nuova biografia di Giovanni Paolo II, George Weigel mostra tutti i limiti del cardinale che ne fu il primo collaboratore. Ma con lui la curia vaticana ancora funzionava. Il disastro è arrivato con i suoi due successori

__________http://www.chiesa.espressonline.it/dettaglio.jsp?id=1350294

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