ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

martedì 9 ottobre 2012

Il maggiordomo va a messa (con un gendarme)



Prima di tornare a una vita normale ci vorrà del tempo, ne ha combinate e ne sono successe troppe,
di cose, ma per ora il primo giorno dopo la condanna mite a 18 mesi per furto aggravato e la speranza concreta nella grazia del Papa è un ritorno alle abitudini dei due mesi passati ai
domiciliari, come un limbo in attesa del futuro. La chiesa di San Pellegrino sta a poche centinaia di metri dalla casa di Paolo Gabriele, in Vaticano, per chi nel Medioevo arrivava da Nord lungo la via Francigena e raggiungeva la città scendendo da Monte Mario era il primo luogo d'ingresso a Roma e al soglio di Pietro, la fine del viaggio.

L'ex maggiordomo del Papa, accompagnato da un gendarme, è uscito ieri mattina di casa per andare a messa nella chiesa del Pellegrino, come ha sempre potuto fare nel corso delle settimane seguite al suo arresto, assieme alla moglie e ai figli, prima di rientrare e pranzare in famiglia. E forse c'è qualcosa di metaforico in questa messa ad hoc, celebrata di volta in volta dal cappellano della
Gendarmeria o da un penitenziere vaticano, nell'eucarestia di ieri per il solo «corvo» e la sua
famiglia mentre poco oltre, davanti ai fedeli che colmavano piazza San Pietro, Benedetto XVI
proclamava due nuovi Dottori della Chiesa (lo spagnolo San Giovanni d'Avila e la tedesca Santa
Ildegarda di Bingen) e apriva solennemente il sinodo sulla «nuova evangelizzazione» assieme a
quattrocento vescovi e collaboratori. Dopo il travaglio di Vatileaks si vuole tornare all'essenziale,
«la Chiesa esiste per evangelizzare», giovedì inizierà l'anno della fede indetto dal Papa a
cinquant'anni dal Concilio e Benedetto XVI invita tutti alla conversione: «Lo sguardo sull'ideale
della vita cristiana, espresso dalla chiamata alla santità, ci spinge a guardare con umiltà la fragilità
di tanti cristiani, anzi il loro peccato, personale e comunitario, che rappresenta un grande ostacolo
all'evangelizzazione, e a riconoscere la forza di Dio che, nella fede, incontra la debolezza umana».
Per Gabriele sono giorni di attesa. Benedetto XVI riceverà e leggerà gli atti del processo e infine
valuterà, la grazia è ritenuta «molto concreta e verosimile» ma questo non significa sia immediata.
Gabriele resta ai domiciliari in attesa che la difesa decida se presentare appello entro tre giorni più
cinque per le motivazioni. L'appello interromperebbe la detenzione in attesa del secondo grado di
giudizio ma a quanto pare non ci sarà, la difesa ha parlato di sentenza «equilibrata ed equa».
Così, almeno in teoria, se entro otto giorni non intervenisse la grazia Gabriele potrebbe tornare nella
cella vaticana: non in un carcere italiano, anche perché resta formalmente aperta l'istruttoria sui reati
più gravi — delitti contro lo Stato, inviolabilità dei segreti — dei quali potrebbe essere chiamato a
rispondere anche «con altri». Oppure, più semplicemente, nell'attesa potrebbero essere prorogati i
domiciliari. Si vedrà. Oltretevere, comunque, l'aria è quella di voler voltare pagina e «disinnescare»
Gabriele. Anche se resta il dubbio fondato che ci siano altri corvi e altri documenti in giro: l'ex
maggiordomo aveva in casa «più di mille» documenti, tra originali e fotocopie, sottratti
dall'Appartamento del Papa a partire dal 2006: e solo una parte corrisponde a quelli pubblicati nel
libro di Gianluigi Nuzzi Sua Santità. Meno della metà.
di Gian Guido Vecchi
in “Corriere della Sera” dell'8 ottobre 2012
«Le carte rese pubbliche per denunciare gli intrighi»
di Redazione
in “Corriere della Sera” dell'8 ottobre 2012
Un appello «affinché il Papa conceda la grazia al suo ex collaboratore Paolo Gabriele» e una
riflessione sui motivi che hanno spinto l'ex maggiordomo a portare allo scoperto i segreti nascosti
del Vaticano. A fare entrambi, appello e riflessione, è Gianluigi Nuzzi, giornalista e autore del libro
Sua Santità (Chiarelettere): è a lui che Paolo Gabriele ha consegnato quelle carte riservate, sottratte
dall'appartamento privato di Benedetto XVI, ed è con lui che, durante mesi di frequentazione, il
«corvo» si è sfogato raccontando i perché del suo gesto. Ora Nuzzi racconta e spiega quei perché in
un articolo che esce oggi in contemporanea su Le Monde e El Mundo e, in stralci, sulla Süddeutsche
Zeitung. Quello di Gabriele, scrive Nuzzi, era un gesto fatto per denunciare, «per evidenziare storie
opache che si sviluppano in Vaticano, nuocendo alla Chiesa stessa». C'è da chiedersi, continua il
giornalista, «se il danno alla Chiesa lo cagiona Gabriele che, pur violando la fiducia del Papa, ha
fatto emergere storie di interessi in Vaticano o i protagonisti di quelle vicende». Quello che emerge
dalle parole di Nuzzi è il ritratto di un uomo che ha agito seguendo un fine preciso: rendere pubblici
fatti che, a suo avviso, stavano minando dall'interno il Vaticano. Fatti di cui era all'oscuro lo stesso
Joseph Ratzinger, descritto come «un uomo puro in mezzo ai lupi». Tra il Papa e «gli scontri, le
espressioni più dure del potere» ci sarebbe una distanza siderale, un «vuoto da vertigine tra chi
lavora per la trasparenza e chi coltiva interessi lontani dalle Scritture». Nuzzi, seguendo Gabriele,
racconta un mondo lontano dallo spirito del primitivo cristianesimo e ricorda tre fatti emblematici:
«L'allontanamento di monsignor Carlo Maria Viganò, economo della Città del Vaticano promosso a
Washington dopo le denunce al Papa, il durissimo scontro con il segretario di Stato Tarcisio Bertone
e il siluramento di Ettore Gotti Tedeschi dallo Ior». E poi corruzione e «interessi opachi negli
appalti», casi come quello del presepe in piazza San Pietro che, ogni anno, costa 250 mila euro.
Storie ancora tutte da chiarire, scrive Nuzzi,




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