La sera dell'otto ottobre, sulla rete televisiva Sette, Gad Lerner ha pilotato un dibattito sul Vaticano II nella direzione gradita dagli scolarchi bolognesi, tardi eredi delle illusioni nutrite dal card. Giacomo Lercaro, da don Giuseppe Dossetti e dal prof. Giuseppe Alberigo.
La scuola di Bologna, nel dibattito rappresentata dal mellifluo epigono Giuseppe Melloni, era stata costituita negli anni Sessanta al fine di promuovere la de-ellenizzazione del Cristianesimo, ossia la separazione di fede e ragione quale propedeutica all'intesa dei cattolici con gli esponenti dell'ideologia progressista.
Lercaro, Dossetti e Alberigo non erano banditori dei torrentizi e innocui documenti stilati dai padri del Vaticano II ma antesignani di una cristianità conforme alle illusioni festanti e agli stati d'animo circolanti intorno all'aula conciliare. Stati d'animo che don Finotti ha puntualmente definito paraconciliari.
Ora l'effervescenza paraconciliare aveva avuto origine dalla fantasia dei teologi giornalisti, i quali, obbedendo ai messaggi lanciati dalla propaganda sovietica e dalla chiacchiera stampata, pensava fosse in atto una sincera e pia autocritica dei pensatori comunisti.
Il giornalismo teologico, venuto allo scoperto dopo la morte di Pio XII, il papa che ne aveva denunciato e sconfessato il delirio, contemplava, infatti, tre abbaglianti e consolanti novità:
a. il Vangelo è vero socialismo.
b. il socialismo ateo sta diventando cristiano,
c. la Chiesa e il mondo sono prossimi a una felice e gongolante intesa.
Ingannato dalle notizie diffuse dai teologi di giornata, Giovanni XXIII, nell'orazione inaugurale del Vaticano II, "Gaudet Mater Ecclesia", sostenne che la condanna degli errori non era più necessaria, dal momento che gli erranti avevano incominciato a correggerli spontaneamente.
A distanza di cinquant'anni questa è la vera domanda sul paraconcilio: quale fu la fonte dell'inganno ordito dai teologi ai danni di Giovanni XXIII?
Papa Roncalli non era tenuto a conoscere lo stato dell'opera ma i teologi che lo consigliavano non avevano il diritto di ignorare che la revisione dell'ideologia era indirizzata a nuovi e più deleteri errori, a una delirante blasfemia.
Fin dagli anni Trenta le avanguardie comuniste avevano iniziato la trasformazione mistica dell'ideologia. Il francofortese Walter Benjamin (un pensatore morto nel 1942) aveva rovesciato l'ateismo di Marx in un furente odio rivolto a Dio.
La scolastica fondata da Benjamin era al lavoro da venti anni e stava preparando la cultura di sinistra a quella rivoluzione decadente, cinerea e borghese (questa è la calzante definizione di Augusto Del Noce) che esploderà nel 1968.
E' dunque certo che la correzione degli errori era una fantasticheria, un'illusione generata dalla disattenzione o spacciata dall'ignoranza invincibile dei teologi trionfanti dopo la morte di Pio XII (morte che era invocata dall'orante e coerente prof. Alberigo, come è stato rammentato durante la trasmissione di Lerner).
La notizia dell'involuzione gnostica dell'ideologia comunista non era un segreto. Dell’invincibile attrazione che la capovolta teologia degli gnostici esercita nei confronti del pensiero moderno il cardinale Giuseppe Siri aveva scritto più volte a cominciare dal 1957.
In Getzemani il card. Siri affermerà: “Se si nega la capacità dell’intelletto di conoscere il mondo e si affida, more kantiano, questa conoscenza alla volontà, diventa estremamente facile raggiungere la tesi di una inconoscibilità naturale di Dio. È la fine della teologia razionale. In tal caso la croce di Cristo può non apparire più come la croce dell’umanità del Signore, che sussistendo nel Verbo raggiunge la efficacia salvifica, quella che redime, giustifica e fa consorti della natura divina. Dio allora può persino apparire nel mondo, non come Signore, ma come impotente; la croce rovesciandosi tutto, può apparire come lo stesso mistero di Dio. Queste tesi che qualificheremo neognostiche, hanno come fondamento la linea di pensiero appunto condannata dal Vaticano primo, la linea che da Kant va ad Heidegger”.
Un allievo del cardinale Siri, nel 1958 e nel 1962, aveva scritto e pubblicato saggi finalizzati a richiamare l'attenzione degli studiosi cattolici sul slavina neognostica che stava devastando la cultura progressista.
L'ottimismo del paraconcilio era dunque teoreticamente infondato. Ingiustificata l'euforia che si impossessò delmondo cattolico durante e dopo il Vaticano II. Fatale il rovesciamento delle sue festanti attese nel fumo di satana, oggetto dell'accorata denuncia di Paolo VI.
Purtroppo il dibattito nel salotto di Lerner (e presumibilmente negli altri salotti televisivi, nei quali si celebrerà il cinquantesimo anniversario del Concilio Vaticano II) ha girato al largo del paraconcilio. La cultura di massa detesta le questioni scomode. Senza contare che l'omissione, probabilmente, è dovuta alla sopravvivenza delle illusioni paraconciliari nei pensieri e nei discorsi - laici e paracattolici - intorno alla rottura causata dall'immaginario Vaticano II.
di Piero Vassallo
(di Mauro Faverzani) Perché la “Gaudium et Spes”, la “Dignitates Humanae” e la “Nostra Aetate” furono i testi del Vaticano II approvati col maggior numero di voti contrari? Lo spiega il professor Massimo De Leonardis (nella foto),
docente ordinario di Storia delle Relazioni Internazionali presso
l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, in questa intervista
realizzata da Mauro Faverzani. “Il post-Concilio fu un periodo di euforia
rivoluzionaria”, afferma il prof. De Leonardis, che analizza anche come
e quanto siano cambiati i testi dei Concordati stipulati dopo il
Vaticano II.
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