IL PECCATO ORIGINALE SECONDO LE STRANE DOTTRINE DEL CARDINALE RAVASI |
Il
Card. Gianfranco Ravasi è oggi uno dei membri più in vista del Sacro
Collegio, uomo di vasta cultura, brillante scrittore ed oratore,
particolarmente impegnato, come sappiamo, nel dialogo con non-cattolici,
non-cristiani e non credenti, sensibile ai temi di fondo della ragione e
della fede, temperamento di poeta che però non dimentica le esigenze
del rigore scientifico che si addice alla teologia. Di recente ha
pubblicato per i tipi della Mondadori un libro dal titolo Guida ai
naviganti. Le risposte della fede: una guida, scritta con stile sciolto e
avvincente, per affrontare con serietà le questioni più profonde
dell’esistenza e della vita. Viene un po’ in mente la famosa Guida dei
perplessi del grande filosofo ebreo medioevale Mosè Maimonide, ammirato
da S. Tommaso d’Aquino. Non intendo qui fare un recensione del libro.
Voglio solo fermarmi su di un punto dottrinale di capitale importanza
trattato dall’illustre e dinamico Porporato: la questione del racconto biblico della creazione dell’uomo e del peccato originale.
Devo dire con tutta franchezza che grande è stata la
mia sorpresa, sia detto ciò con tutto il rispetto dovuto a un Principe
della Chiesa, quando ho letto, a proposito di questo famosissimo
racconto, che esso “è un’apparente narrazione storica, con eventi e una
trama, che hanno però un valore simbolico, filosofico-teologico, quindi
‘sapienziale’ ed esistenziale” (p.45).
Si tratterebbe, come dice anche Karl Rahner, di
un’“eziologia metastorica”, ossia di un genere letterario antico, che
per mezzo del racconto di un mito riferito al passato, intende istruirci
su di una condizione dell’uomo che riguarda il presente, anzi una
condizione “metastorica”, quindi qualcosa che riguarda l’uomo come tale,
indipendentemente dai tempi e dal corso della storia. Insomma, un modo
di far filosofia ricorrendo alla narrazione, anziché a concetti
speculativi.
Lo scritto del Cardinale prosegue poi sullo stesso
tono: “lo scopo” (del racconto biblico) “non è tanto quello di spiegare
cosa sia successo alle origini, ma di individuare chi è l’uomo nel
contesto della creazione: è, allora, una ‘metastoria’, ossia è il filo
costante sotteso a eventi, tempi e vicende storiche umane. Si risale
all’archetipo … non per narrare cosa sia accaduto nel processo di
ominizzazione in senso scientifico o per scoprire gli atti di un singolo
individuo primordiale, ma per identificare nella sua radice iniziale lo
statuto permanente di ogni creatura umana” (ibid.).
Sono rimasto molto sorpreso davanti a simili
affermazioni, anche se so che oggi sono condivise da molti. Ma, come
sappiamo, la verità di fede non dipende dal consenso della maggioranza,
ma dalla retta interpretazione della Parola di Dio che ci è garantita
dal Magistero della Chiesa.
Che il racconto genesiaco faccia riferimento a una
condizione dell’uomo che copre tutto il corso della storia, non c’è
alcun dubbio, come pure non c’è dubbio che alcuni elementi sono
evidentemente ingenuamente mitologici, come c’è da aspettarsi da una
cultura primitiva come quella dell’agiografo. Ma la Chiesa ha sempre
insegnato che in questa congerie di fatti, di immagini, di quadri e di
elementi occorre saper discernere con somma saggezza, sotto la guida
dello stesso Magistero, ciò che è mitico da ciò che è storico, ciò che è
inventato da ciò che è realmente accaduto, ciò che è simbolico da ciò
che va preso alla lettera.
Ora non è difficile venire a sapere, per chi voglia
informarsi, che il suddetto racconto, nella sua sostanza, non è per
nulla un mito inventato per spiegare una situazione attuale, benchè di
fatto il racconto spieghi ottimamente tale situazione; ma, come dice lo
stesso Catechismo della Chiesa Cattolica, erede di una millenaria
tradizione dogmatica, “il racconto della caduta (Gn 3) … espone un
avvenimento primordiale, un fatto che è accaduto all’inizio della storia
dell’uomo” (n.390) (in corsivo nel testo, quasi a sottolineare
l’importanza dell’affermazione), ossia un fatto che è oggetto della
divina Rivelazione, quindi, come tale, verità di fede indispensabile per
la salvezza.
Inoltre il Catechismo, a più riprese, nei parr. 6 e 7
del cap. I, in perfetta linea con la Tradizione e la Scrittura, fonti
della Rivelazione che ci è mediata dalla Chiesa, soprattutto a partire
dal Concilio di Trento sino allo stesso Concilio Vaticano II, ricorda
come l’umanità ha avuto inizio da una coppia, - Pio XII nella Humani
Generis respinge il poligenismo - la quale, caduta nel peccato per
istigazione del demonio, ha trasmesso questa colpa - la colpa originale -
a tutta l’umanità per via di generazione, colpa dalla quale siamo
liberati dalla grazia del Battesimo.
Dunque netta distinzione fra il peccato personale -
il “peccato” nel senso corrente della parola -, la cui colpa resta nel
colpevole, e il peccato originale, la cui colpa è trasmessa ai
discendenti. Il peccato dei progenitori è stato un peccato personale, ma
nel contempo ha avuto il carattere di una colpa che si è trasmessa ai
discendenti: peccato originale (originante).
Indubbiamente la Bibbia non è un trattato di
paleoantropologia, per cui da essa non possiamo attenderci alcuna
informazione su quella che è stata l’evoluzione dell’uomo dalle origini
ad oggi e neppure c’è l’ombra di una derivazione dell’uomo dalla
scimmia. Anzi, il quadro della coppia edenica, nobilissima,
sapientissima, bellissima, sanissima, immortale, perfetta nella virtù,
signora del creato, felice, in comunione con Dio, ci fa pensare che
fosse stata dotata da Dio di un corpo nobilissimo, ben superiore a
quello della scimmia, benchè Pio XII nella medesima Humani Generis non
escluda l’ipotesi che quanto al corpo i progenitori possano essere
provenuti da un vivente precedente inferiore (ex iam exsistenti ac
viventi materia, Denz.3896), salva restando la verità di fede che
comunque l’anima spirituale dev’essere considerata come immediatamente
creata da Dio, con buona pace di Vito Mancuso.
Invece nell’interpretazione del Card.Ravasi il
peccato sembra essere spiegato semplicemente col libero arbitrio
dell’uomo capace di operare il bene come il male, ma sembra totalmente
assente la vera condizione di miseria nella quale ognuno viene al mondo,
ossia quello stato di colpa, che si chiama colpa originale o peccato
originale originato, derivante per generazione dai nostri progenitori.
Nella visione del Cardinale resta quindi inspiegata
l’esistenza delle pene della vita presente nelle loro molteplici e
tragiche forme, e l’innata, a volte irresistibile, tendenza al peccato
esistente in ognuno di noi, anche i più buoni, tendenza dalla quale,
come insegna la nostra fede, sono stati esentati solo Gesù Cristo e la
Beata Vergine Maria, il primo in quanto Figlio di Dio, la seconda in
quanto preservata, come è ben noto, per specialissimo privilegio, dalla
macchia della colpa originale. Se tutti nasciamo buoni, dove va a finire
il privilegio di Cristo e della Madonna? Se tutti siamo
originariamente, necessariamente, sempre e inevitabilmente in grazia,
dove va a finire il privilegio di Maria? E che ne è del peccato come
assenza o perdita della grazia?
Invece la Scrittura è chiarissima nel raccontare come
il peccato dei progenitori li ha esclusi dal paradiso terrestre
privandoli di quei preziosi beni che possedevano nello stato d’innocenza
e nel farci comprendere come la serie infinita di pene che da allora
affligge l’umanità sia causata, nella sua prima radice, dall’avverarsi
di quel castigo che Dio aveva minacciato ai progenitori e alla loro
progenie nel caso avessero disobbedito al comando divino di non
“mangiare dell’albero del bene e del male”.
E’ chiaro che tantissimi mali sono poi causati dai
peccati personali dei singoli, eventualmente ancora sotto l’istigazione
di Satana, ma anche questi peccati sono resi possibili dal fatto storico
del peccato originale dei nostri progenitori all’origine della storia
dell’uomo. “La morte - come dice S.Paolo - è entrata nel mondo a causa
del peccato”.
Nella concezione di Ravasi sembra invece che ognuno
di noi sia creato naturalmente buono ed innocente, come nella concezione
di Jean-Jacques Rousseau, e che possa corrompersi soltanto per una sua
volontaria malizia o per l’influsso negativo della società. Ma allora a
questo punto ci si chiede: a che serve la grazia cristiana della
remissione dei peccati, a che serve il Battesimo, se ognuno di noi ha in
sé la forza e la possibilità di osservare la legge divina e di
conseguire la virtù, purchè lo voglia?
O forse che ognuno possiede la grazia sin dalla
nascita senza mai perderla, come crede Rahner? O forse la grazia è Dio,
sicchè l’uomo in grazia in fin dei conti è Dio? Oppure l’uomo, essere
sostanzialmente divino, come insegna la filosofia indiana, prende
coscienza di tale sua divinità al termine di un opportuno cammino
sapienziale di autopurificazione (yoga)? Dove egli allora si distingue
da Gesù Cristo? Forse che egli diventa identico a Cristo, come pensava
appunto Meister Eckhart che concepiva così la vita di grazia?
Bisogna dire con tutta franchezza che questa
concezione è in contrasto con la visione cristiana e combacia invece con
le concezioni razionalistiche o naturalistiche o gnostiche, come per
esempio la massoneria, il laicismo, il liberalismo, l’idealismo,
l’esoterismo, il marxismo o il positivismo, dove il problema del male
non è risolto per un intervento sanante della grazia di un Dio
trascendente, ma per il fatto che l’uomo o è un essere originariamente
divino o per il semplice moto dialettico della ragione o per la forza
della volontà o le risorse della scienza, della tecnica e della
politica.
Ma se l’uomo nasce già buono e volto verso Dio e il
peccato è un semplice incidente di percorso o è sempre e comunque
perdonato o può convivere benissimo con la grazia o è il polo dialettico
della dinamica della storia, a che la predicazione del Vangelo? A che
l’esortazione alla penitenza e alla conversione? Che senso ha la
Redenzione di Cristo? E la preghiera? E la Chiesa? E i sacramenti? E
come e perché raggiungere la resurrezione e la vita eterna? Che cosa
diventa la santità? Non è sufficiente per ogni evenienza il “dialogo” e
la buona volontà?
Da qui vediamo che la negazione o la deformazione o
la decurtazione della dottrina cattolica della creazione della coppia
primitiva e la dottrina del peccato originale, crea un processo a catena
di negazioni, per le quali alla fine del cristianesimo non resta più
nulla se non un’illusoria autodivinizzazione dell’uomo o un vago
umanesimo, utopistico, relativista ed incapace di condurre gli uomini
alla giustizia ed alla felicità.
di P. Giovanni Cavalcoli, OP
da http://www.riscossacristiana.it/ |
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