Battesimo "cattolico" del figlio di Stefano Orfei nella gabbia delle tigri officiato da don Luciano Cantini (2009) |
di Francesco Colafemmina
"Il tendone del circo ha una sua sacralità". Così commenta don Luciano
Cantini, alias Pagliaccio Pompelmo ai Fatti Vostri del 1 Ottobre 2012.
Lui battezza infatti nella tenda del circo, non in chiesa. Avvenire ha dedicato persino un paginone ad un recente libro del prete-pagliaccio, addirittura spiegando che "numerosi studiosi del fenomeno affermano
che, in origine, le discipline dei saltimbanchi
sono correlate al religioso, alla mistica, allo
sciamanesimo."
Ecco un ulteriore esempio di rincitrullimento clericale clown-chic. In questa dimensione circense della Chiesa è come se si unissero due elementi chiave di certo clero cattolico contemporaneo: l'amore per lo spettacolo, la spettacolarizzazione in sé del Santo Sacrificio con la conseguente trasformazione del prete in attore/uomo di spettacolo, e l'infantilismo ridanciano, una certa qual sindrome di Peter Pan che impone ai sacerdoti di trasformare solennità e decoro in un gioco puerile e sdrammatizzante.
Ecco un ulteriore esempio di rincitrullimento clericale clown-chic. In questa dimensione circense della Chiesa è come se si unissero due elementi chiave di certo clero cattolico contemporaneo: l'amore per lo spettacolo, la spettacolarizzazione in sé del Santo Sacrificio con la conseguente trasformazione del prete in attore/uomo di spettacolo, e l'infantilismo ridanciano, una certa qual sindrome di Peter Pan che impone ai sacerdoti di trasformare solennità e decoro in un gioco puerile e sdrammatizzante.
V'è al fondo di questa dinamica un offuscamento costante del tragico che
anima il Crsitianesimo. La nostra religione non è infatti una
rassicurante favoletta, una dolce fiaba per allietare i nostri sonni. E'
invece il culmine della tragedia. E' la vetta del dolore dalla quale
siamo costretti a contemplare le nostre miserie e la nostra piccolezza.
L'essere umano ascende a questo Calvario per poi ritrovarsi in basso,
ricacciato verso l'estrema inconsistenza del proprio io. E nella
tragedia ogni cristiano percepisce anche una gioia, una bellezza
abbagliante che, anch'essa, partecipa del dolore. Senza la morte non v'è
risurrezione, senza dolore, contrizione, pentimento non v'è purezza non
v'è liberazione. La nostra vita intera è un combattimento con Satana e
un procedere verso la morte. L'eternità non è una garanzia priva di
impegni, ma una promessa per coloro che avranno amato Cristo. E questo
amore non è una parola vuota, un narcisistico sfogo di sentimentalismi
romantici: è una tragica battaglia che ha come esito la dannazione o la
salvezza.
In tutto questo è comodo, tenero, compassionevole, obliterare la
tragedia della vita umana e quella del Sacrificio di Cristo per la
nostra redenzione, in un lazzo circense, in un sorriso per certi versi
apotropaico.
Tornino i sacerdoti ad aver rispetto di Dio, ad essere santi pur nei loro umani limiti, anzi grazie ai loro umani limiti, perché senza battaglia non v'è trionfo, non corona, né merito. Ed essi debbono lottare non solo per le loro anime, ma per la salvezza dell'intero gregge.
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