Dziwisz-Ruini contro Scola-Schönborn
Cinquanta cardinali creati da Giovanni Paolo II contro i 67 elevati a principi della Chiesa da Benedetto XVI. L'arcivescovo di Cracovia e l'ex presidente della Cei hanno preso in mano la regia del fronte che si rifà al Papa polacco. Dall'altra parte le guide delle diocesi di Milano e Vienna, oltre a uno dei favoriti: il canadese Ouellet
Wojtyliani contro ratzingeriani. Ovvero i 50 cardinali elettori creati da Giovanni Paolo II nei suoi ventisette anni di pontificato contro i 67 porporati al di sotto degli ottanta anni creati da Benedetto XVI nei suoi otto anni di regno. Il nuovo Papa sarà un cardinale di Wojtyla o uno di Ratzinger? In ogni caso sarà la prima volta perché nel conclave del 2005 fu eletto un porporato – Joseph Ratzinger – elevato cardinale da Paolo VI. Non è detto, però, che il fatto che un principe della Chiesa abbia ricevuto la berretta rossa dal Pontefice polacco o dal suo successore tedesco non consenta a molti porporati creati da Wojtyla di essere più affini alla visione della Chiesa nel mondo di oggi, con i suoi problemi e le sue sporcizie, di Ratzinger. Lo stesso vale nel senso inverso.
Un nome per tutti: l’arcivescovo di Cracovia, Stanislaw Dziwisz. Benché abbia ricevuto la porpora da Ratzinger, dopo essere stato per quarant’anni segretario particolare di Karol Wojtyla (prima e dopo l’elezione al soglio di Pietro) poi, ha una visione della Chiesa che è sicuramente più affine a quella dell’uomo che ha servito in modo discreto e fidato e del quale è divenuto il successore sulla cattedra di Cracovia, dalla quale Wojtyla partì per i due conclavi del 1978. Non è un caso, che subito dopo l’annuncio choc di Benedetto XVI con il quale, l’11 febbraio scorso, ha comunicato ai cardinali residenti a Roma la sua decisione di lasciare il pontificato, il primo e unico commento fuori dal coro nella Chiesa sia stato proprio quello di Dziwisz: “Wojtyla restò, dalla croce non si scende”.
E non è un caso che in questi giorni il porporato polacco abbia intensificato i contatti con l’ex presidente della Cei Camillo Ruini che, pur avendo superato la fatidica soglia degli ottant’anni, e quindi non essendo più cardinale elettore, ha preso in mano la regia della corrente wojtyliana. Il suo pupillo tra le berrette rosse che sceglieranno il prossimo Papa è l’arcivescovo di Firenze, Giuseppe Betori, che per sette anni, dal 2001 al 2008, è stato al suo fianco come segretario generale della Cei. Ruini aveva insistito non poco perché il suo nome fosse inserito tra i cardinali creati nel concistoro del 2010. Ma il segretario di Stato Tarcisio Bertone riuscì a fargli saltare un turno, ritardando di due anni la porpora per il braccio destro di Ruini.
Legatissimo a Giovanni Paolo II è anche il neo cardinale James Michael Harvey, che ha ricevuto la porpora nel mini concistoro del 24 novembre 2012, l’ultimo del regno di Ratzinger. La sua berretta rossa è legata a doppio filo allo scandalo Vatileaks. Fu lui, infatti, nel 2006, a raccomandare l’ex maggiordomo del Papa Paolo Gabriele e a consentirgli in questo modo di diventare l’aiutante di camera di Benedetto XVI. La sua porpora è stata un promoveatur ut amoveatur. Nelle fila dei cardinali creati da Ratzinger ma più affini a Wojtyla c’è anche l’arcivescovo di Palermo Paolo Romeo, che negli ultimi anni di pontificato del Papa polacco, nella sua veste di nunzio apostolico in Italia, è stato il regista delle nomine di tutti i vescovi della Penisola. Nonché l’argentino Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, universalmente conosciuto per aver prestato la voce a Giovanni Paolo II nei suoi ultimi mesi di vita e per aver dato al mondo l’annuncio ufficiale della sua morte. Angelo Comastri, vicario del Papa per la Città di Vaticano, è sicuramente tra i wojtyliani di ferro. La sua promozione dalla prelatura di Loreto alla Santa Sede fu decisa dal Papa polacco durante il suo primo ricovero al Policlinico Gemelli nel 2005.
Di cardinali, invece, che hanno ricevuto la porpora da Wojtyla ma che possono essere annoverati nelle fila dei ratzingeriani spiccano, in particolare, Angelo Scola di Milano, Christoph Schönborndi Vienna, Joachim Meisner di Colonia e Marc Ouellet, prefetto della Congregazione per i vescovi, considerato dai bookmaker internazionali il favorito alla successione di Benedetto XVI. Scola è amico di Ratzinger da quarantuno anni ed entra in conclave rappresentando di fatto le due diocesi italiane più importanti, Venezia e Milano, che nel Novecento hanno dato alla Chiesa cinque Pontefici. Anche Schönborn come Scola è stato alunno di Ratzinger e a lui il professore diventato Papa ha affidato la guida dei suoi ex allievi. Meisner è intimo amico di Benedetto XVI da lunga data e ha tentato invano di dissuaderlo dal rinnovare la fiducia al segretario di Stato Tarcisio Bertone. Il francocanadese Ouellet, invece, dal 2010 a capo della “fabbrica dei vescovi”, condivide con Ratzinger l’urgenza di una riforma della Curia romana che necessita, sostiene un anziano presule, di essere “disinfettata”.
Conclave 2013, la messa pro eligendo. Sodano: “Collaboriamo col Papa”
Un messaggio chiaro che è arrivato quasi come premessa del pontificato che si aprirà dopo la vicenda Vatileaks che molti, nella Curia romana, sperano sia conclusa e sepolta. Ma sulla scrivania del prossimo Papa c’è ancora il dossier redatto dai tre cardinali “007”, Julián Herranz, Josef Tomko e Salvatore De Giorgi.
Collegialità e unità ai primi punti dell’agenda del nuovo Papa. Lo ha detto con chiarezza, stamane, nella Basilica Vaticana, il cardinale decano Angelo Sodano nell’omelia della Messa di apertura del conclave (pro eligendo Romano Pontifice). “Tutti noi – ha affermato il Segretario di Stato diGiovanni Paolo II – dobbiamo collaborare a edificare l’unità della Chiesa, poiché per realizzarla è necessaria ‘la collaborazione di ogni giuntura, secondo l’energia propria di ogni membro’ (Ef 4,16). Tutti noi, dunque, – ha sottolineato Sodano – siamo chiamati a cooperare con il Successore di Pietro, fondamento visibile di tale unità ecclesiale”. Un messaggio chiaro che è arrivato quasi come premessa del pontificato che si aprirà dopo la vicenda Vatileaks che molti, nella Curia romana, sperano sia conclusa e sepolta. Ma sulla scrivania del prossimo Papa c’è ancora il dossier redatto dai tre cardinali “007”, Julián Herranz, Josef Tomko e Salvatore De Giorgi.
Sodano, coetaneo di Joseph Ratzinger, non entrerà in conclave oggi pomeriggio insieme con i 115 cardinali elettori, avendo superato la fatidica soglia degli ottanta anni che fa perdere il diritto di votare il Papa. A lui, come decano del Collegio Cardinalizio, è toccato presiedere le dieci congregazioni generali che si sono tenute dal 4 marzo fino a ieri mattina. A lui, grazie a una revisione delle norme della Sede vacante approvata da Benedetto XVI prima di lasciare il pontificato, è toccato presiedere la Messa di apertura del conclave e tenere l’omelia sotto gli occhi dei 115 cardinali elettori, del mondo e soprattutto di Benedetto XVI collegato in diretta, attraverso la televisione, da Castel Gandolfo. Al Papa emerito, definito “amato” e “venerato”, Sodano ha rivolto “tutta la nostra gratitudine”.
E Benedetto XVI, nell’omelia del cardinale decano, è stato citato diverse volte insieme a Giovanni Paolo II e a Paolo VI, ed è stata così messa in luce la continuità del magistero dei Pontefici del post Concilio Vaticano II. È il tema dell’evangelizzazione, parola chiave del regno ratzingeriano, a scandire la riflessione di Sodano. Il decano ha ricordato che essa, secondo Benedetto XVI, “è la più alta e integrale promozione della persona umana” e che, come sottolineava Paolo VI, “l’annuncio di Cristo è il primo e principale fattore di sviluppo”. Il cardinale decano ha affrontato, poi, la missione del Papa, immutata nei secoli e nei mari spesso agitati della storia. “Nel solco di questo servizio d’amore verso la Chiesa e verso l’umanità intera – ha ricordato il porporato – gli ultimi Pontefici sono stati artefici di tante iniziative benefiche anche verso i popoli e la comunità internazionale, promovendo senza sosta la giustizia e la pace. Preghiamo – ha concluso Sodano – perché il futuro Papa possa continuare quest’incessante opera a livello mondiale”.
Nella stessa occasione, otto anni fa, Ratzinger aveva pronunciato un’omelia di tenore assolutamente diverso da quella odierna di Sodano. Quello del cardinale bavarese che, dopo meno di ventiquattro ore sarebbe diventato Papa, era un testo molto più duro. “Quanti venti di dottrina – disse allora Ratzinger – abbiamo conosciuto in questi ultimi decenni, quante correnti ideologiche, quante mode del pensiero… La piccola barca del pensiero di molti cristiani è stata non di rado agitata da queste onde – gettata da un estremo all’altro: dal marxismo al liberalismo, fino al libertinismo; dal collettivismo all’individualismo radicale; dall’ateismo a un vago misticismo religioso; dall’agnosticismo al sincretismo e così via”. E in un altro passaggio l’allora cardinale precisò che “il relativismo, cioè il lasciarsi portare ‘qua e là da qualsiasi vento di dottrina’, appare come l’unico atteggiamento all’altezza dei tempi odierni. Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie”. Per molti quest’omelia accreditò Ratzinger come unico possibile successore di Giovanni Paolo II. E oggi?
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