ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

venerdì 29 marzo 2013

"The Passion", tra violenza e amore



Cosa accade, tra gli uomini, quando iniziano a compiersi meraviglie?
Se c’è un film  che nel 2004 fu criticato, deriso, rinnegato, è stato proprio  “The Passion” di Mel Gibson. Un film che prende forma, si carica di senso e si fa spirito per raccontare la sofferenza nella “carne” di un Uomo. 

La Passione di Cristo, che racconta le ultime dodici ore della vita terrena di Gesù, inizia con una sequenza potente e suggestiva dal punto di vista cinematografico: nell’Orto degli Ulivi Cristo prega e soffre, mentre Satana lo tenta: “come può qualcuno sopportare i peccati del mondo intero?”. La figura del Maligno – interpretato da un’eccezionale Rosalinda Celentano – è una delle grandi idee del film, che non si può ridurre a una carneficina senza senso per le scene dell’impressionante fustigazione da parte dei romani e poi del lungo e terribile Calvario.
Quando si tratta di un pagliaccio su una piccola bicicletta che lega e tortura le sue “vittime” siamo pronti ad osservare nei minimi dettagli le scene, con minuziosa critica. Quando poi siamo di fronte alla vera Passione, allora no!, il film non va più bene, troppo violento. E’ scomodo, un film esclusivamente per i numeri del Business.
La violenza, assolutamente realistica (quasi ai limiti della sostenibilità), non è affatto gratuitamente “spettacolare” come tanti hanno scritto, ma è la scelta del regista di far entrare lo spettatore in rapporto diretto con Cristo, di cui può riconoscere la sua vera anima anche nella sofferenza più disarmante e nell’Amore più paziente e incondizionato.
Il film nella sua liturgia fa rivivere la Passione, tanto da mostrare senza alcun velo – l’unico rappresentato è quello di Maria, un velo così leggero e delicato tanto da poter reggere e accettare la sofferenza e l’impotenza di una madre di fronte alla sofferenza di un figlio - l’esperienza della Via Crucis.
Altro che mancanza di spiritualità! Basterebbe l’alternanza tra immagini del corpo di Cristo piagato sulla croce con quelle dell’Ultima Cena a ribadire e sottolineare il mistero dell’Eucarestia.
Gibson, accusato più volte di antisemitismo, ha cercato di raccontare (coraggiosamente) le ultime dodici Ore della vita di Gesù narrata nei Vangeli, rivelando una finezza nel descrivere il profondo, bellissimo rapporto tra Cristo e la Madonna: un vero legame d’amore tra una madre e suo figlio, così tenero, così carnale, così veroÈ questo forse l’aspetto più commovente del film, in cui il regista è riuscito – come mai nessuna pellicola prima d’ora – a descrivere così bene la figura di Maria (ottimamente interpretata da Maia Morgenstern, grande attrice rumena di origine ebraica) ed il suo rapporto con Gesù, grazie anche a due bellissimi flashback dell’infanzia e della giovinezza di Cristo. Lo sguardo di Maria su Gesù e lo sguardo di Gesù su Maria sono tra le cose che rimangono impresse nella mente e negli occhi. Uno sguardo che ci scava dentro e ci riempie di luce.
Ma anche altri personaggi sono di spicco e circondati da una particolare “luminosità”, coma la Maddalena (interpretata da una inaspettata Monica Bellucci) o come la figura della Veronica (Sabrina Impacciatore).
Un capolavoro che divide e scuote, che respinge e attira e che tocca i cuori di chi rimane colpito – ma anche spiazzato e spaventato - da quella sofferenza e da quell’amore infinito e puro, donato incondizionatamente e senza riserve (ricordiamoci: anche il ladrone sulla croce è stato perdonato)Una pellicola emozionante in senso puro, un seme che rimane potente nella storia del cinema.
                        
“Chi cercate donne quaggiù? Quello che era morto non è qui… è risorto”
di Giulia Dessena

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