Nel corso dell'omelia pronunziata domenica 15 Aprile, Bergoglio ha detto:
Ci sono voci che vogliono andare indietro. Questo si chiama essere testardi, questo si chiama voler addomesticare lo Spirito Santo, questo si chiama diventare stolti e lenti di cuore.
Molti
hanno voluto cogliere nelle parole del Vescovo di Roma un'aspra critica
verso il tradizionalismo, il conservatorismo e in genere nei confronti
di qualsiasi atteggiamento che non si dimostri aperto ed entusiasta alla
novità assoluta, all'innovazione più ardita.
Certo
è che Bergoglio non rischia nemmeno lontanamente di esser considerato
un conservatore, men che meno un tradizionalista: è quindi ragionevole
supporre che le sue affermazioni, pur nel lacunoso e stentato eloquio
che contraddistingue le sue omelie, vadano intese nel senso che vi hanno
attribuito i più.
Eppure,
allo stesso modo in cui Caifa, nel condannare Nostro Signore come
blasfemo dinanzi al Sinedrio, diede la chiave di lettura vera e profonda
della Passione redentrice del Salvatore nostro, Expedit unum hominem mori pro populo, crediamo
sia da notare come, forse senza nemmeno rendersene conto, Bergoglio
abbia detto una verità incontestabile, che però gli si ritorce
inesorabilmente contro.
E' verissimo, infatti, che vi sono testardi che, nonostante la crisi che affligge la Chiesa da decenni, si ostinano a voler andare indietro,
riproponendo l'indigesta poltiglia conciliare riscaldata e rancida. E'
verissimo che, dopo cinquant'anni di fallimenti, vi sono stolti che guardano al conciliabolo romano con l'entusiasmo che i figli dei fiori secchi mostrano verso il ciarpame ideologico sessantottino. E' verissimo che, dopo il Pontificato di Benedetto XVI, vi sono lenti di cuore che
rimpiangono le liturgie straccione di Wojtyla, i balli di selvaggi in
San Pietro, le baracconate ecumeniche di Assisi e tutto il repertorio
del grottesco circo conciliare.
E' a costoro, vogliamo credere, che involontariamente alludeva Bergoglio; e forse, in un curioso lapsus freudiano, egli ha sconfessato anche se stesso, il suo voler tornare ad una presunta figura piaciona del Vicario di Cristo, scarpe grosse e cervello fino, esautorato
non solo nelle proprie insegne - che pur timidamente Benedetto XVI
aveva in parte riportato in auge - ma anche nella sostanza, avvilendo il
ruolo sovrano del Papa a vantaggio della collegialità,
presentando il Successore del Principe degli Apostoli come un prevosto
di campagna o un coadiutore parrocchiale di periferia, imponendo
orgogliosamente il proprio discutibilissimo ego a detrimento della sacra maestà del Sommo Pontefice.
E ci chiediamo, retoricamente: chi è il testardo, stolto e lento di cuore?
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