Due mesi di Francesco. Il rischio è che il cattolicesimo, senza Cristo, diventi buonismo
Applausi per Bergoglio, ma la Chiesa è piena di nemici
Il diavolo, la forza dei cristiani e la povertà: i temi scomodi del Papa che non piacciono a nessuno
Sono passati due mesi dall’elezione e gli elogi per papa Francesco si sprecano. Laici e cattolici, atei e agnostici, media e istituzioni, destra e sinistra. Nessuna stecca nel coro. L’ex esponente della teologia della liberazione, il brasiliano Leonardo Boff esulta: «Francesco darà una lezione alla Chiesa. Usciamo da un inverno rigido e tenebroso. Con lui viene la primavera».
Persino la massoneria è entusiasta: «Con Papa Francesco nulla sarà più come prima», ha scritto in una nota Gustavo Raffi, Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia, «chiara la scelta di fraternità per una Chiesa del dialogo, non contaminata dalle logiche e dalle tentazioni del potere temporale». Di fronte a questo diluvio di lodi, vengono in mente le parole durissime con le quali Gesù mise in guardia i suoi discepoli: «Guai quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti facevano i loro padri con i falsi profeti» (Luca 6,20-26).
Nella civiltà mediatica in cui viviamo oggi il monito dovrebbe essere aggiornato così: «Guai a quelli che fanno finta di parlare bene di voi». Sì, perché con papa Francesco, in realtà, sta accadendo proprio questo. O meglio, il meccanismo è più sottile. Si parla bene solo delle cose che piacciono mentre si tace su tutto il resto. E il silenzio e l’indifferenza, si sa, sono la forma migliore e più efficace di censura. Si va configurando una sorta di pontificato à la carte dove ognuno prende quello che più gli piace e lo rilancia nascondendo quello che non gli va a genio.
Gli esempi sono tanti. Finora, più che nelle grandi occasioni, le cose più importanti Bergoglio le ha dette durante le omelie che pronuncia a braccio ogni mattina nella messa delle 7 alla Domus Santa Marta. I suoi predecessori, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, celebravano la messa feriale nella cappella privata con i più stretti collaboratori e talvolta omettendo l’omelia. Francesco, invece, ogni giorno ha davanti a sé numerosi fedeli laici e prelati che lavorano in Vaticano. L’occasione è buona quindi per lanciare messaggi precisi anche ai propri collaboratori. I suoi interventi vengono poi registrati e diffusi dalla Radio Vaticana e dall’Osservatore Romano.
Il principe del mondo
C’è una costante nella riflessione di Francesco su cui molto sorvolano: il diavolo. Il Papa ne parla in continuazione, non lo crede affatto un mito ma un nemico, anzi il nemico, che insidia la Chiesa, è capace di fare del male e va combattuto ogni giorno. «Con la sua morte e resurrezione Gesù ci ha riscattati dal potere del mondo, dal potere del diavolo, dal potere del principe di questo mondo», ha detto, «l’origine dell’odio è questa: siamo salvati e quel principe del mondo, che non vuole che siamo salvati, ci odia e fa nascere la persecuzione che dai primi tempi di Gesù continua fino a oggi».
La radice dell’odio nei confronti dei cristiani e della Chiesa, dunque, è da ricercare proprio nel diavolo, definito dal pontefice “principe del mondo” e con il quale, avverte, non è possibile nessun compromesso: «Il dialogo è necessario tra noi, per la pace. Ma con il principe di questo mondo non si può dialogare. Mai». Nulla di nuovo dal punto di vista biblico e teologico, sia chiaro, ma se il Papa ritorna continuamente su questo tema è perché sa che è prima di tutto nella Chiesa che la sua figura è minimizzata, nascosta, ridotta a metafora ed è quasi scomparsa dalla predicazione.
«I cristiani diano fastidio»
Qualche giorno fa ha messo in guardia dai cristiani da salotto respingendo l’idea di un Cristianesimo tanto amichevolmente immerso nel mondo da diventare invisibile e silenzioso: «Nella Chiesa ci sono cristiani tiepidi, cristiani da salotto, educati, ma che non sanno fare figli alla Chiesa con l’annuncio e il fervore apostolico. E se diamo fastidio benedetto sia il Signore».
Riprendendo uno dei temi più cari al suo predecessore, il relativismo «che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie», Francesco ha ammonito: «Viviamo in un’epoca in cui si è piuttosto scettici nei confronti della verità, della sua esistenza. La verità non si afferra come una cosa ma si incontra: non è un possesso ma un incontro con una persona, con Gesù, che è la Parola di Verità». Ancora più esplicito è stato il 22 aprile scorso quando in un’altra omelia ha detto con forza che Gesù è «l’unica porta» per entrare nel Regno di Dio e «tutti gli altri sentieri sono ingannevoli, non sono veri, sono falsi». E il giorno dopo, nella cappella paolina, ha ribadito che Cristo lo si può incontrare solo all’interno della Chiesa: «L’identità cristiana è un’appartenenza alla Chiesa, perché trovare Gesù fuori della Chiesa non è possibile». In un’altra occasione ha chiosato: «Mi diranno che sono un fondamentalista ma è così».
Quando però nel 2000 Giovanni Paolo II, con la dichiarazione Dominus Jesus, ribadì le stesse cose, che cioè l’unico salvatore di tutti è Gesù Cristo, molti all’interno della Chiesa si risentirono e protestarono. Stavolta niente titoli sui giornali, niente critiche. Solo un imbarazzato silenzio. Ricevendo i membri della Pontificia commissione biblica il Papa ha spiegato che «l’interpretazione delle Sacre Scritture non può essere soltanto uno sforzo scientifico individuale, ma dev’essere sempre confrontata, inserita e autenticata dalla tradizione vivente della Chiesa».
E quindi «ciò comporta l’insufficienza di ogni interpretazione soggettiva o semplicemente limitata ad un’analisi incapace di accogliere in sé quel senso globale che nel corso dei secoli ha costituito la tradizione dell’intero popolo di Dio». Ha tuonato anche contro quei studiosi e teologi, molti dei quali cattolici, che interpretano la figura di Gesù in chiave solo umana, come un grande predicatore o un saggio spirituale e non il Figlio di Dio, bollandoli come «intellettuali senza talento, eticisti senza bontà. E di bellezza non parliamo, perché non capiscono nulla».
La povertà come ideologia
Commentando il brano del Vangelo di Luca in cui la Maddalena lava i piedi a Gesù utilizzando un olio costoso e incorre nelle critiche di Giuda che dice di usare quei soldi per aiutare i poveri il Papa ha detto: «Questo è il primo riferimento che ho trovato io, nel Vangelo, della povertà come ideologia. L’ideologo non sa cosa sia l’amore, perché non sa darsi». Giuda, ha osservato ancora Francesco, era «staccato, nella sua solitudine» e questo atteggiamento dell’egoismo è cresciuto «fino al tradimento di Gesù». Una critica chiara contro l’ideologia pauperista, molto di moda oggi nella Chiesa, che ha dell’uomo una visione astratta e disincarnata. Gli esempi potrebbero continuare a lungo.
Ma dalla predicazione di papa Francesco emerge chiaramente che egli ha ben chiaro quale sia oggi il pericolo maggiore per la Chiesa, che il Cristianesimo cioè venga ridotto, a partire proprio dal mondo cattolico, a melassa buonista, a un insieme di valori e nulla più mettendo da parte la salvezza operata da Dio attraverso la morte e risurrezione di Cristo.
Viene in mente la profezia del filosofo russo Vladimir Solovev raccontata ne I tre dialoghi e il racconto dell’anticristo dove appunto l’anticristo, il «principe di questo mondo» secondo papa Francesco, si presenta al mondo come un uomo di grande spiritualità, addirittura un asceta, pacifista, ecologista ed ecumenista, pronto al dialogo con tutti. S’impadronirà del mondo, cercherà il consenso di tutti e le masse lo seguiranno. Ma dell’annuncio di Cristo non c’è più traccia. Rimosso. Se la Chiesa, avverte il Papa, si riduce a fare questo, diventa essa stessa l’anticristo e utilizza Gesù come una scusa per parlare d’altro.
Antonio SanfrancescoLeggi il resto: http://www.linkiesta.it/chiesa-ideologia#ixzz2U7j2Wief
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.