Le mie preferenze universitarie per la medicina legale mi
hanno portato ad una particolare attenzione nei confronti della santa Sindone
attualmente custodita a Torino
Che la Chiesa dia alle reliquie un’importanza relativa è
cosa nota, ma che i credenti si oppongano ad iniziative avversarie appare cosa
ovvia. La santa Sindone, cioè il lenzuolo che avrebbe avvolto e
soprattutto temporaneamente avvolto il
corpo di Gesù deposto dalla croce è un fatto di ampia dimostrabilità storica,
non inferiore alle descrizioni del De bello gallico, come ho
più volte potuto riflettere in manifestazioni di una delle più esperte tra i
sindonologi quale è la professoressa Emanuela Marinelli
La Sindone fu trovata, ormai vuota, nel sepolcro di Gesù e
fu pietosamente conservata, ma nei primi secoli i cristiani erano perseguitati
e quindi la preziosa reliquia fu tenuta nascosta. Un’antica tradizione riporta
che San Giuda Taddeo portò a Edessa, nel sud-est della Turchia, un’immagine di
Gesù su un panno. Verso la metà del VI secolo questa stoffa venne
scoperta là in una nicchia delle mura della città e fu chiamata Mandilyon
tetradiplon, cioè “fazzoletto quattro volte doppio”.
Molte testimonianze e descrizioni la mettono in rapporto con
la Sindone che piegata in otto mostra il solo volto. Il lino, giunto a
Costantinopoli il 16 agosto 944 ancora piegato comeMandilyon, da allora
venne esposto dispiegato in verticale. Nel 1204, durante il saccheggio della IV
Crociata, il cavaliere Othon de La Roche portò via la Sindone e la custodì ad
Atene. Nel 1208 la trasferì in Francia.
Oltre alla plurisecolare tradizione la sua autenticità è
sostenuta da elementi di ordine medico-legale. La Sindone è un lenzuolo di lino
che misura mt. 4,37 per 1,11, che ha avvolto certamente il cadavere di un uomo
flagellato, coronato di spine, crocefisso con chiodi, trapassato da una lancia
al costato; le caratteristiche epocali e locali della tessitura, la
manifattura rudimentale della stoffa, la torcitura a Z in senso orario dei
fili, la tessitura in diagonale 3 a 1, la presenza di cotone egizio
antichissimo, l’assenza di tracce di fibre animali, una cucitura laterale
identica a quelle esistenti su stoffe ebraiche del primo secolo rinvenute a
Masada, un’altura vicina al Mar Morto, rendono verosimile l’origine del tessuto
nell’area siropalestinese del primo secolo. Aggiungiamo poi la presenza di
aragonite, un tipo di carbonato di calcio, simile a quella delle grotte di
Gerusalemme; e ancora la “palinologia”, cioè il riscontro, proposto dal medico
legale svizzero Frei, su di esso dei pollini propri e non migratori delle
regioni attraversate dal telo. Interessante inoltre la presenza di aloe e mirra
che furono portate in grande quantità da Nicodemo, due sostanze profumate che
gli ebrei usavano nelle sepolture, però mai in caso di malfattori condannati
alla crocefissione.
Sulla
Sindone l’immagine c’è anche dove sicuramente non c’era contatto. I suoi
chiaroscuri sono proporzionali alle diverse distanze esistenti fra corpo, telo
ed i vari punti di drappeggio ed è sorprendente che questa impronta abbia
la caratteristica della linearità dei profili, perché un qualunque telo
adagiato su un corpo comunque intriso con un colorante assume le sue tre
dimensioni; rimosso assume la sola dimensione di una superficie piana con
perdita e distorsione dei rapporti, che non diventano più riferibili alle
entità anatomiche che prima lo sottendevano.
Tutti, almeno per sentito dire, sanno che fu la fotografia a
stabilire con certezza che l’immagine reale appare sul negativo fotografico
mentre l’ombra in negativo appare sul positivo fotografico e il primo a
rilevarlo fu il fotografo Secondo Pia nel 1898.
Molti si soffermano sul problema del carbonio 14, ma il
metodo del chimico-fisico Libby è gravato da molte incongruenze. Per esempio,
in un atlante che illustra le architetture preistoriche d’Europa, i
Dolmen (De Luca Edizioni d’Arte, Roma 1990), si fanno osservazioni
significative sui limiti del metodo: nel testo che illustra quei
monumenti si può leggere che all’iniziale entusiasmo che il metodo suscitò
subentrarono notevoli perplessità quando “inaspettatamente uno dei
presupposti fondamentali del metodo Libby - che la concentrazione del
radiocarbonio nell’atmosfera fosse costante nel tempo – si rivelò inesatta” e
quindi variabile l’assorbimento del carbonio nei tessuti, vegetali o
animali, al momento della morte; a questo consegue che il degrado che nel tempo
viene a subire il suo isotopo, il C14 su cui si basa la ricerca,
può anche essere variabile nei vari soggetti ed anche di molto. Nello stesso
volume si legge che in alcuni casi si è constatata una divergenza da altri
metodi di indagine su reperti della preistoria anche di 700 anni. Queste
divergenze si sono dimostrate in numerose datazioni in cui la data ricercata
era nota attraverso altre fonti, storiche, geologiche, ed anche biologiche come
la cronodendrologia, che permette una datazione attraverso il calcolo dei
cerchi di accrescimento che si rilevano nella sezione di un albero.
A questa citazione di parte profana si devono aggiungere
considerazioni di parte religiosa come il volume della prof. Marie Clarire van
Oostenwiche – Gaustuche, Le Radiocarbon face au linceul de Turin,
recensito sul N° 54 di Science et Foi. L’autrice descrive
dettagliatamente i motivi tecnici di inaffidabilità del metodo al seguito anche
di numerosi riscontri e critica i comportamenti poco scientifici di molti
ricercatori. Altro lavoro meritevole di citazione è quello dei dott. Clercq e
Tassot, Le Linceul de Turin face au C14 (ed.OEIL 1988).
Va anche ricordato che per salvare al massimo
l’integrità del telo il prelievo fu effettuato in una sede marginale dove più
facilmente potevano essere avvenute contaminazioni, sia perché ivi era più
facile la presa durante le antiche ostensioni (sudore) e sia perché
maggiormente esposta a manifestazioni devozionistiche di vario genere (baci,
lacrime). Questi apporti hanno favorito la presenza di un complesso biologico
composto da funghi e batteri che ricopre come una patina i fili. La patina è
spessa quanto i fili che ricopre e non è eliminabile con i consueti trattamenti
di pulizia. Questo fattore può aver falsato la datazione radiocarbonica. Altri
elementi di contaminazione furono i fili dei rammendi fatti per ovviare ai
danni dovuti a uno degli incendi ed anche quelli usati per cucire una fodera
retroposta a scopo di garantire una migliore conservazione. Sono tutti elementi
capaci di ringiovanire i prelievi. Si affermò di avere
effettuata una adeguata bonifica, ma c’è da dubitare della sua possibile
completezza. Anche questi sono tra i presumibili fattori di alterazione della
datazione carbonica.
Quanto alla commissione dei periti va rilevato che
essa era tendenzialmente scettica e che non vi era alcun rappresentante
ecclesiastico.
Tutto quanto sopra premesso resta da domandare come mai in
uno dei molteplici incendi cui la Sindone è incorsa il calore è stato tale da
fondere il cofanetto d’argento in cui era custodita, mentre il lenzuolo ha
subito solo parziali e localizzate bruciature, quando si sarebbe aspettata una
sua distruzione totale e il ritrovamento di un mucchietto di cenere.
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