ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

lunedì 10 giugno 2013

AUTENTICITA’ DELLA SINDONE

Le mie preferenze universitarie per la medicina legale mi hanno portato ad una particolare attenzione nei confronti della santa Sindone attualmente custodita a Torino
Che la Chiesa dia alle reliquie un’importanza relativa è cosa nota, ma che i credenti si oppongano ad iniziative avversarie appare cosa ovvia. La santa  Sindone, cioè il lenzuolo che avrebbe avvolto e
soprattutto temporaneamente avvolto il corpo di Gesù deposto dalla croce è un fatto di ampia dimostrabilità storica, non inferiore alle descrizioni del De bello gallico, come ho più volte potuto riflettere in manifestazioni di una delle più esperte tra i sindonologi quale è la professoressa Emanuela Marinelli

La Sindone fu trovata, ormai vuota, nel sepolcro di Gesù e fu pietosamente conservata, ma nei primi secoli i cristiani erano perseguitati e quindi la preziosa reliquia fu tenuta nascosta. Un’antica tradizione riporta che San Giuda Taddeo portò a Edessa, nel sud-est della Turchia, un’immagine di Gesù su un panno. Verso la metà del VI secolo questa stoffa  venne scoperta là in una nicchia delle mura della città e fu chiamata Mandilyon tetradiplon, cioè “fazzoletto quattro volte doppio”.
Molte testimonianze e descrizioni la mettono in rapporto con la Sindone che piegata in otto mostra il solo volto. Il  lino, giunto a Costantinopoli il 16 agosto 944 ancora piegato comeMandilyon, da allora venne esposto dispiegato in verticale. Nel 1204, durante il saccheggio della IV Crociata, il cavaliere Othon de La Roche portò via la Sindone e la custodì ad Atene. Nel 1208 la trasferì in Francia.
Oltre alla plurisecolare tradizione la sua autenticità è sostenuta da elementi di ordine medico-legale. La Sindone è un lenzuolo di lino che misura mt. 4,37 per 1,11, che ha avvolto certamente il cadavere di un uomo flagellato, coronato di spine, crocefisso con chiodi, trapassato da una lancia al costato;  le caratteristiche epocali e locali della tessitura, la manifattura rudimentale della stoffa, la torcitura a Z in senso orario dei fili, la tessitura in diagonale 3 a 1, la presenza di cotone egizio antichissimo, l’assenza di tracce di fibre animali, una cucitura laterale identica a quelle esistenti su stoffe ebraiche del primo secolo rinvenute a Masada, un’altura vicina al Mar Morto, rendono verosimile l’origine del tessuto nell’area siropalestinese del primo secolo. Aggiungiamo poi la presenza di aragonite, un tipo di carbonato di calcio, simile a quella delle grotte di Gerusalemme; e ancora la “palinologia”, cioè il riscontro, proposto dal medico legale svizzero Frei, su di esso dei pollini propri e non migratori delle regioni attraversate dal telo. Interessante inoltre la presenza di aloe e mirra che furono portate in grande quantità da Nicodemo, due sostanze profumate che gli ebrei usavano nelle sepolture, però mai in caso di malfattori condannati alla crocefissione.
Sulla  Sindone l’immagine c’è  anche dove sicuramente non c’era contatto. I suoi chiaroscuri sono proporzionali alle diverse distanze esistenti fra corpo, telo ed i vari punti di drappeggio ed è  sorprendente che questa impronta abbia la caratteristica della linearità dei profili, perché  un qualunque telo adagiato su un corpo comunque intriso con un colorante assume le sue tre dimensioni; rimosso assume la sola dimensione di una superficie piana con perdita e distorsione dei rapporti, che non diventano più riferibili alle entità anatomiche che prima lo sottendevano.
Tutti, almeno per sentito dire, sanno che fu la fotografia a stabilire con certezza che l’immagine reale appare sul negativo fotografico mentre l’ombra in negativo appare sul positivo fotografico e il primo a rilevarlo fu il fotografo Secondo Pia nel 1898.
Molti si soffermano sul problema del carbonio 14, ma il metodo del chimico-fisico Libby è gravato da molte incongruenze. Per esempio, in un atlante che illustra le architetture preistoriche d’Europa, i  Dolmen (De Luca Edizioni d’Arte, Roma 1990), si fanno osservazioni significative sui limiti del metodo: nel testo che  illustra quei monumenti si può leggere che all’iniziale entusiasmo che il metodo suscitò subentrarono notevoli perplessità quando  “inaspettatamente uno dei presupposti fondamentali del metodo Libby - che la concentrazione del radiocarbonio nell’atmosfera fosse costante nel tempo – si rivelò inesatta” e quindi  variabile l’assorbimento del carbonio nei tessuti, vegetali o animali, al momento della morte; a questo consegue che il degrado che nel tempo viene a subire il suo isotopo, il C14  su cui si basa la ricerca,  può anche essere variabile nei vari soggetti ed anche di molto. Nello stesso volume si legge che in alcuni casi si è constatata una divergenza da altri metodi di indagine su reperti della preistoria anche di 700 anni. Queste divergenze si sono dimostrate in numerose datazioni in cui la data ricercata era nota attraverso altre fonti, storiche, geologiche, ed anche biologiche come la cronodendrologia, che permette una datazione attraverso il calcolo dei cerchi di accrescimento che si rilevano nella sezione di un albero.
A questa citazione di parte profana si devono aggiungere considerazioni di parte religiosa come il volume della prof. Marie Clarire van Oostenwiche – Gaustuche, Le Radiocarbon face au linceul de Turin, recensito sul N° 54 di Science et Foi. L’autrice descrive dettagliatamente i motivi tecnici di inaffidabilità del metodo al seguito anche di numerosi riscontri e critica i comportamenti poco scientifici di molti ricercatori. Altro lavoro meritevole di citazione è quello dei dott. Clercq e Tassot, Le Linceul de Turin face au C14 (ed.OEIL 1988).
Va anche  ricordato che per salvare al massimo l’integrità del telo il prelievo fu effettuato in una sede marginale dove più facilmente potevano essere avvenute contaminazioni, sia perché ivi era più facile la presa durante le antiche ostensioni (sudore) e sia perché  maggiormente esposta a manifestazioni devozionistiche di vario genere (baci, lacrime). Questi apporti hanno favorito la presenza di un complesso biologico composto da funghi e batteri che ricopre come una patina i fili. La patina è spessa quanto i fili che ricopre e non è eliminabile con i consueti trattamenti di pulizia. Questo fattore può aver falsato la datazione radiocarbonica. Altri elementi di contaminazione furono i fili dei rammendi fatti per ovviare ai danni dovuti a uno degli incendi ed anche quelli usati per cucire una fodera retroposta a scopo di garantire una migliore conservazione. Sono tutti elementi capaci di ringiovanire i prelievi. Si affermò di avere effettuata una adeguata bonifica, ma c’è da dubitare della sua possibile completezza. Anche questi sono tra i presumibili fattori di alterazione della datazione carbonica.
Quanto alla commissione dei periti va rilevato che  essa era tendenzialmente scettica e che non vi era alcun rappresentante ecclesiastico.
Tutto quanto sopra premesso resta da domandare come mai in uno dei molteplici incendi cui la Sindone è incorsa il calore è stato tale da fondere il cofanetto d’argento in cui era custodita, mentre il lenzuolo ha subito solo parziali e localizzate bruciature, quando si sarebbe aspettata una sua distruzione totale e il ritrovamento di un mucchietto di cenere.
 di Luigi Gagliardi

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