di Francesco Lamendola
I gesuiti si sono impadroniti con estrema spregiudicatezza della Chiesa cattolica e l’hanno trascinata a viva forza in piena eresia modernista; ma loro, i gesuiti, quando hanno cominciato a diventare modernisti? Con Teilhard de Chardin? Con Karl Rahner? Con Pedro Arrupe? Quando si sono trasformati, da truppe scelte del papa e difensori a oltranza dell’ortodossia, in punte avanzate dell’eresia e artefici dell’apostasia pianificata e generalizzata? E quando hanno concepito il disegno inaudito d’impadronirsi della cattedra di san Pietro, loro che, per statuto, non possono diventare papi, né vescovi? Chi li ha “illuminati” nelle vie dell’eresia, chi li ha spinti fuori strada: i teologi della liberazione? O Dossetti e la scuola di Bologna? O l’esempio di don Milani e della disobbedienza che è diventata una virtù per ogni parroco di campagna, specie se coniugata in senso politicamente corretto, progressista, papuerista e neomarxista? Domande difficili. E allora proviamo a partire dai fatti concreti, anche da quelli in apparenza più umili; andiamo a cercarli, a scovarli come fanno i cani da tartufi, con la loro pazienza e perseveranza, e lasciamo stare, per intanto, le ipotesi di portata generale, più o meno imbevute di dietrologia e teorie del complotto.