La rivoluzione culturale di Papa Francesco: così cambia l'istruzione cattolica
Papa Francesco ha promulgato "Veritas Gaudium", un atto apostolico che mira a rivoluzionare l'istruzione cattolica. Ecco il disegno del Vaticano
Papa Francesco ha promulgato "Veritas Gaudium", un atto apostolico che mira a rivoluzionare l'istruzione cattolica. Ecco il disegno del Vaticano
Papa Francesco ha intenzione di rivoluzionare anche l'approccio agli studi teologici. Nella sala stampa della Santa Sede, due giorni fa, è stata presentata la Costituzione apostolica Veritatis Gaudium.
L'atto in questione ha come oggetto un disegno culturale del Vaticano teso a "imprimere agli studi ecclesiastici quel rinnovamento sapiente e coraggioso che è richiesto dalla trasformazione missionaria di una Chiesa in uscita". Il cattolicesimo, insomma, è impegnato ad aprirsi al mondo a trecentossessanta gradi e anche l'insegnamento della teologia e della dottrina devono adeguarsi alla modernità.
" Sì, il sogno - ha dichiarato il cardinal Giuseppe Versaldi, Prefetto della Congregazione per l'Educazione cattolica, riferendosi alla visione di Papa Francesco - è quello di una conversione pastorale in senso missionario, capire che c’è bisogno di una nuova evangelizzazione perché non possiamo più credere che la maggioranza delle persone siano credenti e abbiano capito cos’è il messaggio cristiano nella sua sostanza e nella sua verità". Le novità culturali e le tecnologie introdotte dalla terza rivoluzione industriale hanno in qualche modo costretto la Chiesa cattolica a tenere in considerazione anche i cambiamenti dettati dalla nostra epoca.
L'espressione "rivoluzione culturale", del resto, che è la richiesta esplicita di Jorge Mario Bergoglio contenuta in Veritatis Gaudium, era già presente nell'enciclica "Laudato Sì". Gli atenei ecclesiastici e le facoltà di teologia sono chiamati oggi alla vocazione missionaria e a rinnovare le priorità prevista. La Chiesa - ha dichiarato Francesco - non dispone ancora della cultura necessaria ad affrontare "la crisi antropologica e ambientale". Quattro direttrici individuate dal pontefice per l'istruzione cattolica, allora, dovrebbero contribuire a sanare questo divario: "l'identità missionaria", l'accentuazione del dialogo, l'inter-disciplinarietà e la necessità di creare una rete tra le realtà educative.
Le novità introdotte dalla Costituzione apostolica - come riportato da La Stampa - riguardano più ambiti: norme aggiornate, istituzione dei master universitari, apertura a studiosi provenienti da sensibilità diverse da quelle solitamente coinvolte, valorizzazione delle "realtà periferiche", creazione di nuovi centri di ricerca e così via. La rivoluzione di Francesco prosegue implacabile. Ma qualcuno, come di consueto, storce il naso. "Ogni giorno un colpo di piccone (o anche due) sulla cattedrale, sulla Chiesa - ha scritto Antonio Socci sul suo profilo Facebook riferendosi a Bergoglio -. "Oggi ha bombardato prima gli atenei cattolici e l'istruzione ecclesiastica e poi ha ribadito la dottrina bergogliana sulle nullità matrimoniali. La demolizione ogni giorno procede". La Chiesa che abbraccia il mondo, quella che adatta se stessa alla contemporaneità, in fin dei conti, continua a non piacere ai pensatori tradizionalisti. Non potrebbe essere diversamente.
Papa Francesco sta portando avanti una serie di cambiamenti destinati a fare storia. L'impressione è che la Chiesa di oggi si trovi dinanzi ad un bivio: tornare indietro ripristinando la tradizione e una certa austerità precedente a questo pontificato oppure dare seguito alla profonda riforma iniziata con questo papato. Nel disegno di Bergoglio non c'è spazio per le "chiusure" dottrinali. Figuriamoci per quelle educative. La frattura dottrinale sorta attorno ad "Amoris Laetitia" continua a rappresentare la prova più evidente di questo assunto.
Il pontefice argentino sembra desiderare che le scuole e i luogi di educazione diventino sperimentali, scientifici quanto possibile, sicuramente non opposti per "partito preso" a nuove tipologie di mentalità. "Bonificare, trasformare e costruire" sono le linee guida che il Papa ha indicato alla Chiesa per il futuro. Quella del pontefice, però, per alcuni è una visione pratica della religione che "fa a pugni" - come sottolineato dal filosofo Radaelli - con gli insegnamenti di Gesù Cristo. La rivoluzione culturale di Bergoglio prevede una Chiesa completamente idonea, mediante l'insegnamento del Vangelo, a fare fronte al cambio d'epoca. Altri ritengono che la Chiesa debba tornare a "bastonare" il mondo per le sue derive relativiste. "Scacciare i mercanti dal tempio", insomma, restando più dissimili possibile da quest'ultimi.
Francesco Boezi
http://www.ilgiornale.it/news/cronache/rivoluzione-culturale-papa-francesco-1489109.html
CREMONA: DOLORE E SMARRIMENTO PER LA CHIESA ODIERNA (CON UN P.S.)
CREMONA: DOLORE E SMARRIMENTO PER LA CHIESA ODIERNA (CON UN P.S.)
Venerdì 26 gennaio un centinaio di cattolici, promotrice l’associazione ‘Quaerere Deum’, ha discusso a Cremona della situazione nella Chiesa. La cronaca della serata, nella speranza che i sordi e i muti che pullulano nelle curie, nelle parrocchie e nelle redazioni dei media ecclesiali si scuotano, ritrovando udito e favella. Nel Post Scriptum qualche annotazione su alcune reazioni turiferarie grondanti misericordia alla lettera aperta del card. Joseph Zen Ze-kiun sui rapporti Santa-Sede –Cina.
Ecco un’esperienza cristiana che lascia il segno, che ci è stata proposta dall’Associazione ‘Quaerere Deum’ (recentemente fondata a Cremona) e che ci teniamo a condividere.
‘Quaerere Deum’… rilevava Benedetto XVI nel 2008 a Parigi, nel discorso al mondo della cultura tenuto nel Collège des Bernardins. “Ciò che ha fondato la cultura dell’Europa, la ricerca di Dio e la disponibilità ad ascoltarlo, rimane anche oggi il fondamento di ogni vera cultura”.
I membri (laici e sacerdoti) dell’Associazione cremonese hanno ben chiaro quanto detto da papa Ratzinger: si ritrovano insieme per condividere amicizie, preghiera, vita liturgica, formazione e hanno maturato con lucidità una sofferta consapevolezza dell’odierna situazione ecclesiale.
Ci hanno invitato per un incontro, cui hanno partecipato anche altri amici cattolici della diocesi, svoltosi in un ristorante all’ombra del Torrazzo e della splendida Cattedrale superbamente illuminati. Perché un ristorante? qualcuno si chiederà. Risposta ahimè non sorprendente: sarebbe stata ipotizzabile seriamente nell’attuale temperie ecclesiale la messa a disposizione di una sala parrocchiale o di un’associazione del giro?
E poi il ristorante favorisce la convivialità, dato che la serata prevedeva quale introduzione un ottimo risotto con i funghi, un filetto con patate, un caffè e un zicchinin di limoncello.
In avvio abbiamo dato sinteticamente una nostra lettura di momenti di un Pontificato molto controverso, dopo aver precisato (come già in altre occasioni) di non essere ‘nemici’ di Francesco (di cui riconosciamo ad esempio la ricorrente denuncia contro la ‘cultura dello scarto’) ma critici di purtroppo non pochi suoi gesti, atti, dichiarazioni. Momenti, si diceva, posti spesso sotto il segno della contraddizione tra il dire e il fare, di cui questo blog contiene ampia documentazione.
La sala era molto attenta, molto reattiva e gli applausi scroscianti, a scena aperta, non sono mancati. Tra l’altro quando abbiamo lasciato cadere il nome Avvenire in relazione al business scandaloso dell’ accoglienza: la popolarità del quotidiano catto-fluido in larghe fasce cattoliche è ormai (meritatamente) sotto lo zero. Non lo diciamo con allegria, perché l’applauso convinto sanciva anche la dolorosa presa d’atto e condivisione della gravità di quanto sta succedendo nella Chiesa e nelle sue propaggini.
In un centinaio gremivano la sala (come ci è stato detto, sarebbero raddoppiati o triplicati se l’Associazione avesse trovato uno spazio più grande): le domande sono state tante (e a un certo momento troncate per ragioni di …orario). Segno ulteriore dell’interesse del tema che incide di questi tempi nella carne di molti cattolici, che amano profondamente la Chiesa.
Non sono state domande accademiche, ma espressione di un disagio, di una sofferenza vera, vissuta, che i turiferari irridono e i pavidi fingono di non vedere. Che cosa possiamo fare, che cosa dobbiamo fare? si è chiesto da più parti. Dobbiamo indignarci, alzarci in piedi come diceva Giovanni Paolo II, combattere la buona battaglia, pregare di più oppure rassegnarci oppure sancire uno scisma de iure e de facto?
Abbiamo osservato che la rassegnazione per un cristiano non può essere la strada da imboccare, tantomeno la via dello scisma: priorità su tutto deve avere lo sforzo, pur molto faticoso, di restare uniti in un’unica Chiesa. Anche perché la Chiesa resterà (in mezzo a tempeste violente che la fanno e la faranno scricchiolare di brutto): sono i Papi che passano (e con loro, i turiferari, i pavidi e anche tutti noi). Una Chiesa cattolica divisa – abbiamo aggiunto - significherebbe anche un indebolimento grave davanti al mondo e sarebbe condannata probabilmente all’irrilevanza assoluta.
Spulciando tra le domande…
.Un umile fedele cattolico si attende che la Chiesa ribadisca chiaramente la distinzione tra bene e male, i valori non negoziabili… e poi si sente dire che la Bonino è una ‘grande italiana’… Che dobbiamo fare?
. Io, cattolico comune, posso indignarmi, io che sono una faccia da sottaceto, un cuore di pietra, uno sgranarosari? Oppure devo restare zitto?
. Vorrei un consiglio… come devo comportarmi quando leggo di don Fredo Olivero che a Torino sostituisce durante la Messa il ‘Credo’ (cui non crede) con una canzoncina francescana e leggo dei sorrisini dei presenti? Devo seguire l’esortazione del palermitano don Salvo Priolo che in un’omelia ha scongiurato di ‘alzarsi in piedi’ ?
. Come possiamo coltivare la speranza in questo momento di sconcerto e di dolore?
. Dobbiamo star zitti davanti alle posizioni di Santa Marta?
. Quale l’influenza del protestantesimo sul cattolicesimo di oggi? Com’è in Svizzera? Che dice delle celebrazioni per i 500 anni della Riforma’? Sono eretiche? E la ‘beatificazione’ di Lutero?
. L’ultimo Conclave ha palesato un fallimento dello Spirito Santo?
. E’ un piacere ascoltarLa, ma anche un dolore. E mi piacerebbe essere smentito. Oltre ad alzarsi in piedi, penso che si possa offrire questo dolore come sacrificio vivente.
. Perché questo Papa? Può darsi che, ricordando quel che disse Pio XI di Mussolini, sia l’ “uomo che la Provvidenza ci ha mandato”, un’espressione da intendere in accezione neutra…
. Ci voleva un Papa così perché i cristiani si scuotessero, perché paradossalmente si interrogassero sulla loro identità, la riscoprissero.
. Si può criticare il Papa? (Qui nella risposta abbiamo evidenziato quel che ha detto lo stesso Francesco, esaltando la famosa parresia: “Per me è un buon segno che la resistenza emerga, che non si dicano le cose di nascosto, quando uno non è d’accordo. E’ sano discutere le cose, molto sano”(…) “Io non chiudo mai la porta. Tu chiedi di parlare? Vieni. Parlando non si perde nulla, si guadagna sempre”. Naturalmente… tra il dire e il fare c’è di mezzo…)
. Ma che cosa fa papa Benedetto XVI? Ha lasciato eredi religiosi o politici?
. Il fortissimo disagio che sentiamo nasce dal dolore. Tutte le novità, soprattutto in materia di vita e di famiglia, ci lasciano perplessi. L’ambiguità è grande. Il Papa sta giocando con la salvezza delle nostre anime?
. Che cosa sta cercando di dirci papa Benedetto XVI?
. Quello di Bergoglio è un progetto rivoluzionario e la resistenza si accresce continuamente. Può essere che le critiche a lui rivolte dal bergogliano cardinale O’ Malley sulla gestione del caso Barros in Cile siano il sintomo di un primo logoramento di tale progetto?
. Sa qualcosa della preannunciata ‘messa ecumenica’? (Abbiamo riposto che non ne sappiamo niente)
. Le mie perplessità sono nate già un’ora dopo l’elezione di Francesco. Ho pensato subito che niente sarebbe più stato come prima. E poi perché Il Grande Oriente d’Italia - i massoni insomma - ha salutato l’elezione con tanta enfasi?
Chi ci legge si sarà reso conto che la serata è stata – come si dice a Roma – bella tosta. E molto istruttiva. Cento a Cremona (in gran parte addolorati, confusi, indignati)? Fate qualche proiezione su scala più ampia…e preoccupatevi, almeno un po’, voi sordi e muti, turiferari e pavidi…
P.S. Non passa ormai giorno senza una picconata all’una o all’altra parete dell’edificio di Santa Romana Chiesa. Se non è quella della vita, è quella della famiglia, quella della liturgia, quella del diritto canonico, quella della non –ingerenza in questioni di competenza primaria dello Stato come il tema dei migranti… addirittura quella che riguarda la condizione dei cattolici sotto regimi dittatoriali.
Lunedì 29 gennaio l’eroico cardinale cinese Joseph Zen Ze-kiun ha inviato ai ‘cari amici dei media’ una lettera aperta sull’evoluzione dei rapporti diplomatici tra Santa Sede e Cina (su cui da anni esprime gravi perplessità), ripubblicata subito tra gli altri da Magister su ‘Settimo Cielo’ e dalla benemerita agenzia missionaria ‘AsiaNews’, fondata dal compianto padre Piero Gheddo e diretta da padre Bernardo Cervellera. Nel testo il porporato racconta di un incontro con papa Francesco, delle sue reazioni; anche della consegna a mano della lettera di uno dei due vescovi della Chiesa fedele a Roma che sarebbero stati sollecitati da una delegazione vaticana a lasciare il posto a successori della Chiesa ufficiale, richiesti di tale sacrificio in nome del buon esito dei negoziati in corso sulla nomine episcopali.
Sappiamo che la questione sul tappeto è molto complessa, delicata e assomiglia a quelle che negli anni Sessanta e Settanta caratterizzarono la controversa ‘Ostpolitik’ vaticana. Riconosciamo la difficoltà di trovare una soluzione soddisfacente, ma la svendita della Chiesa cattolica che da sempre soffre nella propria carne per fedeltà a Roma sarebbe certo la peggiore. In ogni caso ci hanno colpito molto negativamente alcune reazioni che è difficile non giudicare vergognose alla pubblicazione della lettera del cardinale Zen Ze-kiun.
Già nel comunicato della Sala stampa vaticana, a firma del direttore Greg Burke (povero Greg, che ti fanno fare!), si legge qualche apprezzamento che fa male verso il valoroso porporato combattente – una vita spesa per la Chiesa di Roma - che viene accusato di “alimentare confusione e polemiche” e per la cui presa di posizione pubblica si esprimono “sorpresa e rammarico”.
Ma il vertice dell’impudenza misericordiosa si raggiunge nei commenti di due tra i più noti turiferari della Casa. Il primo appare su ‘Vatican Insider, nell’articolo “La Santa Sede: c’è chi sulle ‘questioni cinesi’ alimenta confusione”; la firma è del ciellino Gianni Valente. Dell’articolo offriamo ai lettori un sabba di bastonate caritatevoli verso l’iniziativa dell’eroico Joseph Zen Ze-kiun: la dichiarazione vaticana punta a dissipare equivoci e falsi teoremi - canali mediatici da sempre mobilitati contro le trattative sino-vaticane - l’obiettivo della campagna articolata attorno al ‘caso Shantou’ - la diffusione orchestrata delle indiscrezioni punta anche a insufflare l’idea che la ‘politica’ vaticana sulla Cina non può essere attribuita al ‘Papa latinoamericano’, che ‘non capisce’ di questioni cinesi ed è mal consigliato dai collaboratori - Si fanno circolare ricostruzioni parziali e manipolate di colloqui e incontri personali - Una strategia militante, “ventre a terra”, che rischia di spargere sconcerto e confusione anche in molte comunità della Chiesa in Cina – proteggere i cattolici cinesi dagli effetti delle manovre di politica ecclesiastica architettati in Occidente.
Sempre su ‘Vatican Insider’, nell’introduzione all’intervista sul tema al cardinale Parolin, Valente si straccia le vesti per le “operazioni opache, vere e proprie manipolazioni politiche, sabotaggi, sospetti, fumi artificiali, narrazioni politicizzate”. Non si risparmia proprio il turiferario di Casa, tra i cui bersagli più grossi c’è un altro ciellino, proprio padre Bernardo Cervellera, l’instancabile, competente e appassionato direttore di ‘AsiaNews’.
Dicevamo però di due turiferari particolarmente meritevoli di citazione. Se il primo è Gianni Valente, la seconda è Stefania Falasca… insomma marito e moglie. La Falasca imperversa sul catto-fluido Avvenire di mercoledì 31 gennaio 2018 e - nell’articolo a pagina 18 (‘Catholica’) intitolato: “Santa Sede: non c’è distanza tra Francesco e i collaboratori” – palesa la sua santa indignazione per “la diffusione orchestrata delle indiscrezioni sul ‘caso Shantou’ “, contro “l’accanimento di certe campagne strumentali volte a screditare le trattative in corso tra Cina popolare e Santa Sede”, per “certe dinamiche di disinformazione mediatica”, infine per “le grottesche manovre rispetto al modus operandi della Santa Sede”.
Che moglie e marito puntino a ricevere, un po’ come la nota Lucienne Ploumen abortista e pro-lgbt, la prestigiosa onorificenza pontificia di San Gregorio Magno? O addirittura – ci si permetta l’irriverenza…ma si può escludere ancora qualcosa per il futuro ecclesiale? – non è che in fondo in fondo anelino alla prima porpora cardinalizia di coppia, quale simbolo di una Chiesa rinnovata profondamente nelle sue istituzioni?
CREMONA: DOLORE E SMARRIMENTO PER LA CHIESA ODIERNA (CON UN P.S.) – di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org – 1 febbraio 2018
L’Inferno non è una punizione esterna ma la volontà stessa del peccatore. Il peccato non è più peccato? pertanto anche l’Inferno non sarà più quello o meglio non vi sarà più “bisogno” di credere nell’esistenza dell’Inferno
di Francesco Lamendola
La teologia e la pastorale odierna fanno un gran parlare, come è giusto, dell’amore di Dio per l’uomo e della Sua misericordia infinita; non è altrettanto giusto, però, presentarli come se fossero qualche cosa di distinto e di “superiore” alla Sua giustizia, quasi che il Dio “giusto” sia solo quello dell’Antico Testamento, e che il Dio del Nuovo Testamento sia solo ed esclusivamente amorevole e misericordioso, a scapito delle altre Sue qualità, ugualmente perfette.
Amorevole, intendiamoci, Dio lo è sempre, perché Egli è l’Amore stesso, dunque non potrebbe non essere pieno di amore in ogni Suo pensiero e in ogni Sua azione: dalla Creazione, all’Incarnazione, alla Passione, Morte e Risurrezione, tutto in Lui è amore, e non vi è alcuna’altra ragione se non un amore immenso, gratuito, addirittura incomprensibile (da un punto di vista puramente umano) nel suo voler amare gli uomini nonostante tutto, e nell’aver detto fino all’ultimo: Padre, perdona loro, quando già essi gli battevano i chiodi nelle mani e nei piedi, per crocifiggerlo.
Resta da capire, a noi uomini, che come l’Amore è l’attributo essenziale di Dio, che Lo definisce perfettamente, la Giustizia, in Lui, non è qualcosa di distinto, o di secondario, o di meno “nobile”; non è qualche cosa di cui Egli può fare a meno, talvolta, come se si trattasse, in Lui, di una seconda natura, meno essenziale dell’altra, quella amorevole. In Dio, infatti, tutte le virtù toccano la più alta perfezione, Egli è la perfezione di tutte le perfezioni: sapienza, bellezza, verità. Come potrebbe la giustizia non appartenergli, e non appartenergli in modo assolutamente perfetto, cioè completo e immodificabile? Tutto ciò che è perfetto è immodificabile, perché immaginare una modificazione equivale a presupporre la possibilità di un ulteriore avanzamento o, eventualmente, di un arretramento: ma una cosa perfetta non può avanzare, perché nulla vi è di più perfetto, in essa, di quello che è già; e mai potrebbe retrocedere, ossia divenire meno perfetta, perché anche solo la possibilità che ciò possa avvenire implica che la sua perfezione non sia tale: ciò che è perfetto, infatti, non può decadere, non può essere sminuito, altrimenti non sarebbe perfetto.
La sola eccezione a questa regola è il mistero dell’Incarnazione: mistero veramente abissale, nel quale si contempla Dio che si fa uomo, il Creatore che si fa creatura, la Perfezione stessa che si fa carne, debole, vulnerabile. Il Verbo incarnato non era debole solo perché soggetto alle offese degli uomini, come avvenne durante la Passione, ma anche perché soggetto alle passioni e ai turbamenti degli esseri umani: basti dire che, davanti al sepolcro in cui era stato posto, da quattro giorni, il corpo del Suo amico Lazzaro, Egli scoppiò in pianto, esattamente come fa qualsiasi essere umano davanti alla perdita di un carissimo amico. Le stesse tentazioni diaboliche, nel deserto, alla vigilia della Sua vita pubblica, mostrano che Gesù era suscettibile delle stesse debolezze di qualsiasi uomo: il fatto che le vinse perfettamente non deriva dal fatto che Egli non poteva cadere, perché nella Sua natura umana, Egli, in teoria, avrebbe anche potuto soccombere, così come, più tardi, fu possibile che i Giudei Lo prendessero, Lo percuotessero, Lo facessero mettere a morte. Sì: Gesù, come uomo, avrebbe anche potuto lasciarsi tentare dal Diavolo; ma, proprio come uomo, fu in grado di trionfare di quella prova e di mettere in fuga il Tentatore, affidandosi completamente e perfettamente alla volontà del Padre; cosa che lo confermò, anche in un corpo mortale, nella Sua spendente, intangibile, gloriosa natura divina. Questo è il segreto di tutte le prove che Gesù, come uomo, ha dovuto affrontare: l’affidamento totale, incondizionato, assoluto, alla volontà del Padre, che annullò ogni distanza fra Lui e il Padre suo.
Gesù è venuto nel mondo anche a mostrarci che cosa ciascuno di noi potrebbe essere, se fosse capace di una dedizione così totale, assoluta, incondizionata: e i Santi sono coloro che hanno compreso il valore di tale esempio, e che si sono sforzati d’imitarlo. Nessuno di essi, però, è stato capace di quella adesione perfetta al volere del Padre, di cui è stato capace Gesù; ed è stata sempre quella perfetta adesione che ha reso possibile la Resurrezione. Se in Gesù fosse rimasta - poniamola come semplice ipotesi accademica – una sia pur minima imperfezione umana, un sia pur minimo rimpianto, una sia pur minima traccia di egoismo, cioè di volontà propria, di desideri propri, di timori o di riserve mentali tipicamente umani, la Resurrezione non ci sarebbe stata, perché nessun uomo può risorgere dalla morte. La stessa resurrezione di Lazzaro non è, a ben guardare, una resurrezione, ma il ritorno alla vita di un morto; mentre la Resurrezione di Cristo è stata veramente una resurrezione, cioè il ritorno di un uomo morto ad una condizione di vita piena, perfetta, luminosa, in un corpo glorificato e trasfigurato, divenuto immortale.
Il mistero dell’Incarnazione, dunque, è, come tutti i misteri sacri, qualche cosa d’insondabile; qualche cosa che la mente umana non potrà mai pienamente comprendere, ma che può e deve limitarsi ad accettare per fede; non è, tuttavia, qualche cosa di contrario alla ragione, come taluni vorrebbero, ma semplicemente qualcosa di diverso e di talmente superiore ad essa, che la ragione arriva a concepirlo solo fino a un certo punto, poi deve fermarsi e arrendersi, vinta da una luce così sfolgorante, da un amore così sconvolgente, come quello di Dio per l’uomo.
E tuttavia Dio, che è infinita misericordia. non può volere che delle anime restino all’Inferno per sempre; né potrebbe permetterlo: simili sciocchezze a buon mercato (ché non costano nulla a chi le dice, mentre gli procacciano, in compenso, una discreta dose di simpatia e popolarità fra il pubblico degli stessi credenti) sono ormai frequenti, tanto quanto infrequenti sono diventati, anche da parte di teologi e ministri del culto, gli ammonimenti relativi al peccato; vediamo perciò di fare un minimo di chiarezza in proposito.
Che l’Inferno non sia un luogo, perlomeno nel senso terrestre della parola, è cosa abbastanza ovvia, e non c’è bisogno d’insistervi troppo. Ma che esista, è cosa di cui i teologi modernisti e progressisti dovranno farsi una ragione: a meno che essi vogliamo impugnare e dichiarare nulli secoli e secoli di Magistero della Chiesa cattolica, di solenni dichiarazioni conciliari (non del Vaticano II, guarda caso, ma di parecchi altro concili), nonché di predicazione pastorale, Catechismo compreso. A meno che…
Il rischio, oggi, è che si operi una riforma teologica calata dall’alto: che dai vertici della Chiesa, e dallo stesso Magistero, pur senza rotture clamorose, almeno sul piano formale, ma un poco alla volta, con discrezione, con abilità, e, soprattutto, con molta spregiudicatezza - cosa di cui non sembrano difettare ormai non solo singoli sacerdoti, ma pure parecchi vescovi e cardinali - si introducano nuove sfumature, nuovi distinguo, nuovi precetti legati alle “situazioni di fatto”, in base ai quali il peccato non è più peccato, e, pertanto, anche l’Inferno non sarà più quello, o meglio, non vi sarà più “bisogno” di credere nell’esistenza dell’Inferno.
I due concetti, infatti, sono strettamente collegati; diciamo pure che sono le due facce della stessa medaglia: l’Inferno è il risultato del peccato, e il peccato è la premessa, la condizione e la causa dell’Inferno: non potrebbe esservi l’uno, senza l’altro. Il problema è che molti, troppi teologi, non si interessano più del peccato: darebbe troppa ombra alla loro amata “svolta antropologica”; ricorderebbe in maniera troppo esplicita e impietosa che, per quante svolte antropologiche la teologia postconciliare possa compiere nei prossimi anni, secoli e millenni (se l’umanità avrà ancora a disposizione un futuro così ampio), l’uomo resterà sempre peccatore, perché figlio di Adamo ed Eva, e perciò reca in se stesso le conseguenze del Peccato originale, che il sacramento del Battesimo attenua, ma non elimina: il bene prezioso del libero arbitrio rimane agli uomini, ma permane in essi anche una fatale, drammatica inclinazione al male.
Il teologo Franco Amerio, con una chiarezza esemplare, ha svolto questa riflessione sulla realtà dell’Inferno (da: F. Amerio, La dottrina della fede. Dogma, morale, spiritualità, Milano, Edizioni Ares, 1985, p. 257-258):
Dai non pochi testi del Magistero risultano da ritenersi come dati della fede cattolica – respingendo i quali si respinge la fede cattolica – almeno i seguenti: l’Inferno esiste; riguarda i peccatori morti impenitenti; consta della privazione della visione beatifica (si suol dire pena del danno), e di una pena positiva (si suol dire pena del senso); la sua durata è senza fine. “Le anime di coloro che muoiono in peccato mortale… vanno subito nell’Inferno, dove sono punite con pene diverse (D. B. 464): così la professione di fede del concilio lionese (1274) ripetuta dal concilio fiorentino (1439), i due concili sottoscritti anche dagli Orientali. Quanto alla durata, si veda il passo del concilio lateranense (1215) , che conclude il brano […] sulla risurrezione dei corpi: risorgeranno “per essere retribuiti secondo le loro opere buone o cattive: gli uni (avranno) con il diavolo una punizione perpetua, gli altri con Cristo una gloria sempiterna” (D. B. 429). Poco dopo Innocenzo IV così scrive agli Orientali: “Se qualcuno muore, senza pentirsi, col peccato mortale, questi sarà senza dubbio tormentato per sempre nel fuoco della geenna eterna” (D. B: 3048). Il Concilio Vaticano II, che pure non tocca di proposito l’argomento, lo accenna di passaggio nei termini tradizionali, raccomandando la vigilanza per potere infine “essere annoverati tra i beati, e non ci venga comandato, come servi cattivi e pigri, di andare al fuoco eterno” (L. G. § 48).
È inutile, del resto, insistere sui testi ufficiali, quando il tema dell’Inferno fu, e ancora è, uno di quelli talmente talmente consueti nella predicazione pastorale che, se non lo si riconosce quale oggetto del Magistero ordinario, non si saprebbe quale altro tema quale altro tema potrebbe esserne oggetto. […]
Mettiamoci in guardia, anzitutto, da una concezione, per così dire, estrinsecistica dell’Inferno: come se Dio, avendo dato un ordine e quest’ordine essendo stato trasgredito, si vendicasse escogitando una punizione da applicare al ribelle. Non è così: il rapporto fra il peccato e l’inferno è un rapporto di connessione intima, vitale. È Dio che punisce, ma facendo che il peccatore stesso si punisca, poiché l’Inferno altro non è, infine, che il raggiungimento pieno e definitivo di ciò che il peccatore ha voluto, e continua a volere. Il peccatore sarà paradossalmente accontentato, poiché avrà per sempre quello che ha voluto: ha voluto il peccato e giacerà sempre nel suo peccato.
Che cosa è infatti il peccato? È insieme, indissolubilmente, “aversio a Deo”, alienazione da Dio, e “conversio ad creaturas”, attaccamento alle creature. Orbene, in che cosa consiste l’Inferno? In null’altro che, appunto, nello stato e nelle conseguenze dell’essere definitivamente avversi a Dio e attaccati disordinatamente alla creatura: per sempre. Per il dannato si avvererà l’espressione del salmista: “amò la maledizione e gli verrà addosso; ne sarà rivestito come di una veste, gli penetrerà come acqua sin nelle interiora” (Ps108, 18).; per il dannato si realizzerà la minaccia divina: “Io li lascerò in preda ai desideri dei loro cuori, ed essi correranno dietro ai loro vani desideri” (Ps 80, 13). Con ragione Bossuet così sintetizza: “L’’Inferno, a ben guardare, è il peccato stesso”, e “i peccatori sono i dannati viventi”.
L’Inferno non è una punizione esterna, ma la volontà stessa del peccatore
di Francesco Lamendola
Articolo d'Archivio Già pubblicato il 25 Agosto 2016
Del 30 Gennaio 2018
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