Era colpa del latino se diminuiva la frequenza dei fedeli alla messa?
La decisione di abolire il latino come lingua liturgica e sostituirlo con le lingue moderne, benché non voluta né, forse, auspicata dal Concilio Vaticano II, senza dubbio è stata resa possibile dal clima culturale che il Concilio medesimo ha instaurato nel mondo cattolico.
In realtà, il latino era già da tempo sotto accusa, in taluni ambienti cattolici sedicenti progressisti: gli si imputava la responsabilità, in qualche modo, per la diminuzione della frequenza popolare al rito della messa e, pertanto, più o meno esplicitamente si auspicava che fosse accantonato, per cedere il passo alla lingua italiana.
Il cardinale Giuseppe Siri affrontava la questione, con la ben nota franchezza, in una data non sospetta, il 1958, ossia quattro anni prima dell’inizio del Concilio, in un documento ufficiale, di cui riportiamo alcuni passaggi chiave (da: G. Siri, «Non per noi Signore. Lettere pastorali» (Genova, Stringa Editore, 1971, pp.258 sgg.):
«Dare al latino la colpa della diminuzione della frequenza popolare alle sacre funzioni è porre così male una questione da slittare nella ingiustizia e nella falsità.