Quest’immagine e il video che presentiamo di seguito dimostrano come la popolazione siriana non abbia nessuna intenzione di farsi distruggere fisicamente o culturalmente dall’assalto dei terroristi takfiri sostenuti da Sauditi, sionisti, qatarioti, americani, turchi e altri lacché dell’imperialismo internazionale. La Siria é Siria e continuerà a esserlo con le sue tradizioni di tolleranza, di coesistenza e rispetto per tutte le etnie e le religioni che da millenni la caratterizzano e la arricchiscono.
Con la completa liberazione del Qalamoun siriano la storica cittadina é ancora più al sicuro ora di quanto non sia stata negli ultimi dodici mesi.
Specialissimi auguri di Buona Pasqua quelli inviati dal Presidente siriano Bashir al-Assad ai Siriani di ogni denominazione cristiana e più in generale ai Cristiani del Levante, pronunciati durante la sua prima visita ufficiale alla storica cittadina di Maaloula.
La presenza fisica del Presidente siriano a Maaloula dimostra la profondità e la natura definitiva del successo colto al confine libanese e fa ben sperare per il prossimo futuro, non solo nell’Ovest del paese ma anche a Nord erd Est.
di Enrico Galoppini
Non dimenticherò mai la mia prima visita a
Maaloula, in Siria.
Ero studente di Arabo a Amman, e tra un ciclo e l’altro dei corsi organizzati dall’Università della Giordania decisi di visitare, da solo e zaino in spalla, la vicina Siria.
Senza nulla togliere alla Giordania, che pure ha i suoi capolavori e luoghi degni d’intraprendere un viaggio dall’Italia per ammirarli (su tutti, Petra), la Siria fu amore a prima vista.
Di tutto quel primo fantastico viaggio, fatto senza pianificare nulla ed affidandomi ai mezzi del posto, mi restano tantissimi bei ricordi, come quello della città vecchia di Aleppo, dove conobbi un giovane professore di scuola, musulmano, che per tre giorni portò me e gli altri due ragazzi (un olandese e un australiano) che condividevano col sottoscritto la camera di un modestissimo albergo senza stelle attraverso la Aleppo che il turista dei viaggi organizzati non vedrà mai.
Ne dico solo una e basti questa per dare al lettore il gusto di quell’irripetibile esperienza. Hossein (questo il nostro ‘cicerone’ spuntato dal nulla e che nulla volle da noi) ebbe la fantastica idea di portarci ad un riunione riservata dei membri di una tarîqa islamica, che poi seppi essere la Rifâ‘iyya, durante la quale, nella zâwiya scoppiò praticamente il finimondo, in mezzo a tamburi suonati a ritmi ossessivi, adepti che inneggiavano ad Allâh e danzavano a più non posso, ed alcuni di loro che… si trafiggevano con degli spadoni mentre il loro shaykh sovrintendeva alla buona riuscita del rituale.
Al termine, ebbi anche il tempo per qualche domanda alla loro guida spirituale, ed assicuro che quando tornai in camera – dopo un percorso di ritorno al chiuso di un camioncino per non svelare il luogo del ritrovo – ebbi serie difficoltà a prender sonno!
Voglio anche accennare ad un’altra delle visite speciale che furono possibili ad Aleppo grazie all’intermediazione di Hussein. Quella ad un oratorio cattolico, all’ora del catechismo, pieno di ragazzini così amorevoli e curiosi verso di noi stranieri che ci riempirono di piccoli doni, tra i quali proprio uno dei loro librettini illustrati del catechismo, ovviamente in arabo, che ancora conservo come una reliquia.
Poi Hussein, dopo tre giorni indimenticabili, scomparve all’improvviso così come era apparso. Provai a ricontattarlo un paio di volte dall’Italia, in tempi nei quali non esisteva internet e per fare una telefonata in Siria bisognava dissanguarsi. La prima volta riuscii a parlarci, ma la seconda, una persona che non capii bene chi fosse mi avvisò che era andato a Medina, in Arabia, per intraprendere un commercio. Non l’ho più sentito.
Questi sono gli incontri che si possono fare in Siria. Incontri fuori dal comune, come quello con Yosèf.
Mi trovavo a Maaloula, ed essendo febbraio aveva nevicato e faceva un discreto freddo. Ad un certo punto, in mezzo alle stradine di un paese che somiglia a un presepe, incontro un signore che, dopo una breve conversazione, mi propone di andare a pranzare a casa sua.
Era il preside di una scuola del posto e, seguendo le conversazioni tra i membri della famiglia, scoprii che parlavano l’aramaico. Il signor Yosèf mi fece conoscere anche i suoi figli che presto avrebbe iscritto all’università. Ci congedammo con una bella foto di gruppo e con l’impressione, da parte mia, di aver vissuto un’esperienza davvero unica.
Di Maaloula ricordo anche quando, entrato in una delle chiese che l’adornano, mi sedetti in fondo alla navata ad ascoltare delle litanie di alcune suore. Quelle che poi sarebbero rimaste ostaggio dei “ribelli”, i quali spero non abbiano fatto del male a Yosèf e ai suoi familiari.
I media cosiddetti “internazionali” dettero un gran risalto alla presa di Maaloula da parte dei nemici dello Stato siriano e, diciamocelo francamente, di ogni convivenza tra popolazioni diverse che sono tutte egualmente siriane e che perciò hanno il sacrosanto diritto di stare sulla loro terra in sicurezza, partecipando alla vita pubblica della loro Nazione e praticando liberamente la loro religione (a Maaloula esiste anche una parte della popolazione di fede musulmana, tra l’altro). Dovevano comunicare al tele-suddito l’idea che la Siria fosse ormai ad un passo dal crollo definitivo.
L’ingresso a Maaloula delle milizie “ribelli”, trasmesso con dovizia di particolari dai suddetti “media”, fu una cosa davvero surreale. Avvenne al mattino presto, dopo un attacco suicida con un camion esplosivo ad uno dei posti di blocco della cittadina, dopo di che arrivarono, come su un set cinematografico, i fuoristrada dei “ribelli”, per la scena di rito della presa di possesso del luogo che doveva, secondo loro, essere consegnato alla “sharî‘a”. Cosa significasse per essi “sharî‘a” fu presto chiaro a tutti gli abitanti del luogo: vessazioni, rapimenti, uccisioni e distruzioni dei simboli più cari alla popolazione locale. In poche parole, il loro intendimento personale al riguardo dell’Islam e non di certo la “legge di Dio”.
Furono mesi di assedio e di lotta casa per casa, che ad un certo punto, quando anche il governo italiano tentò di smarcarsi un minimo dalla versione ufficiale della “guerra al tiranno” da parte delle “armate del Bene”, fu visibile anche ai telespettatori italiani, grazie alle palpitanti corrispondenze di Gian Micalessin su RaiNews24. O forse il segreto di questa boccata d’aria fresca nell’asfittica informazione italiana (si fa per dire) sulla Siria la dobbiamo alla direzione dell’emittente andata a Monica Maggioni… Cose, insomma, che con Corradino Mineo – il quale dal suo studio conduceva una guerra mediatica “non stop” contro Berlusconi, per i “diritti umani” e le “primavere arabe” – voi italiani non avreste mai potuto vedere…
E mi piace pensare che il signor Yosèf, il cristiano di Maaloula, e Hussein, il ‘cicerone’ musulmano di Aleppo, siano idealmente uniti nel festeggiare quest’evento simbolico e lieto per tutta la nazione siriana, nelle sue innumerevoli e variegate componenti culturali e religiose.
CONTRO IL TERRORISMO. PER LA SIRIA, PER LA CIVILTA’!
Ricordiamo che il giorno 15 marzo del 2011, ha ufficialmente avuto inizio la cosiddetta ‘crisi siriana’. Il 15 marzo del 2011 si e’ mossa la macchina da guerra, progettata a tavolino, per destabilizzare e polverizzare la Repubblica Araba di Siria. Una Nazione sovrana e laica guidata dal Presidente Bashar Al Assad, evidentemente scomoda per chi voleva e vuole tutt’oggi, impossessarsi di un territorio la cui conquista è più che mai strategica per il controllo dell’intero Medio Oriente.
A distanza di più di quattro anni, il Fronte Europeo per la Siria, organizzazione che sin dall’inizio della crisi ha voluto diffondere la verità su quella che dai media è stata definita una guerra civile, e la Comunità siriana in Italia hanno indetto una manifestazione per il giorno 18 giugno a Piazza Montecitorio,per ribadire ancora una volta che quella che colpisce la Siria non è una manifestazione di popolo contro un regime autoritario, non è una rivolta di piazza per la richiesta di un governo più democratico; ma è ben altro.
Dal marzo del 2011 è iniziata una guerra eterodiretta, i cui finanziamenti e le cui strategie, celate all’inizio, sono risultate più che evidenti con il passare dei mesi: quella mossa contro la Siria, con la volontà di far cadere il legittimo governo di Bashar Al Assad, e’ un attacco ingiusto, per non dire ignobile, nei confronti di una Nazione che fa della laicità, del rispetto e della convivenza interreligiosa ed interetnica i punti fondanti della costituzione e della propria storia millenaria.
Le congetture studiate e pianificate hanno avuto come artefice chi al contrario vuole mostrarsi, agli occhi dell’opinione pubblica mondiale, garante della pace internazionale, come patrocinatore degli interessi dell’intera umanità ed ancora come paladino della giustizia.
Dall’inizio del conflitto sono state circa 215 mila le vittime, di cui più di 66 mila quelle civili, che nulla hanno potuto contro i terroristi mercenari che, con la copertura dei principali paesi occidentali (USA e UE) e al soldo di Turchia, Arabia Saudita e Qatar, hanno imbracciato le armi per realizzare quel disegno inconcepibile che prevede la cancellazione di uno Stato sovrano. Una destabilizzazione la cui regia deve oggi fare i conti con la degenerazione che ne è seguita: l’evolversi dei fatti, ha dato linfa vitale alla squilibrata e forsennata costituzione dello Stato Islamico: una degenerazione inevitabile visto il finanziamento a bande di tagliagole e criminali che sono gli autori materiali del sovvertimento in territorio siriano.
Una guerra che, tra le altre deprecabili conseguenze, ha portato alla distruzione, mai avvenuta al tempo d’oggi, di un patrimonio storico, artistico e archeologico senza eguali: è proprio delle recenti settimane la conquista di Palmira da parte dell’Isis, ossia una delle città più antiche e meglio conservate al mondo.
Il Fronte Europeo di Solidarietà per la Siria, insieme alla Comunità siriana, chiede quindi che il governo italiano riprenda i rapporti con la Siria, con la Nazione che, allo strenuo delle proprie forze combatte contro le barbarie, contro l’inciviltà e contro la soppressione delle libertà e della sovranita’ nazionale. Il Fronte europeo per la Siria chiede che l’Italia riprenda i rapporti con il legittimo governo del Presidente Bashar Al Assad, baluardo di tutti gli uomini liberi.
VIAGGIO NEL DRAMMA DEI PROFUGHI CRISTIANI DI ERBIL, SCAMPATI DALL'ORRORE OMICIDA DELL'ISIS
Solo pochi mesi fa eravamo stati nei quartieri di Erbil che ospitavano i profughi cristiani scappati dal terrore dell'ISIS. Solo pochi e già tutto è cambiato. In peggio purtroppo. Il vecchio stabile fatiscente che ospitava centinaia di famiglie davanti la chiesa di S.Giuseppe nel quartiere di Ainkawa, è stato sgombrato. Oggi tutte quelle famiglie vivono in un luogo se possibile più fatiscente e degradato. Da meno di un mese, infatti, i cristiani di Mosul sono stati trasferiti in un campo profughi a qualche chilometro fuori da Erbil. L'asfalto e i rumori della città sono stati sostituiti dal deserto e dal caldo insopportabile dei campi.
Qui le temperature estive raggiungono anche i cinquanta gradi e i container di alluminio diventano già dalle prime ore della mattina dei veri e propri forni. Al nostro ingresso nel campo veniamo accolti da un rumoroso gruppo di bambini.
Ci chiedono insistentemente qualcosa, qualunque cosa; litigano, scalciano per avere la meglio l'uno sull'altro. Le urla attirano altri bambini e in pochi minuti ci ritroviamo letteralmente accerchiati. Alla fine un bracciale strappato via dal polso è tutto quello che riescono ad ottenere. Calci e botte al fortunato vincitore. "E' mio, vai via!", urla, strattoni e la corsa per evitare di perdere tutto…
Incontriamo padre Malawin, il responsabile del campo profughi: "qui vivono al momento più di 550 famiglie, ma se consideriamo quelli che ancora vivono nelle roulette ad Erbil allora il conto sale a 1200." Chiediamo se qualcuno all'interno del campo ha visto personalmente i terroristi dell'ISIS e padre Malawin ci risponde: "Le persone che sono qui, sono quelle che sono riuscite a scappare. C'è però una famiglia a cui i terroristi hanno preso una bambina di due anni, ma purtroppo non è possibile incontrare queste persone." Chiediamo e otteniamo il permesso di visitare il campo, così ci incamminiamo nella via principale: uno stradone sterrato con decine di container tutti uguali ai lati.
E' sera, unico momento della giornata in cui si riesce a respirare all'aria aperta. La gente è seduta fuori e sembrano tutti disposti a raccontarci le loro storie. Veniamo invitati da una famiglia a visitare uno dei container. Entriamo e veniamo subito travolti da un forte odore di plastica che associato alle più che modeste dimensioni del container, rende il luogo davvero invivibile. "A vivere qui siamo cinque adulti. E' davvero dura." ci racconta Jibrail, capo famiglia. "Con questo caldo non abbiamo neppure il frigorifero e tutto quello che vedi l'abbiamo dovuto comprare noi." In effetti è davvero impressionante credere che cinque persone riescano a vivere in quindici o forse venti metri quadri.
E fa a davvero rabbia pensare che queste persone fino a pochi mesi fa vivevano nella quasi normalità a casa propria. "Abbiamo dovuto lasciare tutto lì. Non sappiamo cosa sia successo alla nostra casa" continua Jibrail mentre beviamo assieme un caffè. "I terroristi un giorno hanno trovato il mio numero di telefonino a casa e mi hanno chiamato. Mi dicevano di avere visto mia figlia in foto, mi dicevano che era bella. Ero devastato…" Il racconto di Jibrail viene interrotto dalla moglie che evidentemente non ha voglia di parlare o ascoltare più questi discorsi. Si chiama Maryam, ha un volto familiare, mediterraneo. Prende la parole e ci dice: "Vogliamo solo riniziare. Non sappiamo quando torneremo a casa, né mai se ci torneremo. Tanto vale riconquistarsi la dignità fin da subito…"
L’Esercito siriano infligge una dura sconfitta al gruppo terrorista di Al Nusra, patrocinato da USA, Israele e Arabia Saudita.
L’Esercito siriano infligge una dura sconfitta al gruppo terrorista di Al Nusra, patrocinato da USA, Israele e Arabia Saudita. Lasciati sul campo i corpi di 270 miliziani terroristi uccisi.
Le operazioni militari nella provincia di Suweida hanno lasciato un bilancio di 270 terroristi uccisi e varie decine di più feriti, a seguito dei combattimenti svoltisi lo scorso Lunedì vicino alla base di Thalet, dove è stato respinto con successo un altro attacco dei gruppi dei mercenari takfiri armati da USA, Israele, Arabia Saudita e Turchia.
“L’Esercito siriano, con l’aiuto delle Forze di Difesa Nazionale, ha respinto i tentativi dei terroristi di Al-Nusra di prendere possesso della base aerea strategica di Thalet, nella provinci adi Suweida”, lo ha dichiarato un comunicato emesso dall’Esercito siriano.
Nello stesso comunicato si segnala che, nell’attacco svoltosi Lunedì contro la base aerea di Thalet, più di 120 terroristi sono stati uccisi ed i loro cadaveri abbandonati sul terreno ed aggiunge: “L’Esercito ha annientato altri 25 terroristi che stavano cercando di entrare nella città di Um Walad”.
L’Artiglieria dell’Esercito siriano ha bombardato duramente le posizioni del Fronte Al Nusra nella provincia uccidendo altri 150 terroristi arrivati dall’estero ed equipaggiati con armi USA ed israeliane.
La scorsa settimana il direttore dell’Osservatorio per i Dirittti Umani, Rami Abdulrahman, con sede a Londra, aveva segnalato che il fattore congiunto dei massicci attacchi aerei realizzati dall’aviazione siriana, l’arrivo di rinforzi per l’Esercito e la partecipazione di volontari civili elle Forze di Difesa Nazionale hanno dato luogo ad una vittoria dell’Esercito siriano e una grave sconfitta per il Fronte di Al Nusra, che ha lasciato in totale centinaia di morti sul terreno.
25.000 volontari accorrono dal Libano
Da parte sua il presidente del Partito di Unificazione e l’ex ministro libanese, Wiam Wahhab, ha detto che l’Esercito siriano ha distribuito 25.000 armi a Suweida tra i volontari e d ha rinforzato la presenza dell’aviazione in quella regione.
Wahhab ha dichiarato che la sopravvivenza della popolazione drusa del Libano dipende da una vittoria del Governo siriano del presidente Bashar al-Assad sui gruppi terroristi takfiri, i nemici di tutte le minoranze , assassini dei cristiani e dei drusi e dei sunniti moderati.
Traduzione: Luciano Lago
Nella foto in alto: reparti dell’Esercito siriano conducono l’assalto alle postazioni dei terroristi
Nella foto al centro: i corpi dei terroristi di Al Nusra abbandonati sul terreno dai loro stessi compagni
http://www.controinformazione.info/lesercito-siriano-infligge-una-dura-sconfitta-al-gruppo-terrorista-di-al-nusra-patrocinato-da-usa-israele-e-arabia-saudita/#more-11426
IL MASSACRO DELL'ISIS NELLA SACRA CITTA' DI PALMIRA: LE STORIE DEI SUPERSTITI
DI ROBERT FISK
independent.co.uk
Abbiamo sentito parlare della minaccia ai monumenti, ma della tragedia umana? Nella città di Hayan, vicino ai giacimenti di petrolio e gas nel deserto siriano, Rober Fisk raccoglie le testimonianze di alcuni dei sopravvissuti all’invasione dell’Isis
Mentre gli uomini dello 'Stato islamico', armati e incappucciati, raggiungevano la periferia di Palmira, il 20 maggio metà del personale dell’impianto di gas e petrolio di Assad Sulieman - 50 uomini in tutto – stavano lavorando al loro turno di 12 ore presso il giacimento di petrolio Hayan, 28 miglia lontano. Sono stati i più fortunati. I loro 50 colleghi fuori servizio stavano dormendo nelle loro case vicino all'antica città romana. Venticinque di loro sarebbero presto morti, insieme a 400 civili - tra cui donne e bambini - ad opera della milizia islamica che ogni siriano chiama con l’acronimo 'Daesh'.
Un ingegnere petrolifero “Ahmed” - ha scelto questo nome per proteggere la sua famiglia a Palmira - stava, per caso, completando un corso all'università di Damasco, il giorno in cui Palmira è caduta. "Sono rimasto allibito" ha detto. "Ho provato a chiamare la mia famiglia. Era ancora possibile usare il telefono. Hanno detto che il 'Daesh' non permetteva a nessuno di uscire di casa. Mio fratello poi è andato in strada. Ha scattato foto ai corpi. Tutti gli uomini erano stati decapitati”.
Foto: Distruzione dell’impianto di trasformazione del gas e petrolio a Jezaa.
"È riuscito a inviarmi le foto da Raqqa [città controllata dall’ISIS] via internet che è l'unico mezzo di comunicazione ancora funzionante".
Alcune delle fotografie sono troppo agghiaccianti per essere pubblicate. Mostrano teste lontane dai corpi e sangue che scorre a fiotti attraverso una strada. In una, un corpo giace su una carreggiata mentre due uomini passano davanti su una bicicletta. Dopo la cattura di Palmira, si possono ancora vedere, nelle fotografie, le serrande dei negozi dipinte con le due stelle e i colori rosso bianco e nero della bandiera del governo siriano.
"Il Daesh ha costretto la gente a lasciare i corpi nelle strade per tre giorni" ha continuato Ahmed. "Non sono stati autorizzati a raccogliergli o a seppellirli senza permesso. I cadaveri erano sparsi in tutta la città. La mia famiglia ha detto che il Daesh è venuto a casa nostra, due uomini stranieri (uno sembrava essere afgano, l'altro tunisino o marocchino perché aveva un accento molto forte) poi se ne sono andati. Hanno ucciso tre infermiere. Una è stata uccisa nella sua casa, un’altra in casa di suo zio e la terza per strada. Forse perché hanno aiutato l'esercito (essendo infermiere). Alcuni dicono che sono state decapitate ma mio fratello dice che le hanno sparato alla testa ".
Nel panico, fuggendo da Palmira, alcuni sono morti quando le loro auto sono passate sugli esplosivi piazzati sulle strade dagli uomini armati islamisti. Un generale siriano in pensione della famiglia al-Daas, con sua moglie una farmacista di 40 anni e il figlio di 12, sono stati uccisi con lui quando le ruote della loro macchina hanno toccato gli esplosivi. Rapporti successivi parlano di esecuzioni nel vecchio teatro romano in mezzo alle rovine di Palmira.
Il direttore dello stabilimento di gas e petrolio di Hayan, Assad Sulieman, scuote la testa, quasi incredulo, mentre racconta l'esecuzione del personale fuori servizio. Crede che alcuni siano stati imprigionati nei giacimenti di gas caduti nelle mani dello 'Stato islamico' e che gli altri siano stati semplicemente prelevati dalle loro case e uccisi perché erano dipendenti statali. Per mesi, prima della caduta di Palmira, aveva ricevuto una serie di telefonate terrificanti dagli islamisti, una quando uomini armati stavano assediando una centrale vicina.
Dice: ”Mi hanno telefonato, qui nel mio ufficio, e hanno detto 'Stiamo venendo per te'. Gli ho risposto 'Vi aspetto'. L'esercito li ha allontanati, ma il mio staff ha continuato a ricevere queste telefonate ed era molto spaventato. L'esercito ha protetto tre dei nostri siti e poi li ha cacciati”. Dalla caduta di Palmira, le telefonate minatorie sono continuate, nonostante il 'Daesh' abbia tagliato tutte le linee mobili e fisse nella loro nuova città occupata.
Foto: Il direttore dello stabilimento di Hayan, Assad Sulieman, mostra i danni ai campi petroliferi.
Un altro giovane ingegnere di Hayan si trovava a Palmira quando lo 'Stato islamico' è arrivato. Era così spaventato mentre parlava che ha rifiutato di dire il suo nome. "Ero andato di nuovo a Palmira due giorni prima e tutto sembrava a posto" ha detto. "Quando la mia famiglia mi ha detto che erano arrivati, sono rimasto a casa con mia madre, mio fratello e le mie sorelle e non siamo usciti. Tutti sanno che quando questi uomini arrivano, le cose non vanno bene. L'energia elettrica è stata sospesa per due giorni, poi gli uomini armati l’hanno riattivata. Avevamo un sacco di cibo, eravamo una famiglia benestante. Ci siamo stati una settimana, e non hanno mai perquisito casa nostra".
La testimonianza dell'uomo rivela la natura quasi aleatoria delle regole dell’Isis. Una settimana dopo l'occupazione, la famiglia è uscita fuori di casa -le donne coperte integralmente- e hanno preso un autobus per la città occupata di Raqqa e da lì per Damasco. "Hanno guardato il mio documento, ma non hanno chiesto che lavoro facessi" ha detto l'uomo. "Il viaggio in autobus è stato normale. Nessuno ci ha impedito di partire". Come Ahmed, il giovane operaio petrolifero è un musulmano sunnita (la stessa religione dei seguaci 'Daesh') ma non ha dubbi sulla natura degli occupanti di Palmira. "Quando arrivano," ha detto "non c'è più vita".
Foto: L’antico teatro di Palmira
Le linee di petrolio e gas siriane si estendono per un centinaio di miglia da Homs ai giacimenti petroliferi attraverso il deserto cocente fuori Palmira. Ci sono volute due ore per raggiungere un punto a 28 miglia da Palmira; le ultime truppe siriane sono stanziate 8 miglia dalla città.
A ovest si trova la grande base aerea siriana di Tiyas (chiamata T-4 come la quarta vecchia stazione di pompaggio dell’oleodotto iracheno-palestinese), dove ho visto due cacciabombardieri Mig a due code verniciati di grigio decollare al crepuscolo e atterrare di nuovo sulle piste. Una copertura di antenne radar e bunker di cemento protegge la base e si vedono truppe siriane, all'interno di una serie di fortezze interrate su ogni lato della strada principale che porta a Palmira, difendere i loro fortini con mitragliatrici pesanti, artiglieria e missili di lunga gittata.
Le truppe siriane pattugliano la strada ogni pochi minuti a bordo di un pick-up e non nascondono le loro precauzioni. Ci hanno segnalato un luogo a 30 miglia a ovest di Palmira dove hanno trovato un ordigno esplosivo improvvisato. Lungo la strada c’era il relitto di un camion-bomba colpito dai missili siriano. Assad Sulieman, il direttore dello stabilimento petrolifero, dichiara che il padre lo ha chiamato così in onore del padre del presidente Bashar, Hafez al-Asasad. Descrive come i ribelli islamici abbiano completamente distrutto un impianto di gas vicino a Hayan l'anno scorso, e come la sua squadra lo abbia completamente ristrutturato in pochi mesi, utilizzando materiali smontati da altre strutture. La capacità di produzione dell’impianto è stata riportata a tre milioni di metri cubi di gas al giorno per le centrali elettriche del paese e sei mila barili di petrolio per la raffineria di Homs.
Foto: Antichi siti a Palmira
Ma l'uomo che capisce i rischi militari è il generale Fouad - come tutti gli altri nella zona di Palmira, preferisce usare solo il nome - un ufficiale professionista che ha ottenuto la più grande vittoria contro i ribelli nel momento in cui suo figlio veniva ucciso in battaglia a Homs. Egli non fa mistero del "grande shock" che ha provato quando Palmira è caduta. Pensa che i soldati abbiano combattuto per lungo tempo a difesa della città e che non si aspettassero l'attacco di massa. Altri militari - non il generale - dicono che lo 'Stato Islamico' avanzava su un fronte di 50 miglia, travolgendo l'esercito.
"Non andranno oltre" dice il Generale Fouad. "Li abbiamo battuti quando hanno attaccato tre siti l’anno scorso. I nostri soldati hanno fatto irruzione in alcune delle loro sedi sulla montagna Shaer. Abbiamo trovato i documenti sui nostri impianti di produzione, libri religiosi Takfiri. E abbiamo trovato lingerie".
Cosa diavolo ci faceva lo Stato Islamico con lingerie, gli ho chiesto? Il generale non ha sorriso. "Pensiamo che forse abbiano tenuto con loro le donne yazide rapite in Iraq. Quando i nostri soldati hanno raggiunto il loro quartier generale, abbiamo visto alcuni dei loro uomini più anziani scappare via con alcune donne".
Ma il generale, come quasi ogni altro ufficiale siriano che ho incontrato in questa visita al deserto - e tutti gli altri civili - hanno una domanda per la testa. Se gli americani fossero stati così desiderosi di distruggere l’Isis, non hanno visto dai satelliti che migliaia di uomini armati si ammassavano per colpire Palmira? Perché non hanno avvertito i Siriani? Anche se Washington non sopporta il regime di Assad, c’erano obiettivi in abbondanza per l'aviazione degli Stati Uniti nei giorni prima dell'attacco a Palmira, perchè non li hanno bombardati? Una domanda che deve ancora essere risolta.
Robert Fisk
5.06.2015
I 500 mila morti bambini iracheni morti sulla coscienza non vi bastano? Stop con l’embargo alla Siria!
Sta circolando in Germania un appello-intimazione al governo tedesco: “Basta affamare il popolo siriano. Sì alla pace”.
Qualcuno ricorda i 500.000 bambini morti a causa dell’embargo all’Iraq, durato dodici anni, un ponte di fame fra due guerre?
La Siria, moribonda dopo 4 anni di guerra fomentata da paesi occidentali e monarchie del Golfo – che hanno la responsabilità collaterale di aver alimentato Daesh, l’Isis -, è soggetta a un embargo spacciato per “sanzioni a personaggi del regime”.
Sta circolando in Germania un appello-intimazione al governo tedesco: “Basta affamare il popolo siriano. Sì alla pace”. Il documento spiega che dal 2011 sono in corso sanzioni europee al paese mediorientale. Sono stati congelati i conti siriani all’estero, è stata vietata l’importazione dalla Siria di petrolio grezzo, ma anche l’esportazione verso la Siria di carburante, tecnologia e impianti per la raffinazione del petrolio e la produzione di gas liquido; è vietato ogni tipo di transazione economica (chi ad esempio vuole aiutare gruppi umanitari di Aleppo deve farlo attraverso banche in Libano) e sono bloccate anche le rimesse degli emigranti. In questo modo l’agricoltura, l’industria, l’artigianato sono gravemente danneggiati. Il costo dei generi alimentari è raddoppiato. Il prodotto interno lordo è diminuito del 60%. Quasi il 65% dei siriani vive ormai in stato di povertà estrema.
L’appello chiede al governo tedesco di rimuovere l’embargo alla Siria, ristabilire le relazioni diplomatiche, rispettare la sovranità del paese, assumere un ruolo di intermediazione nel conflitto per ristabilire la pace, e aiutare la ricostruzione.
Una campagna che andrebbe ripresa in tutti i paesi europei. In Italia i pochi gruppi che hanno chiesto al governo ragione di questa politica anti-umana non hanno finora avuto nessuna rispost.a.
Marinella Correggia