Nello scontro tra Germania e Africa la chiave di interpretazione del Sinodo
di George Weigel*
Il 19 novembre 1964, la bozza del testo della Dichiarazione sulla Libertà di Religione, del Consiglio Vaticano II, venne improvvisamente eliminata dall’agenda e un voto su di essa rimandato per un anno. L’annuncio di questa decisione inaspettata, causata dalla richiesta di vescovi italiani e spagnoli, che si pensava fossero contrari alla Dichiarazione, portò a una situazione caotica. Una petizione a Papa Paolo VI venne rapidamente redatta e firmata da centinaia di padri conciliari, che chiedevano al papa di permettere un voto sulla Dichiarazione prima che il concilio si aggiornasse nel suo terzo periodo, nel giro di due giorni. Paolo VI decise che, nonostante le proteste della maggioranza, le procedure non dovessero essere violate e che il voto dovesse essere rimandato fino al quarto periodo conciliare, nell’autunno del 1965. A quel punto, promise Paolo VI, la Dichiarazione sarebbe stata inserita al primo punto in agenda.
Non si verificò più nulla di simile a questo Giovedì Nero (che un raffinato latinista quale John Courtney –Murray preferì chiamare come il diaes irae, il giorno dell’ira) in cinquant’anni di storia della Chiesa cattolica, almeno fino a un altro giovedì: il 16 ottobre 2014, verso la fine del Sinodo Straordinario sulla Famiglia, convocato da Papa Francesco per preparare un’agenda del Sinodo Ordinario sulla Famiglia, previsto per l’ottobre 2015.