INTERROGATORIO: LA RAGAZZA «DOVEVA RINCASARE IN 24 ORE».
Caso Orlandi, la pista dello Ior:
«Ecco perché Emanuela non fu liberata»
Il superteste Accetti: pressioni su Agca e finanza vaticana. «Ci dissero: tenetela, è saltato l'accordo sulla banca»
Il superteste Accetti: pressioni su Agca e finanza
vaticana. «Ci dissero: tenetela, è saltato l'accordo sulla banca»
Emanuela Orlandi
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ROMA - Emanuela Orlandi non fu liberata subito, come nei
piani del gruppo che la prelevò davanti al Senato il 22 giugno 1983, a causa di
fatti «non preventivati» che fecero «precipitare la situazione». Doveva tornare
presto a casa ma fu «trattenuta», con il risultato di trasformare un «finto
sequestro» in un giallo infinito.
Marco Fassoni Accetti, il fotografo che ha
raccontato di aver partecipato al sequestro Orlandi e di essere stato uno dei
telefonisti (la perizia fonica è in corso), ieri è stato nuovamente convocato a
Piazzale Clodio.
Emanuela Orlandi
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Il procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo lo ha interrogato
per ore alla presenza dell'avvocatessa Maria Calisse. Un confronto serrato,
soprattutto nei frangenti in cui il magistrato ha tentato di mettere punti
fermi sui nomi di complici e avversari del gruppo («formato da laici ed
ecclesiastici, con il supporto di fiancheggiatori della Stasi») in cui Accetti
sostiene di aver militato. E che il superteste aveva coinvolto nelle
dichiarazioni del maggio scorso, quando sostenne
che l'accordo firmato dallo Ior sul crack Ambrosiano nel 1984 fu dettato dal
ricatto dei sequestratori.
«Io non faccio chiamate in correità - insiste il
superteste - fornisco il contesto e numerosi riscontri». Un quadro dettagliato,
questo è certo. Il «nucleo di controspionaggio» avrebbe rapito la Orlandi e
Mirella Gregori (46 giorni prima) per compiere pressioni per conto di
ecclesiastici «orientati in senso progressista». Due gli obiettivi: indurre Alì
Agca a ritrattare le accuse ai bulgari di complicità nell'attentato al papa (in
cambio di una sua futura liberazione) e colpire lo Ior di Marcinkus.
Monsignor Paul
Marcinkus (Ap)
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«Nostra controparte - specifica Accetti - erano persone
legate all'avvocato Ortolani (poi condannato per il crak Ambrosiano, ndr ) e
altre vicine a Thomas Macioce (uomo forte dello Ior negli anni '80, ndr )». La
guerra all'ombra del Vaticano, quindi, troverebbe nuovi spunti. Emanuela
«doveva tornare a casa in 24 ore», ma ciò fu impedito «prima perché il 23
giugno non avevamo in mano la denuncia di scomparsa da produrre in fotocopia ad
Agca». E questo trova riscontro: la famiglia fu invitata a non sporgere subito
denuncia al Collegio romano, nella speranza di una «scappatella».
In un secondo momento - e siamo al 24-25 giugno -
«perché ci arrivò voce che la commissione bilaterale tra Stato vaticano e
italiano per esaminare la situazione dello Ior, fissata al 30 giugno, non
sarebbe arrivata a un accordo». «E' bene tenerle», sarebbe stato l'ordine
impartito da non meglio precisati ambienti agli esecutori dei sequestri.
E ancora, deflagranti, altri due eventi: l'appello
del 3 luglio di papa Wojtyla, che diede al caso rilievo planetario, e il
rilancio delle accuse ai bulgari da parte di Agca, l'8 luglio, al grido di
«Sono lo strumento del Kgb!». Terrorismo, tensioni politiche e scandali
finanziari, insomma, si intrecciano col destino di due ragazze scomparse ai
tempi della guerra fredda. Il tutto mentre - corsi e ricorsi della storia - lo
Ior, per effetto degli arresti scattati venerdì 28 giugno, è tornato nella
bufera.
Fabrizio Peronaci
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