Nell’epoca in cui tira forte Facebook, capita anche di trovare qualche voce fuori dal coro. Per una volta attingo a Severgnini, che sul Corriere è intervenuto più di una volta in difesa dell’apparentemente esile Twitter.
Twitter non è il fratello minore di
Facebook. Semmai il cugino. Parenti e diversi. Facebook ha sette anni, è
stato creato da ragazzi per i ragazzi: lo usano anche gli adulti, ma
siamo in affitto (morale). Twitter compie cinque anni. È più smaliziato,
meno empatico ma più acuminato. Sociale e micidiale: basta saperlo
usare.
Microblogging – la definizione
ufficiale – è un buon riassunto. Gli interventi di 140 caratteri
obbligano alla sintesi. Sono un esercizio quotidiano di igiene mentale,
uno spazzolino per il cervello. (QUI)
Uno spazzolino per il cervello. Non
perché i contenuti di Twitter debbano essere per forza intelligenti, ma
perché lo sforzo metodologico di dover sintetizzare in 140 caratteri
costringe a raffinare il pensiero. Anche le baggianate. Ecco il paradosso di Twitter:
sforzarsi di formulare un’idiozia in 140 caratteri significa
automaticamente avviare un processo di incremento dell’intelligenza. Su
Twitter essere idioti è meglio che mostrarsi intelligenti su Facebook.
Qui ci vuole Aristotele: l’idiozia in atto di Twitter è intelligenza in
potenza maggiore dell’intelligenza in atto di Facebook.
Mi corregga E. Berti se vado errando.
Mi corregga E. Berti se vado errando.
Ci rallegra allora scoprire che
Lelefantino con ironico ardore abbia scelto di paragonare il Sillabo di
Pio IX a una sorta di Twitter ante litteram.
Mi piace Pio IX. E’ l’inventore di
Twitter. Sul finire del 1864 incaricò un barnabita simpatico e di mondo,
Luigi Maria Bilio, di mettere insieme 82 proposizioni, ciascuna più o
meno di 140 caratteri, per farne un elenco enciclopedico degli errori
del secolo. Nacque il Sillabo. Una ricapitolazione, un prendere insieme
cose diverse, e ’fanculo le eresie, che poi per la chiesa sono le
cazzate, il mainstream, il politicamente e ideologicamente corretto.
Nella sua fantasmagorica Mirari vos, enciclica scritta con la baionetta
nel 1832, il predecessore del beato Pio IX, Gregorio XVI, uno così fiero
e reazionario da avere inquietato persino un Metternich, aveva alluso a
una “moltitudine sterminata” di libri, giornali, scritti fuori
controllo, qualcosa di molto simile a un web dell’Ottocento, che
fungevano da veicolo a quel “delirio” che è la libertà di coscienza
predicata per ciascun individuo. Il Sillabo mise le cose a posto.
Intanto per un centinaio d’anni, fino al Concilio ecumenico Vaticano II,
che non è stagione brevissima. Ma come vedremo la sua eco apostolica e
culturale, icastica, semplificatrice, asciutta, univoca, si sente ancora
oggi, che lo si sappia o no, che lo si voglia riconoscere o no. (QUI)
Il Sillabo fece ordine, perché la sintesi impone l’ascesi dell’ordine.
Che poi l’ordine in questa vita non sia eterno, è cosa nota.
Probabilmente l’unico tentativo storico non disumanizzante di costituire
un ordine eterno in anticipo sull’eschaton è la Liturgia, quella
Tradizionale, si intende. Anch’essa asciutta, schematica, puntuale. Con
quelle ripetizioni che assomigliano ai Retweet, le abbreviazioni
comprensibili solo agli utenti affezionati, i passaggi di accesso e di
logout.
La concinnitas romana, ancora
oggi sbeffeggiata da gentaglia incapace di esprimere due idee stabili in
15 minuti di predicozzi, resta in tutto e per tutto uno spazzolino per
il cervello. Bisogna aggiungere: uno spazzolino per la fede.
Il Concilio ha avviato le pulizie di
Primavera, mettendo all’aria gli arredi, ora a noi impegnarci per
riordinare l’ambaradan. Per altri cento anni, si spera
OSSERVO IL MONDO E SUSSULTO… MIO DIO!
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