Ci sarebbe poco da dire. Ma nessuno (a parte CorrispondenzaRomana)
dice nemmeno quel poco, e allora le cose da dire divengono molte. Sono
disgustato, umiliato, ferito, adirato e profondamente stanco. Non tanto
dell’ennesima idiozia ecclesiale, inutile e dannosa, ipocrita, falsa e,
certamente, non cattolica. Lo scandalo non nasce da questo ennesimo
fatto. No. Nasce dal fatto che costoro sono i più forti, coloro che
detengono il potere nella Chiesa e il plauso nei media. Perché nella
Chiesa il clero è quello che: modernista o qualsiasi cosa purché non
cattolico (altrimenti viene messo ai margini). I media, proni a questi
poteri ecclesiali, esaltano le incomprensibili potenzialità e meraviglie
di tali operazioni. I fedeli seguono o i loro eretici pastori o i loro
altrettanto eretici giornalisti. Il fedele che per grazia di Dio
(immensa in questi casi) si ostina (sì, trattasi di ostinazione) a
rimanere cattolico ha due strade: andare contro l’autorità ecclesiastica
o ritirarsi in un nascondimento che lo tenga lontano dalla fastidiosa e
pericolosa tentazione di disubbidire. Lo dico con estrema franchezza,
io sto tra costoro. Continuo a domandarmi (lo dico facendo riferimento
ad un fatto marginale, pretestuoso, ce ne sono stati di più gravi, ma la
misura è ormai colma) a che giova darsi e spendersi in questa Chiesa.
Non apostato, non ci sperate (utilizzereste la mia apostasia – ignorando
la vostra – per i vostri sporchi fini), ma mi defilo sempre più verso i
margini della vita ecclesiale. Lo dico con profonda umiliazione e
frustrazione. Ma non ha più senso spendere tante energie e fatiche
quando queste non producono nulla e quel poco che producono viene
strumentalizzato contro il santo fine per cui erano state spese. Il
potere nella Chiesa lo avete voi, cari vescovi e preti. Avete gridato
contro il clericalismo, fatto a pezzi la Chiesa, e ora che il potere lo
avete in mano (perché è così e così deve essere) lo utilizzate come
tristi monarchi nella conquista delle vostre assurde eresie. Il potere
non ce l’ho io, laico, peccatore misero. Fatene quel che volete. Anche
il tempo e la storia sta smentendo punto su punto le vostre eretiche e
farneticanti illusioni. Tenetevele strette, perché senza di esse siete
niente. E in niente si risolve la vostra esistenza. Io, dal conto mio,
che ho il pressante interesse di salvarmi l’anima, mi defilo. Non ha
senso stare ai vostri banchi, ai vostri circoli, nelle strutture da voi
prontamente conquistate e affidate alla fazione potente di turno. Le mie
energie, sempre minori, le mie capacità, misere è vero, le mie
potenzialità, preferisco si perdano, piuttosto che correre il rischio
che vadano ad aggiungere e ingrassare le fila dei vostri seguaci. Perché
vorrei portare anime nella Chiesa cattolica, non nelle combriccole di
determinati personaggi. Laici o religiosi che siano. Sono stanco e
sfiduciato, avete ucciso tante energie e aspettative. Non voglio
iniziare una guerra contro nessuno, tantomeno se in abito talare
(lasciamo perdere altre stravaganti forme di abbigliamento sacerdotale).
Perché io, da buon cattolico quale aspiro ad essere, so riconoscere i
limiti e i ruoli. Voi avete deciso, per ovvie convenienze, di creare
confusione. Il buon Dio a tempo debito saprà fare giustizia, soprattutto
delle mie colpe e mancanze. Che sono già numerose e mi preoccupo di non
aggiungervene altre.
In tema di liturgia si reputa necessaria e fondamentale la
partecipazione attiva dei fedeli ad essa. Questo assunto si basa su
quanto afferma la Costituzione sulla Sacra Liturgia Sacrosanctum Concilim
al paragrafo 14, del Concilio Vaticano II. Uno dei maggiori obiettivi
che hanno animato la riforma (sicuramente nella sua realizzazione
pratica) è stato proprio il tentativo di rendere possibile questa
partecipazione attiva dei fedeli in contrapposizione con una (presunta)
partecipazione passiva che i fedeli avevano nella cosiddetta liturgia in
latino. In essa, secondo i riformatori e i loro strenui difensori, il
popolo assisteva indifferente, distratto, incapace di capire, ascoltare e
seguire quello che sull’altare andava compiendosi, essendo la liturgia
un affare clericale. Oggi, che la liturgia, dicono gli esperti, è affare
di tutti, la gente è comunque distratta e non capisce niente (a mio
avviso anche meno di prima) di cosa sia la liturgia. Ma siccome il
Vaticano II è un superdogma, contro il quale non si può nemmeno pensare
di sollevare dubbi, i fatti non smentiscono le teorie. Le teorie
rimangono intatte e sacrosante nonostante la storia e il tempo abbiano
ampiamente dimostrato la loro fallacia. Siccome però il Vaticano II non è
un superdogma e i luoghi comuni sono difficili a morire, riporto di
seguito un’illuminante riflessione del professor Roberto De Mattei,
proprio sulla ricchezza della partecipazione attiva. Leggendo si avranno
piacevoli (per i cattolici sia chiaro) sorprese: “Forse il dove più
grande fatto dalla riforma di Paolo VI della Messa – scrive Martin
Mosebach – è questo: ora noi siamo positivamente obbligati a parlare
durante la liturgia”. Mosebach fa delle giuste osservazioni sulla
“partecipazione attiva” dei fedeli alla Santa Messa. Il fede può
“partecipare attivamente” in molti modi diversi: può seguire le parole e
i gesti del sacerdote, può adorare in silenzio il miracolo che si
svolge sotto i suoi occhi, può “isolarsi” dalla comunità, rimanendo in
ginocchio durante tutta la Messa, senza che per questo sia censurabile.
Questa varietà di forme, sottolinea Mosebach, dimostra invece la
superiorità del rito antico sul nuovo. La Tradizione cattolica ha
conosciuto, infatti, molti modi di assistere al santo sacrificio:
seguire l’ordinario della Santa Messa, meditare la Passione del Signore,
unirsi ai canti liturgici, contemplare in silenzio il Mistero
eucaristico, recitare orazioni come il Santo Rosario: tutte espressioni
di quella partecipazione a cui si richiama Pio XII nella Mystici
Corporis. Il Rosario, ad esempio, osserva il padre Finnegan, è la
“liturgia per eccellenza dei laici” e sarebbe un grave errore deplorarne
la recita durante la Messa. Quel che è certo è che la “partecipazione
attiva” dei fedeli alla liturgia non può essere ridotta al rapporto tra i
fedeli e il sacerdote sul piano puramente sociologico ma va intesa
principalmente nel suo senso, mistico-sacrale. La riforma liturgica del
1969 venne considerata come espressione della “svolta antropologica”
degli anni Sessanta e Settanta. Una svolta antropologica che pretendeva
di colmare l’infinita distanza tra Dio e il mondo, spogliando un poco,
se fosse possibile, Dio della sua Maestà e della sua gloria, ed elevando
molto, se fosse possibile, l’uomo verso Dio. Si può e si deve discutere
se questa riforma abbia rappresentato un momento di continuità o di
rottura con la Tradizione precedente della Chiesa. Il fatto solo che se
ne discuta, sia in ambito progressista che in ambito tradizionalista, è
sufficiente a connotarla come una riforma sostanzialmente ambigua. Se la
riforma liturgica avesse avuto un rapporto di inequivocabile continuità
con la Tradizione precedente, il dibattito non si sarebbe aperto. Il
fatto invece che, da una parte e dall’altra, si possa sottolineare
l’elemento della discontinuità, rende legittimo concludere che nella
riforma liturgica esistano quanto meno elementi di forte equivocità”
[R. De Mattei – “Il Summorum Pontificum come risposta al processo di
secolarizzazione della società contemporanea” in AA.VV. - Il Motu
proprio "Summorum Pontificum" Vol. 1]
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