parte seconda
Dopo il preliminare ossequio al suo interlocutore, noto per una ostentata tensione intellettualistica, per un altissimo grado di erasmiana filautìa – amore di sé - nonché di pari senso narcisistico, il successivo “gesto” di papa Bergoglio è un sommesso autodafé, un mea culpa o, quanto meno, un moto di pentimento.
Infatti, nell’accenno ai contrasti – fisiologici, prevedibili e necessarii –Chiesa/Mondo, egli attribuisce salomonicamente tanto all’una che all’altro, la responsabilità di aver costruito l’ “incomunicabilità”. La Chiesa, cioè, si assume un concorso di colpa per aver chiuso la porta al mondo e di avergli negato il messaggio, la Chiesa ammette di non esser stata capace di annunciare, fino ad oggi, il Vangelo di Cristo anzi, si confessa rea di ostilità comunicativa, di embargo catechetico.
E’ evidente a tutti, “lippis et tonsoribus” (Orazio - Sat.1,7 ), quanto questa infondata, maldestra e autolesionistica affermazione contrasti innanzitutto con la storia la quale mostra come le missioni siano state comunicazione e annuncio continuo del Vangelo ma, soprattutto, si oppone all’idea che Cristo ebbe/ha del mondo, quel mondo che Egli aveva rifiutato qual dono di Satana (Mt. 4,8/10 ), quel mondo che Egli aveva combattuto e vinto, quel mondo che Lo vide nascere ma non Lo volle riconoscere, quel mondo di cui il cristiano è realtà vivente ma non parte posseduta, cioè, nel mondo ma non del mondo (Gv. cap. 15/16/17).
Ma ciò che deprime e mortifica è una certa moda, diventata costume e dottrina diffusa che, con sfrontatezza e disinvoltura non priva di adulatrice codardìa smaltata da galateo e spacciata per ossequioso “rispetto” delle altrui idee, pare non possa fare a meno di identificare la Chiesa come una società connotata da soli errori e da sbagli.
Parlar male della propria Santa Madre è, oggi, uno sport che non appartiene più ai laici, ai razionalisti, agli atei, agli gnostici, ai teologi spretati – Odifreddi, Dawkins, Onfray, Mancuso, Augias, Cacciari, Brown, Gennari… – che, si sa, fanno il loro sporco gioco, ma viene praticato in grande stile e passione da prelati, da sacerdoti, da esegeti ed ora, in termini caramellosi, anche dai papi - non dimenticando di citare, infatti, le 7 famose e miserande “richieste di perdono” di GP II.
Le leggende nere, abbozzate in fine ‘700 dai libertini e dai philosophes e definite in pieno positivismo, su fatti artatamente distorti e propalati con ogni mezzo, sono state assimilate e fatte vere dalla stessa pavida comunità cattolica, invischiata nel pecioso “spirito del tempo” realizzandosi, così, l’auspicio del settario massone/illuminato Nubius il quale previde che, inserendo a mo’ di cavalli di Troia, e lentamente, nel Corpo della Chiesa elementi liberali – seminaristi, preti, vescovi, diplomatici e giornalisti - la stessa Chiesa, anzi gli uomini di Chiesa, la Curia cioè, si sarebbero parimenti corrotti concorrendo alla disfatta della divina istituzione, che tuttavia non avverrà dacché “portae inferi non praevalebunt”. ( Chi volesse accertarsi dell’esito positivo di questa strategìa, consulti l’opuscolo “Chi è don Luigi Villa” ed. Civiltà Bre-scia – dove, a pp. 41/42 vengon riportate lettere di Mons. Francesco Marchisano al maestro venerabile di Palazzo Giustiniani, nelle quali si fa promessa di sovvertire l’ordine degli studii dei seminarii e la corruzione dei novelli sacerdoti ).
C’è bisogno allora, Santità, per carpire le grazie e il consenso del sig. Scalfari, confessare le colpe “della Chiesa”?
Perché non illustrare i meriti: i luminosi esempi dei santi, e tutto quello straordinario complesso che porta il nome di “civiltà cristiano/cattolica”?
Ci si dimentica forse che, rivoluzionando una cultura pagana, nel Vangelo l’uomo, ogni singolo uomo, è stato elevato al rango di figlio di Dio, senza distinzioni sociali ? Ci si dimentica della grande mèsse di martiri, della cultura patristica, del monachesimo benedettino e dei suoi interventi culturali (letteratura, poesìa) – ah ! … c’è qualcuno che ancora parla e si delizia di cultura araba ecc… – delle cattedrali, dell’istituzioni ospedaliere, delle scuole, delle università, della costituzione del diritto privato, commerciale e marittimo, della scienza (medicina, matematica, astronomìa, botanica, farmacopea, ingegnerìa ), dell’arte, degli istituti e dei banchi di carità, degli orfanotrofii, delle missioni, prodotti esclusivi della Chiesa cattolica? ( cfr. Th. E. Woods jr – Come la Chiesa cattolica ha costruito la civiltà occidentale – ed. Cantagalli 2007 ).
C’è, quindi, uno scenario portentoso di cui soltanto la Santa Chiesa, e i suoi uomini, possono menar vanto. Ma no! quando si parla con il miscredente – Scalfari autodefinitosi “non credente da molti anni” è un miscredente “gloriosus” e pieno di sé – si sparla del Corpo di Cristo, ché tale è la Chiesa per definizione (Col. 1, 18) il cui Capo è, appunto, Cristo Signore nel quale tutto si ricapitola (Ef. 1,3/10 ).
E’ mai possibile, ci domandiamo allora, che per farsi accettare dall’ateo sia necessario offrirgli, in avvìo di “dialogo”, materia e argomenti, peraltro falsi, per facilitargli l’arrembaggio e porsi su un livello di superiorità?
Sono 50 anni che si declama questo miracolistico dialogo, ma i risultati? Eccoli: desertificazione dei confessionali, relativismo etico crescente, indifferentismo, spettacolarizzazione del rito, apostasìa, edonismo, eresìa.
E come non capire poi che, con siffatta retorica, vien sottilmente messa sotto accusa la Chiesa preconciliare?
Ma stiamo attenti, Santità: a noi risulta, in maniera documentata, che i tristi e squallidi fenomeni della pedofilìa – il peccato bollato con parole di fuoco da Nostro Signore - le ruberìe, gli innumerevoli abbandoni vocazionali, le ribellioni, la smaccata acclarata militanza massonica di prelati e sacerdoti, le nuove chiese/capannoni, l’anamorfica e mostruosa iconografìa dissacrante, la pochezza e la sciatteria omiletica, la mondanità dei preti in calzoncini e sandali, le derive dottrinarie, ad es., dei gesuiti John Paul Godges e James Martin (cfr.Ignatian New Network ) sul tema attuale dell’omosessualità, siano la carta di identità di questa Chiesa postconciliare.
L’ultimo santo, ci permettiamo di affermare, è San Pio da Pietrelcina perché non idem si dica, ad es. di Teresa da Calcutta – absit injuria verbis - colei che s’è umilmente vantata di non aver mai battezzato un bambino morente preferendo che questi rimanesse, fino alla fine, o buon musulmano, o buon induista, o buon buddista, o un buon animista.
Così come non crediamo – e ci assumiamo la responsabilità di quanto scriviamo – alla santità del prossimo canonizzato, papa Giovanni XXIII, persecutore di quel San Padre Pio, convinto assertore della bontà della massoneria (cfr. G. Galeazzi/F. Pinotti – Vaticano Massone – ed. Piemme 2013 pag. 338) e della legittimità d’ogni confessione cristiana non/cattolica, così come non accettiamo il metodo industriale del “santo sùbito” messo in atto per GP II inventore di Assisi ’86 - l’accolta del sincretismo e la legittimazione del peccato contro il primo comandamento - e deferente interprete del bacio al corano.
Questa è la Chiesa postconciliare, anzi, questi sono gli uomini della Chiesa, così come erano, talvolta, quelli dell’antica. Perché sono gli uomini della Chiesa che sbagliano in quanto Essa è Santa perché tre volte Santo è il suo Fondatore, ragion per cui star a menar le mani contro di Essa non è esercizio di che si possa portar gloria. Anzi, ci fa male e soprattutto accoglie falsità spacciate per verità.
Come vede, Santità, sono comuni nozioni di semplice apologetica, di Storia della Chiesa e di Catechismo.
Uno dei temi più cari a papa Bergoglio, mutuato dalla teologia postconciliare e ribadito più volte da Benedetto XVI, è quello dell’ “incontro”. Si sostiene che la conversione sia l’incontro che si fa con il Signore, andando e camminando. Ma andando e camminando dove e con chi ? Tale novità, che ben si addice alla dialettica antropologica e che da questa riceve tutta la sua particolare attrattiva, oggi, così come altri termini dei quali è noto l’état d’esprit – vedi: accoglienza, solidarietà, condivisione -, è del tutto estraneo da ciò che, fino a qualche anno fa, si predicava e si scriveva in termini di vocazione.
Papa Bergoglio confessa a Scalfari che la “fede, per me, è nata dall’incontro con Ge-sù. Un incontro personale, che ha toccato il mio cuore e ha dato un indirizzo e un senso alla mia esistenza”. Un incontro, quasi che tutto sia accaduto casualmente nel mentre Jorge Mario Bergoglio se ne andava alla cerca della propria identità. Incontra Gesù, e così semplicemente, ce lo riferisce.
Ma c’è qualcosa che non fila in questa ricognizione papale perché, memori di ben altro, siamo andati a sfogliare le sacre carte laddove, precisamente in Gv. 15, 19 , Gesù testualmente – durante il discorso sacerdotale del suo ultimo giovedì, a mensa con gli apostoli – fa presente, e chiaramente assai, ai suoi discepoli . “Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; poiché invece non siete del mondo, ma IO vi ho scelti dal mondo, per questo il mondo vi odia”.
Ecco, allora, che ben altra era la verità che papa Bergoglio doveva annunziare a Scalfari, quella secondo cui, premessa una personale interiore ricerca – non necessaria tuttavia se ben ricordiamo come Saulo diventa Paolo - è lo Spirito che, soffiando dove e quando vuole ( Gv. 3,8 ), decide chi e come e quando eleggere, e non per casuale incontro, ma per sua volontà, e non tutti, poi, se è vero quando afferma che: “ Molti sono chiamati, ma pochi eletti” ( Mt. 22,14 ). E non dirà, nel momento dell’istituzione Eucaristica, quando indica nel vino il Suo Sangue: “ Questo è il mio Sangue versato per molti” ? ( Mt. 26,28 ). La liturgia del massone mons. Annibale Bugnini, voluta e sancita da Paolo VI, ha pensato bene di correggere e sovvertire, nell’ottica d’una visione democratica, giacobina ed egalitaria, la Parola del Signore deformandone la chiara volontà, espressa nella pericope di cui sopra, con “ sparso per tutti”.
L’equivoco conciliare sta tutto nell’aver confuso e fuso, consapevolmente - ché il Coetus Internationalis Patrum lo aveva denunciato – le esigenze spirituali e materiali dell’ “uomo” in quanto tale con le richieste del “mondo”. Nel primo caso, quando Gesù sfama le folle o perdona i peccatori agisce sull’uomo e lo soccorre, mentre quando si trova a confronto col mondo – vedi le tentazioni postquaresimali o la presenza muta davanti ad Erode - o parla in quanto Dio, e sempre in quanto Dio tace e non risponde ed ignora. Insomma: capovolgendo l’eterna verità secondo cui gli uomini e i tempi son finalizzati a Cristo e alla sua parusìa, abbiamo, nell’evoluzione conciliare vaticanoseconda, il ribaltamento del rapporto e, cioè, Cristo adeguato e finalizzato all’uomo e al tempo.
“Fare un cammino insieme”, “incontrarsi”, questi i fondamenti della nuova pastorale e della nuova visione missionaria. Questo tanto battere sul tema dell’incontro, sul camminare insieme, sull’accoglienza, sulla solidarietà, sulla condivisione, termini assurti a centri di interesse, fan pensare a quel tipico rituale massonico che è il “tour des compagnons”, pellegrinaggio illuminista, cammino solidale.
Continuiamo la lettura dell’epistola papale.
Sviluppando la sua risposta, papa Bergoglio accenna a una doglianza dello Scalfari con la quale costui lamenta l’assenza, nell’enciclica papale, dell’esperienza storica di Gesù di Nazareth. Il pontefice, pur ritenendo non secondario questo appunto, evita di entrare nel vivo della questione “Cristo storico/Cristo della fede” quando avrebbe potuto dire, chiaro e netto, che questa distinzione è priva di fondamento in quanto tràttasi della stessa Persona, la seconda della S. S. Trinità, uomo/Dio, senza infilarsi in ricognizioni tangenziali e sfumate. E si ingolfa, davvero, così facilmente da affermare, con l’escussione d’un termine greco – exousìa – non consentaneo a quanto gli raccorda, che “Gesù, colpisce, spiazza, innova a partire – Egli stesso lo dice – dal suorapporto con Dio chiamato familiarmente Abbà”.
Ora è vero che, sulla Croce, Gesù invoca il Padre quando, prossimo alla morte, e-sclama: “Nelle tue mani, Padre, affido lo spirito mio” ( Lc. 23,46 ) ma non è da intendere, tale invocazione, come espressiva di una estraneità subalterna quale si ha nel rapporto uomo/Dio, per cui dèsta serio allarme questo modo di intendere la relazione trinitaria. Già il cardinal Ratzinger aveva titolato un suo libro di meditazioni trinitarie “Il Dio di Gesù Cristo” - ed. Queriniana 2006 – con l’esito di sollevare soffocate perplessità presso le sacre stanze e forte critica negli ambienti sanamente tradizionisti. Il Dio di Gesù? Ma non è, Cristo Signore, Dio stesso? Ambiguità elevata a sistema, direbbe Th. Mann, né più né meno di taluni sacerdoti che, nelle omelìe, scodellano a pie’ sospinto: “Questo nostro Dio”, “questo Dio misericordioso” quasi a far intende-re esserci altre divinità antagoniste, colpevolmente ignari che il Salmo ( 95, 5 ) ben chiaramente recita “Tutti gli idoli dei pagani sono demonii”, colpevolmente ignari ancora che il Signore stesso, per mano del sacro scriba, ammonisce : “ Sappi oggi e conserva bene nel tuo cuore che il Signore è Dio lassù nei cieli e quaggiù sulla terra; e non ve n’è altro” ( Dt. 4, 39 ).
A Scalfari bastava replicare: “ Egregio dottore, la sua doglianza è infondata poiché la Chiesa insegna che i due Gesù che ella ipotizza, sono la stessa Santa Persona”. Si stia attenti, perciò alle parole e ai nomi, se è vero che essi sono “consequentia rerum” ( Inst. Corpus Juris – 7,2,3) perché è facile scivolare nella banalizzazione del sacro così come è avvenuto, e perdura, con la presuntuosa adozione del verbo “animare” applicato alla Messa, quasi che Gesù sia un cadavere da far rivivere con canti festivalieri e schitarrati laddove, invece, è Lui che dà Vita, vera ed unica essendo, invece, la locuzione umile “servir Messa”.
Poco più sotto, papa Bergoglio si ripete, concedendo un bis, col dire che “Gesù resta fedele a Dio sino alla fine”. Da siffatta espressione noi crediamo che il semplice fedele rischi di trarre la convinzione che il Gesù che resta fedele a Dio sia un uomo che persiste eroicamente sino alla fine. E si diluisce, con ciò, il dogma dell’unione ipostatica la cui conseguenza è la cosiddetta “pericoresi” ( danzare intorno ) o “circuminsessione” secondo cui la divinità di Cristo trascende in modo infinito la sua umanità. “Il fondamento ontologico di questa è, nella Trinità, l’unità della natura; in Cristo, l’unità della persona” ( B: Bartmann: Teologia dogmatica – Ed. Paoline 1958, pag. 594 ).
Altre interpretazioni sono eretiche.
Tralasciando altre punti della epistola papale, che andrebbero spiegati ma che l’economìa dello studio non ci permette di dilatare troppo, andremo, nella prossima ed ultima trancia di questa ricognizione, ad indagare su tre problematiche: il rapporto potere divino/ potere civile, l’ebraismo e la promessa di Dio, ed, infine, il tema della coscienza umana intesa quale stella polare dell’agire umano ( solipsismo).
http://www.unavox.it/ArtDiversi/DIV608_L.P._Caro_Francesco_2.html
Infatti, nell’accenno ai contrasti – fisiologici, prevedibili e necessarii –Chiesa/Mondo, egli attribuisce salomonicamente tanto all’una che all’altro, la responsabilità di aver costruito l’ “incomunicabilità”. La Chiesa, cioè, si assume un concorso di colpa per aver chiuso la porta al mondo e di avergli negato il messaggio, la Chiesa ammette di non esser stata capace di annunciare, fino ad oggi, il Vangelo di Cristo anzi, si confessa rea di ostilità comunicativa, di embargo catechetico.
E’ evidente a tutti, “lippis et tonsoribus” (Orazio - Sat.1,7 ), quanto questa infondata, maldestra e autolesionistica affermazione contrasti innanzitutto con la storia la quale mostra come le missioni siano state comunicazione e annuncio continuo del Vangelo ma, soprattutto, si oppone all’idea che Cristo ebbe/ha del mondo, quel mondo che Egli aveva rifiutato qual dono di Satana (Mt. 4,8/10 ), quel mondo che Egli aveva combattuto e vinto, quel mondo che Lo vide nascere ma non Lo volle riconoscere, quel mondo di cui il cristiano è realtà vivente ma non parte posseduta, cioè, nel mondo ma non del mondo (Gv. cap. 15/16/17).
Ma ciò che deprime e mortifica è una certa moda, diventata costume e dottrina diffusa che, con sfrontatezza e disinvoltura non priva di adulatrice codardìa smaltata da galateo e spacciata per ossequioso “rispetto” delle altrui idee, pare non possa fare a meno di identificare la Chiesa come una società connotata da soli errori e da sbagli.
Parlar male della propria Santa Madre è, oggi, uno sport che non appartiene più ai laici, ai razionalisti, agli atei, agli gnostici, ai teologi spretati – Odifreddi, Dawkins, Onfray, Mancuso, Augias, Cacciari, Brown, Gennari… – che, si sa, fanno il loro sporco gioco, ma viene praticato in grande stile e passione da prelati, da sacerdoti, da esegeti ed ora, in termini caramellosi, anche dai papi - non dimenticando di citare, infatti, le 7 famose e miserande “richieste di perdono” di GP II.
Le leggende nere, abbozzate in fine ‘700 dai libertini e dai philosophes e definite in pieno positivismo, su fatti artatamente distorti e propalati con ogni mezzo, sono state assimilate e fatte vere dalla stessa pavida comunità cattolica, invischiata nel pecioso “spirito del tempo” realizzandosi, così, l’auspicio del settario massone/illuminato Nubius il quale previde che, inserendo a mo’ di cavalli di Troia, e lentamente, nel Corpo della Chiesa elementi liberali – seminaristi, preti, vescovi, diplomatici e giornalisti - la stessa Chiesa, anzi gli uomini di Chiesa, la Curia cioè, si sarebbero parimenti corrotti concorrendo alla disfatta della divina istituzione, che tuttavia non avverrà dacché “portae inferi non praevalebunt”. ( Chi volesse accertarsi dell’esito positivo di questa strategìa, consulti l’opuscolo “Chi è don Luigi Villa” ed. Civiltà Bre-scia – dove, a pp. 41/42 vengon riportate lettere di Mons. Francesco Marchisano al maestro venerabile di Palazzo Giustiniani, nelle quali si fa promessa di sovvertire l’ordine degli studii dei seminarii e la corruzione dei novelli sacerdoti ).
C’è bisogno allora, Santità, per carpire le grazie e il consenso del sig. Scalfari, confessare le colpe “della Chiesa”?
Perché non illustrare i meriti: i luminosi esempi dei santi, e tutto quello straordinario complesso che porta il nome di “civiltà cristiano/cattolica”?
Ci si dimentica forse che, rivoluzionando una cultura pagana, nel Vangelo l’uomo, ogni singolo uomo, è stato elevato al rango di figlio di Dio, senza distinzioni sociali ? Ci si dimentica della grande mèsse di martiri, della cultura patristica, del monachesimo benedettino e dei suoi interventi culturali (letteratura, poesìa) – ah ! … c’è qualcuno che ancora parla e si delizia di cultura araba ecc… – delle cattedrali, dell’istituzioni ospedaliere, delle scuole, delle università, della costituzione del diritto privato, commerciale e marittimo, della scienza (medicina, matematica, astronomìa, botanica, farmacopea, ingegnerìa ), dell’arte, degli istituti e dei banchi di carità, degli orfanotrofii, delle missioni, prodotti esclusivi della Chiesa cattolica? ( cfr. Th. E. Woods jr – Come la Chiesa cattolica ha costruito la civiltà occidentale – ed. Cantagalli 2007 ).
C’è, quindi, uno scenario portentoso di cui soltanto la Santa Chiesa, e i suoi uomini, possono menar vanto. Ma no! quando si parla con il miscredente – Scalfari autodefinitosi “non credente da molti anni” è un miscredente “gloriosus” e pieno di sé – si sparla del Corpo di Cristo, ché tale è la Chiesa per definizione (Col. 1, 18) il cui Capo è, appunto, Cristo Signore nel quale tutto si ricapitola (Ef. 1,3/10 ).
E’ mai possibile, ci domandiamo allora, che per farsi accettare dall’ateo sia necessario offrirgli, in avvìo di “dialogo”, materia e argomenti, peraltro falsi, per facilitargli l’arrembaggio e porsi su un livello di superiorità?
Sono 50 anni che si declama questo miracolistico dialogo, ma i risultati? Eccoli: desertificazione dei confessionali, relativismo etico crescente, indifferentismo, spettacolarizzazione del rito, apostasìa, edonismo, eresìa.
E come non capire poi che, con siffatta retorica, vien sottilmente messa sotto accusa la Chiesa preconciliare?
Ma stiamo attenti, Santità: a noi risulta, in maniera documentata, che i tristi e squallidi fenomeni della pedofilìa – il peccato bollato con parole di fuoco da Nostro Signore - le ruberìe, gli innumerevoli abbandoni vocazionali, le ribellioni, la smaccata acclarata militanza massonica di prelati e sacerdoti, le nuove chiese/capannoni, l’anamorfica e mostruosa iconografìa dissacrante, la pochezza e la sciatteria omiletica, la mondanità dei preti in calzoncini e sandali, le derive dottrinarie, ad es., dei gesuiti John Paul Godges e James Martin (cfr.Ignatian New Network ) sul tema attuale dell’omosessualità, siano la carta di identità di questa Chiesa postconciliare.
L’ultimo santo, ci permettiamo di affermare, è San Pio da Pietrelcina perché non idem si dica, ad es. di Teresa da Calcutta – absit injuria verbis - colei che s’è umilmente vantata di non aver mai battezzato un bambino morente preferendo che questi rimanesse, fino alla fine, o buon musulmano, o buon induista, o buon buddista, o un buon animista.
Così come non crediamo – e ci assumiamo la responsabilità di quanto scriviamo – alla santità del prossimo canonizzato, papa Giovanni XXIII, persecutore di quel San Padre Pio, convinto assertore della bontà della massoneria (cfr. G. Galeazzi/F. Pinotti – Vaticano Massone – ed. Piemme 2013 pag. 338) e della legittimità d’ogni confessione cristiana non/cattolica, così come non accettiamo il metodo industriale del “santo sùbito” messo in atto per GP II inventore di Assisi ’86 - l’accolta del sincretismo e la legittimazione del peccato contro il primo comandamento - e deferente interprete del bacio al corano.
Questa è la Chiesa postconciliare, anzi, questi sono gli uomini della Chiesa, così come erano, talvolta, quelli dell’antica. Perché sono gli uomini della Chiesa che sbagliano in quanto Essa è Santa perché tre volte Santo è il suo Fondatore, ragion per cui star a menar le mani contro di Essa non è esercizio di che si possa portar gloria. Anzi, ci fa male e soprattutto accoglie falsità spacciate per verità.
Come vede, Santità, sono comuni nozioni di semplice apologetica, di Storia della Chiesa e di Catechismo.
Uno dei temi più cari a papa Bergoglio, mutuato dalla teologia postconciliare e ribadito più volte da Benedetto XVI, è quello dell’ “incontro”. Si sostiene che la conversione sia l’incontro che si fa con il Signore, andando e camminando. Ma andando e camminando dove e con chi ? Tale novità, che ben si addice alla dialettica antropologica e che da questa riceve tutta la sua particolare attrattiva, oggi, così come altri termini dei quali è noto l’état d’esprit – vedi: accoglienza, solidarietà, condivisione -, è del tutto estraneo da ciò che, fino a qualche anno fa, si predicava e si scriveva in termini di vocazione.
Papa Bergoglio confessa a Scalfari che la “fede, per me, è nata dall’incontro con Ge-sù. Un incontro personale, che ha toccato il mio cuore e ha dato un indirizzo e un senso alla mia esistenza”. Un incontro, quasi che tutto sia accaduto casualmente nel mentre Jorge Mario Bergoglio se ne andava alla cerca della propria identità. Incontra Gesù, e così semplicemente, ce lo riferisce.
Ma c’è qualcosa che non fila in questa ricognizione papale perché, memori di ben altro, siamo andati a sfogliare le sacre carte laddove, precisamente in Gv. 15, 19 , Gesù testualmente – durante il discorso sacerdotale del suo ultimo giovedì, a mensa con gli apostoli – fa presente, e chiaramente assai, ai suoi discepoli . “Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; poiché invece non siete del mondo, ma IO vi ho scelti dal mondo, per questo il mondo vi odia”.
Ecco, allora, che ben altra era la verità che papa Bergoglio doveva annunziare a Scalfari, quella secondo cui, premessa una personale interiore ricerca – non necessaria tuttavia se ben ricordiamo come Saulo diventa Paolo - è lo Spirito che, soffiando dove e quando vuole ( Gv. 3,8 ), decide chi e come e quando eleggere, e non per casuale incontro, ma per sua volontà, e non tutti, poi, se è vero quando afferma che: “ Molti sono chiamati, ma pochi eletti” ( Mt. 22,14 ). E non dirà, nel momento dell’istituzione Eucaristica, quando indica nel vino il Suo Sangue: “ Questo è il mio Sangue versato per molti” ? ( Mt. 26,28 ). La liturgia del massone mons. Annibale Bugnini, voluta e sancita da Paolo VI, ha pensato bene di correggere e sovvertire, nell’ottica d’una visione democratica, giacobina ed egalitaria, la Parola del Signore deformandone la chiara volontà, espressa nella pericope di cui sopra, con “ sparso per tutti”.
L’equivoco conciliare sta tutto nell’aver confuso e fuso, consapevolmente - ché il Coetus Internationalis Patrum lo aveva denunciato – le esigenze spirituali e materiali dell’ “uomo” in quanto tale con le richieste del “mondo”. Nel primo caso, quando Gesù sfama le folle o perdona i peccatori agisce sull’uomo e lo soccorre, mentre quando si trova a confronto col mondo – vedi le tentazioni postquaresimali o la presenza muta davanti ad Erode - o parla in quanto Dio, e sempre in quanto Dio tace e non risponde ed ignora. Insomma: capovolgendo l’eterna verità secondo cui gli uomini e i tempi son finalizzati a Cristo e alla sua parusìa, abbiamo, nell’evoluzione conciliare vaticanoseconda, il ribaltamento del rapporto e, cioè, Cristo adeguato e finalizzato all’uomo e al tempo.
“Fare un cammino insieme”, “incontrarsi”, questi i fondamenti della nuova pastorale e della nuova visione missionaria. Questo tanto battere sul tema dell’incontro, sul camminare insieme, sull’accoglienza, sulla solidarietà, sulla condivisione, termini assurti a centri di interesse, fan pensare a quel tipico rituale massonico che è il “tour des compagnons”, pellegrinaggio illuminista, cammino solidale.
Continuiamo la lettura dell’epistola papale.
Sviluppando la sua risposta, papa Bergoglio accenna a una doglianza dello Scalfari con la quale costui lamenta l’assenza, nell’enciclica papale, dell’esperienza storica di Gesù di Nazareth. Il pontefice, pur ritenendo non secondario questo appunto, evita di entrare nel vivo della questione “Cristo storico/Cristo della fede” quando avrebbe potuto dire, chiaro e netto, che questa distinzione è priva di fondamento in quanto tràttasi della stessa Persona, la seconda della S. S. Trinità, uomo/Dio, senza infilarsi in ricognizioni tangenziali e sfumate. E si ingolfa, davvero, così facilmente da affermare, con l’escussione d’un termine greco – exousìa – non consentaneo a quanto gli raccorda, che “Gesù, colpisce, spiazza, innova a partire – Egli stesso lo dice – dal suorapporto con Dio chiamato familiarmente Abbà”.
Ora è vero che, sulla Croce, Gesù invoca il Padre quando, prossimo alla morte, e-sclama: “Nelle tue mani, Padre, affido lo spirito mio” ( Lc. 23,46 ) ma non è da intendere, tale invocazione, come espressiva di una estraneità subalterna quale si ha nel rapporto uomo/Dio, per cui dèsta serio allarme questo modo di intendere la relazione trinitaria. Già il cardinal Ratzinger aveva titolato un suo libro di meditazioni trinitarie “Il Dio di Gesù Cristo” - ed. Queriniana 2006 – con l’esito di sollevare soffocate perplessità presso le sacre stanze e forte critica negli ambienti sanamente tradizionisti. Il Dio di Gesù? Ma non è, Cristo Signore, Dio stesso? Ambiguità elevata a sistema, direbbe Th. Mann, né più né meno di taluni sacerdoti che, nelle omelìe, scodellano a pie’ sospinto: “Questo nostro Dio”, “questo Dio misericordioso” quasi a far intende-re esserci altre divinità antagoniste, colpevolmente ignari che il Salmo ( 95, 5 ) ben chiaramente recita “Tutti gli idoli dei pagani sono demonii”, colpevolmente ignari ancora che il Signore stesso, per mano del sacro scriba, ammonisce : “ Sappi oggi e conserva bene nel tuo cuore che il Signore è Dio lassù nei cieli e quaggiù sulla terra; e non ve n’è altro” ( Dt. 4, 39 ).
A Scalfari bastava replicare: “ Egregio dottore, la sua doglianza è infondata poiché la Chiesa insegna che i due Gesù che ella ipotizza, sono la stessa Santa Persona”. Si stia attenti, perciò alle parole e ai nomi, se è vero che essi sono “consequentia rerum” ( Inst. Corpus Juris – 7,2,3) perché è facile scivolare nella banalizzazione del sacro così come è avvenuto, e perdura, con la presuntuosa adozione del verbo “animare” applicato alla Messa, quasi che Gesù sia un cadavere da far rivivere con canti festivalieri e schitarrati laddove, invece, è Lui che dà Vita, vera ed unica essendo, invece, la locuzione umile “servir Messa”.
Poco più sotto, papa Bergoglio si ripete, concedendo un bis, col dire che “Gesù resta fedele a Dio sino alla fine”. Da siffatta espressione noi crediamo che il semplice fedele rischi di trarre la convinzione che il Gesù che resta fedele a Dio sia un uomo che persiste eroicamente sino alla fine. E si diluisce, con ciò, il dogma dell’unione ipostatica la cui conseguenza è la cosiddetta “pericoresi” ( danzare intorno ) o “circuminsessione” secondo cui la divinità di Cristo trascende in modo infinito la sua umanità. “Il fondamento ontologico di questa è, nella Trinità, l’unità della natura; in Cristo, l’unità della persona” ( B: Bartmann: Teologia dogmatica – Ed. Paoline 1958, pag. 594 ).
Altre interpretazioni sono eretiche.
Tralasciando altre punti della epistola papale, che andrebbero spiegati ma che l’economìa dello studio non ci permette di dilatare troppo, andremo, nella prossima ed ultima trancia di questa ricognizione, ad indagare su tre problematiche: il rapporto potere divino/ potere civile, l’ebraismo e la promessa di Dio, ed, infine, il tema della coscienza umana intesa quale stella polare dell’agire umano ( solipsismo).
di L. P.
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