LE INSIDIE DEGLI EQUIVOCI NEL DIALOGO COI NON CREDENTI
La grande confusione in cui vive la Società contemporanea,
priva di punti di riferimento che possano orientare le scelte in ogni settore,
e principalmente in quello etico e in quello politico (al primo strettamente
legato, se si vuole una politica al servizio dell’uomo), colpisce
inevitabilmente anche la Chiesa, sulla quale sappiamo che le porta degli inferi
non prevarranno, ma che tuttavia, essendo formata da uomini, e quindi da
peccatori, non sempre riesce ad esprimersi con quella ragionevolezza necessaria
affinché il suo messaggio non dia adito a mille equivoci.
La preoccupazione dell’apertura al mondo e del dialogo è
senza dubbio buona e giusta, naturalmente purché non si perdano di vista le
reali finalità di questo “dialogo” e purché non si scordi che la Chiesa
cattolica è da sempre aperta al mondo, proprio perché da Cristo ha ricevuto un
preciso ordine: “Andate per tutto il mondo, predicate il Vangelo a ogni
creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo; chi non crederà sarà
condannato” (Mc, 16, 15-16). Anzitutto quindi consideriamo questo punto fermo:
la missione che Cristo dà agli apostoli e quindi alla Sua Chiesa: la
conversione del mondo. “Chi non crederà sarà condannato”.
In quest’ottica di missionarietà, imprescindibile per la
Chiesa, il “dialogo” può allora avere solo un fine: l’annuncio della Verità –
che per sua natura e per esigenza della ragione non può che essere unica – e la
conseguente conversione del non credente, al fine della sua salvezza.
Ma la Verità non è un concetto astratto o un insieme di
regole. “ Io sono la Via, la Verità e la Vita; nessuno può venire al Padre mio
se non per me” (Gv, 14, 6). Custode della Verità fino al ritorno di Cristo alla
fine dei tempi è la Chiesa, da Cristo istituita e alla quale Cristo, stabilendo
il Primato di Pietro, consegna le chiavi del Regno dei Cieli (Mt, 16, 18-19).
Queste premesse ci rendono più chiara l’affermazione che
tutti noi conosciamo fin dal tempo in cui studiammo il Catechismo della Chiesa
Cattolica: “Fuori dalla Chiesa Cattolica Apostolica Romana nessuno può
salvarsi”.
Senza dubbio poi tra i “non credenti” (ma ciò accade anche
tra i credenti) si possono distinguere coloro che fanno opere buone dai
malvagi. Ma anche per i “non credenti” che vivono una vita onesta non può non
valere la parola di Cristo: “Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo; chi non
crederà sarà condannato”.
Inoltre dobbiamo considerare un fatto essenziale: realmente
il non credente può vivere una vita “onesta” non aderendo alla Verità, che non
è un concetto astratto, ma è incarnata nella Persona di Cristo? Stiamo attenti
al concetto di “onestà”, facilmente definibile in un moralismo vago,
inevitabilmente vago perché, se non ha un riferimento unico e preciso, Cristo e
quindi la Sua Chiesa, non potrà non cadere nel relativismo, perché ognuno
interrogherà la sua coscienza, ma la interrogherà solo in base ai suoi propri
criteri, venendo così a generare mille diverse “verità” dalle quali attingere
mille diverse definizioni di “onestà”.
La mia coscienza può suggerirmi di essere un cittadino
rispettoso delle leggi. Benissimo. E quando queste leggi contraddicono la legge
di Dio (ci basti, a titolo di esempio, la empia legge sull’aborto), se io, non
credente, ad essa non faccio costante riferimento, come potrò realmente vivere
rettamente?
Ma soprattutto come posso io, essere razionale, accettare
che possano esistere mille verità? È questa una palese contraddizione in
termini, del resto inevitabile perché la comune esperienza quotidiana ci mostra
come l’uomo, con le sole sue forze, non sia in grado di conoscere la Verità. Se
la frontiera della Verità è in continuo movimento, ciò che ne ricavo è solo un
profondo smarrimento, perché, per quanto mi sforzi, non riuscirò mai a
“costruire” un sistema di verità assoluta che possa saziare quel bisogno
razionale che, appunto, mi spinge a cercare la verità.
Le conseguenze: potrò vivere nel cinismo, potrò costruirmi
degli idoli (la “legalità” è il più diffuso) oppure potrò prendere la
rivoltella e puntarmela alla tempia, e tirare il grilletto.
Torniamo quindi a quanto dicevamo all’inizio. Possiamo
davvero constatare quanto grande sia la nostra responsabilità di fronte ai non
credenti, laddove per “nostra” intendiamo la responsabilità di ogni membro
della Chiesa, ma principalmente dei Pastori, che hanno ricevuto da Nostro
Signore il compito di guidare il gregge non per le facili vie del mondo, del
perbenismo e della popolarità, ma per la strada che conduce alla salvezza.
La Verità non è un concetto, ma è Cristo stesso. “Cos’è la
verità?” si chiede il tormentato Ponzio Pilato, ma non sa fare il passo in più,
e pensa di scaricarsi la coscienza lasciando il Figlio dell’Uomo in balia di
quanti lo vogliono morto, facendone una questione di “ordine pubblico”, per evitare
tumulti. L’Innominato sa fare il passo in più e tormentato dalla voce di Dio
che gli richiama l’enormità del male commesso, abbandona il suo orgoglio,
andando dal Cardinale. Quest’ultimo non lo invita a interrogare la sua
coscienza, la stessa che gli aveva permesso di vivere una vita criminale, ma lo
spinge a riconoscere, finalmente, la Verità che è fuori di lui, che lo
trascende e lo richiama. Allora, solo allora, quado l’Innominato apre
finalmente il suo cuore a Dio, la coscienza inizia a parlargli rettamente e lo
spinge a riparare ai crimini commessi e a operare per il Bene.
Due grandiose figure a confronto! L’Innominato, che fu
grande nella scelleratezza, ma che ha un bisogno insaziabile di Verità e quindi
di razionalità. Il Cardinale, che lo porta a Dio proprio perché sollecita la
sua razionalità, invitandolo a riconoscere la voce di Dio in quel richiamo che
lo tormenta. Il Cardinale non parte dal discorso moralistico, parte dalla
constatazione della realtà, e il suo poderoso e malvagio interlocutore si
converte perché trova finalmente risposta al suo tormento facendo l’unico atto
razionale possibile: aprire il cuore alla Verità.
Cosa può essere allora la “voce della coscienza” se non la
Voce di Dio che parla al nostro cuore? Ma come può parlare al nostro cuore, se
anzitutto non aderiamo alla Verità, ossia a Cristo e alla Sua Chiesa? Non
possiamo invertire i tempi, richiamare la coscienza, in attesa che questa ci
porti, per chissà quali strade, alla Verità. Restando all’esempio che ci è
caro, l’Innominato non si ritira in meditazione ed elucubrazioni, ma parte dal
suo castello per recarsi laddove ha intuito che c’è la risposta al suo
tormento: dal Cardinale, dal Pastore che ha il compito di portare il gregge
alla salvezza.
Ho fatto queste riflessioni, né certo mi voglio definire
teologo, perché sempre più avverto anche negli uomini di Chiesa quel fumo della
irragionevolezza che fa perdere gli itinerari giusti per arrivare alla nostra
meta essenziale, la salvezza. Troppo spesso si propone un discorso moralista,
vagamente buonista, forse nel timore di non risultare “sgraditi” al mondo. Ma
questo approccio non porta a nulla e questo lo capisce anche un modesto
peccatore come chi scrive, perché basta tenere a mente le parole di Nostro
Signore e l’insegnamento del Catechismo della Chiesa cattolica: “Fuori dalla
Chiesa Cattolica Apostolica Romana nessuno può salvarsi”. Chi si converte, solo
chi si converte e si mantiene nella Fede grazie ai Sacramenti della Confessione
e dell’Eucarestia può ragionevolmente interrogare la sua coscienza.
Se non accettiamo questo assunto possiamo allora pensare, e
Dio ci scampi da tali pensieri, che il Vangelo e lo stesso sacrificio di Nostro
Signore Gesù Cristo siano, fondamentalmente, degli “optional” sulla via della
salvezza.
di Paolo Deotto
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