Dalla Lettera di Bergoglio a Scalfari: “… la
questione per chi non crede in Dio sta nell’obbedire alla propria
coscienza. Il peccato, anche per chi non ha la fede, c’è quando si va
contro la coscienza. Ascoltare e obbedire ad essa significa, infatti,
decidersi di fronte a ciò che viene percepito come bene o come male. E
su questa decisione si gioca la bontà o la malvagità del nostro agire.”
Occorre premettere che ogni albero produce i frutti suoi propri e che la Dichiarazione conciliare Dignitatis Humanae sia
appunto l’albero dal quale oggi possiamo raccogliere i frutti di
cotanto personalismo laicizzante. Questo per evidenziare come Josè Maria
Bergoglio non stia facendo altro che portare avanti la rivoluzione
promulgata nel 1965. Veniamo agli interrogativi che questa vicenda ha
sollevato, per poi tornare a riflettere sull’ albero. La
giustezza delle azioni viene creata ogni volta dalla “coscienza” e solo
se si conforma ad essa è tale? Cosa è davvero la coscienza retta? La
coscienza retta è tale perché si regge da sè o perché è retta proprio
dal suo “essere CUM” (co-scienza)?
Nel commento del Dragone al Catechismo di San Pio X si ribadisce che:
“Per
aversi peccato mortale occorre la “piena avvertenza” ossìa che chi pecca
avverta pienamente la malizia del suo atto … L’uomo è responsabile dei
suoi atti solo se li compie coscientemente e con volontà … il peccato è
un atto cattivo contrario alla Legge di Dio, fatto da chi ne conosce la
malizia e lo commette egualmente … gli atti cattivi in se stessi, ma
compiuti senza sapere che sono tali, o non voluti liberamente, non sono
peccato. Sono peccati materiali, cioè in quanto contrari alla Legge di
Dio, ma non formali, cioé imputabili a chi li compie…”.
Non
essendo ora rilevanti i casi di pazzìa che ovviamente escludono la
malizia, occorre chiedersi se l’aver scelto di recedere dal
cristianesimo possa diventare addirittura una esimente per i peccati che
si commetteranno.
Occorre
quindi chiedersi se ad una persona come Eugenio Scalfari, per
esperienza, cultura ed intelligenza e per essere vissuto tutta la vita
in un Paese che ogni 50 metri presenta chiese e cattedrali, intriso di
storie e tradizioni di santi, luogo dove esiste addirittura il papato,
possa riferirsi il caso limite dell’ ignoranza invincibile, come se il
Megadirettore e Papa del Laicismo fosse uguale a quell’aborigeno di
mondi lontanissimi che pur si salva vivendo bene ed amando in modo
sovrannaturale Dio remuneratore, col desiderio di battezzarsi.
No, basti
dire che quell’aborigeno che rispetta la Legge Naturale scritta nella
sua coscienza, appartiene al Corpo Mistico della Chiesa avendo il
desiderio del battesimo e la fede in Dio remuneratore, mentre chi è
battezzato in acqua e poi RIFIUTA la fede conosciuta o facilmente
conoscibile e i sacramenti di cui avrebbe DIRITTO, cade in una
condizione di disgrazia e di apostasìa, ove pubblicamente professasse il
proprio ateismo.
Qualcuno
potrebbe eccepire che un atto malvagio potrebbe essere non considerato
più tale da una psiche ormai ateizzata, ma questo toglierebbe il libero
arbitrio del soggetto ed andrebbe contro la Rivelazione per cui “Senza la fede è impossibile piacere a Dio” (Eb XI, 6).
La consapevolezza che Dio dà a TUTTI le grazie attuali per potersi salvare è certezza di Fede come insegna Sant’Alfonso Maria de Liguori da Breve dottrina cristiana: ” Iddio vuole salvi tutti: Omnes homines vult salvos fieri. 1 Tim. 2.
4. E vuol dare a tutti l’aiuto necessario per salvarsi; ma non lo
concede se non a coloro che lo dimandano, come scrive S. Agostino: Non dat nisi petentibus.
In Psalm. 100. Ond’è sentenza comune de’ Teologi e Santi Padri, che la
Preghiera agli Adulti è necessaria di necessità di mezzo, viene a dire,
che chi non prega, e trascura di dimandare a Dio gli aiuti opportuni per
vincere le tentazioni, e conservare la grazia ricevuta, non può
salvarsi.”
Appare chiaro come lo stesso Vescovo di Ippona ribadisse in tal senso: “Dio, che ti ha creato senza di te, non può salvarti senza di te [Sant'Agostino, Sermo CLXIX, 13], a voler significare che occorre CORRISPONDERE alle grazie attuali che Dio ci elargisce.
Ho voluto
porre l’accento sull’aspetto della coscienza umana anche nella materia
sacramentale. Per quanto concerne la prima condizione del sacramento
della Confessione e, cioé, quella dell’Esame di Coscienza il Dragone
chiarisce come: “… il peccato è la libera e cosciente trasgressione
della Legge di Dio in qualche cosa di comandato o di proibito … per
ricordare i peccati da confessare dobbiamo perciò richiamare alla mente
la Legge di Dio espressa nel Decalogo, nei Precetti della Chiesa e
negli obblighi del proprio stato…”.
Coscienza
retta è pertanto CUM-SCIENTIA, ossìa adesione alla Verità, non invece
mera “coscienza psichica”. Ora dunque, se occorre esaminare la nostra
coscienza appare chiaro come essa non sia uno specchio che si
autogiustifica, dovendo avere dei “parametri” di rettitudine che sono
evidentemente POSTI non dall’arbitrio cangiante del qualunque soggetto.
Pertanto il CONOSCERE che quel dato atto è peccato, come può scusare
davanti a Dio se la propria psiche (sana e in condizione di poter e
dover conoscere che è peccato) si rifiuta di detestarlo?
Torniamo
adesso a considerare ciò che ho accennato all’inizio e cioé l’albero,
dal quale i frutti del personalismo laicizzante provengono.
Al termine della Dichiarazione Dignitatis Humanae sulla libertà religiosa, infatti, si legge: “Tutte e singole le cose stabilite in questo Decreto sono piaciute ai Padri del Sacro Concilio. E Noi, in virtù della potestà Apostolica conferitaci da Cristo, unitamente ai Venerabili Padri, nello Spirito Santo le
approviamo, le decretiamo e le stabiliamo; e quanto stato così
sinodalmente deciso, comandiamo che sia promulgato a gloria di Dio“.
Appare
chiarissimo come, al di là delle ricorrenti polemiche sulla mera
pastoralità del CVII, tale documento si presenti come insegnamento
vincolante, retto dalla Rivelazione su materia connessa alla Fede. J.M.
Bergoglio non fa altro che applicare in concreto i principii di DH .
In verticale antitesi Leone XIII nella Immortale Dei: “Poiché
si afferma che il popolo contiene in se stesso a sorgente di ogni
diritto e di ogni potere, di conseguenza la comunità non si riterrà
vincolata ad alcun dovere verso Dio; non professerà pubblicamente alcuna
religione; non vorrà privilegiarne una, ma riconoscerà alle varie
confessioni uguali diritti affinché l’ordine pubblico non venga
turbato. Coerentemente, si
permetterà al singolo di giudicare secondo coscienza su ogni questione
religiosa; a ciascuno sarà lecito seguire la religione che preferisce, o
anche nessuna, se nessuna gli aggrada. Di qui nascono dunque libertà di
coscienza per chiunque, libertà di culto, illimitata libertà di
pensiero e di stampa. Posti
a fondamento dello Stato questi principi, che tanto favore godono ai
giorni nostri, si comprende facilmente in quali e quanto inique
condizioni venga costretta la Chiesa….L’intelletto e la volontà che
aderiscono all’errore e al male DECADONO dalla loro dignità nativa e si
corrompono”
Arai Daniele in “L’eclisse del pensiero cattolico” opportunamente commenta: “L’insegnamento
tradizionale parte dal primato della verità in rapporto alla libertà …
la DH riconosce il diritto esterno, di ogni uomo, alla libertà religiosa
come diritto inalienabile della persona …
Se la scelta della religione e della morale fosse un diritto, chiunque
dica che “Extra Ecclesia nulla Salus” dovrebbe essere messo al bando e
Dio stesso che punisce l’ateo e il peccatore, sarebbe dunque un tiranno
dal quale liberarsi.” Pertanto lo si trasforma da “tiranno
preconciliare” in “buonista” e “permissivo”, in modo da salvare la falsa
libertà religiosa o la falsa coscienza degli atei militanti.
La Dichiarazione DH può
essere considerata a buon titolo “figlia di Maritain”, con la
conseguenza che lo stesso Bergoglio si ritrova ad essere a sua volta
“Nipote di Maritain”. Don Curzio Nitoglia nei suoi studi filosofici
ricorda come Julio Meinvielle accusò il filosofo Maritain di aver dato
un valore assoluto alla persona umana, scindendola in “uomo
individuo” (sottomesso allo Stato) ed “uomo persona” (superiore allo
Stato), ma quello dello Stato è fenomeno politico, di unione di più
persone in vista di un fine (agire), non metafisico e pertanto i
rapporti tra cittadino e Stato si risolvono nella filosofìa morale che è
scienza pratica e non dalla metafisica. Maritain mette in opposizione
individuo e persona e quindi Stato e persona laddove il tomismo
armonizza i rapporti nella subordinazione dell’inferiore al superiore,
della parte al tutto.
Gli
equivoci filosofici del personalismo laicizzante risiedono proprio
dall’aver abbandonato la concezione della DIGNITA’ UMANA propria del
tomismo che differenzia la DIGNITA’ MORALE dalla DIGNITA’ ONTOLOGICA:
Per San
Tommaso d’Aquino (II II, 64,2) l’uomo giunge alla sua “dignità morale
prossima o totale” SOLO se agisce in conformità al suo fine. La dignità
piena è data dall’agire umano e cioè di conoscere il vero per amare e praticare il bene.
Pertanto gli atti cattivi privano l’uomo della sua dignità totale o
piena, rendendolo peccatore e quindi facendolo decadere dalla dignità
umana, per cui “un uomo cattivo è peggiore di una bestia”.
La “dignità ontologica o radicale” viene invece dal fatto di sussistere in una natura razionale e qualsiasi uomo la possiede:
tutti gli uomini in questo sono uguali e tale dignità è inscindibile da
essi né può essere perduta, in quanto Dio infonde ad ogni uomo l’anima
razionale.
La dignità appartiene alla natura in primo luogo e poi alla singola persona e pertanto bisognerebbe parlare non della “dignità della persona umana” ma di quella della natura umana in cui sussiste la persona. La persona non ha un dignità assoluta essendo la stessa relativa alla natura umana e non una qualità del soggetto.
Allora
il diritto di agire si fonda non sulla dignità radicale della natura
umana, ma dalla dignità totale con la conseguenza che non esiste alcun
“diritto” di professare l’errore fondato sulla “dignità della persona”
che in realtà ha smarrito la sua dignità totale.
La
Rivoluzione insegna che: G.S. 22 “Cristo svela l’uomo all’uomo”. Gesù
più che redimere, avrebbe semplicemente ricordato agli uomini quanto
essi siano degni.
Lettera alle famiglie di GP2: “Con
l’incarnazione il Figlio di Dio si è unito in un certo modo ad ogni
uomo….la persona non può mai essere un mezzo ma solo IL FINE di ogni
atto.” Le conseguenze sono tutte riscontrabili negli equivoci
sulla coscienza retta confusa con la mera coscienza psichica
autoredentrice.
Giovanni Paolo II in Amore e responsabilità: “ Nessuno
ha diritto di servirsi della persona, neppure Dio suo creatore … Egli
le ha conferito i poteri di assegnarsi da sola i fini dell’esistenza”.
Le
conseguenze o i frutti sono leggibili nella Lettera di Bergoglio a
Scalfari e negli equivoci di un personalismo laicizzante, foriero di
confusione dottrinale.
Anche se
spesso le conclusioni possono ancora ritenersi conformi alla fede e alla
morale, come avviene nella bioetica, è il “procedimento” logico ad
essere mutato. La contraccezione ad esempio viene certo condannata, in
quanto escluderebbe il dono sincero e totale di sè tra gli sposi, ma non
più come pratica contraria alla natura e al fine primario del
matrimonio. Si passa così da un punto fermo ed oggettivo e cioè la
natura, ad uno psicologico e soggettivo, traballante: la mancanza del
dono di sè potrebbe verificarsi anche in un atto aperto alla
procreazione, laddove il trasporto emotivo e totale vi potrebbe essere
anche al di fuori del matrimonio.
Ancora G.S. 24: “L’uomo, il quale sulla terra è la sola creatura che Dio abbia voluto per se stessa”.
La Rivelazione insegna invece che: “Il Signore ha operato tutte le cose per se stesso” (Proverbi 16,4) e Sant’Ignazio nei suoi Esercizi Spirituali, come poi il Catechismo di San Pio X insegnano, che l’uomo è creato per conoscere, amare, lodare e servire Dio e mediante questo salvare la sua anima.
Del resto
fummo avvisati … “Cose spaventose e strane sono successe in terra: i
profeti profetavano menzogne e i sacerdoti li applaudivano con le loro
mani; e il mio popolo ha amato queste cose. Che castigo non seguirà
tutto questo?” (Geremia 5, 30-31).
Pietro Ferrari
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