Storia del Papa filonormanno che contrastò l'Impero di Federico Barbarossa Nella seconda metà dell’XI secolo, la riforma gregoriana focalizzò l’attenzione della Cristianità sulla visione del mondo della Chiesa romana: nel 1079, con la bolla Libertas Ecclesiae, Gregorio VII stabilì che la tiara pontificia non dovesse assolutamente sottostare a qualunque tipo di ingerenza o, soprattutto, dipendenza dalla corona imperiale o da altri poteri laici.
Del resto, dai tempi della renovatio ottoniana del X secolo, l’elezione del papa era stata soggetta all’approvazione dell’imperatore in carica; solo con i provvedimenti presi da Niccolò II nel 1059, che frenò, con il Decretum in electione papae, le eventuali interferenze esterne al collegio cardinalizio circa le modalità di elezione del successore di Pietro, le cose iniziarono a mutare. La libertà della Chiesa dal giogo laico fu il principale argomento di un’intensa campagna propagandistica che affollò il dibattito giuridico e ideologico del mondo cristiano per circa sessant’anni. Con la conclusione della grande stagione riformista e della lotta per le investiture, i papi del XII secolo cercarono di consolidare le conquiste dei loro illustri ed energici predecessori, arrivando però in alcuni casi a scontrarsi nuovamente con l’autorità imperiale.
In questo clima si formò il senese Rolando Bandinelli che, dopo un intenso studio del diritto canonico a Bologna, prese i voti a Pisa. Pietro Paganelli, monaco cistercense suo amico, divenuto papa col nome di Eugenio III, non esitò a convocare il promettente Rolando a Roma, offrendogli la dignità cardinalizia. La sua ascesa fu molto rapida: divenuto cancelliere ebbe modo di manifestare sempre più apertamente l’idea della centralità romana e le sue simpatie per i Normanni di Sicilia, polemizzando al contempo contro il potere di Federico Barbarossa. Nel 1157, nel corso di una missione diplomatica aBesançon, a commento di una lettera di Adriano IV in cui si riprendeva severamente la condotta dell’imperatore, Rolando pronunciò una frase rimasta celebre: «A quo ergo habet, si a domno papa non habet, imperium?». Si ripropose così, nel modo più diretto possibile, lo scontro tra la corona e la tiara: il papa protesse il suo cancelliere e ne giustificò l’operato.
Adriano IV si spense il 1 settembre 1159 e la sua successione fu al centro dell’azione di due partiti: i filonormanni, capeggiati da Rolando, e i filoimperiali, coalizzati attorno al cardinaleOttaviano di Monticelli. L’elezione a larga maggioranza del primo non pose fine alla questione, tanto che i pochi cardinali a lui avversi, il giorno della sua intronizzazione il 7 settembre, decisero di contrastarlo nominando Ottaviano. Nel volgere di pochi giorni si ebbero così due papi, espressione ognuno di una propria visione del mondo.
A causa dell’ostilità della maggior parte delle nobili famiglie romane, Rolando fu costretto a chiudersi dapprima in Vaticano e poi in una torre trasteverina, fino alla liberazione da parte di Oddone Frangipane, l’unico nobile ad aver scelto di sostenere il legittimo pontefice. Ma a causa dei continui tumulti del popolo romano, che desiderava tornare a godere dello status di libero comune e che contemporaneamente appoggiava il cardinale filoimperiale, Rolando fu costretto a fuggire dalla città; consacrato a Ninfa dal vescovo di Ostia, scelse il nome di Alessandro III, mentre il suo avversario ricevette la tiara e il nome di Vittore IV nell’abbazia di Farfa, centro monastico da sempre vicino più alla politica germanica che al papato.
Sin da subito Alessandro fu risoluto nel voler risolvere lo scisma, inviando numerose lettere in tutta Europa, feroci nei confronti dell’imperatore, per attirare dalla sua parte vescovi e sovrani. Nel 1160, in virtù di un primo ampliamento del consenso, il papa rifiutò di partecipare a un concilio convocato a Pavia dal Barbarossa ribadendo, come a Besançon, la superiorità della Chiesa romana. Poiché l’esito dell’assemblea pavese si rivelò del tutto a favore di Vittore IV, Alessandro decise immediatamente di ricorrere all’arma più potente di cui poteva disporre: scomunicò repentinamente il suo avversario e, soprattutto, lo stesso Barbarossa. Dopo quasi un secolo un imperatore veniva ancora una volta escluso dalla comunità dei fedeli. Ma stavolta il pontefice in carica non si ritrovò isolato: grazie alla capillare opera diplomatica della sua cancelleria, aveva ottenuto il riconoscimento dell’elezione dai re di Francia, Inghilterra, Sicilia, Ungheria, Spagna, da Manuele I Comneno di Costantinopoli, dai comuni italiani (in primis Milano, Genova e Venezia) e dai potenti ordini dei Cistercensi e dei Certosini.
In questo modo, l’instancabile Alessandro poté tornare a Roma nel 1161, per poi recarsi a Genova e in Francia, ove convocò alcuni sinodi regionali allo scopo di rafforzare sempre di più il consenso di cui godeva. La lotta contro Federico Barbarossa del resto sembrava non voler finire: l’imperatore, risoluto nella sua scelta, riconfermò l’elezione di Vittore IV, alla cui morte, nel 1164, seguì la nomina di Guido da Crema (che prese il nome di Pasquale III). La spaccatura ideologica fu presto seguita dallo scontro armato: nel 1167 Barbarossa sconfisse l’esercito comunale romano a Monteporzio e si accampò nei pressi di Monte Mario, intenzionato a prendere il Vaticano; Alessandro fu nuovamente costretto ad abbandonare Roma, imbarcandosi alla volta del Regno di Sicilia.
L’incessante lavorio diplomatico ebbe però, anche in questo caso, dei frutti: il destino della Chiesa di Alessandro III si intrecciò con la lotta dei comuni lombardi contro l’imperatore. Alla figura del pontefice venne intitolata una nuova città, Alessandria, fondata da un’unione di liberi comuni in un territorio, il Monferrato, che manifestava da sempre simpatie per la corona imperiale. La clamorosa sconfitta dell’esercito germanico a Legnano nel 1176 portò, l’anno successivo, alla pace di Venezia: qui Alessandro ebbe modo di rivendicare (e far pesare) il suo ruolo su tutte le forze radunatesi nella città lagunare, fino ad ottenere una riconciliazione con Barbarossa e la fine dello scisma.
Grazie a questa enorme vittoria politica, spirituale e morale, con Alessandro l’ideale dellalibertas Ecclesiae finì per coincidere con quello, altrettanto significativo, della libertas Italiae. Per contrastare le continue minacce della “furia teutonica”, uno degli intellettuali più vicini al pontefice, Giovanni di Salisbury, aveva polemicamente scritto: «Chi sottopose la Chiesa universale al giudizio di una chiesa particolare? Chi costituì i teutoni giudici delle nazioni? Chi conferì a questi uomini, bruti e impetuosi, l’autorità di porre a loro arbitrio un principe sui capi dei figlioli degli uomini?». Il contrasto tra le due parti aveva assunto, nel tempo, dei caratteri di “nazionalismo”: i popoli della Penisola, uniti idealmente sotto l’attività di un papa determinato, capirono di essere qualcosa d’altro rispetto a stranieri capaci solo di portare disordine con le loro continue incursioni (retoricamente dipinte come barbariche).
La vittoria di Alessandro fu totale. Restava solo il problema di Roma: il comune romano preferì abbandonare tutte le aspirazioni libertarie e i magistrati locali riaccolsero in città l’anziano pontefice. La sua ultima azione fu grandiosa: la Sede petrina doveva tornare a manifestarsi consapevolmente come l’unico centro della Cristianità e a tal proposito Alessandro convocò per il 1179 un nuovo concilio in Laterano [di cui si parlerà più diffusamente nel prossimo articolo: Gregorio X, l’istituzione del Conclave], volto a consolidare il senso gregoriano della centralità di una Roma “prima sedes a nemine iudicatur”.
Nonostante tutto, Alessandro lasciò nuovamente la città a causa della creazione, da parte del popolo infedele, dell’antipapa Innocenzo III e finì i suoi giorni, “per vecchiaia e malattia”, il 30 agosto 1181 a Civita Castellana; il volgo romano, con cui il defunto pontefice non ebbe mai rapporti ottimali, accolse con sputi e pietre la bara che entrava nella Basilica del Laterano.
Davide Maria Del Gusto
È nato ad Avezzano il 31 ottobre 1991. Conseguita la maturità classica, nel 2010 si è iscritto al Corso di Laurea in Scienze Storiche dell’Università Europea di Roma, laureandosi con lode nel luglio del 2013 con una tesi in Storia Medievale dal titolo “Frontiera Abruzzo. Questioni di geopolitica medievale (V-XII secolo)”. Attualmente è iscritto al primo anno del Corso di Laurea Magistrale in Storia della Civiltà Cristiana presso il medesimo ateneo. I suoi interessi di studio riguardano la storia tardoantica, medievale e della prima modernità, nonché il contesto geopolitico mediterraneo e le relazioni tra l’uomo e lo spazio da lui insediato attraverso i secoli.
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