“Ne sono stato informato dai giornalisti: a loro è stato mandato il testo, a me no. In tutta la mia vita accademica una cosa simile non mi è mai accaduta”, ha detto in un’intervista a “La Stampa“.
E ancora: ” Se dei cardinali che sono i più vicini collaboratori del papa intervengono con questa modalità organizzata e pubblica, almeno per ciò che riguarda la storia più recente della Chiesa, siamo di fronte a una situazione inedita”.
Non solo. Nella stessa intervista Kasper si è fatto scudo – per la prima volta in forma così esplicita – dell’approvazione data da papa Francesco all’atto con cui egli ha aperto le ostilità: la relazione introduttiva al concistoro dello scorso febbraio, prova generale del prossimo sinodo sulla famiglia:
“Non ho proposto una soluzione definitiva, ma – dopo averlo concordato con il papa – ho fatto delle domande e offerto considerazioni per possibili risposte”.
Quel concistoro era coperto dal segreto, al quale tutti i cardinali presenti si sono attenuti. Tutti tranne lui, Kasper, che poche settimane dopo ha diffuso la sua relazione in forma di libro, con decisione già messa in atto prima ancora che “Il Foglio” pubblicasse la relazione in anteprima.
Era una relazione che rompeva di netto con il magistero dei due papi precedenti e rilanciava le tesi già sostenute dallo stesso Kasper oltre vent’anni fa – quando era vescovo di Rottemburg – in un duro scontro con Giovanni Paolo II e l’allora cardinale Joseph Ratzinger, finito con la sconfitta dello stesso Kasper ma non certo con la sua umiliazione, vista la sua successiva promozione a presidente del pontificio consiglio per l’unità dei cristiani e a cardinale.
Per cui non si vede quale sorpresa possa recare la reazione pubblica di cardinali insigniti della porpora da Giovanni Paolo II e da Benedetto XVI in difesa di una bimillenaria dottrina e prassi della Chiesa sostenuta con forza dai due papi e da loro, e ora messa in discussione.
In questi stessi giorni, tra l’altro, oltre ai cinque cardinali del libro in corso di stampa – il cui indice dettagliato era stato anticipato da www.chiesa già l’8 settembre – ne sono usciti allo scoperto altri tre, sempre contro le tesi di Kasper: l’arcivescovo di Milano Angelo Scola, il prefetto della congregazione per i vescovi Marc Ouellet e il titolare in curia della neonata segreteria per l’economia George Pell. I primi due in un numero speciale della rivista di teologia “Communio” e il terzo nella prefazione a un altro libro in uscita negli Stati Uniti e in Italia.
In una dichiarazione a RadioInBlu del 18 settembre, Kasper è tornato a indicare nella “misericordia” la chiave della sua proposta di superamento del divieto della comunione ai risposati:
“La misericordia, cuore del messaggio cristiano, è un tema centrale sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento. Molti santi hanno parlato della misericordia. Lo stesso papa Giovanni XXIII, all’inizio dei lavori conciliari, disse che la Chiesa deve adoperare i mezzi della severità, ma anche la medicina della misericordia”.
Ed è la misericordia l’oggetto del suo ultimo saggio di teologia, che papa Francesco elogiò in uno dei suoi primissimi discorsi da papa, consigliandone a tutti la lettura.
Ma da valente teologo qual è, Kasper non dovrebbe stupirsi se anche questo suo libro viene ora sottoposto a puntuta e argomentatissima critica.
È ciò che fa padre Serafino M. Lanzetta, frate francescano dell’Immacolata, docente di teologia dogmatica e direttore dal 2006 della rivista “Fides Catholica”, nell’ampia recensione pubblicata in questa pagina di www.chiesa:
> La misericordia secondo il cardinale Kasper
Padre Lanzetta appartiene ai Francescani dell’Immacolata, il fiorente istituto religioso fatto a pezzi durante questo pontificato da un commissariamento vaticano di cui sono incerte le ragioni ma sicura l’assenza di misericordia.
*
Sul tema della misericordia, il cardinale Kasper è nuovamente intervenuto il 1 maggio con una lezione al Boston College successivamente riprodotta dal settimanale dei gesuiti di New York “America” e il 12 maggio con una video-intervista al direttore dello stesso settimanale, Matt Malone S.J.
E in un editoriale del 22 settembre, i gesuiti di “America” hanno sposato ufficialmente le proposte di Kasper riguardo la comunione ai divorziati risposati, sempre in nome della misericordia.
http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/2014/09/18/kasper-il-papa-i-cardinali-misericordia-a-corrente-alternata/
Lieta di condividere, in sintonia con quanto andiamo dibattendo, il testo che segue di padre Serafino M. Lanzetta FI docente di teologia dogmatica direttore della rivista "Fides Catholica".
Si tratta di un'ampia recensione dell'ultima opera del Card. W. Kasper, dedicata alla misericordia: praticamente il manifesto programmatico che riprende la sua famosa prolusione con la quale sono stati aperti i lavori sinodali durante il concistoro dello scorso febbraio sulla pastorale familiare e dato la stura alle note prese di posizione di molti porporati anche in vista della prossima prima tappa del percorso biennale che condurrà all’esortazione apostolica del Papa.Digitando le parole chiave nel motore di ricerca del sito potete trovare i numerosi documenti pubblicati sulla scottante tematica.
Si tratta di un'ampia recensione dell'ultima opera del Card. W. Kasper, dedicata alla misericordia: praticamente il manifesto programmatico che riprende la sua famosa prolusione con la quale sono stati aperti i lavori sinodali durante il concistoro dello scorso febbraio sulla pastorale familiare e dato la stura alle note prese di posizione di molti porporati anche in vista della prossima prima tappa del percorso biennale che condurrà all’esortazione apostolica del Papa.Digitando le parole chiave nel motore di ricerca del sito potete trovare i numerosi documenti pubblicati sulla scottante tematica.
La misericordia secondo il cardinale Kasper
È
da salutare con grande interesse lo sforzo teologico del cardinale
Walter Kasper di rimettere il tema della misericordia di Dio non solo al
centro della predicazione e della pastorale della Chiesa, ma
soprattutto al centro della riflessione teologica. Nel suo recente libro
sulla misericordia, apparso in tedesco nel 2012 e poi tradotto in
italiano per i tipi della Queriniana (Giornale di Teologia 361) nel
2013, "Misericordia. Concetto fondamentale del vangelo - Chiave della vita",
il cardinale tedesco, per lunghi anni presidente del Pontificio
Consiglio per l’Unità dei Cristiani, parte da un’amara constatazione: la
misericordia, la quale occupa un posto centrale nella Bibbia, è difatti
caduta completamente in oblio nella teologia sistematica, trattata solo
in modo accessorio. O non occupa un posto centrale nei manuali di
teologia sistematica fino alle soglie degli anni 1960, o addirittura
manca del tutto in quelli recenti. Se vi compare, occupa un posto del
tutto marginale. Nonostante che il pontificato di Giovanni Paolo II
avesse dato un grande impulso alla riscoperta della misericordia, come
tema teologico e spirituale, grazie soprattutto alla santa polacca
Faustina Kowalska, e che Benedetto XVI ne avesse fatto, in un certo
modo, la sua direttrice, con la prima enciclica sull’amore, "Deus
caritas est", il tema rimane ancora nascosto nel suo potenziale sviluppo
per la teologia e quindi per la vita cristiana. Il nostro cardinale,
dunque, in questo suo testo, di cui ci occuperemo (5a ed. it. del 2014),
raccoglie questa sollecitazione, e presenta a livello sistematico il
tema della misericordia di Dio.
Una giustizia che si ritrae nella misericordia?
La
misericordia è una medicina indispensabile, è l’ingrediente che
purtroppo manca, ma che a ben guardare rappresenta l’unica vera risposta
agli ateismi e alle ideologie così perniciose del XX secolo. Come
annunciare di nuovo un Dio, di cui, dopo Auschwitz, faremmo solo meglio a
tacerne l’esistenza? Storicamente, a giudizio di Kasper, suffragato da
O.H. Pesch, "l’idea di un Dio castigatore e vendicativo ha gettato
molti nell’angoscia a proposito della loro salvezza eterna. Il caso più
noto e foriero di gravi conseguenze per la storia della chiesa è il
giovane Martin Lutero, che fu per lungo tempo tormentato dalla domanda:
'Come posso trovare un Dio benigno', finché egli un giorno riconobbe
che, nel senso della Bibbia, la giustizia di Dio non è la sua giustizia
punitiva, ma la sua giustizia giustificante e, quindi, la sua
misericordia. Su di ciò, nel XVI secolo la Chiesa si divise" (p.
25), e così da quel momento, il rapporto giustizia e misericordia
divenne una questione centrale della teologia occidentale.
Il
nostro cardinale preferisce non entrare nel tema della giustificazione
secondo Lutero, solo la loda (come farà poi anche alle pp. 121.137),
anche se ci sarebbero molte cose da dire, una tra tutte: la misericordia
giustificante è vista dal riformatore tedesco non come perdono
ontologico, come integra riconciliazione dell’uomo con Dio, nella verità
e nella giustizia, ma come un essere semplicemente rivestiti dei meriti
di Cristo (non dell’uomo), quindi in un intrinseco rimanere peccatori
seppur dichiarati giusti. Questa è misericordia di Dio? Dove l’uomo
rimane inficiato non solo del vulnus della concupiscenza, ma
dalla stessa sporcizia del peccato, pur essendo giusto? Giusti nei
peccati? Su questo il card. Kasper si mostra benevolo sorvolando,
riferendosi solo allo sforzo immane fatto da ambo le parti, quella
cattolica e quella luterana, di trovare un consenso fondamentale sulla
dottrina della giustificazione con la Dichiarazione ufficiale comune sulla dottrina della giustificazione, del 31 ottobre 1999 [qui],
che vedeva attori la Federazione Luterana Mondiale e la Chiesa
Cattolica, rappresentata dal Pontificio Consiglio per l’Unità dei
Cristiani, presieduto dal nostro cardinale (cf. p. 26). A questa
Dichiarazione, seguita alla Dichiarazione congiunta del 1997, era
stato necessario premettere, nel 1998, una Risposta ufficiale cattolica
(elaborata di comune intesa tra la CDF e il PCUC, ma firmata solo da
quest’ultimo), rimanendovi comunque una visione protestante non
conciliabile con quella cattolica, nel tentativo ecumenico di non
considerare più le condanne di Trento come divisive per le chiese.
In ogni caso Kasper è cosciente, nel suo libro, di un assunto: dobbiamo tirar fuori la misericordia "dalla sua esistenza di cenerentola, in cui essa era caduta nella teologia tradizionale"
(p. 26). Certamente misericordia non è una visione sdolcinata di Dio,
di un Dio possibilista verso i desideri dell’uomo, accondiscendente,
buonista, ma è una vera sfida, non solo teologica, ma anche sociale e
politica se vogliamo. Dalla vera misericordia deriva un’immagine di Dio
come risposta adeguata all’ideologia ancora in voga, tanto quella
marxista quanto quella capitalista.
Il card.
Kasper è ben attento nel denunciare tutti i rischi che si nascondono
negli accenti quasi ossessivi alla misericordia, ma a volte contro la
verità. Un mondo che ha rinunciato a Dio e alla ragione, non può che
accontentarsi di buoni sentimenti. Scrive, ad esempio: "La
misericordia senza la verità sarebbe priva di onestà; sarebbe semplice
consolazione, in definitiva un chiacchierare a vuoto. Viceversa, però,
la verità senza misericordia sarebbe fredda, scostante e pronta a ferire" (p. 241).
Fine
primario del libro di Kasper sulla misericordia, comunque, rimane un
ridare assetto sistematico alla grande assente nel dibattito e nella
speculazione teologici, provocando una coscientizzazione più ampia. Il
nostro autore offre, così, dopo aver esaminato attentamente il messaggio
della misericordia nell’A.T. e nella predicazione di Gesù, importanti
riflessioni per un quadro speculativo generale sulla misericordia.
Vogliamo occuparci più a lungo proprio di questo, perché a giudizio di
chi scrive, in questo quadro sistematico, si insinua qualcosa che
potrebbe sconvolgere l’insieme: facilmente esagerando i tratti
misericordiosi di Dio, quando non addirittura spingendoli molto a
ribasso. Esaminiamo quest’opera per gradi.
Beati i poveri in spirito
C’è una novità quasi radicale di Cristo rispetto al messaggio dell’A.T., commenta Kasper, consistente nel fatto che Gesù, "predica
la misericordia definitiva per tutti. No solo a pochi giusti, ma a
tutti egli dischiude la via di accesso a Dio… Dio ha messo
definitivamente a tacere la propria ira e ha fatto spazio al suo amore e
alla sua misericordia" (p. 103). Questa drastica separazione con
l’Antica Alleanza, dove sembra, così dicendo, che non ci sia posto per
la compassione e l’amore, non appare ben supportata. Basti pensare ai
Salmi che lodano l’amore misericordioso del Padre per noi (cf. Sal 117,
oltre a quelli che cita anche il nostro autore, convinto che dall’Esodo
fino ai Salmi Dio è misericordioso e pietoso, cf. p. 93). La
misericordia, in fondo, deriva dallo stesso atto creativo di Dio, che
suscita in Lui approvazione e gioia (cf Gen 1,4.10.12.18). Dio non
disprezza ciò che ha fatto, non rinnega l’opera delle sue mani.
Ma
ciò che preme sottolineare al cardinale, nell’accento misericordioso
del N.T., è piuttosto questo passaggio, in verità molto oscuro: "Suoi destinatari (di Gesù) erano in modo particolare i peccatori; essi sono i poveri in spirito"
(p. 103). E questo, sembrerebbe, per il fatto che Gesù è amico dei
pubblicani e dei peccatori (cf. p. 104). I peccatori sono i poveri in
spirito? Quindi, chi commette i peccati è beato perché ha perso qualcosa
nello spirito? Si vede a quali conclusioni potrebbe portare una tale
considerazione, quando non a veri errori, che difatti sono già noti in
tante predicazioni e infatuazioni misericordiose. La povertà di spirito
non è una mancanza materiale di qualcosa (della grazia di Dio?), ma è
una condizione interiore, un atteggiamento dell’intelligenza e del
cuore, semplici, penitenti e umili, che si pongono davanti a Dio, senza
mezzi umani, in ascolto della sua Parola (cf. Mt 5,3 alla luce del Sal
69,33ss.).
Su questo punto, invece, ha le idee
molto chiare un importante teologo protestante, Heinz Zahrnt, il quale
dice così, commentando il ministero pubblico del Signore: "I peccatori
non sono scusati e la malattia non viene idealizzata. Gesù è un amico
dei peccatori, non il loro compagno… Certamente il ritorno del peccatore
rimane indispensabile, ma non è la condizione, è piuttosto la
conseguenza del dono grazioso di Dio" ("Jesus aus Nazareth. Ein Leben", Monaco 1987, p. 109). I poveri di spirito sono coloro che si convertono, non i peccatori che rimangono tali.
La misericordia specchio della Trinità?
Kasper rifiuta la visione metafisica classica e fa sua invece la critica di Kant, ben espressa poi in quel “Che cosa possiamo sperare?”.
Cioè, la nostra intelligenza è limitata, non può superare il campo del
visibile e dell’esperienza umana. Ciò che va oltre non è dato di
conoscere, ma è relegato alla speranza, la quale rappresenta un mero
postulato (cf. pp. 190-191). Questo anche per Kasper. Infatti, scrive: "Non è possibile superare la critica di Kant ai tentativi di una teodicea; tutti questi tentativi vanno considerati come falliti"
(p. 191). Ma ci si pone, almeno qualche volta, il problema che una
speranza come semplice presupposizione, ma infatti fondata sul dubbio, è
già disperazione?
La teodicea, legata a una
visione essenzialista di Dio, che, tra l’altro, escludeva dagli
attributi dell’Essere divino la misericordia, riconducendoli invece,
solo ad attributi (forti) come l’onnipotenza, la giustizia, l’infinità,
ecc., lascerebbe il posto, nella S. Scrittura, a una forma più
esistenziale dell’"Ego sum qui sum" (Es 3,14): non Io sono
l’Essere, ma Io sono sempre con voi e per voi (cf. p. 129). Però, se la
metafisica ha escluso la misericordia tra gli attributi essenziali di
Dio (cf. p. 23), perché essa ci è rivelata da Dio nella sua
automanifestazione storica a partire dalla Sacra Scrittura – gli
attributi metafisici di Dio riguardano ciò che la ragione può cogliere
come universale e senza necessità di una rivelazione soprannaturale –,
Kasper in realtà si ingegna a voler collocare proprio la misericordia
nella stessa essenza di Dio, come proprietà fondamentale di Dio; di più,
al dire del nostro, come "specchio della Trinità" (p. 140). Questo, infatti, gli consente di dover guardare ormai e per sempre alla giustizia dalla misericordia: "Se
la misericordia è la proprietà fondamentale di Dio, allora essa non può
essere un’attenuazione della giustizia, ma bisogna piuttosto concepire
la giustizia di Dio partendo dalla sua misericordia. La misericordia è
allora la giustizia specifica di Dio" (p. 137).
È qui
percepibile lo sforzo ecumenico del nostro autore, in un discorso in cui
la visione di Lutero sembra costituire lo sfondo grazioso, ma, in ogni
caso, ciò che stride è il tentativo di assorbire la giustizia nella
misericordia. In teologia la misericordia è qualificabile come dono, una
grazia, non un’esigenza, come invece lo è la giustizia, anche se
naturalmente contempla anche l’aristotelica epicheia. La misericordia
perfeziona e compie la giustizia ma non l’annulla; la presuppone,
altrimenti non avrebbe in sé ragion d’essere. E questo anche perché le
proprietà o attributi divini, a livello razionale, sono deducibili da
ciò che la ragione è capace di esprimere su Dio. S. Tommaso dice: "La
misericordia va attribuita a Dio in modo principalissimo (maxime attribuenda); non per quanto ha di sentimento o passione, ma per gli effetti (che produce)" (S. Th., I, q. 21, a. 3).
Anche
se Kant dice di no, la ragione rimane comunque aperta alla realtà come
tale, alle cose che sono in quanto sono, alle cose che esistono. Se Dio
esiste (come lo sa questo Kasper? Solo dalla fede? Dalla speranza?) la
ragione è aperta a tutto l’essere; la ragione è aperta a tutto l’essere
perché Dio esiste. Ma questi discorsi possono apparire troppo fissisti,
passati di moda.
Al nostro cardinale preme però dimostrare, con S. Luca (6,36), in un modo che sinceramente ci sfugge, che "la
misericordia è la perfezione dell’essenza di Dio. Dio non condanna, ma
perdona, dà e dona in una misura buona, sollecita, vagliata e
sovrabbondante" (p. 105). Se allora la misericordia appartiene
all’essenza stessa di Dio, perfezionandola (sic! In realtà, cosa può
perfezionare Dio se non Dio stesso? Ad ogni modo bisogna decidersi se
fare uso o meno della metafisica), allora, "nella misericordia non
viene certo realizzata l’essenza trinitaria di Dio, questa però diventa
concretamente realtà per noi e in noi" (p. 144). Kasper riprende la tesi dell’autoritrazione di Dio nella sua kenosi umana, non nel senso protestante di rinuncia alla sua divinità: per Lutero Dio nella sua kenosi è "raumgebend", cioè colui che fa spazio
all’autodecisione dell’altro, piuttosto nel senso della sua
rivelazione. Dio, infinito in sé, si ritrae per fare spazio all’altro;
al Figlio e mediante Lui allo Spirito Santo. In Dio, questa ritrazione,
nella sua stessa infinità, è kenosi, è autospogliamento di sé,
presupposto poi, perché, Dio infinito, possa fare spazio alla creazione.
L’autoritrazione trinitaria conosce il momento del suo sublime
rivelarsi nell’incarnazione e nella Croce di Gesù Cristo, rivelazione
della sua onnipotenza nell’amore. Così Kasper (cf. p. 144).
Ci
chiediamo: se Dio si ritrae per fare spazio all’altro, sia esso una
persona divina o il creato, chi sarà l’altro? Dio stesso che si ritrae
fino a perdersi nell’altro? L’uomo è l’autospogliamento di Dio?
L’umanità di Gesù è l’autospogliamento rivelativo di Dio? Non c’è il
rischio che Dio rimanga poi solo il Dio di Gesù Cristo, nella kenosi rivelativa
di Dio? E che Gesù Cristo non sia più Dio ma solo la ritrazione del
Padre? Domande che crescono e che ci colgono sorpresi. Ma che ci mettono
davanti al rischio concreto dell’abbandono della metafisica.
Come possiamo non disperare
Un
altro capitolo teologico importante nell’analisi di Kasper è quello
riguardante la misericordia in relazione al discorso escatologico.
Ancora una volta Kasper, ora suffragato da Hans Urs von Balthasar, si
richiede, con la critica della ragion pura di Kant: "Che cosa possiamo
sperare?", domanda che riassume, a suo giudizio, "tutte le domande umane" (p. 158). Come per la ragione filosofica anche per l’intellectus fidei però
si pone subito un problema: non tanto cosa ma come possiamo sperare?
Qual è il modo teologale corretto di esercitare la speranza? Sembra che,
come per la metafisica, anche in ambito escatologico l’analisi di
Kasper presenti un vulnus.
Nella S. Scrittura scopriamo due diverse serie di affermazioni che per Kasper, come già prima per von Balthasar nel suo "Sperare per tutti"
(or. ted. 1986, tr. it. 1989) appaiono inconciliabili. Per von
Balthasar difatti rimangono inconciliabili, e cioè, in sintesi: da un
lato la dichiarazione incontrovertibile che Dio vuole la salvezza di
tutti gli uomini (1Tm 2,3) e dall’altro, comprensivo di più
luoghi scritturistici, il giudizio universale, in cui alcuni andranno
alla perdizione eterna e altri alla salvezza eterna (Mt 25,31-46).
A
giudizio di Kasper, le affermazioni salvifiche universalistiche sono di
speranza per tutti, ma non riguardano la salvezza effettiva di tutti e
singoli gli uomini, mentre le affermazioni che parlano di giudizio e
dell’effettiva dannazione non intendono dire di nessun uomo che si sia
dannato. Questo dà modo al cardinale tedesco di dedurre quanto segue: "Di
nessun essere umano concreto ci è stata rivelata la dannazione eterna e
la chiesa non ha mai insegnato in modo dogmaticamente vincolante a
proposito di nessuno che egli sia caduto nella dannazione eterna"
(p. 166). Neppure di Giuda si potrebbe dire ciò con sicurezza. Qui però
sembra che si confonda il magistero dogmatico, che insegna senza alcun
dubbio l’esistenza dell’inferno e l’effettiva perdizione di chi muore in
stato di peccato mortale (si veda, come sintesi di numerosi interventi,
il CCC ai nn. 1033-1035), con una sorta di dichiarazione infallibile
che quel tale si è dannato. La Chiesa, come ben sappiamo, non fa
“canonizzazioni” per chi si danna, ma insegna infallibilmente, sulla
base del chiaro insegnamento del Signore, che l’inferno esiste e che non
è vuoto.
Per Kasper però, e questo è il vero problema della sua analisi, "non
possiamo né interpretare le affermazioni storico-salvifiche universali,
piene di speranza, nel senso della dottrina dell’apocatastasi, come
conoscenza di fatto dell’effettiva salvezza di tutti i singoli, né
dedurre dalla minaccia del giudizio e dalla reale possibilità
dell’inferno l’effettiva dannazione eterna di singoli essere umani o
addirittura della maggioranza degli uomini" (p. 167). E questa è la posizione di Kasper: "Possiamo sperare nella salvezza di tutti, ma di fatto non possiamo sapere se tutti si salveranno"
(p. 169). Questo è l’approdo, difatti, del criticismo kantiano. Non si
può sperare, contro la fede, la salvezza di tutti. Come non c’è una
speranza contro o senza la ragione, analogamente, non c’è speranza
teologale contro o senza la fede. Non si può sperare contro le parole
chiarissime del Signore: "… e questi se andranno alla perdizione eterna e
i giusti alla vita eterna" (Mt 25,46), come se fossero mere esortazioni
a fare i buoni.
Kasper nella sua analisi cerca una via
mediana tra la posizione di von Balthasar, da cui vuole distaccarsi, e
la dottrina della Chiesa, ma alla fine non ci riesce.
Von Balthasar aveva sostenuto che "non si sa se tutti si salveranno, ma si “può” sperare che nessuno si perderà" ("Sperare per tutti",
p. 13). Alla fine, il teologo di Basilea, rispondendo ai suoi critici
in modo acceso, dirà che non solo si può, ma addirittura si deve sperare
che nessuno si perderà. Chi pensasse che oltre a se stesso anche solo
un altro potesse perdersi eternamente non amerebbe più senza riserve ("Breve discorso sull’inferno",
or. ted. 1987, tr. it. 1988, p. 57). A conforto della sua idea
originaria, più possibilista ma non ancora esclusivista, von Balthasar
amava riferirsi a una “nuvola di testimoni”, di mistici, che avrebbero
condiviso la sua tesi.
In realtà, fu dimostrato
nello stesso anno 1986 dalla rivista tedesca "Theologisches", che
nessuno dei mistici indicati da von Balthasar sostiene la sua visione di
un “inferno vuoto”, con la sola eccezione di Adrienne von Speyr. Tutti i
santi e mistici confermano la visione della dottrina della Chiesa: ci
sono dei dannati all’inferno, non ultimo il messaggio della Madonna a
Fatima. Qualora ci fosse qualche apparente discrepanza tra le visioni
dei mistici circa le realtà ultime – Balthasar ad esempio amava
riferirsi alla misericordia della piccola Teresa, più che alla teologia
mistica della grande Teresa – la cosa va risolta guardando all’insieme
dei santi e non a casi isolati e nell’ottica del Magistero della Chiesa.
Kasper,
per rafforzare la sua tesi, cita anch’egli numerose testimonianze di
diversi santi, specialmente donne. Ma li cita normalmente secondo von
Balthasar. In definitiva, il vero problema di von Balthasar fu la sua
dipendenza in toto da Origene, come gli rimproverò Werner Löser: il
teologo di Basilea volle svolgere la sua intera opera "nello spirito di
Origene"; a differenza di questi, però, non postulò anche la salvezza
del diavolo, ma solo quella degli uomini.
Un Dio che soffre per misericordia?
Infine,
vorremo soffermarci su un altro aspetto sistematico con cui il card.
Kasper lumeggia la misericordia di Dio in se stesso. Ora l’accento è
posto sulla sofferenza di Dio e si può subito capire che anche qui la
questione diventa molto delicata: da un lato è in agguato il cosiddetto
patripassianismo, vecchio errore che ammetteva la sofferenza del Padre
nella passione del Figlio e dall’altro una sorta di apatia di Dio,
ragion per cui molti si sono allontanati da un Dio che sembra non avere
un cuore, un Dio freddo calcolatore che rimane muto dinanzi al mistero
del dolore e della sofferenza innocente.
Dio non è apatico, dice Kasper. "Secondo
la testimonianza della Bibbia Dio ha un cuore per noi uomini, soffre
con noi, gioisce con noi e si affligge per noi e con noi" (p. 183).
La Bibbia non conosce un Dio che troneggia in modo insensibile. Venendo
al N. T., è lampante l’esempio del Cristo, di colui che assunse per noi
la forma di servo umiliando se stesso (cf. Fil 2,6ss.). Un Dio in croce,
vero scandalo per il mondo nella stoltezza dei pensieri umani. Il
tentativo di Kasper qui è di unire l’insegnamento della Bibbia, cioè di
un Dio che soffre per amore con quello della teologia classica e
metafisica, secondo cui Dio non può soffrire in se stesso, ciò che
sarebbe chiaramente un divenire e perciò una solenne imperfezione.
A giudizio di Kasper, però, "per
la Bibbia… la con-sofferenza di Dio non è espressione della sua
imperfezione, della sua debolezza e della sua impotenza, ma è
espressione della sua onnipotenza… Egli non può quindi essere
passivamente e contro la sua volontà colpito dal dolore, però nella sua
misericordia si lascia sovranamente e liberamente colpire dal dolore" (pp. 184-185). Dio nella sua misericordia è libero di soffrire e soffre per noi. Così, conclude Kasper, "oggi
molti teologi della tradizione cattolica, ortodossa e protestante
parlano della possibilità che Dio ha di soffrire e di con-soffrire con
noi" (p. 185).
È molto importante spiegare che Dio può
soffrire, anzi che si è fatto uomo proprio per poter soffrire per noi e
con noi. Perciò non è insensibile o apatico. Ma in che modo però
parliamo di Dio quando gli attribuiamo la sofferenza? Quale estensione
ha il concetto “Dio” in Kasper e negli altri teologi che sostengono,
evidentemente senza distinguere, la “sofferenza di Dio” dal Dio in
quanto tale? Sembra, a ragion veduta, che Kasper, per appurare la
sofferenza misericordiosa di Dio, utilizzi il concetto “Dio” in modo
universale, o se vogliamo, in relazione alla Trinità, in modo piuttosto
modale. Bisogna chiedersi: Dio soffre in quanto Dio, in quanto Padre,
Figlio e Spirito Santo, o non invece in quanto Figlio e soltanto nella
sua natura umana? La sofferenza, in verità, è di Cristo e circoscritta
alla sua natura umana. La possiamo attribuire anche alla natura divina del Figlio – in questo senso Dio soffre, Dio muore, Dio è in Croce, ecc. – in virtù della "communicatio idiomatum",
comunicazione che non sposta la sofferenza da Cristo a Dio e quindi
alla Trinità, ma attribuisce la sofferenza della natura umana del "Christus patiens"
alla sua natura divina, nature ipostatizzate dalla persona divina del
Verbo e quindi, in ogni caso, delimitata alla seconda persona divina
della SS. Trinità. Dio non soffre come Dio ma come uomo in Cristo.
L’operazione logicamente scorretta è attribuire in modo improprio ciò
che è di Cristo al Dio trino e uno. Certamente vale ciò che dice s.
Bernardo di Chiaravalle, che Dio è "impassibilis" ma non "incompassibilis", capace cioè di compatire ma non di patire, ma non è corretto affiancare questa citazione, con quella di S. Agostino in "Enarrationes in Psalmos"
87,3: il Signore assunse la debolezza umana e la morte non per la
miseria della sua condizione ma per la volontà della sua compassione, a
quella di Origene in "Homilia in Ezechielem" VI,8, secondo cui Dio "prius passus est, deinde descendit. Quae est ista, quam pro nobis passus est, passio? Caritas est passio"
(cf. p. 186). Qui Origene non è accettabile: è contro il dogma della
Chiesa ammettere una sofferenza in Dio, addirittura prima della sua
incarnazione e trasformare la Carità, che è Amore purissimo e
semplicissimo, in sofferenza. Se anche Dio soffre nella sua eternità,
chi potrà mai liberarci dalla sofferenza, una volta per sempre? E se Dio
soffre, ma per amore, chi darà un senso al mio amore, che è
essenzialmente richiesta di non più soffrire?
Ne va da sé
che per Kasper l’unica vera risposta al male, alle tragedie, alle
catastrofi naturali è la speranza, e cioè l’esercizio della
misericordia. La ragione non può dirci di più e neanche la fede (cf. pp.
187-199).
Ci si consenta, a questo punto,
anche qualche perplessità nel pensare all’impianto della misericordia
che soggiacerebbe al "Vangelo della famiglia", tema introduttivo e linea
guida per i lavori del prossimo Sinodo sulla famiglia.
Qual è difatti la misericordia che dovrebbe fungere ormai da ponte tra "la dottrina della Chiesa sul matrimonio e le convinzioni vissute di molti cristiani"?
Forse che i divorziati risposati, che desidererebbero fare la
comunione, sono i poveri in spirito, ai quali non resta altro se non la
speranza come esercizio della misericordia?
I
santi, in verità, ci insegnano ad essere molto cauti con la misericordia
di Dio, a non prenderla sottogamba, né a misconoscerla, chiudendosi in
un desiderio di giustizia ad ogni costo. L’apostolo della Germania, S.
Pietro Canisio, S.J., dice a tal proposito: "Con la misericordia di Dio
vogliamo sempre comportarci in modo da essere conformi alla sua
giustizia. Gli uomini ciechi si lasciano sedurre da una confidenza
vanitosa nella misericordia di Nostro Signore" (Lettera alla sorella Wandelina van Triest, nata Kanis, Colonia, 23 marzo 1543).
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