Le giornate della memoria
Il fatto stesso che la nostra società debba istituire in continuazione giornate della memoria è riprova inconfutabile sia di quanto essa sia menzognera in sé, pertanto illecita e contro la Verità e la Giustizia, e quindi contro l’uomo.
Le società che nel corso dei secoli si sono succedute, hanno, in rapporto al loro grado di civiltà, sempre conservato la memoria del loro passato, delle loro glorie come dei loro errori (Historia Magistra Vitae…), le prime al fine di puntellare l’unità del popolo e la forza delle istituzioni, i secondi al fine di imparare a commettere più gli stessi errori. Qualcosa magari veniva volutamente obliato perché troppo scomodo da ricordare… Ma l’eccezione confermava la regola generale. Nessuna civiltà del passato ha mai dovuto istituire giornate della memoria.
Lo deve fare il nostro mondo democratico, quello dei diritti civili e del progresso, del dialogo e della tolleranza. Come mai? Beh, solo i finti stupidi possono far finta di non vedere il perché: perché il nostro mondo democratico, dei diritti civili e del progresso, della tolleranza e del dialogo, si fonda – per costituzione stessa – sulla menzogna istituzionalizzata (altrimenti non vi sarebbero dialogo e tolleranza, nel senso che viene dato loro oggi e nell’uso che ne viene fatto). E allora, ogni tanto, qualcuno si accorge che il coperchio con cui si è occultata la realtà storica sta per scoppiare, e così si inventano le giornate della memoria.
Il fatto che la nostra società sia costruita sulle fondamenta della menzogna e dell’occultamento storico non è un errore di percorso: è l’inevitabile esito della scelta compiuta ufficialmente nel XVIII secolo (in realtà molto prima) di creare un nuovo mondo a tavolino. Il mondo non come è, ma come ci piacerebbe che fosse (o meglio, come piacerebbe a un gruppo di potenti “fratelli”). È insomma l’esito del trionfo dell’utopia della “Nuova Era”. Utopia che – proprio in quanto utopia – richiede necessariamente di far passare per vero ciò che è falso e viceversa. E in questo processo, che è preternaturale e metastorico prima ancora che naturale e storico, è ovvio che la manipolazione della storia, in quanto memoria condivisa dei popoli e delle civiltà, è l’elemento chiave per la riuscita del progetto.
Con questo non stiamo dicendo che l’istituzione della giornata della memoria per le vittime delle foibe sia un errore, anzi, era ed è una assoluta necessità in quanto riparazione delle menzogne di cui sopra. Stiamo però dicendo che in fondo, al di là del doveroso e sacro ricordo delle vittime e dei martiri della mostruosità ideologica moderna, tutto ciò è dimostrazione ulteriore del fallimento della società democratica in cui viviamo.
Un giorno, insegnavo ancora a scuola. Venne da me una collega (che peraltro, essendo di sinistra, non poteva vedermi) tutta preoccupata e ansiosa (come era sempre) e mi chiese gentilmente un favore. Io le dissi: “certo, dimmi, di che si tratta?”. E lei: “Massimo, le ragazze mi hanno chiesto una cosa che non conosco, una cosa strana, mah… ma tu ne sai niente?”. “Cosa ti hanno chiesto?” – “Mah… m’hanno chiesto cosa sono… aspetta, una parola strana.. tipooo… febe, fabe, fobe… Ma che sono?”.
Correva l’anno 2000: più di mezzo secolo dopo gli eventi in questione e per di più nella nostra iperinformata e mediatica società, una docente di storia non aveva mai sentito la parola “foibe”. Non è neanche colpa di quella povera docente di liceo. Avevamo la stessa età, ed effettivamente nessuno a scuola aveva mai insegnato neanche a me cosa erano le foibe… E tanto meno all’università (figuriamoci!). Se io lo sapevo era perché essendo un uomo di destra e avendo frequantato quel mondo politico e culturale ne ero venuto a conoscenza. Ma nessun libro ne parlava allora, tanto meno i giornali, i tg, ecc.
In tal senso, il peso che più pesa dentro (mi si passi il gioco di parole), oggi, ciò che più rende furiosi, è la complicità. La complicità di coloro che per decenni hanno negato spudoratamente il massacro delle foibe, la complicità infame dei politici di sinistra e di centro che per decenni si sono rifiutati di rendere almeno un postumo omaggio a quelle persone, persone come noi, gettate vive nelle fosse con i loro bambini, o massacrati prima nelle carceri titine. Infami complici ancora oggi esistenti: inutile fare i nomi, li conosciamo i politici e intellettuali che ancora si oppongono alla memoria o, non potendo più cancellarla, la banalizzano facendo ricadere la colpa sugli italiani stessi o spiegandola tramite mere cause di scontro etnico.
Tutti costoro, nessuno escluso, non sono differenti dai soldati comunisti di Tito (e del suo italico compare) che hanno compiuto questo mostruoso massacro: sono esattamente come loro, peggio di loro, perché quelli hanno compiuto quelle scelleratezze in un clima di guerra e di odio, mentre i nostri le perpetuano a decenni di distanza dalle loro scrivanie e con i loro portafogli ricolmi di soldi e forti del loro successo personale. Infami traditori della Verità storica, del Bene comune, della memoria dei massacrati dall’odio ideologico della modernità.
Ma, tornando al discorso generale delle giornate della memoria, quanto in precedenza detto, come tutti sappiamo infallibilmente, vale per tutti i massacri e genocidi, tranne uno. Per questo genocidio, vige invece il ragionamento contrario: occorre tenerlo vivo sempre e comunque ogni giorno in ogni modo, tutti lo devono vivere sulla propria pelle. E, soprattutto, solo di questo si deve parlare veramente ovunque: a scuola fin dalla più tenera età, alle superiori, all’università, nei giornali, in tv, al cinema, nei libri, ovunque sia possibile. Si organizzano viaggi di scolaresche e politici nei luoghi del massacro, lo si esamina ancora oggi come se fosse avvenuto ieri.
Tutti hanno capito di quale genocidio ora stiamo parlando e sia subito chiaro che chi scrive non è affatto negazionista e pertanto ritiene assolutamente giusto che anche la memoria di quell’orribile persecuzione e strage, perpetrata da una congrega di criminali infernali, non venga mai cancellata, sebbene sarebbe molto utile e saggio riportarla nei corretti limiti della realtà storica. Il problema, semmai, è che appare oggi intollerabile che questa sia l’unica infamità che tutti debbano conoscere per forza, l’unica “legittima”, se così si può dire. Ancora oggi tutti i media, scuole, parrocchie, ecc. parlano del 27 gennaio. Benissimo. E del 10 febbraio chi parla, eccetto qualche rivista o intellettuale di destra?
È questo che non va bene: occorre parlare di tutti, nessuno escluso, perché tutti i massacrati erano uomini, e gli uomini sono tutti uguali davanti a Dio e davanti alla storia (a meno che non vogliamo essere… “razzisti”…).
Quando verrà il giorno della memoria per gli armeni massacrati dai turchi? E il giorno della memoria degli spagnoli cattolici massacrati da Largo Caballero e da tutta la sinistra rivoluzionaria? E il giorno della memoria dei 500.000 massacrati dalla Rivoluzione Francese (di cui 300.000 solo in Vandea) in nome della libertà e della fraternità, quando verrà? E il giorno della memoria degli oltre 100.000 italiani massacrati dai napoleonici perché rimasti fedeli alla Chiesa e ai loro sovrani legittimi? E il giorno della memoria delle decine di migliaia di meridionali massacrati dai piemontesi fra il 1860 e il 1865 perché non disposti a tradire Francesco II di Borbone e a farsi italianizzare con la forza, quando verrà? E il giorno della memoria di decine di migliaia di cattolici messicani massacrati dal governo massonico negli anni Venti del secolo scorso, quando verrà? E il giorno della memoria non solo delle foibe, ma delle centinaia di milioni di morti vittime di Stalin, di Mao, Pol Pot e di tutti gli altri mostri prodotti dal comunismo nel mondo, quando verrà?
E il giorno della memoria delle 50 milioni di vittime della Prima Guerra Mondiale, la più insulsa e ingiustificata di tutte le guerre, l’“inutile strage”, atta solo alla distruzione dell’Impero cattolico e all’introduzione del comunismo nel mondo, quando verrà istituita?
Ma mi voglio ancora più allargare. Voglio esagerare con la memoria. E il giorno della memoria di tutti i cattolici massacrati dal protestantesimo, in particolar modo da quel mostro d’iniquità che fu Elisabetta I d’Inghilterra, quando verrà? Ma vado ancora più sul pesante. E il giorno della memoria del più incalcolabile numero di cristiani massacrati in tutti i tempi, vale a dire quello ucciso nelle più efferate maniere fra il VII e il XVII secolo, e ancora oggi, ogni giorno, dall’islam, quando verrà istituito?
Quando?
E, per finire, quando ricorderemo le decine di milioni di bambini sventrati nel grembo delle madri con la complicità di leggi inique e infami, di medici e infermieri dimentichi del loro mandato deontologico? Quando? Ma, in questo caso, la prima urgenza sarebbe quella di porre fine al massacro, visto che è quotidianamente in atto ancora oggi.
E auguriamoci, e lottiamo fino in fondo affinché ciò non avvenga, che non si debba un giorno istituire una giornata della memoria per la famiglia composta da padre, madre e figli, o una giornata della memoria della retta sessualità e moralità privata e pubblica…
Quante giornate della memoria dovremo istituzionalizzare? Troppe. Forse, più che le giornate della memoria, sarebbe necessario istituzionalizzare la memoria corretta degli eventi. Ovvero, liberare l’insegnamento e la conoscenza generale della storia dalle mani opprimenti e totalitarie della sinistra e del liberalismo rivoluzionario, dall’indottrinamento massonico ideologico, che, gestendo scuole, università, case editrici, televisioni, giornali e in buona parte – direttamente o indirettamente – anche parrocchie e diocesi (e più ancora), controlla di fatto il cervello di milioni e milioni di persone.
Forse, v’è un’unica giornata della memoria che dovremmo istituire, ogni giorno, giorno dopo giorno: quella della lotta attiva e continua e generale per la diffusione della Verità.
Questa sì che è una battaglia immensa, un fine eccelso, per i quali la vita merita di essere vissuta.
Massimo Viglione |
composta nel 1959 da Mons. Antonio Santin, Arcivescovo di Trieste e Capodistria |
O Dio, Signore della vita e della morte, della luce e delle tenebre,
dalle profondità di questa terra e di questo nostro dolore noi gridiamo a Te.
Ascolta, o Signore, la nostra voce.
De profundis clamo ad Te, Domine.
Domine, audi vocem meam.
Oggi tutti i Morti attendono una preghiera, un gesto di pietà, un ricordo di affetto. E anche noi siamo venuti qui per innalzare le nostre povere preghiere e deporre i nostri fiori, ma anche per apprendere l’insegnamento che sale dal sacrificio di questi Morti.
E ci rivolgiamo a Te, perché tu hai raccolto l’ultimo loro grido, l’ultimo loro respiro.
Questo calvario, col vertice sprofondato nelle viscere della terra, costituisce una grande cattedra, che indica nella giustizia e nell’amore le vie della pace.
In trent’anni due guerre, come due bufere di fuoco, sono passate attraverso queste colline carsiche; hanno seminato la morte tra queste rocce e questi cespugli; hanno riempito cimiteri e ospedali; hanno anche scatenato qualche volta l’incontrollata violenza, seminatrice di delitti e di odio.
Ebbene, Signore, Principe della Pace, concedi a noi la Tua Pace, una pace che sia riposo tranquillo per i Morti e sia serenità di lavoro e di fede per i vivi.
Fa che gli uomini, spaventati dalle conseguenze terribili del loro odio e attratti dalla soavità del Tuo Vangelo, ritornino, come il figlio prodigo, nella Tua casa per sentirsi e amarsi tutti come figli dello stesso Padre.
Padre nostro, che sei nei cieli, sia santificato il Tuo Nome, venga il Tuo regno, sia fatta la Tua volontà.
Dona conforto alle spose, alle madri, alle sorelle, ai figli di coloro che si trovano in tutte le foibe di questa nostra triste terra, e a tutti noi che siamo vivi e sentiamo pesare ogni giorno sul cuore la pena per questi nostri Morti, profonda come le voragini che li accolgono.
Tu sei il Vivente, o Signore, e in Te essi vivono. Che se ancora la loro purificazione non è perfetta, noi Ti offriamo, o Dio Santo e Giusto, la nostra preghiera, la nostra angoscia, i nostri sacrifici, perché giungano presto a gioire dello splendore dei Tuo Volto.
E a noi dona rassegnazione e fortezza, saggezza e bontà.
Tu ci hai detto: Beati i misericordiosi perché otterranno misericordia, beati i pacificatori perché saranno chiamati figli di Dio, beati coloro che piangono perché saranno consolati, ma anche beati quelli che hanno fame e sete di giustizia perché saranno saziati in Te, o Signore, perché è sempre apparente e transeunte il trionfo dell’iniquità.
O signore, a questi nostri Morti senza nome ma da Te conosciuti e amati, dona la Tua pace. Risplenda a loro la Luce perpetua e brilli la Tua Luce anche sulla nostra terra e nei nostri cuori, E per il loro sacrificio fa che le speranze dei buoni fioriscano.
Domine, coram te est omne desiderium meum et gemitus meus te non latet. Così sia”.
Vite negate, massacri, falsità. Anche la verità fu infoibata
Oggi la "Giornata del ricordo" per celebrare gli italiani cacciati e uccisi da Tito dopo la guerra. Una tragedia che nella gerarchia del dolore sta sempre dietro le vittime delle dittature fasciste
Oggi la "Giornata del ricordo" per celebrare gli italiani cacciati e uccisi da Tito dopo la guerra. Una tragedia che nella gerarchia del dolore sta sempre dietro le vittime delle dittature fasciste
Soltanto un nuovo confine segnato con un tratto di penna sulla carta geografica dell'Europa. Vite negate. Amori, amicizie, speranze sconvolte, sentimenti calpestati, che per pudore, in silenzio, lontano da occhi inquisitori, l'esule arrivato dall'Istria, dalla Dalmazia, da Fiume chiudeva nel dolore, forse sperando che questo dignitoso comportamento lo aiutasse ad essere accolto da chi non ne gradiva la presenza. Si chiudeva così il cerchio dell'oblio, e una pesante coltre di omertà si distendeva sopra le sconvenienti ragioni degli sconfitti.
La Storia non apre le porte agli ospiti che non ha invitato. Sceglie i protagonisti e i comprimari, anche se gli esclusi si sono dati tanto da fare. Esuli, allora, con la nostalgia del ritorno, con il dolore dell'assenza. L'esule dei Paesi comunisti non è mai stato troppo gradito; le sue scelte giudicate con sospetto. Nella gerarchia morale della sofferenza, egli rientra stentatamente, sì e no, agli ultimi posti, molto indietro rispetto agli esiliati delle dittature fasciste e dei sanguinari regimi latino-americani.
In una intervista a Panorama del 21 luglio 1991, Milovan Gilas dichiarava tra l'altro: «Nel 1946, io e Edward Kardelij andammo in Istria a organizzare la propaganda anti italiana ... bisognava indurre gli italiani ad andare via con pressioni di ogni tipo. Così fu fatto». Gilas era il braccio destro di Tito, l'intellettuale del partito comunista jugoslavo; Kardelij era il teorico della «via jugoslava al comunismo», punto di riferimento dell'organizzazione della propaganda anti italiana.
Dunque, due protagonisti di primissimo piano del partito comunista jugoslavo impegnati a cacciare con «pressioni di ogni tipo» gli italiani dalle loro case, dal loro lavoro, dalle loro terre. Tra le pressioni di ogni tipo ci furono il terrore e il massacro: una pulizia etnica. A migliaia gli italiani, senza nessun processo, senza nessuna accusa, se non quella di essere italiani, venivano prelevati di notte, fatti salire sui camion e infoibati o annegati. Non si saprà mai quanti furono ammazzati. A decine di migliaia: una stima approssimativa è stata fatta sulla base del peso dei cadaveri che venivano recuperati dalle foibe; nulla si sa degli annegati.
E poi gli esuli: oltre 350mila, che lasciarono tutto, pur di rimanere italiani e vivi. Accolti in Italia con disprezzo, perché solo dei ladri, assassini, malfattori fascisti potevano decidere di abbandonare il paradiso comunista jugoslavo. Ricordo bene quando a Venezia arrivavano le motonavi con i profughi: appena scesi sulla riva, erano accolti con insulti, sputi, minacce dai nostri comunisti, radunati per l'accoglienza. Il treno che doveva trasportare gli esuli giù verso le Marche e le Puglie, dai ferrovieri comunisti non fu lasciato sostare alla stazione di Bologna per fare rifornimento d'acqua e di latte da dare ai bambini.
Alla gente che abitava l'oriente Adriatico, fu negato dal nostro governo il plebiscito che avrebbe dimostrato come in quelle terre la stragrande maggioranza della popolazione fosse italiana. Prudente, De Gasperi pensava che l'esito del plebiscito avrebbe turbato gli equilibri internazionali e interni col PCI. A quel tempo, Togliatti aveva fatto affiggere questo manifesto a sua firma: «Lavoratori di Trieste, il vostro dovere è accogliere le truppe di Tito come liberatrici e collaborare con esse nel modo più stretto». Per esempio, sostenendo, come voleva il Migliore, che il confine italiano fosse sull'Isonzo, lasciando a Tito Trieste e la Venezia Giulia.
I liberatori comunisti non potevano essere degli assassini: e così, sotto lo sguardo ipocrita dell'Italia repubblicana, con la vergognosa collaborazione degli storici comunisti, disposti a scrivere nei loro libri il falso, quella tragedia sparisce, non è mai accaduta. Ma il cammino trionfale della Storia dei vincitori si distrae e la verità incomincia ad affiorare. Non si dice con ottimismo che il tempo è galantuomo? Stavolta sembra di sì. Il 10 febbraio (giorno della firma a Parigi nel 1947 del trattato di pace) viene istituita nel marzo 2004 la «Giornata del ricordo», per celebrare la memoria dei trucidati nelle foibe e di coloro che patirono l'esilio dalle terre istriane, dalmate, giuliane. Ci sono voluti sessant'anni per incominciare a restituire un po' di verità alla Storia: adesso sarebbe un bel gesto che il nuovo Presidente della Repubblica onorasse questa verità ritrovata, recandosi al mausoleo sulla foiba di Basovizza per chiedere scusa alle migliaia di italiani dimenticati, offesi, umiliati, massacrati soltanto perché volevano rimanere italiani.
L’ANNIVERSARIO
Le foibe, 70 anni fa. È il Giorno del Ricordo
Nel 1945 oltre 10 mila persone furono gettate vive nelle foibe, le cavità carsiche ai confini orientali, o uccise dopo processi sommari dai comunisti di Tito. Le immagini della barbarie
1.
La pulizia etnica
Il 10 febbraio è il giorno del ricordo di una pagina tra le più cupe della storia contemporanea, avvolta a lungo nel silenzio e nel buio, come le tante vittime, inghiottite nelle cavità carsiche, le cosiddette foibe, per volere del maresciallo Tito e dei suoi partigiani, in nome di una pulizia etnica che doveva annientare la presenza italiana in Istria e Dalmazia.Fra il 1943 e il 1947 oltre 10 mila persone furono gettate vive o morte in queste gole, un genocidio che non teneva conto di età, sesso e religione, riconosciuto ufficialmente nel 2004, con la legge numero 94 che istituì la «Giornata del ricordo», in memoria dei martiri delle Foibe e dell’esodo giuliano dalmata.
9 febbraio 2015 | 23:51
http://www.corriere.it/cultura/cards/foibe-70-anni-fa-giorno-ricordo/pulizia-etnica_principale.shtml
Oggi morirà la libertà di espressione?
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… nascerà oggi il tabù “legale” della menzogna di Auschwitz?
Oggi 10.02.2015 dalle 16,30 il Senato Italiano discuterà il DDL-54 amati et alii detto anche “anti-negazionismo” o più realmente legge ultima chance! Ultima chance per lo sterminazionismo.
Disegno di legge che ha come unico scopo, non dichiarato, quello di impedire la libertà di espressione dei cittadini, sancita dal mai soppresso articolo 21 della Costituzione Italiana, e la divulgazione delle risultanze di indagini storiche su uno, ed uno SOLO, fatto storico!
Disegno di legge che ha come unico scopo, non dichiarato, quello di impedire la libertà di espressione dei cittadini, sancita dal mai soppresso articolo 21 della Costituzione Italiana, e la divulgazione delle risultanze di indagini storiche su uno, ed uno SOLO, fatto storico!
Già il metodo di “tutelare” un fatto storico con una legge dedicata è sintomatico di una insufficiente documentazione a supporto del fatto che si vuole (deve) rendere TABU’, ed è sinonimo di “verità di stato” o di “gruppo-lobby” dominante…
In aggiunta abbiamo l’imbarazzante aggravante che il testo di legge NON precisa COSA sia innegabile o “minimizzabile”!
Dopo 3 anni di sforzi dei massimi esperti di Storia non si è arrivati ad individuare, descrivere, fissare, COSA sarà vietato dire ai cittadini italiani, quindi punibile con anni di carcere! L’indeterminatezza porta il giudice all’interpretazione personale e non c’è per il cittadino comune certezza alcuna del suo diritto di espressione!
Si istituisce, di fatto, il reato di leso SARCHIAPONE!
Sembrano tornati i bei tempi di Galileo!
In pratica gli storici, incapaci di documentare “quel” fatto storico, si sono verognosamente dileguati ed il legislatore, sollecitato ossessivamente, istericamente, deve scrivere una legge che impone al giudice di non fare il proprio mestiere, ma,… di scrivere la Storia!
Scrittura, lo ripetiamo, mai riuscita ad alcun storico professionista!
Crediamo sia il colmo del ridicolo e della presa per i fondelli di 60.000.000 di Italiani e degli onorevoli per primi!
Dopo 3 anni di sforzi dei massimi esperti di Storia non si è arrivati ad individuare, descrivere, fissare, COSA sarà vietato dire ai cittadini italiani, quindi punibile con anni di carcere! L’indeterminatezza porta il giudice all’interpretazione personale e non c’è per il cittadino comune certezza alcuna del suo diritto di espressione!
Si istituisce, di fatto, il reato di leso SARCHIAPONE!
Sembrano tornati i bei tempi di Galileo!
In pratica gli storici, incapaci di documentare “quel” fatto storico, si sono verognosamente dileguati ed il legislatore, sollecitato ossessivamente, istericamente, deve scrivere una legge che impone al giudice di non fare il proprio mestiere, ma,… di scrivere la Storia!
Scrittura, lo ripetiamo, mai riuscita ad alcun storico professionista!
Crediamo sia il colmo del ridicolo e della presa per i fondelli di 60.000.000 di Italiani e degli onorevoli per primi!
http://olodogma.com/wordpress/2015/02/10/0956-oggi-morira-la-liberta-di-espressione/#more-22718
10 febbraio. “Giorno del ricordo”. La duplice tragedia degli italiani dell’Istria, di Fiume, della Dalmazia.
Un articolo di Giovanni Lugaresi e una galleria di libri su ciò che accadde al confine orientale
Redazione
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Legge 30 marzo 2004 n. 92: « La Repubblica riconosce il 10 febbraio quale “Giorno del ricordo” al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale. Nella giornata […] sono previste iniziative per diffondere la conoscenza dei tragici eventi presso i giovani delle scuole di ogni ordine e grado. È altresì favorita, da parte di istituzioni ed enti, la realizzazione di studi, convegni, incontri e dibattiti in modo da conservare la memoria di quelle vicende. Tali iniziative sono, inoltre, volte a valorizzare il patrimonio culturale, storico, letterario e artistico degli italiani dell’Istria, di Fiume e delle coste dalmate, in particolare ponendo in rilievo il contributo degli stessi, negli anni trascorsi e negli anni presenti, allo sviluppo sociale e culturale del territorio della costa nord-orientale adriatica ed altresì a preservare le tradizioni delle comunità istriano-dalmate residenti nel territorio nazionale e all’estero. »
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Ci vollero una sessantina d‘anni perché l’Italia “ufficiale” finalmente si ricordasse della tragedia dei suoi figli massacrati nelle foibe carsiche e di quella moltitudine di esuli in patria, che lasciarono le loro terre, i loro beni, i loro ricordi, perché non volevano vivere nel nuovo paradiso comunista a cui un crudele trattato di pace aveva ceduto le loro terre.
Morti ed esuli scomodi per l’Italia delle coscienze sporche, per l’Italia avvelenata da una guerra civile mai conclusa, che vide fratelli contro fratelli. Morti ed esuli di cui non si doveva parlare, perché avevano avuto il grave torto di patire per mano degli sciagurati comunisti, che, uomini senza onore e senza patria, cospirarono contro la patria degli italiani e che poi si autonominarono “vincitori” di una guerra persa da tutti. E si appropriarono della Storia. Quante tragedie sono state nascoste o falsificate? Ci vollero sessant’anni. Finalmente, con la legge 30 maggio 2004, n. 92, fu istituita la “Giornata del Ricordo”.
Noi non amiamo le commemorazioni astiose, né tantomeno i desideri di vendetta. Non sputiamo sui cadaveri dei nemici vinti, non diamo l’assalto ai carri funebri. Però amiamo la Verità. Non ci tuffiamo neanche nella retorica di chi dice: “Ricordare perché tali orrori non accadano più”. Viviamo in un’epoca che è piena di orrori, molto più del passato. Siamo però convinti che un popolo che dimentica o distorce il suo passato sia un popolo destinato a morire.
Questo non lo vogliamo. Il popolo italiano ha un grande passato, tradizioni millenarie, tesori di Fede e di cultura. È per questo grande popolo che è giusto ricordare tanti morti senza una croce, tanti esuli abbandonati. Non dimentichiamo e forse anche con questa memoria potremo ricostruire questo Paese in via di estinzione. 10 febbraio, Giorno del Ricordo: preghiamo perché il nostro Paese possa ritrovare il coraggio e l’orgoglio delle sue origini, l’amore per la verità e la Fede per ricominciare.
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Riproponiamo oggi un articolo di Giovanni Lugaresi (pubblicato su Riscossa Cristiana del 10 febbraio 2014, sempre attuale e utile da conoscere):
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La duplice tragedia degli italiani esuli in patria
Il peso subìto da istriani, dalmati, giuliani fu duplice: fuga dalle loro terre, abbandonando case, beni, tombe dove riposavano i familiari, le loro campagne, le loro chiese; poi, una volta in un’Italia libera, ma ancora percorsa dalla spirale dell’odio di una parte politica che guardava a Oriente, a quell’esempio luminoso di libertà e di democrazia che si chiamava Urss!
di Giovanni Lugaresi
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Le immagini più eloquenti della tragedia pensiamo le abbia date Indro Montanelli, quando scrisse che quelli del confine orientale erano “gli italiani migliori” e parlò poi di una “corona di spine” calcata sulle loro teste, in quanto furono gli unici a pagare, e duramente, la sconfitta della Patria nel secondo conflitto mondiale.
Vengono regolarmente alla mente quelle emblematiche espressioni, ogni anno, e così è stato per il 10 febbraio scorso, “Giorno del ricordo”: della pulizia etnica praticata dal regime comunista di Tito in quelle terre che già furono Italia: Venezia Giulia, Istria, Dalmazia, Fiume, e dell’esodo che secondo alcune fonti fu di 350mila persone, ma che sicuramente ammontò a oltre duecentomila.
Il peso subìto da istriani, dalmati, giuliani fu duplice: fuga dalle loro terre, abbandonando case, beni, tombe dove riposavano i familiari, le loro campagne, le loro chiese; poi, una volta in un’Italia libera, ma ancora percorsa dalla spirale dell’odio di una parte politica che guardava a Oriente, a quell’esempio luminoso di libertà e di democrazia che si chiamava Urss!
E qui conviene aprire una parentesi a uso e consumo degli immemori.
Prima della rottura di Tito con Stalin, il Pci tacciava di fascisti tutti coloro che, nelle terre del confine orientale tolte all’Italia e cedute alla Jugoslavia, parlavano di dittatura, di mancanza di libertà, di sopraffazione, di esecuzioni indiscriminate. Accadde poi che ad operai di Monfalcone con tessera Pci andati a lavorare in Jugoslavia… mal gliene incolse, in quanto dopo lo strappo titino da Stalin, finirono in galera, assaggiando, per così dire, il sapore della realtà politica, sociale, umana di quel “paradiso dei lavoratori”, a Goli-Otok, l’Isola Calva! Erano diventati “fascisti” anche loro, agli occhi del regime jugoslavo?!
Perché una delle aberranti convinzioni di quei duri e puri nostrani era: chiunque non fosse comunista era fascista. Questa non vuol essere polemica; ma soltanto… Storia, che non è maestra di vita, perché chi ha occhi e orecchie foderati dall’ideologia, nulla vuole sapere e imparare.
Ma torniamo al ricordo di quell’esodo, perché tale fu, per dimensioni numeriche e per privazioni materiali, sofferenze morali.
Abbandonate abitazioni, beni, in certi casi affetti, dopo avere vissuto tempi di paure e di violenze, di terrore e di morte, eccoli questi sventurati, raggiungere l’Italia libera, in nave, sui treni, con mezzi di fortuna. Un’Italia nella quale un minimo di pietà, un minimo di solidarietà, un minimo di aiuto i nostri compatrioti se li aspettavano. Eppure…
Eppure, ecco la seconda umiliazione, il secondo duro colpo subiti. Indifferenza, se non avversione da parte di non pochi militanti comunisti.
Avvenne allo sbarco dei profughi nei porti di Venezia e di Ancona, quello degli atti di ostilità da parte dei militanti del Pci. E ancora più clamorosa fu l’accoglienza alla stazione ferroviaria di Bologna (18 febbraio 1947), dove un treno merci sul quale viaggiavano profughi sbarcati ad Ancona, restò bloccato sui binari senza che agli addetti della Pontificia Opera Assistenza e della Croce Rossa fosse permessa la distribuzione di un pasto caldo, soprattutto a vecchi e bambini. Furono lanciati sassi e fu minacciato uno sciopero dei ferrovieri se quel convoglio non fosse immediatamente ripartito. Il che avvenne, e soltanto alla stazione di Parma quegli sventurati poterono rifocillarsi…
Quale la fine dei profughi? Vennero accolti in 109 campi allestiti in varie parti della penisola; in ottantamila presero la via dell’emigrazione: dall’Australia al Canada. In seguito all’esodo, in Istria interi villaggi restarono spopolati; da Pola, Capodistria, Parenzo, Orsera, era fuggito il novanta per cento della popolazione di etnia italiana…
Tanti anni dopo, un esponente di punta di quel partito comunista che aveva definito “fascisti” gli sventurati dell’esodo (che appartenevano a tutte le classi sociali), assurto alla carica di capo dello Stato, Giorgio Napolitano, avrebbe riconosciuto lo “status”, per così dire, di perseguitati, profughi, senza peraltro pronunciare parole di biasimo, di condanna nei confronti dei suoi compagni del Pci di allora.
Si ha un bel dire: il contesto storico, la guerra fredda, il retaggio del fascismo, eccetera.
Ma un po’ di cuore? Un po’ di umanità? No?
No. Non ci furono! Perché l’ideologia prevalse sull’umanità.
Per cui, se adesso ricordiamo quell’esodo, preceduto dagli infoibamenti, dalle uccisioni compiute nei modi più svariati ed efferati dai titini, quello che a noi più duole, e stringe il cuore, è costituito dall’indifferenza, dagli atti di ostilità compiuti contro quei profughi.
E più che mai sentiamo nel profondo quanto sia condivisibile quell’espressione di Leon Bloy che così suona: “A stare dalla parte dei perseguitati, non si sbaglia mai”…
Ieri, come oggi. Sempre.
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L’editore Solfanelli propone questi libri sulla tragedia degli italiani al confine orientale:
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Rossana Mondoni e Luciano Garibaldi
FOIBE: UN CONTO APERTO
Il testamento di Licia Cossetto
Edizioni Solfanelli
[ISBN-978-88-7497-846-5] Pagg. 56 – euro 6,00
http://www.edizionisolfanelli.it/foibeuncontoaperto.htm
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AESPI
ITALIA, CONFINE ORIENTALE E FOIBE
Atti del Convegno AESPI – Rete Scuole Superiori
Milano, 5 maggio 2011
Edizioni Solfanelli
[ISBN-978-88-7497-799-4] Pagg. 152 – euro 12,00
http://www.edizionisolfanelli.it/italiaconfineorientale.htm
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Luciano Garibaldi e Rossana Mondoni
NEL NOME DI NORMA
Norma Cossetto, la tragedia dell’Istria
e altre vicende a Trieste e sul confine orientale italiano
Presentazione di Renzo Codarin
Edizioni Solfanelli
[ISBN-978-88-7497-706-2] Pagg. 152 – euro 12,00
http://www.edizionisolfanelli.it/nelnomedinorma.htm
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Rossana Mondoni
SOPRAVVISSUTO ALLE FOIBE
La vicenda di Graziano Udovisi,
combattente italiano al confine orientale,
infoibato dai titini, miracolosamente sopravvissuto
Presentazione di Luciano Garibaldi
Edizioni Solfanelli
[ISBN-978-88-89756-60-7] Pagg. 126 – euro 10,00
http://www.edizionisolfanelli.it/sopravvissutoallefoibe.htm
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Luciano Garibaldi e Rossana Mondoni
VENTI DI BUFERA SUL CONFINE ORIENTALE
Edizioni Solfanelli
[ISBN-978-88-89756-90-4] Pagg. 152 – euro 10,00
http://www.edizionisolfanelli.it/confineorientale.htm
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Tutti i libri dell’Editore Solfanelli possono essere richiesti direttamente a Riscossa Cristiana. Per acquisti on line inviare una mail a info@riscossacristiana.it . Per le modalità di pagamento, clicca qui
Redazione
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Legge 30 marzo 2004 n. 92: « La Repubblica riconosce il 10 febbraio quale “Giorno del ricordo” al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale. Nella giornata […] sono previste iniziative per diffondere la conoscenza dei tragici eventi presso i giovani delle scuole di ogni ordine e grado. È altresì favorita, da parte di istituzioni ed enti, la realizzazione di studi, convegni, incontri e dibattiti in modo da conservare la memoria di quelle vicende. Tali iniziative sono, inoltre, volte a valorizzare il patrimonio culturale, storico, letterario e artistico degli italiani dell’Istria, di Fiume e delle coste dalmate, in particolare ponendo in rilievo il contributo degli stessi, negli anni trascorsi e negli anni presenti, allo sviluppo sociale e culturale del territorio della costa nord-orientale adriatica ed altresì a preservare le tradizioni delle comunità istriano-dalmate residenti nel territorio nazionale e all’estero. »
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Ci vollero una sessantina d‘anni perché l’Italia “ufficiale” finalmente si ricordasse della tragedia dei suoi figli massacrati nelle foibe carsiche e di quella moltitudine di esuli in patria, che lasciarono le loro terre, i loro beni, i loro ricordi, perché non volevano vivere nel nuovo paradiso comunista a cui un crudele trattato di pace aveva ceduto le loro terre.
Morti ed esuli scomodi per l’Italia delle coscienze sporche, per l’Italia avvelenata da una guerra civile mai conclusa, che vide fratelli contro fratelli. Morti ed esuli di cui non si doveva parlare, perché avevano avuto il grave torto di patire per mano degli sciagurati comunisti, che, uomini senza onore e senza patria, cospirarono contro la patria degli italiani e che poi si autonominarono “vincitori” di una guerra persa da tutti. E si appropriarono della Storia. Quante tragedie sono state nascoste o falsificate? Ci vollero sessant’anni. Finalmente, con la legge 30 maggio 2004, n. 92, fu istituita la “Giornata del Ricordo”.
Noi non amiamo le commemorazioni astiose, né tantomeno i desideri di vendetta. Non sputiamo sui cadaveri dei nemici vinti, non diamo l’assalto ai carri funebri. Però amiamo la Verità. Non ci tuffiamo neanche nella retorica di chi dice: “Ricordare perché tali orrori non accadano più”. Viviamo in un’epoca che è piena di orrori, molto più del passato. Siamo però convinti che un popolo che dimentica o distorce il suo passato sia un popolo destinato a morire.
Questo non lo vogliamo. Il popolo italiano ha un grande passato, tradizioni millenarie, tesori di Fede e di cultura. È per questo grande popolo che è giusto ricordare tanti morti senza una croce, tanti esuli abbandonati. Non dimentichiamo e forse anche con questa memoria potremo ricostruire questo Paese in via di estinzione. 10 febbraio, Giorno del Ricordo: preghiamo perché il nostro Paese possa ritrovare il coraggio e l’orgoglio delle sue origini, l’amore per la verità e la Fede per ricominciare.
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Riproponiamo oggi un articolo di Giovanni Lugaresi (pubblicato su Riscossa Cristiana del 10 febbraio 2014, sempre attuale e utile da conoscere):
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La duplice tragedia degli italiani esuli in patria
Il peso subìto da istriani, dalmati, giuliani fu duplice: fuga dalle loro terre, abbandonando case, beni, tombe dove riposavano i familiari, le loro campagne, le loro chiese; poi, una volta in un’Italia libera, ma ancora percorsa dalla spirale dell’odio di una parte politica che guardava a Oriente, a quell’esempio luminoso di libertà e di democrazia che si chiamava Urss!
di Giovanni Lugaresi
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Le immagini più eloquenti della tragedia pensiamo le abbia date Indro Montanelli, quando scrisse che quelli del confine orientale erano “gli italiani migliori” e parlò poi di una “corona di spine” calcata sulle loro teste, in quanto furono gli unici a pagare, e duramente, la sconfitta della Patria nel secondo conflitto mondiale.
Vengono regolarmente alla mente quelle emblematiche espressioni, ogni anno, e così è stato per il 10 febbraio scorso, “Giorno del ricordo”: della pulizia etnica praticata dal regime comunista di Tito in quelle terre che già furono Italia: Venezia Giulia, Istria, Dalmazia, Fiume, e dell’esodo che secondo alcune fonti fu di 350mila persone, ma che sicuramente ammontò a oltre duecentomila.
Il peso subìto da istriani, dalmati, giuliani fu duplice: fuga dalle loro terre, abbandonando case, beni, tombe dove riposavano i familiari, le loro campagne, le loro chiese; poi, una volta in un’Italia libera, ma ancora percorsa dalla spirale dell’odio di una parte politica che guardava a Oriente, a quell’esempio luminoso di libertà e di democrazia che si chiamava Urss!
E qui conviene aprire una parentesi a uso e consumo degli immemori.
Prima della rottura di Tito con Stalin, il Pci tacciava di fascisti tutti coloro che, nelle terre del confine orientale tolte all’Italia e cedute alla Jugoslavia, parlavano di dittatura, di mancanza di libertà, di sopraffazione, di esecuzioni indiscriminate. Accadde poi che ad operai di Monfalcone con tessera Pci andati a lavorare in Jugoslavia… mal gliene incolse, in quanto dopo lo strappo titino da Stalin, finirono in galera, assaggiando, per così dire, il sapore della realtà politica, sociale, umana di quel “paradiso dei lavoratori”, a Goli-Otok, l’Isola Calva! Erano diventati “fascisti” anche loro, agli occhi del regime jugoslavo?!
Perché una delle aberranti convinzioni di quei duri e puri nostrani era: chiunque non fosse comunista era fascista. Questa non vuol essere polemica; ma soltanto… Storia, che non è maestra di vita, perché chi ha occhi e orecchie foderati dall’ideologia, nulla vuole sapere e imparare.
Ma torniamo al ricordo di quell’esodo, perché tale fu, per dimensioni numeriche e per privazioni materiali, sofferenze morali.
Abbandonate abitazioni, beni, in certi casi affetti, dopo avere vissuto tempi di paure e di violenze, di terrore e di morte, eccoli questi sventurati, raggiungere l’Italia libera, in nave, sui treni, con mezzi di fortuna. Un’Italia nella quale un minimo di pietà, un minimo di solidarietà, un minimo di aiuto i nostri compatrioti se li aspettavano. Eppure…
Eppure, ecco la seconda umiliazione, il secondo duro colpo subiti. Indifferenza, se non avversione da parte di non pochi militanti comunisti.
Avvenne allo sbarco dei profughi nei porti di Venezia e di Ancona, quello degli atti di ostilità da parte dei militanti del Pci. E ancora più clamorosa fu l’accoglienza alla stazione ferroviaria di Bologna (18 febbraio 1947), dove un treno merci sul quale viaggiavano profughi sbarcati ad Ancona, restò bloccato sui binari senza che agli addetti della Pontificia Opera Assistenza e della Croce Rossa fosse permessa la distribuzione di un pasto caldo, soprattutto a vecchi e bambini. Furono lanciati sassi e fu minacciato uno sciopero dei ferrovieri se quel convoglio non fosse immediatamente ripartito. Il che avvenne, e soltanto alla stazione di Parma quegli sventurati poterono rifocillarsi…
Quale la fine dei profughi? Vennero accolti in 109 campi allestiti in varie parti della penisola; in ottantamila presero la via dell’emigrazione: dall’Australia al Canada. In seguito all’esodo, in Istria interi villaggi restarono spopolati; da Pola, Capodistria, Parenzo, Orsera, era fuggito il novanta per cento della popolazione di etnia italiana…
Tanti anni dopo, un esponente di punta di quel partito comunista che aveva definito “fascisti” gli sventurati dell’esodo (che appartenevano a tutte le classi sociali), assurto alla carica di capo dello Stato, Giorgio Napolitano, avrebbe riconosciuto lo “status”, per così dire, di perseguitati, profughi, senza peraltro pronunciare parole di biasimo, di condanna nei confronti dei suoi compagni del Pci di allora.
Si ha un bel dire: il contesto storico, la guerra fredda, il retaggio del fascismo, eccetera.
Ma un po’ di cuore? Un po’ di umanità? No?
No. Non ci furono! Perché l’ideologia prevalse sull’umanità.
Per cui, se adesso ricordiamo quell’esodo, preceduto dagli infoibamenti, dalle uccisioni compiute nei modi più svariati ed efferati dai titini, quello che a noi più duole, e stringe il cuore, è costituito dall’indifferenza, dagli atti di ostilità compiuti contro quei profughi.
E più che mai sentiamo nel profondo quanto sia condivisibile quell’espressione di Leon Bloy che così suona: “A stare dalla parte dei perseguitati, non si sbaglia mai”…
Ieri, come oggi. Sempre.
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L’editore Solfanelli propone questi libri sulla tragedia degli italiani al confine orientale:
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Rossana Mondoni e Luciano Garibaldi
FOIBE: UN CONTO APERTO
Il testamento di Licia Cossetto
Edizioni Solfanelli
[ISBN-978-88-7497-846-5] Pagg. 56 – euro 6,00
http://www.edizionisolfanelli.it/foibeuncontoaperto.htm
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AESPI
ITALIA, CONFINE ORIENTALE E FOIBE
Atti del Convegno AESPI – Rete Scuole Superiori
Milano, 5 maggio 2011
Edizioni Solfanelli
[ISBN-978-88-7497-799-4] Pagg. 152 – euro 12,00
http://www.edizionisolfanelli.it/italiaconfineorientale.htm
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Luciano Garibaldi e Rossana Mondoni
NEL NOME DI NORMA
Norma Cossetto, la tragedia dell’Istria
e altre vicende a Trieste e sul confine orientale italiano
Presentazione di Renzo Codarin
Edizioni Solfanelli
[ISBN-978-88-7497-706-2] Pagg. 152 – euro 12,00
http://www.edizionisolfanelli.it/nelnomedinorma.htm
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Rossana Mondoni
SOPRAVVISSUTO ALLE FOIBE
La vicenda di Graziano Udovisi,
combattente italiano al confine orientale,
infoibato dai titini, miracolosamente sopravvissuto
Presentazione di Luciano Garibaldi
Edizioni Solfanelli
[ISBN-978-88-89756-60-7] Pagg. 126 – euro 10,00
http://www.edizionisolfanelli.it/sopravvissutoallefoibe.htm
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Luciano Garibaldi e Rossana Mondoni
VENTI DI BUFERA SUL CONFINE ORIENTALE
Edizioni Solfanelli
[ISBN-978-88-89756-90-4] Pagg. 152 – euro 10,00
http://www.edizionisolfanelli.it/confineorientale.htm
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Tutti i libri dell’Editore Solfanelli possono essere richiesti direttamente a Riscossa Cristiana. Per acquisti on line inviare una mail a info@riscossacristiana.it . Per le modalità di pagamento, clicca qui
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