Papa Francesco apre ai preti sposati: “Il problema è nella mia agenda”
Papa Francesco (Foto Lapresse) |
CITTA’ DEL VATICANO – Papa Francesco apre aipreti sposati: “Il problema è nella mia agenda”, ha detto il pontefice, raccontando di aver già accennato alla questione alla messa del 10 febbraio in Santa Marta alla quale erano presenti cinque ex sacerdoti ora sposati.
In quell’occasione, uno dei preti (non sposati) presenti, don Giovanni Cereti, ha posto la questione, ricordando il caso delle Chiese Orientali, dove gli uomini sposati possono essere ordinati sacerdoti. E Bergoglio a sorpresa ha risposto:
“Il problema, ha assicurato Francesco nella sua risposta, è presente nella mia agenda”.
Secondo quanto riferisce Repubblica citando la stampa brasiliana, già alcuni mesi fa papa Francesco avrebbe scritto al cardinale brasiliano Claudio Hummes una lettera sulla possibilità di avviare una riflessione sul celibato ecclesiastico relativa ai cosiddetti “viri probati” cioè a uomini di età non giovane, sposati, che conducono una vita familiare e religiosa esemplare, e ai quali alcuni ritengono che possano essere affidati compiti nella Chiesa al pari dei sacerdoti.
http://www.blitzquotidiano.it/cronaca-mondo/papa-francesco-apre-ai-preti-sposati-il-problema-e-nella-mia-agenda-2106734/
*I cambiamenti ostacolati da una palude di prelati, ma il collegio cardinalizio intanto cambia radicalmente e gli extraeuropei diventano maggioranza.
Quest'articolo è apparso su Linkiesta - Anche in Vaticano è tempo di riforme istituzionali e il dibattito fra i cardinali, come si dice, è costruttivo; insomma il taglio dei dicasteri pure in programma, ancora non è entrato in vigore. D'altro canto sono due anni orma che il papa spara a zero verso il quartier generale, ovvero contro la stessa Curia romana da lui guidata e che vorrebbe fortemente ridimensionata nel peso rispetto alle chiese locali, e nella pesante struttura burocratica. Così anche domenica scorsa, in occasione della messa celebrata in San Pietro per i nuovi cardinali appena eletti, Francesco ha riaffermato con estrema precisione – e non senza durezza – quale sia modello di Chiesa cui intende dare vita.
La battaglia per le riforme entra nel vivo e il papa prende di mira la casta ecclesiale
*I cambiamenti ostacolati da una palude di prelati, ma il collegio cardinalizio intanto cambia radicalmente e gli extraeuropei diventano maggioranza.
Quest'articolo è apparso su Linkiesta - Anche in Vaticano è tempo di riforme istituzionali e il dibattito fra i cardinali, come si dice, è costruttivo; insomma il taglio dei dicasteri pure in programma, ancora non è entrato in vigore. D'altro canto sono due anni orma che il papa spara a zero verso il quartier generale, ovvero contro la stessa Curia romana da lui guidata e che vorrebbe fortemente ridimensionata nel peso rispetto alle chiese locali, e nella pesante struttura burocratica. Così anche domenica scorsa, in occasione della messa celebrata in San Pietro per i nuovi cardinali appena eletti, Francesco ha riaffermato con estrema precisione – e non senza durezza – quale sia modello di Chiesa cui intende dare vita.
In questo contesto ha tirato fuori la parola chiave divenuta una mantra contemporaneo: la casta. “Cari fratelli – ha scandito Bergoglio - guardando a Gesù e alla nostra madre Maria, vi esorto a servire la Chiesa in modo tale che i cristiani - edificati dalla nostra testimonianza - non siano tentati di stare con Gesù senza voler stare con gli emarginati, isolandosi in una casta che nulla ha di autenticamente ecclesiale”. “Vi esorto – ha aggiunto - a servire Gesù crocifisso in ogni persona emarginata, per qualsiasi motivo; a vedere il Signore in ogni persona esclusa che ha fame, che ha sete, che è nuda; il Signore che è presente anche in coloro che hanno perso la fede, o che si sono allontanati dal vivere la propria fede; il Signore che è in carcere, che è ammalato, che non ha lavoro, che è perseguitato; il Signore che è nel lebbroso - nel corpo o nell’anima -, che è discriminato!”.
Quindi ha proseguito concluso: “Non scopriamo il Signore se non accogliamo in modo autentico l’emarginato! Ricordiamo sempre l’immagine di san Francesco che non ha avuto paura di abbracciare il lebbroso e di accogliere coloro che soffrono qualsiasi genere di emarginazione. In realtà, sul vangelo degli emarginati, si scopre e si rivela la nostra credibilità!”.La credibilità che acquista senso quando la Chiesa sta dalla parte degli ultimi, e poi il rifiuto del potere e di quella casta che è il contrario della Chiesa. Questi i concetti messi in chiaro dal papa in una delle omelie più importanti del pontificato.
Francesco ha usato toni particolarmente duri proprio perché, in questi due anni, ha potuto vedere con i propri occhi fino a che punto il sistema ecclesiale romano e non solo fosse avvitato su sé stesso: prelati, cardinali, apparati di Curia che resistono al cambiamento sia sul piano pastorale, (la scarsa attenzione rivolta agli offesi, agli emarginati, ai non credenti, a quanti hanno perso la fede, ai perseguitati) che su quello organizzativo dove prevale la paura di perdere posti e privilegi. Di fatto il Papa che voleva snellire la curia romana, metterla al servizio dei vescovi sparsi nel mondo, eliminare progressivamente le porpore in Vaticano, sta incontrando una opposizione che gli impedisce di fare in fretta. Di fronte ha una palude che ogni tanto alza la testa, ruggisce, rivendica la “dottrina tradizionale”, si oppone alla Chiesa aperta che accoglie anche i divorziati, le coppie di fatto, i separati, gli omosessuali, prefigurata da Francesco. E, pure se non ha il coraggio di dirlo in modo esplicito, detesta il primato del 'sociale' voluto dal papa argentino con la sua perseverante critica al capitalismo finanziario e la scelta di mettere i carcerati, gli immigrati, i poveri, prima della bioetica.
Nel frattempo però papa Francesco, che è pur sempre un gesuita, un po' di cose le ha cambiate lo stesso e anzi si tratta di passi avanti sostanziali. In particolare ha allargato il collegio cardinalizio sempre più al sud del mondo e e ha ristretto il numero dei porporati europei, le nomine di cardinali curiali inoltre sono ormai ridotte al minimo. Così ora in un eventuale conclave le berrette rosse con diritto di voto (meno di 80 anni) extraeuropee – si va dal nord al sud America, passando per Tonga, il Myanmar, l'Etiopia e la Nuova Zelanda – sono in maggioranza rispetto ai cardinali europei, 68 a 57. Insomma, il futuro della Chiesa appare segnato: si guarda all'Asia e alle Americhe.
La prossima tappa, poi, è il sinodo sulla famiglia di ottobre, quello probabilmente sarà lo snodo decisivo. Se la linea del Papa di una chiara apertura della Chiesa alla comprensione della condizione umana contemporanea, in tutti i suoi aspetti, avrà un consenso ampio, a quel punto il resto verrà più o meno da sé. E' un fatto del resto, che Bergoglio deve fare un passo per volta, non ha moltissimo tempo davanti: ha già 78 anni e non farà il papa 'a vita', queste almeno le intenzioni dichiarate, quindi è probabile che prima o poi si dimetterà come Benedetto XVI. Dunque dopo il sinodo entrerà nel vivo anche la riduzione dei dicasteri vaticani.
D'altro canto si tratta di riscrivere una Costituzione, sia pure apostolica, che in questo caso si chiama “Pastor Bonus”, cioè il documento promulgato da Giovanni Paolo II nel 1988 che stabilisce regole, funzioni e armonia istituzionale fra i vari organismi centrali della Chiesa. La costruzione messa a punto da Wojtyla si basava già sulle solide fondamenta della riforma impostata da Paolo VI (Regimini ecclesiae universae) che di fatto aveva accresciuto e potenziato il ruolo della Segreteria di Stato, divenuta negli anni il vero motore del Vaticano. La linea del papa è chiara: sburocratizzare, ridurre, accorpare e sopratutto trasformare le potenti congregazioni vaticane guidate da cardinali che formavano una sorta di corte, in strutture al servizio delle chiese locali, dei loro problemi, capaci di intervenire per supportare gli episcopati locali.
Un cambiamento radicale destinato a metter in crisi abitudini, prebende, tradizioni e piccoli potentati della cittadella vaticana ma anche, più in generale, un'idea di Chiesa. Bergoglio in realtà un colpo come si deve in materia di riforme lo ha messo a segno fin da subito, pochi mesi dopo essere stato eletto. E' ormai famoso infatti il cosiddetto C9, il consiglio dei cardinali del Papa che nel frattempo è diventato il vero centro di governo della Chiesa universale. E si tratta, per altro, di un classico organismo collegiale, funziona infatti una sorta di consiglio dei ministri del pontefice. In questo gruppo troviamo molti degli uomini chiave del pontificato di Francesco: il Segretario di Stato Parolin, il prefetto della Segreteria per l'Economia, il cardinale australiano George Pell, l'americano O' Malley, cioè il cardinale cappuccino che preside la pontificia commissione per la protezione dell'infanzia (il dicastero della lotta contro la pedofilia nella Chiesa); il cardinale tedesco Marx a capo del Consiglio per l'economia, organismo misto di prelati e laici che traccia gli indirizzi economici della Santa sede in sintonia con la Segreteria per l'economia. Ancora nel C9 c'è il cardinale Maradiaga, il coordinatore del gruppo, voce autorevole nel descrivere il nuovo modello economico e sociale contrario alla globalizzazione finanziaria, tracciato dal papa. E' all'interno di questo gruppo che sono stati discussi tutti i dossier più delicati – la riforma economica la risposta agli abusi sessuali, la stessa riforma della Curia.
Ma il progetto di Bergoglio è anche più ambizioso: l'obiettivo infatti è quello di assegnare al sinodo, cioè all'assemblea di vescovi delegati di tutti i Paesi, poteri sempre più ampi vale a dire non solo consultivi ma decisionali. Ancora un ruolo crescente dovrebbero avere le conferenze episcopali continentali e nazionali. Sono proprio queste le opzioni che spaventano maggiormente l'ala conservatrice. Finirebbe in tal modo il super potere romano, e nascerebbe una Chiesa collegiale in cui le voci locali hanno un'importanza decisiva.
Papa Francesco. Preti risposati, comunione divorziati: Don Cereti è il suo teologo
ROMA - Papa Francesco. Preti risposati, comunione divorziati: Don Cereti è il suo teologo. Il fine e discreto teologo Don Giovanni Cereti si conferma come uno dei pensatori della Chiesa più ascoltati da Papa Francesco. Prima le aperture sul ripristino del sacramento dellaComunione ai credenti divorziati risposati, quindi, ieri, la riammissione al ministero ecclesiastico dei sacerdoti che per convenzione chiamiamo “spretati”: il pontefice, sollecitato proprio da don Cereti, durante un incontro con i sacerdoti romani, ha esplicitamente dichiarato che “il problema dei preti sposati è presente nella mia agenda”.
Don Cereti, di cui Blitzquotidiano ha fornito unesauriente ritratto, intervistato dal Corriere della Sera, ribadisce le sue posizioni sui preti sposati (“Vanno riammessi”), è lo stesso teologo che da almeno 40 anni si impegna a ridiscutere l’ostracismo della Chiesa nei confronti dei divorziati risposati, fornendo fra l’altro le fonti storiche e di diritto canonico utilizzate da Papa Francesco per la sua famosa apertura all’ultimo Sinodo.
Il libro che ha tolto il sonno a Francesco è intitolato “Divorzio, nuove nozze e penitenza nella chiesa primitiva” e lo ha scritto quel sacerdote riservato, ma determinato che da trent’anni si batte per dare la comunione ai divorziati e spiegare perché la dottrina cattolica consente di farlo. E ha scoperto, quel sacerdote, che nella Chiesa Primitiva, quella che i teologi raffinati chiamano la Grande Chiesa, quella dei primi secoli del primo millennio, il concetto di peccato era diverso e il perdono connesso a alcuni dei peccati suscitava una capacità di rimessione diversa, più ampia forse, ma anche più profonda. (Franco Manzitti, Blitzquotidiano)
Nell’intervista a Fabrizio Caccia del Corriere della Sera, Cereti smonta il tabù del celibato contrapponendolo alla sacralità del matrimonio, vero “atto di testimonianza cristiana” da opporre ai tanti cristiani “celibi per egoismo”. Senza rinunciare a un sano pragmatismo che non impedisce di vedere la crisi di vocazioni che mina la Chiesa latina. Come sui divorziati risposati, anche sui sacerdoti con famiglia, Francesco raccoglie l’invito al coraggio di non soprassedere.
Il rettore spiega l’urgenza della sfida col fatto che «la Chiesa latina oggi è in difficoltà, c’è la crisi delle vocazioni e può capitare che un prete debba coprire anche 7-8 parrocchie da solo. La scristianizzazione, la secolarizzazione, sono legate proprio alla carenza di sacerdoti, non ce n’è abbastanza per seguire le persone… Possibile che il Papa vada in Parlamento (lo fece Wojtyla nel 2002, ndr ) a chiedere l’amnistia e l’indulto per i detenuti, eppure ancora oggi la Chiesa non sia capace di dare un indulto, di dare l’indulgenza cioè, ai suoi preti sposati, concedendo loro di riprendere il ministero?».Qui non è un problema di uniformarsi — aggiunge don Cereti — ai cristiani ortodossi e alle Chiese orientali, dove i preti sposati possono celebrare la Messa e consacrare l’Eucaristia. Sembra piuttosto questione di sopravvivenza: «Anche il valore del celibato, oggi, con in giro tanti celibi per egoismo, andrebbe forse rivisto in favore del matrimonio come testimonianza di fede». Papa Francesco, ieri, ha detto pure che il 10 febbraio, a Santa Marta, ha festeggiato il 50° anniversario di sacerdozio di 7 preti che hanno concelebrato con lui. E alla messa — ha svelato — erano presenti anche 5 preti sposati. Forse, un orizzonte che si apre: «Io sono fiducioso — conclude don Giovanni —.Perché sento che il Papa vuole realizzare quella riforma della Chiesa decisa dal Concilio Vaticano II e applicata finora solo parzialmente. Perciò continuerò a battermi anche per l’ordinazione al presbiterato (non solo al diaconato) dei laici sposati e per l’assoluzione dei divorziati risposati. Sapete, io ho 82 anni e a sposarmi, in verità, rinunciai ben 55 anni fa. Presi la decisione serenamente insieme con un’altra persona, ora consacrata nel mondo. E sto bene così». (Fabrizio Caccia, Corriere della Sera)
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