Reazionar*, la teoria gender non esiste (manco un poco, eh)
Le prefiche del gender-correct piagnucolano e si lamentano, non accettando contraddittorio. Ma anche Papa Francesco scende in campo.
«Certo, non fanno stragi di vite umane i gender-correct. Fanno però mafia. Nell’imperio dell’irresistibile, intimidiscono. Così che ogni cretino del villaggio vip si piega al loro totem accogliendone faida e vendetta»Pietrangelo Buttafuoco
Che lo si faccia indicandola come ideologia o meno, ogni singolo articolo, intervista o libro sulla teoria del gender è accompagnato in risposta dalla nenia di coloro che, nel tedio delle loro vite intellettuali tutte di rimbalzo tra un apericena chic e una festicciola dal tema arcobaleno, vorrebbero negare l’esistenza di una teoria simile. Le prefiche la piangono come invenzione di sporchi e vecchi (attributi d’obbligo) reazionari – in alternativa si smoccoli contro i cattolici, rimasti all’epoca buia di santi ed eroi. Insomma, ideologico sarebbe chi parla di teoria del gender per «creare consenso intorno a posizioni sessiste e omofobe», come ha scritto Wired.
Siamo al format della mediocrità, e dobbiamo farcene una ragione. Quando Schopenhauer – ecco un altro reazionario! (silenzio, parla Lukács) – scrive che nessuno può vedere sopra di sé, intende che tra persone di livello intellettuale troppo diverso non ci può essere uno scambio di idee. Non possiamo pretendere che le suddette prefiche, cresciute a pane e cecità, leggano quel pessimo ma visionario scrittore che fu Aldous Huxley, per nominarne uno tra i tanti; si renderebbero conto di come il progetto di un’umanità nuova, slegata da terra, famiglia, sesso, e senza nozioni di parentela, paternità, maternità, filiazione, non sia frutto dell’immaginazione di qualche buontempone della destra radicale, ma disegno alimentato da decine di teorie e autori che, da decenni a questa parte, costituiscono quel mondo intellettuale che va sotto il nome di transumanesimo, costola del pensiero postmoderno. Altresì non possiamo avere l’ardire di far notare le riviste che portano sottobraccio, dacché per loro l’esistenza di studi di genere non ha niente a che fare con fantomatiche ideologie gender, ossia: non è ideologico, ma scientifico, dire che possiamo costruire il nostro genere ed essere più o meno maschi, più o meno femmine, più o meno genderqueer, come mostra lo schemino che segue – un po’ come le statistiche dei calciatori in Fifa 2015, gioco che risponde alle logiche stereotipate del maschio socioculturalmente determinato, per dirla alla Lgbt.
Fa perciò piacere sentire Papa Francesco parlare esplicitamente di «quello sbaglio della mente umana che è la teoria del gender, che crea tanta confusione». Il Pontefice, che aveva già attaccato a gennaio questo genere di «colonizzazioni ideologiche», è tornato sul tema lo scorso sabato, durante la sua visita pastorale a Napoli, rispondendo alle domande dei fedeli. Toh, anche il buon Francesco, da subito amato dai progressisti di ogni dove, è caduto nella trappola degli stereotipi di genere e di quella perfida invenzione di cattolici bigotti e opinionisti sovrappeso.
Qui si apre una lotta per il dominio territoriale degli spazi intellettuali nei quali si discute di natura e cultura, educazione e indottrinamento, ordine e fuffa. Bisogna armarsi di tutto punto; le munizioni, da Thibon a Chasseguet-Smirgel, non mancano. Chi sostiene il minestrone degli studi di genere non accetta contraddittorio e prepara l’etichetta fangosa dell’omofobo, del fascista, dell’oscurantista. Siamo di fronte a tardive e deprimenti scorie del femminismo infranto (mi perdoni quell’avvinazzato francese di Houellebecq se gli rubo questa splendida espressione), che vanno combattute a suon di cultura – laica o cattolica che sia. Ben venga che anche il Papa, non piegatosi alla “famiglia” beneducata del gender-correct, scende in campo.
Il nostro fondamentalismo è diventato il “gender-correct”
Certo, non fanno stragi di vite umane i gender-correct. Fanno però mafia. Nell’imperio dell’irresistibile, intimidiscono. Così che ogni cretino del villaggio vip si piega al loro totem accogliendone faida e vendetta. Come nel caso Barilla – il Mulino Bianco della famiglia tradizionale – minacciato di fallimento, sull’onda del boycott-Barilla; come appena qualche giorno fa è accaduto a Dolce & Gabbana.
DI PIETRANGELO BUTTAFUOCO - 23 MARZO 2015
Separate alla nascita, dunque, la Croce di Mosul – strappata dagli assassini dell’Isis, in Iraq – e quella di Bologna. Una attesta il martirio, l’altra il delirio. Al Cassero, il circolo degli omosessuali di Bologna, del sacro Legno se n’è fatto un sex-toy. E’ successo alla festa del “venerdì credici” – un raduno di sbattezzo, in piena Quaresima – ed è stato un tableau vivant inteso come una citazione di Charlie Hebdo. A conferma dell’identità d’Occidente: la libertà di violare ogni violabile.
La prima Croce, quindi – sul campanile della Chiesa di San Giorgio – è stata sovrastata dalla bandiera nera del Califfo. La seconda, invece, è stata impugnata da un poverocristo travestito da Cristo per scavare le natiche di un tale – corone di spine in testa – camuffato da testimone del Golgota. La prima scena, avvalorando lo scontro di civiltà, ha guadagnato le prime pagine dei giornali. La seconda, evocando la complicità in automatico col gender-correct imperante, in ragione di un riflesso più che condizionato ha avuto una ribalta più modesta.
La Croce, ovviamente, non teme nessuna blasfemia. Ogni Bismillah ir-Rahman ir-Rahim è più forte di qualunque corno del più cornuto dei Satana ma tra Mosul e Bologna – nella digestione delle immagini cui siamo costretti – si consuma la libertà di violare ogni violabile. Ogni reazione – in tema di omosessuali, specie se militanti – è invalidata da soggezione.
Separate alla nascita, dunque, ma con destini opposti le due Croci. Il nemico fondamentalista che calpesta la prima per quel gesto si guadagna il totale disprezzo; i tapini in festa che ne fanno solo colore, invece (oltretutto ospiti di una conventicola che beneficia di fondi pubblici), fanno strame di quel Cristo avendo la certezza di un invincibile altolà. Un fermo là che deriva loro dalla conclamata impunità di tenere il manico del coltello con cui si viola ogni violabile. La famosa reciprocità, in tema di gender-correct, non può darsi. Per ogni Croce ridotta al rango di vibratore non può esserci – in reazione, invalidata dalla soggezione – la più flebile delle proteste.
Certo, non sono assassini gli ospiti de Il Cassero, sono dei bravi figli. E però hanno la sfrontatezza dei mafiosi. Hanno la prepotenza clanica di chi può sputare in faccia a chiunque, perfino al Legno, spacciando poi la propria bava per profumo. Intoccabili dell’unica casta superiore su cui non è consentita critica, sono fatti forti di un imperativo categorico. Quello di un totem contro cui non si volge il violare di ogni violabile perché la lama – la lama di quel coltello, lo Spirito del Tempo – è cosa loro: il fondamentalismo omosessualista.
Certo, non fanno stragi di vite umane i gender-correct. Fanno però mafia. Nell’imperio dell’irresistibile, intimidiscono. Così che ogni cretino del villaggio vip si piega al loro totem accogliendone faida e vendetta. Come nel caso Barilla – il Mulino Bianco della famiglia tradizionale – minacciato di fallimento, sull’onda del boycott-Barilla; come appena qualche giorno fa è accaduto a Dolce & Gabbana.
I due sarti, a seguito di un’intervista di Terri Marocco su Panorama, scopertosi tradizionali in tema di figli, pur omosessuali, sono stati subito pestati da Elton John. Un sabba mediatico tutto di altolà dai risultati comici se Ornella Vanoni, per testimoniare indignazione, ha dato via il proprio cappotto D&G di cincillà regalandolo al barbone sotto casa. Inconsapevole strumento così, la signora Vanoni, di un’astuzia propria dell’Inviolato: la Misericordia. Come a Mosul, così a Bologna.
Fonte:
Il Fatto Quotidiano
Il Fatto Quotidiano
Il fatto è semplice: i trans ragionano dalla cintola in giù, invece i bravi cristiani dalla cintola in su. Fides et ratio . jane
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