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sabato 4 aprile 2015

Il Gesù mellonico


La famiglia per Gesù non era sacra

Oggi anche il matrimonio civile copia il cattolico, che va ripensato in base al Vangelo





La sacra famiglia di Luini
La sacra famiglia di Luini

Una lettura in salita fin dal titolo, Amore senza fine, amore senza fini (Il Mulino), ma utile come promette il sottotitolo, Appunti di storia su chiese matrimoni e famiglie. Alberto Melloni è uno storico e guarda al conflitto di civiltà sul matrimonio con la passione di chi non si rifiuta a nessuna battaglia, ma anche con il distacco di chi è allenato a «guardare le cose sul lungo periodo». Com’è nella sua vocazione di studioso militante che non ha mai dissimulato, l’autore ordisce il richiamo al
passato in funzione di due moniti che rivolge ai nostalgici del «regime di cristianità» e all’ala marciante del «regime di modernità». Due avvertenze legate dal corollario che è necessario «ripensare» in toto le «relazioni d’amore», se abbiamo ancora interesse alla segnalazione sociale della loro intenzione a durare. Il monito rivolto ai nostalgici è di cessare dall’inseguire con intenzione di battaglia «ogni discussione sui fini dell’amore o la fine dell’amore» (qui spuntano le parole del titolo del libretto) e di dedicarsi con nuovo impegno a proporre l’ideale della fedeltà con libero affidamento alla capacità di accoglienza dei singoli che può anche essere piena — oggi come sempre — se così la donano «la fedeltà di Dio» e le risorse dell’umano, ma che non può essere in alcun modo comandata, o vincolata a norme che l’umanità del terzo millennio respinge d’istinto
. Ai militanti della modernità lo storico propone un monito speculare: non basta rovesciare l’ordine dei fattori e delle fasi del «matrimonio tridentino» (cioè della tradizione cattolica, che è ancora quello normato dal Concilio di Trento) per uscire dal suo recinto e fondare su nuove basi il riconoscimento pubblico del «legame più irresistibile e più fragile».

Per prima oggi viene la «consumazione» del rapporto, cui segue la convivenza e infine il figlio, dopo l’arrivo del quale si va allo «sposalizio solenne» che imita in tutto quello tridentino, tranne nel fatto che arriva per ultimo, mentre allora veniva per primo e legittimava il resto. Melloni chiama alla necessità di «pensare la sponsalità fuori dal regime di cristianità»: le Chiese lo dovrebbero fare prendendo atto che quel regime non esiste più («siamo indietro di duecento anni» disse infine il cardinale Martini), i loro antagonisti avvertendo che il mero rovesciamento delle formule rischia di perpetuare le antiche subordinazioni: del matrimonium al patrimonium, della donna all’uomo. Il compito sarebbe urgente soprattutto per i cristiani, perché l’azzeramento dei vincoli che caratterizza il regime di modernità «presto o tardi consentirà a tutti di sposarsi o di esonerarsi dal matrimonio e di non avere o aver figli in un modo o nell’altro»; e sarà inutile fatica attardarsi a riproporre regole che erano più civilistiche (romane, feudali, napoleoniche) che evangeliche. Il momento anzi fornirebbe alle Chiese «una nuova e singolare opportunità di pensare la più umana delle situazioni e la più intrinsecamente disastrosa a partire dal Vangelo di Gesù». Quel Vangelo non sacralizzava la famiglia, relativizzava anzi il matrimonio, dando la precedenza all’unità della famiglia umana; condannava sia l’adulterio sia coloro che mettevano a morte l’adultera, non dettava una propria formula di sposalizio e accettava il matrimonio «così come usava».

Qui i rimandi dello storico sono alle parole di Gesù in difesa dell’adultera e alle altre che pongono come primo dovere dei discepoli quello d’amare in Dio l’intera umanità: «Chiunque ha lasciato casa, fratelli, sorelle, padre, madre, moglie, figli e campi per amore del mio nome, ne riceverà il centuplo». Il capitolo «Quanto conta un Sinodo» — che tratta della doppia assemblea sinodale sulla famiglia convocata da Papa Bergoglio — è quello di maggiore presa sul presente e sfocia in questa chiusa chiarificatrice: «Se la Chiesa di Roma trova l’umile audacia di dipanare la matassa della relazione (sponsale, ndr), accettando con serenità la temporaneità delle proprie risposte e custodendo invece il fulcro delle domande cui risponde, se esce dalla prigione dorata del suo diritto, se dice con il linguaggio dell’Evangelo che il dono e il perdono sono tutto ciò che consente di vivere un amore senza fine o la fine dell’amore, allora anche il discorso pubblico sui diritti delle famiglie potrà giovarsene con esiti molto più radicali di quelli intravisti dal semplice antiproibizionismo dell’erotico lato sensu».

http://www.corriere.it/cultura/15_marzo_24/famiglia-gesu-non-era-sacra-31e7a288-d21c-11e4-a943-de038070435c.shtml

E alfin l’amore

Il relativismo di Gesù sulla famiglia, il matrimonio gay ma “tridentino”, la storia e il Sinodo. Il libro di Alberto Melloni di Maurizio Crippa
Alberto Melloni
Milano. “Pare insomma che l’unico pensiero progressista e comunque l’unico pensiero progressista sul matrimonio… riguardi la rapidità con cui far entrare nel matrimonio le persone omosessuali e farne uscire i divorziandi”. E che viceversa “l’unico apporto conservatore sia la difesa del traditsionnyy brak (il matrimonio tradizionale in russo) che fornisce alimento alla violenza omofoba palese e occulta”. Siccome Alberto Melloni è uno spirito caustico, un polemista sottile che ama ribaltare i (pre)concetti degli altri, ha molto apprezzato anche la battuta di un “vecchio parroco italiano” degli inizi del XXI secolo: “Oggi si vogliono far prete solo le donne, vogliono figli solo quelli che non possono averne, e vogliono sposarsi solo le persone omosessuali”. Siccome Alberto Melloni è innanzitutto uno storico, il paradosso del vecchio parroco lo distende su un percorso di secoli e prova a rintracciare i motivi che lo hanno generato. Pratica utile per dare prospettiva a ciò che è sotto gli occhi di tutti, e da cui di solito facciamo derivare un senso di (laico) spaesamento per l’inconsistenza dell’occidente, o un senso di cristiano sgomento per la fine di ogni cristianità. Come dire: non si arriva a un mondo in cui la totalità delle persone crede a una certa idea plurale e indefinita del rapporto d’amore, e in cui la quasi totalità delle persone non crede a quello che ne pensa la chiesa, per un caso. Forse c’entra anche quello che la chiesa ha pensato (e pensa) del matrimonio, della famiglia, dell’amore.

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Gesù chiede “di odiare il padre e la madre”, “condanna allo stesso modo l’adulterio e la condanna dell’adulterio”. E’ nel corso dei secoli che la chiesa passa “da un dettato evangelico relativista in materia di famiglia, all’uso di figure giuridiche romane”. Ma se è così (Melloni crede sia così), “nel momento in cui tramonta l’impianto ‘costantiniano’ della famiglia”, la chiesa potrebbe finalmente “tornare allo scandaloso annuncio di Gesù”. Anche il mantra della famiglia “cellula della società” è, a ben studiare, moderno e di origine secolare. E’ la monarchia assoluta francese a scrivere che “i matrimoni sono il seminativo degli stati, la fonte e l’origine della società civile e il fondamento delle famiglie”. Se il matrimonio cristiano aveva assunto dal diritto romano figure e linguaggi, in “regime di modernità” quei princìpi “migrano pressoché intatti in modernità”. Tanto che pure nel Codice napoleonico del 1804 il matrimonio rimane orientato alla quiete sociale e alla cura della prole che può discenderne”.


Melloni sorvola (tacere è un giudizio polemico) sulla probabilità che, in due millenni, il matrimonio cristiano abbia prodotto anche qualcosa di buono. No, è stato nient’altro che maschilista sopraffazione e violenza negatrice della condizione omosessuale, così come la scelta del convento fu per le donne soprattutto rifugio omosessuale e fuga dalla schiavitù della maternità. Ma non è delle percentuali di ragione di questi giudizi, né dell’attendibilità in via esclusiva di una lettura evangelica per cui Gesù non è interessato al matrimonio, che interessa parlare. E’ invece interessante quanto lo storico segnala come una trappola da cui non si esce, e che fa diventare violento, caricaturale a tratti, il movimento (universale) che chiede da un lato la fine del matrimonio tradizionale e dall’altro un matrimonio esattamente uguale, “tridentino”, perfino: “Quando finisce il regime di cristianità e il regime di modernità introduce il matrimonio ‘civile’, esso non cerca neppure di dotarsi di una propria filosofia”. Fino a paradossi laceranti: “La tesi secondo cui il fine del matrimonio era la generazione della prole è entrata così in profondità nella coscienza occidentale da trasformare il fine in un diritto. Un diritto che la società deve assistere medicalmente, nel caso di patologie impedienti, o giuridicamente, nel caso delle coppie omosessuali”. Ma se l’insegnamento della chiesa sul matrimonio è solo un portato storico, perché non assumere che questo tempo è occasione (“segno dei tempi”) per ritornare “alla potenza evangelica di relativizzazione del matrimonio”. La chiesa “ha saputo fornire tutto al discorso ‘moderno’ sulle nozze, eccetto il perdono che è il cuore del Vangelo”. Se ora trovasse “l’umile audacia di dipanare la matassa della relazione… accettando con serenità la temporaneità delle proprie risposte”, di uscire “dalla prigione dorata del suo diritto” per dire “con il linguaggio dell’Evangelo che il dono e il perdono sono tutto ciò che consente di vivere un amore senza fine o la fine dell’amore, allora anche il discorso pubblico sui diritti delle famiglie potrà giovarsene”.

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