Non è possibile “la Chiesa che vorrei…”. Neppure per un papa.
Nessun cattolico, papa compreso, può imporre la propria immagine di “Chiesa”.
La Chiesa che Jorge Mario Bergoglio pretende non è possibile.
A spiegarlo sono Gesù, tutti i Papi della Chiesa e specialmente Giovanni Paolo II e Benedetto XVI.
Nell’intervista ad Elisabetta Piquè pubblicata dall’Osservatore Romano (perciò è ufficiale) il 9 dicembre 2014 – vedi qui – intitolata “il coraggio di parlare – umiltà di ascoltare“, Papa Francesco ha detto:
“Nel caso dei divorziati risposati, ci
siamo chiesti: Cosa facciamo con loro, quale porta si può aprire loro?
Ed è stata una preoccupazione pastorale: allora si darà loro la
comunione? Non è una soluzione dare loro la comunione. Solo questo non è
una soluzione: la soluzione è l’integrazione. Non sono scomunicati, è
vero. Ma non possono essere padrini di battesimo, non possono leggere le
letture nella messa, non possono dare la comunione, non possono
insegnare catechismo, non possono fare sette cose, ho l’elenco lì.
Basta! Così sembrerebbero scomunicati de facto!
Allora bisogna aprire un po’ di più le
porte. Perché non possono essere padrini? «No, immaginati, che
testimonianza daranno al figlioccio». Testimonianza di un uomo e una
donna che gli dicono: «Guarda caro, mi sono sbagliato, sono scivolato su
questo punto, ma credo che il Signore mi ami, voglio seguire Dio, il
peccato non mi ha vinto, anzi io vado avanti». Più testimonianza
cristiana di questa? O se viene uno di quei truffatori politici che
abbiamo, corrotti, a fare da padrino ed è sposato in chiesa, lei lo
accetta? E che testimonianza darà al figlioccio? Una testimonianza di
corruzione? Vale a dire che dobbiamo ricambiare un po’ le cose, nei
modelli valutativi.”
Il discorso in sé è corretto e non fa una
piega, desideri belli e sogni, sì, sogni perché purtroppo le
conclusioni a cui arriva il Papa sono sbagliate.
Apriamo queste porte, e sta bene, ci sta, ma non si può curare un male con un altro male, è questo che Papa Francesco non ascolta.
Dice il Papa: “Perché non possono essere
padrini? «No, immaginati, che testimonianza daranno al figlioccio».
Testimonianza di un uomo e una donna che gli dicono: «Guarda caro, mi
sono sbagliato, sono scivolato su questo punto, ma credo che il Signore
mi ami, voglio seguire Dio, il peccato non mi ha vinto, anzi io vado
avanti». Più testimonianza cristiana di questa?”
ma questa non è la vera testimonianza cristiana! Ci fa specie che un Papa non lo comprenda!
La vera testimonianza cristiana sarebbe
se questa persona dicesse: «Guarda caro, mi sono sbagliato, sono
scivolato su questo punto, ma credo che il Signore mi ami, voglio
seguire Dio, il peccato non mi ha vinto, anzi io vado avanti, infatti
ho lasciato la compagna con la quale convivevo dopo aver divorziato con
la vera moglie, e Gesù e la Vergine Santa mi stanno aiutando molto, mi
sento forte e coraggioso, so di aver fatto la scelta giusta, ora posso
nutrirmi dell’Eucaristia perché non vivo più in adulterio – ricordi? – è
il sesto comandamento che io purtroppo avevo calpestato senza
rendermene conto, ma ora ho capito ed ho posto rimedio....»
Se del resto codesta persona dice al figlioccio: ” mi sono sbagliato, sono scivolato su questo punto..”
se riconosce lo sbaglio dovrebbe riconoscere anche il rimedio, il Papa
stesso dovrebbe dirlo che per rimediare ad un peccato non si porta come
esempio il peccato di altri, ma cerca di risolvere il peccato
RINUNCIANDO al peccato, allo stato di peccato in cui vive.
Ma non che il Papa per giustificare il
padrinato a chi non ha le carte in regola dice: “O se viene uno di quei
truffatori politici che abbiamo, corrotti, a fare da padrino ed è
sposato in chiesa, lei lo accetta? E che testimonianza darà al
figlioccio? Una testimonianza di corruzione? Vale a dire che dobbiamo
ricambiare un po’ le cose, nei modelli valutativi.”
Ma che risposta è mai questa? Neppure questa è la soluzione. Non
si cura un male con un altro male, sono entrambi peccati gravi, nessuno
dei due può fare il padrino, questa è la risposta che deve dare un
sacerdote, e per di più un Papa.
Non si prende per padrino un politico
corrotto, un mafioso o altro di cui si conoscono le malefatte o la
nomina, ma non si prende neppure un divorziato risposato dal momento che
il matrimonio è civile – fatto per altro dopo un divorzio con il
Matrimonio Cristiano-Sacramento -, tanto è vero che la Chiesa specifica
che il divorziato che subisce il divorzio e non si risposa e vive in
continenza, può fare da padrino, da madrina se è una donna, e può
ricevere anche l’Eucaristia.
Quindi stiamo attenti a dire con facilità “le porte sono chiuse”, perché non è propriamente così.
Il Papa si domanda: “Cosa facciamo con loro, quale porta si può aprire loro?
Ed è stata una preoccupazione pastorale: allora si darà loro la
comunione? Non è una soluzione dare loro la comunione. Solo questo non è
una soluzione: la soluzione è l’integrazione. Non sono scomunicati, è
vero. Ma non possono essere….”
e propone persino che:
“Non sono scomunicati, è vero. Ma non possono essere padrini di
battesimo, non possono leggere le letture nella messa, non possono dare
la comunione, non possono insegnare catechismo, non possono fare sette
cose, ho l’elenco lì. Basta! Così sembrerebbero scomunicati de facto!”
ma se – rispondendo bene – riconoscendo che “dare loro la Comunione non è la soluzione”, allora non è soluzione neppure che essi “diano la comunione” ad altri,
è un controsenso: se non la possono ricevere perché si riconosce loro
uno stato di adulterio (che significa falsificare, e in questo caso essi
stanno vivendo falsificando il matrimonio cristiano), come si può
pensare che possano PRENDERLA pure con le mani per darla ad altri?
Santità,
non è corretto dire che queste persone “non possono fare….” quasi che
sia la Chiesa una matrigna che vieta qualcosa ai suoi figli, dovrebbe
sapere che sono “loro” ad essersi IMPOSTI delle chiusure scegliendo una
via sbagliata.
Oppure che ogni Papa che arriva si mette a
modificare la disciplina della Chiesa a seconda della moda del momento
perché, siamo chiari, il divorzio è la moda del nostro tempo, è la
“non-cultura” contro la Famiglia, è una scelta sbagliata!
E’ come sta avvenendo per la droga: siccome sono tanti che usano le droghe, allora legalizziamole! Ma non è questa la soluzione.
Lei, Santo Padre, in un’altra intervista sul senso del peccato o di ciò che è peccato oggi, saggiamente ha risposto che “ma
guardi, ciò che era peccato ieri è peccato anche oggi, la Parola di
Dio, i Dieci Comandamenti non è che cambiano, non si possono cambiare...”,
ma ad una risposta così saggia, c’è davvero una contraddizione in termini in ciò che poi ha detto alla Piquè.
La Chiesa ha tolto, con il nuovo Diritto
Canonico del 1983 la scomunica ai divorziati e lo ha fatto proprio per
venire incontro a loro e soprattutto a chi dei due subisce il divorzio,
ma le Norme che disciplinano la ricezione dei Sacramenti valgono per
TUTTI, divorziati compresi perché vengono dal Vangelo.
La Chiesa non li scomunica, ma sono loro a
mettersi fuori da certi servizi con il loro rifiuto ad applicare le
parole di Gesù: “avvicinatisi dei farisei, per metterlo alla prova, gli
domandarono: “È lecito ad un marito ripudiare la propria moglie?”. Ma
egli rispose loro: “Che cosa vi ha ordinato Mosè?”. Dissero: “Mosè ha
permesso di scrivere un atto di ripudio e di rimandarla”. Gesù disse
loro: “Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa
norma. Ma all’inizio della creazione Dio li creò maschio e femmina; per
questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e i due saranno una carne
sola. Sicché non sono più due, ma una sola carne. L’uomo dunque non
separi ciò che Dio ha congiunto”. Rientrati a casa, i discepoli lo
interrogarono di nuovo su questo argomento. Ed egli disse: “Chi ripudia
la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio contro di lei
se la donna ripudia il marito e ne sposa un altro, commette adulterio”…”
(Mc.10,2-12)
Gesù è chiaro a tal punto che, quando i
discepoli – rientrati a casa – lo interrogano di nuovo sull’argomento,
rincara la dose proprio per non creare equivoci: “Chi ripudia la
propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio contro di lei se
la donna ripudia il marito e ne sposa un altro, commette adulterio”.
Se
il sesto Comandamento ha ancora lo stesso valore di “ieri” e si vive in
adulterio, nessuno può ricevere i Sacramenti e non per cattiveria la
Chiesa scelse questa severità, ma perché amando le persone vuole evitare
loro, come dirà San Paolo, di “mangiare e bere la propria condanna” (1Cor.11,29) e non ce lo stiamo inventando noi, spiegava infatti san Giovanni Paolo II:
“In questa linea giustamente il
Catechismo della Chiesa Cattolica stabilisce: « Chi è consapevole di
aver commesso un peccato grave, deve ricevere il sacramento della
Riconciliazione prima di accedere alla comunione ». Desidero
quindi ribadire che vige e vigerà sempre nella Chiesa la norma con cui
il Concilio di Trento ha concretizzato la severa ammonizione
dell’apostolo Paolo affermando che, al fine di una degna ricezione
dell’Eucaristia, « si deve premettere la confessione dei peccati, quando
uno è conscio di peccato mortale » (Ecclesia de Eucharistia n.36)
Se un divorziato si sposa civilmente è ovvio che convive in uno stato di adulterio e di conseguenza se persiste
in quello stato, non può accedere alla Confessione perché il suo stato
di cose e il suo RIFIUTO a lasciare quella situazione precludono ogni
possibilità a ricevere l’assoluzione, di qui il problema da loro creato di non poter ricevere la comunione;
se dunque ciò che era
peccato ieri è peccato anche oggi, il senso dello stato di peccato di un
divorziato risposato che convive con la compagna – o la divorziata che
risposata convive così con il nuovo compagno, resta invariato, sono in
uno stato di peccato e pure mortale.
E questo vale per tutti, anche per chi
sposato regolarmente in Chiesa tradisse il proprio coniuge, non può
accedere alla comunione se non è pentito, se non ha lasciato l’amante e,
se coscienzioso, non deve pretendere neppure di fare da catechista, da
padrino o madrina, dare la comunione, ecc… sono regole scritte nei Vangeli che valgono per tutti e non solo per i divorziati-risposati!
Al contrario si sta rischiando di creare delle categorie di PRIVILEGIATI
e dove i privilegiati non sono persone che danno una testimonianza
impeccabile allo stile di vita che Gesù ci chiede, ma categorie di
privilegiati che vivendo in stato di peccato e di peccato mortale
vengono coccolati, vezzeggiati e pure premiati.
Ancora diceva Giovanni Paolo II alla Sacra Rota nel dicembre 1995:
“A tale riguardo scrivevo nella Lettera Enciclica Dominum et vivificantem [LE 5192]: «La
coscienza non è una fonte autonoma ed esclusiva per decidere ciò che è
buono e ciò che è cattivo; invece, in essa è inscritto profondamente un
principio di obbedienza nei riguardi della norma oggettiva, che fonda e
condiziona la corrispondenza delle sue decisioni con i comandi e i
divieti che sono alla base del comportamento umano».
Neppure un Papa può modificare
questa verità e deve attenersi a quella obbedienza del Vangelo senza
ingenerare false illusioni nelle coscienze dei fedeli erranti.
Ammettere pertanto alla Comunione persone
che non hanno alcuna intenzione di recidere lo stato vizioso in cui
convivono, richiederebbe inevitabilmente che la Chiesa cattolica
riconoscesse e benedicesse i secondi matrimoni dopo il divorzio, il che è
evidentemente contrario alla dottrina cattolica già stabilita e a
quanto espressamente insegnato da Cristo.
Gesù, in dialogo coi farisei a proposito
del divorzio, allude al binomio “divorzio” e “misericordia” (cfr Mt 19,
3-12). Accusa i farisei di non essere misericordiosi, dato che secondo
la loro subdola interpretazione della Legge avevano concluso che Mosè
avrebbe concesso un presunto permesso di ripudiare le loro mogli. Gesù
ricorda loro che la misericordia di Dio esiste contro la nostra
debolezza umana. Dio ci dona la sua grazia perché possiamo essere fedeli
alla Sua legge e non usa affatto misericordia perché noi restiamo
tranquillamente nel peccato.
Abbiamo già ricordato che
“adulterio-adulterare” viene dall’etimologia “falsificare”, per questo
l’adulterio è inserito nei Comandamenti ed è un peccato mortale, perché
si falsifica un sacramento, si falsifica uno status, si falsifica la
legge naturale, perché falsificando si finisce per diventare ipocriti
come lo erano, appunto i farisei ammoniti da Gesù anche sul divorzio.
L’ipocrisia può diventare un vizio, ci si abitua a vivere nella falsificazione, nella falsità.
E così l’ipocrita è uno che sovverte i valori;
mette in primo piano ciò che deve stare sotto, ossia i valori esterni e
il proprio io empirico, e pone in secondo piano, funzionale ai primi, i
massimi valori, quelli interiori, dello spirito e divini. Da
qui la sua doppiezza, slealtà ed incoerenza, che sfocia nel tentativo di
servire due padroni; quello vero, ossia Dio, al quale non può sfuggire e
quello che si è imposto o alla seduzione del quale ha ceduto, il
proprio io, sorgente della sua ambizione e del suo egoismo.
Rimedio di fondo è dunque l’umiltà, con
la quale riconosciamo la nostra dipendenza da Dio nelle piccole come
nelle grandi cose, in modo che l’utile sia ordinato all’onesto, il mezzo
al fine; all’apparire corrisponda l’essere, alla parola
corrispondano i fatti, l’esterno manifesti l’interno e su di esso si
fondi, il materiale sia ordinato allo spirituale e l’uomo a Dio.
Pretendere così la Comunione in uno stato
di falsità-adulterio è spingersi a quella auto-condanna di cui parla
san Paolo, per questo la Chiesa da sempre ha compreso dalla Scrittura
stessa che è meglio non dare la comunione a chi vive in stato di peccato
e che non abbia compiti nella Chiesa che sono destinati a chi da
testimonianza di una vita coerente alle leggi del Vangelo.
Per concludere… la chiesa che
sogna Papa Francesco, dalle sue parole sopra riportate, non è
realizzabile, non sarebbe cattolica, non è volontà divina la quale si è
già espressa e quindi non può contraddirsi.
Ricordiamo che durante il pontificato di San Giovanni Paolo II ci fu già un Sinodo sulla famiglia (1980), seguito dall’esortazione apostolica Familiaris consortio che offriva le soluzioni migliori al problema:
“Insieme col Sinodo, esorto caldamente i
pastori e l’intera comunità dei fedeli affinché aiutino i divorziati
procurando con sollecita carità che non si considerino separati dalla
Chiesa, potendo e anzi dovendo, in quanto battezzati, partecipare alla
sua vita. Siano esortati ad ascoltare la Parola di Dio, a
frequentare il sacrificio della Messa, a perseverare nella preghiera, a
dare incremento alle opere di carità e alle iniziative della comunità in
favore della giustizia, a educare i figli nella fede cristiana, a
coltivare lo spirito e le opere di penitenza per implorare così, di
giorno in giorno, la grazia di Dio. La Chiesa preghi per loro, li incoraggi, si dimostri madre misericordiosa e così li sostenga nella fede e nella speranza.
La Chiesa, tuttavia, ribadisce la
sua prassi, fondata sulla Sacra Scrittura, di non ammettere alla
comunione eucaristica i divorziati risposati. Sono essi a non poter
esservi ammessi, dal momento che il loro stato e la loro condizione di
vita contraddicono oggettivamente a quell’unione di amore tra Cristo e
la Chiesa, significata e attuata dall’Eucaristia. C’è inoltre
un altro peculiare motivo pastorale: se si ammettessero queste persone
all’Eucaristia, i fedeli rimarrebbero indotti in errore e confusione
circa la dottrina della Chiesa sull’indissolubilità del matrimonio.
La riconciliazione nel sacramento
della penitenza – che aprirebbe la strada al sacramento eucaristico –
può essere accordata solo a quelli che, pentiti di aver violato il segno
dell’Alleanza e della fedeltà a Cristo, sono sinceramente disposti ad
una forma di vita non più in contraddizione con l’indissolubilità del
matrimonio. Ciò comporta, in concreto, che quando l’uomo e la
donna, per seri motivi – quali, ad esempio, l’educazione dei figli – non
possono soddisfare l’obbligo della separazione, «assumono l’impegno di vivere in piena continenza, cioè di astenersi dagli atti propri dei coniugi» (Giovanni Paolo PP. II, Omelia per la chiusura del VI Sinodo dei Vescovi, 7 [25 Ottobre 1980]).
Similmente il rispetto dovuto sia
al sacramento del matrimonio sia agli stessi coniugi e ai loro
familiari, sia ancora alla comunità dei fedeli proibisce ad ogni
pastore, per qualsiasi motivo o pretesto anche pastorale, di porre in
atto, a favore dei divorziati che si risposano, cerimonie di qualsiasi
genere. Queste, infatti, darebbero l’impressione della
celebrazione di nuove nozze sacramentali valide e indurrebbero
conseguentemente in errore circa l’indissolubilità del matrimonio
validamente contratto.
Agendo in tal modo, la Chiesa professa la propria fedeltà a Cristo e alla sua verità;
nello stesso tempo si comporta con animo materno verso questi suoi
figli, specialmente verso coloro che, senza loro colpa, sono stati
abbandonati dal loro coniuge legittimo. Con ferma fiducia essa crede
che, anche quanti si sono allontanati dal comandamento del Signore ed in
tale stato tuttora vivono, potranno ottenere da Dio la grazia della
conversione e della salvezza, se avranno perseverato nella preghiera, nella penitenza e nella carità.”
A queste parole di Giovanni Paolo fece una eco meravigliosa Benedetto XVI nel Discorso tenuto a Milano per l’incontro con le Famiglie, disse il Papa per queste persone divorziate-risposate:
“E poi, quanto a queste persone, dobbiamo
dire – come lei ha detto – che la Chiesa le ama, ma esse devono vedere e
sentire questo amore. Mi sembra un grande compito di una parrocchia, di
una comunità cattolica, di fare realmente il possibile perché esse
sentano di essere amate, accettate, che non sono «fuori» anche se non
possono ricevere l’assoluzione e l’Eucaristia: devono vedere che anche
così vivono pienamente nella Chiesa. Forse, se non è possibile
l’assoluzione nella Confessione, tuttavia un contatto permanente con un
sacerdote, con una guida dell’anima, è molto importante perché possano
vedere che sono accompagnati, guidati. Poi è anche molto
importante che sentano che l’Eucaristia è vera e partecipata se
realmente entrano in comunione con il Corpo di Cristo. Anche senza la
ricezione «corporale» del Sacramento, possiamo essere spiritualmente
uniti a Cristo nel suo Corpo. E far capire questo è importante. Che
realmente trovino la possibilità di vivere una vita di fede, con la
Parola di Dio, con la comunione della Chiesa e possano vedere che la
loro sofferenza è un dono per la Chiesa, perché servono così a tutti
anche per difendere la stabilità dell’amore, del Matrimonio; e
che questa sofferenza non è solo un tormento fisico e psichico, ma è
anche un soffrire nella comunità della Chiesa per i grandi valori della
nostra fede. Penso che la loro sofferenza, se realmente interiormente
accettata, sia un dono per la Chiesa. Devono saperlo, che proprio così
servono la Chiesa, sono nel cuore della Chiesa. Grazie per il vostro
impegno…” (2 giugno 2012)
Ricapitolando:
alle domande di Papa Francesco avevano
già risposto Giovanni Paolo II che lui stesso ha canonizzato e Benedetto
XVI ancora vivente. E allora dubbi e perplessità ottenebrano la nostra
mente: o Papa Francesco non ha mai letto questi Testi – e noi non lo
vogliamo credere possibile -, o Papa Francesco li conosce ma non gli
interessano, li ritiene superate o peggio, sogna di realizzare una sua
visione di Chiesa…. e francamente anche questo non vogliamo crederlo.
Non
sono poche le persone che, confuse da molte interviste del Papa, ci
chiedono come regolarsi. Semplice: con il Magistero della Chiesa e con
la Scrittura che abbiamo sopra esposto.
Si tratta di non usare questa verità come
una spada, percuotendo ora i divorziati-risposati con accanimento o con
disprezzo, al contrario, CARITA’ NELLA VERITA’, dare la verità con
carità, invitando queste persone ad abbandonare le loro pretese e a
dedicarsi, per noi, per la Chiesa, per loro stessi e con noi: “ a
frequentare il sacrificio della Messa (imparando magari a fare la
Comunione spirituale che non sostituisce l’Eucaristia, ma più è fatta
con sacrificio e più se ne ricevono benefici e grazie), a perseverare
nella preghiera, a dare incremento alle opere di carità e alle
iniziative della comunità in favore della giustizia, a educare i figli
nella fede cristiana, a coltivare lo spirito e le opere di penitenza per
implorare così, di giorno in giorno, la grazia di Dio….”
e possono anche essere veri testimoni CON LA LORO RINUNCIA se vissuta con vera sofferenza e non quale pretesa: “che
la loro sofferenza è un dono per la Chiesa, perché servono così a tutti
anche per difendere la stabilità dell’amore, del Matrimonio”
e questo discorso VALE PER TUTTI,
per chiunque sa – dopo un retto esame della coscienza – di non essere
idoneo a ricevere l’Eucaristia, vale cioè anche per quei cristiani che
pur vivendo i Sacramenti oggettivamente in modo legale, soggettivamente
però vivono sostenendo l’eresia del nostro tempo favorendo per esempio
l’aborto, favorendo i divorzi altrui, sostenendo l’agenda gender e
l’omosessualità, sostenendo l’eutanasia, sostenendo ciò che è contrario
alla legge naturale, chiunque sostiene questa cultura della
morte non può ricevere la Comunione Eucaristica, ma non può neppure fare
da Catechista, ne può PRETENDERE ciò che per altro nega alla verità e
invece promuove la menzogna quando sostiene l’eresia culturale del
nostro tempo.
quel fulmine caduto sulla cupola di San Pietro proprio quando si è dimesso papa Benedetto.......credo sia un segno dell'Ira di Dio .....ma purtroppo non sapiamo "leggere i segni" e ci coglierà i più impreparati.......
RispondiEliminaFa un po' ridere vedere le foto di Wojtyla e Razinga Zeta come se fossero il Settimo Cavalleria. Tali figuri sono colpevoli quanto l'orripilante Orgoglio.
RispondiEliminaTutto vero, ma cerchiamo di essere più precisi e di formulare giudizi più rispondenti alla realtà e Verità. Ci sono state delle colpe ascrivibili a determinati soggetti che si sono lasciati sedurre dall'Avversario. Sono sì colpevoli ma se ha consentito che Satana raccogliesse tanti frutti forse davvero sono i personali peccati di ognuno ad essere il problema di fondo. Riformiamoci per riformare, e vale anche per la cattiva abitudine di esprimere condanne così spietate. Il reo deve essere individuato, incriminato e messo nelle condizioni di emendarsi pagando quanto dovuto. Ricordiamoci che la giustizia non è solo dovuta alle vittime ma anche e oso dire soprattutto ai colpevoli. Perché? Perché è il colpevole che sta nella condizione peggiore agli occhi di Dio e che rischia la condanna eterna e la disperazione. Accusiamo, condanniamo ma tendendo presente il fine delle nostre umane condanne che non può e non deve essere quello di emettere una sentenza immutabile. Non saremmo credibili agli occhi del prossimo se ci comportiamo in questo modo. Chi ha ragione continua ad averla anche se evita di strepitare e bollire di rabbia. Questi modernisti vanno inchiodati alle loro colpe con brutale obiettività, non con controproducente e risibile(agli occhi del nemico)furore.
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