ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

venerdì 28 agosto 2015

La Chiesa che Jorge Mario Bergoglio pretende..



Non è possibile “la Chiesa che vorrei…”. Neppure per un papa.

Nessun cattolico, papa compreso, può imporre la propria immagine di “Chiesa”.

La Chiesa che Jorge Mario Bergoglio pretende non è possibile.

A spiegarlo sono Gesù, tutti i Papi della Chiesa e specialmente Giovanni Paolo II e Benedetto XVI.

Nell’intervista ad Elisabetta Piquè pubblicata dall’Osservatore Romano (perciò è ufficiale) il 9 dicembre 2014 – vedi qui – intitolata “il coraggio di parlare – umiltà di ascoltare“,  Papa Francesco ha detto:

“Nel caso dei divorziati risposati, ci siamo chiesti: Cosa facciamo con loro, quale porta si può aprire loro? Ed è stata una preoccupazione pastorale: allora si darà loro la comunione? Non è una soluzione dare loro la comunione. Solo questo non è una soluzione: la soluzione è l’integrazione. Non sono scomunicati, è vero. Ma non possono essere padrini di battesimo, non possono leggere le letture nella messa, non possono dare la comunione, non possono insegnare catechismo, non possono fare sette cose, ho l’elenco lì. Basta! Così sembrerebbero scomunicati de facto!

Allora bisogna aprire un po’ di più le porte. Perché non possono essere padrini? «No, immaginati, che testimonianza daranno al figlioccio». Testimonianza di un uomo e una donna che gli dicono: «Guarda caro, mi sono sbagliato, sono scivolato su questo punto, ma credo che il Signore mi ami, voglio seguire Dio, il peccato non mi ha vinto, anzi io vado avanti». Più testimonianza cristiana di questa? O se viene uno di quei truffatori politici che abbiamo, corrotti, a fare da padrino ed è sposato in chiesa, lei lo accetta? E che testimonianza darà al figlioccio? Una testimonianza di corruzione? Vale a dire che dobbiamo ricambiare un po’ le cose, nei modelli valutativi.”

Il discorso in sé è corretto e non fa una piega, desideri belli e sogni, sì, sogni perché purtroppo le conclusioni a cui arriva il Papa sono sbagliate.

Apriamo queste porte, e sta bene, ci sta, ma non si può curare un male con un altro male, è questo che Papa Francesco non ascolta.

Dice il Papa: “Perché non possono essere padrini? «No, immaginati, che testimonianza daranno al figlioccio». Testimonianza di un uomo e una donna che gli dicono: «Guarda caro, mi sono sbagliato, sono scivolato su questo punto, ma credo che il Signore mi ami, voglio seguire Dio, il peccato non mi ha vinto, anzi io vado avanti». Più testimonianza cristiana di questa?”

ma questa non è la vera testimonianza cristiana! Ci fa specie che un Papa non lo comprenda!

La vera testimonianza cristiana sarebbe se questa persona dicesse: «Guarda caro, mi sono sbagliato, sono scivolato su questo punto, ma credo che il Signore mi ami, voglio seguire Dio, il peccato non mi ha vinto, anzi io vado avanti, infatti ho lasciato la compagna con la quale convivevo dopo aver divorziato con la vera moglie, e Gesù e la Vergine Santa mi stanno aiutando molto, mi sento forte e coraggioso, so di aver fatto la scelta giusta, ora posso nutrirmi dell’Eucaristia perché non vivo più in adulterio – ricordi? – è il sesto comandamento che io purtroppo avevo calpestato senza rendermene conto, ma ora ho capito ed ho posto rimedio....»

Se del resto codesta persona dice al figlioccio: ” mi sono sbagliato, sono scivolato su questo punto..” se riconosce lo sbaglio dovrebbe riconoscere anche il rimedio, il Papa stesso dovrebbe dirlo che per rimediare ad un peccato non si porta come esempio il peccato di altri, ma cerca di risolvere il peccato RINUNCIANDO al peccato, allo stato di peccato in cui vive.

Ma non che il Papa per giustificare il padrinato a chi non ha le carte in regola dice: “O se viene uno di quei truffatori politici che abbiamo, corrotti, a fare da padrino ed è sposato in chiesa, lei lo accetta? E che testimonianza darà al figlioccio? Una testimonianza di corruzione? Vale a dire che dobbiamo ricambiare un po’ le cose, nei modelli valutativi.”

Ma che risposta è mai questa? Neppure questa è la soluzione. Non si cura un male con un altro male, sono entrambi peccati gravi, nessuno dei due può fare il padrino, questa è la risposta che deve dare un sacerdote, e per di più un Papa.

Non si prende per padrino un politico corrotto, un mafioso  o altro di cui si conoscono le malefatte o la nomina, ma non si prende neppure un divorziato risposato dal momento che il matrimonio è civile – fatto per altro dopo un divorzio con il Matrimonio Cristiano-Sacramento -, tanto è vero che la Chiesa specifica che il divorziato che subisce il divorzio e non si risposa e vive in continenza, può fare da padrino, da madrina se è una donna, e può ricevere anche l’Eucaristia.

Quindi stiamo attenti a dire con facilità “le porte sono chiuse”, perché non è propriamente così.

Il Papa si domanda: “Cosa facciamo con loro, quale porta si può aprire loro? Ed è stata una preoccupazione pastorale: allora si darà loro la comunione? Non è una soluzione dare loro la comunione. Solo questo non è una soluzione: la soluzione è l’integrazione. Non sono scomunicati, è vero. Ma non possono essere….”

e propone persino  che: “Non sono scomunicati, è vero. Ma non possono essere padrini di battesimo, non possono leggere le letture nella messa, non possono dare la comunione, non possono insegnare catechismo, non possono fare sette cose, ho l’elenco lì. Basta! Così sembrerebbero scomunicati de facto!”

ma se – rispondendo bene – riconoscendo che “dare loro la Comunione non è la soluzione”, allora non è soluzione neppure che essi “diano la comunione” ad altri, è un controsenso: se non la possono ricevere perché si riconosce loro uno stato di adulterio (che significa falsificare, e in questo caso essi stanno vivendo falsificando il matrimonio cristiano), come si può pensare che possano PRENDERLA pure con le mani per darla ad altri?

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Santità, non è corretto dire che queste persone “non possono fare….” quasi che sia la Chiesa una matrigna che vieta qualcosa ai suoi figli, dovrebbe sapere che sono “loro” ad essersi IMPOSTI delle chiusure scegliendo una via sbagliata.
Oppure che ogni Papa che arriva si mette a modificare la disciplina della Chiesa a seconda della moda del momento perché, siamo chiari, il divorzio è la moda del nostro tempo, è la “non-cultura” contro la Famiglia, è una scelta sbagliata!

E’ come sta avvenendo per la droga: siccome sono tanti che usano le droghe, allora legalizziamole! Ma non è questa la soluzione.

Lei, Santo Padre, in un’altra intervista sul senso del peccato o di ciò che è peccato oggi, saggiamente ha risposto che “ma guardi, ciò che era peccato ieri è peccato anche oggi, la Parola di Dio, i Dieci Comandamenti non è che cambiano, non si possono cambiare...”,

ma ad una risposta così saggia, c’è davvero una contraddizione in termini in ciò che poi ha detto alla Piquè.

La Chiesa ha tolto, con il nuovo Diritto Canonico del 1983 la scomunica ai divorziati e lo ha fatto proprio per venire incontro a loro e soprattutto a chi dei due subisce il divorzio, ma le Norme che disciplinano la ricezione dei Sacramenti valgono per TUTTI, divorziati compresi perché vengono dal Vangelo.

La Chiesa non li scomunica, ma sono loro a mettersi fuori da certi servizi con il loro rifiuto ad applicare le parole di Gesù: “avvicinatisi dei farisei, per metterlo alla prova, gli domandarono: “È lecito ad un marito ripudiare la propria moglie?”. Ma egli rispose loro: “Che cosa vi ha ordinato Mosè?”. Dissero: “Mosè ha permesso di scrivere un atto di ripudio e di rimandarla”. Gesù disse loro: “Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma. Ma all’inizio della creazione Dio li creò maschio e femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e i due saranno una carne sola. Sicché non sono più due, ma una sola carne. L’uomo dunque non separi ciò che Dio ha congiunto”. Rientrati a casa, i discepoli lo interrogarono di nuovo su questo argomento. Ed egli disse: “Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio contro di lei se la donna ripudia il marito e ne sposa un altro, commette adulterio”…” (Mc.10,2-12)

Gesù è chiaro a tal punto che, quando i discepoli – rientrati a casa – lo interrogano di nuovo sull’argomento, rincara la dose proprio per non creare equivoci: “Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio contro di lei se la donna ripudia il marito e ne sposa un altro, commette adulterio”.

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Se il sesto Comandamento ha ancora lo stesso valore di “ieri” e si vive in adulterio, nessuno può ricevere i Sacramenti e non per cattiveria la Chiesa scelse questa severità, ma perché amando le persone vuole evitare loro, come dirà San Paolo, di “mangiare e bere la propria condanna” (1Cor.11,29) e non ce lo stiamo inventando noi, spiegava infatti san Giovanni Paolo II:

“In questa linea giustamente il Catechismo della Chiesa Cattolica stabilisce: « Chi è consapevole di aver commesso un peccato grave, deve ricevere il sacramento della Riconciliazione prima di accedere alla comunione ». Desidero quindi ribadire che vige e vigerà sempre nella Chiesa la norma con cui il Concilio di Trento ha concretizzato la severa ammonizione dell’apostolo Paolo affermando che, al fine di una degna ricezione dell’Eucaristia, « si deve premettere la confessione dei peccati, quando uno è conscio di peccato mortale » (Ecclesia de Eucharistia n.36)

Se un divorziato si sposa civilmente è ovvio che convive in uno stato di adulterio e di conseguenza se persiste in quello stato, non può accedere alla Confessione perché il suo stato di cose e il suo RIFIUTO a lasciare quella situazione precludono ogni possibilità a ricevere l’assoluzione, di qui il problema da loro creato di non poter ricevere la comunione;

se dunque ciò che era peccato ieri è peccato anche oggi, il senso dello stato di peccato di un divorziato risposato che convive con la compagna – o la divorziata che risposata convive così con il nuovo compagno, resta invariato, sono in uno stato di peccato e pure mortale.

E questo vale per tutti, anche per chi sposato regolarmente in Chiesa tradisse il proprio coniuge, non può accedere alla comunione se non è pentito, se non ha lasciato l’amante e, se coscienzioso, non deve pretendere neppure di fare da catechista, da padrino o madrina, dare la comunione, ecc… sono regole scritte nei Vangeli che valgono per tutti e non solo per i divorziati-risposati!

Al contrario si sta rischiando di creare delle categorie di PRIVILEGIATI e dove i privilegiati non sono persone che danno una testimonianza impeccabile allo stile di vita che Gesù ci chiede, ma categorie di privilegiati che vivendo in stato di peccato  e di peccato mortale vengono coccolati, vezzeggiati e pure premiati.

Ancora diceva Giovanni Paolo II alla Sacra Rota nel dicembre 1995:

“A tale riguardo scrivevo nella Lettera Enciclica Dominum et vivificantem [LE 5192]: «La coscienza non è una fonte autonoma ed esclusiva per decidere ciò che è buono e ciò che è cattivo; invece, in essa è inscritto profondamente un principio di obbedienza nei riguardi della norma oggettiva, che fonda e condiziona la corrispondenza delle sue decisioni con i comandi e i divieti che sono alla base del comportamento umano».

Neppure un Papa può modificare questa verità e deve attenersi a quella obbedienza del Vangelo senza ingenerare false illusioni nelle coscienze dei fedeli erranti.

Ammettere pertanto alla Comunione persone che non hanno alcuna intenzione di recidere lo stato vizioso in cui convivono, richiederebbe inevitabilmente che la Chiesa cattolica riconoscesse e benedicesse i secondi matrimoni dopo il divorzio, il che è evidentemente contrario alla dottrina cattolica già stabilita e a quanto espressamente insegnato da Cristo.

Gesù, in dialogo coi farisei a proposito del divorzio, allude al binomio “divorzio” e “misericordia” (cfr Mt 19, 3-12). Accusa i farisei di non essere misericordiosi, dato che secondo la loro subdola interpretazione della Legge avevano concluso che Mosè avrebbe concesso un presunto permesso di ripudiare le loro mogli. Gesù ricorda loro che la misericordia di Dio esiste contro la nostra debolezza umana. Dio ci dona la sua grazia perché possiamo essere fedeli alla Sua legge e non usa affatto misericordia perché noi restiamo tranquillamente nel peccato.

Abbiamo già ricordato che “adulterio-adulterare” viene dall’etimologia “falsificare”, per questo l’adulterio è inserito nei Comandamenti ed è un peccato mortale, perché si falsifica un sacramento, si falsifica uno status, si falsifica la legge naturale, perché falsificando si finisce per diventare ipocriti come lo erano, appunto i farisei ammoniti da Gesù anche sul divorzio.

L’ipocrisia può diventare un vizio, ci si abitua a vivere nella falsificazione, nella falsità.

E così l’ipocrita è uno che sovverte i valori; mette in primo piano ciò che deve stare sotto, ossia i valori esterni e il proprio io empirico, e pone in secondo piano, funzionale ai primi, i massimi valori, quelli interiori, dello spirito e divini. Da qui la sua doppiezza, slealtà ed incoerenza, che sfocia nel tentativo di servire due padroni; quello vero, ossia Dio, al quale non può sfuggire e quello che si è imposto o alla seduzione del quale ha ceduto, il proprio io, sorgente della sua ambizione e del suo egoismo.

Rimedio di fondo è dunque l’umiltà, con la quale riconosciamo la nostra dipendenza da Dio nelle piccole come nelle grandi cose, in modo che l’utile sia ordinato all’onesto, il mezzo al fine; all’apparire corrisponda l’essere, alla parola corrispondano i fatti, l’esterno manifesti l’interno e su di esso si fondi, il materiale sia ordinato allo spirituale e l’uomo a Dio.

Pretendere così la Comunione in uno stato di falsità-adulterio è spingersi a quella auto-condanna di cui parla san Paolo, per questo la Chiesa da sempre ha compreso dalla Scrittura stessa che è meglio non dare la comunione a chi vive in stato di peccato e che non abbia compiti nella Chiesa che sono destinati a chi da testimonianza di una vita coerente alle leggi del Vangelo.

Per concludere…  la chiesa che sogna Papa Francesco, dalle sue parole sopra riportate, non è realizzabile, non sarebbe cattolica, non è volontà divina la quale si è già espressa e quindi non può contraddirsi.

Ricordiamo che durante il pontificato di San Giovanni Paolo II ci fu già un Sinodo sulla famiglia (1980), seguito dall’esortazione apostolica Familiaris consortio che offriva le soluzioni migliori al problema:

“Insieme col Sinodo, esorto caldamente i pastori e l’intera comunità dei fedeli affinché aiutino i divorziati procurando con sollecita carità che non si considerino separati dalla Chiesa, potendo e anzi dovendo, in quanto battezzati, partecipare alla sua vita. Siano esortati ad ascoltare la Parola di Dio, a frequentare il sacrificio della Messa, a perseverare nella preghiera, a dare incremento alle opere di carità e alle iniziative della comunità in favore della giustizia, a educare i figli nella fede cristiana, a coltivare lo spirito e le opere di penitenza per implorare così, di giorno in giorno, la grazia di Dio. La Chiesa preghi per loro, li incoraggi, si dimostri madre misericordiosa e così li sostenga nella fede e nella speranza.

La Chiesa, tuttavia, ribadisce la sua prassi, fondata sulla Sacra Scrittura, di non ammettere alla comunione eucaristica i divorziati risposati. Sono essi a non poter esservi ammessi, dal momento che il loro stato e la loro condizione di vita contraddicono oggettivamente a quell’unione di amore tra Cristo e la Chiesa, significata e attuata dall’Eucaristia. C’è inoltre un altro peculiare motivo pastorale: se si ammettessero queste persone all’Eucaristia, i fedeli rimarrebbero indotti in errore e confusione circa la dottrina della Chiesa sull’indissolubilità del matrimonio.

La riconciliazione nel sacramento della penitenza – che aprirebbe la strada al sacramento eucaristico – può essere accordata solo a quelli che, pentiti di aver violato il segno dell’Alleanza e della fedeltà a Cristo, sono sinceramente disposti ad una forma di vita non più in contraddizione con l’indissolubilità del matrimonio. Ciò comporta, in concreto, che quando l’uomo e la donna, per seri motivi – quali, ad esempio, l’educazione dei figli – non possono soddisfare l’obbligo della separazione, «assumono l’impegno di vivere in piena continenza, cioè di astenersi dagli atti propri dei coniugi» (Giovanni Paolo PP. II, Omelia per la chiusura del VI Sinodo dei Vescovi, 7 [25 Ottobre 1980]).

Similmente il rispetto dovuto sia al sacramento del matrimonio sia agli stessi coniugi e ai loro familiari, sia ancora alla comunità dei fedeli proibisce ad ogni pastore, per qualsiasi motivo o pretesto anche pastorale, di porre in atto, a favore dei divorziati che si risposano, cerimonie di qualsiasi genere. Queste, infatti, darebbero l’impressione della celebrazione di nuove nozze sacramentali valide e indurrebbero conseguentemente in errore circa l’indissolubilità del matrimonio validamente contratto.

Agendo in tal modo, la Chiesa professa la propria fedeltà a Cristo e alla sua verità; nello stesso tempo si comporta con animo materno verso questi suoi figli, specialmente verso coloro che, senza loro colpa, sono stati abbandonati dal loro coniuge legittimo. Con ferma fiducia essa crede che, anche quanti si sono allontanati dal comandamento del Signore ed in tale stato tuttora vivono, potranno ottenere da Dio la grazia della conversione e della salvezza, se avranno perseverato nella preghiera, nella penitenza e nella carità.”

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A queste parole di Giovanni Paolo fece una eco meravigliosa Benedetto XVI nel Discorso tenuto a Milano per l’incontro con le Famiglie, disse il Papa per queste persone divorziate-risposate:

“E poi, quanto a queste persone, dobbiamo dire – come lei ha detto – che la Chiesa le ama, ma esse devono vedere e sentire questo amore. Mi sembra un grande compito di una parrocchia, di una comunità cattolica, di fare realmente il possibile perché esse sentano di essere amate, accettate, che non sono «fuori» anche se non possono ricevere l’assoluzione e l’Eucaristia: devono vedere che anche così vivono pienamente nella Chiesa. Forse, se non è possibile l’assoluzione nella Confessione, tuttavia un contatto permanente con un sacerdote, con una guida dell’anima, è molto importante perché possano vedere che sono accompagnati, guidati. Poi è anche molto importante che sentano che l’Eucaristia è vera e partecipata se realmente entrano in comunione con il Corpo di Cristo. Anche senza la ricezione «corporale» del Sacramento, possiamo essere spiritualmente uniti a Cristo nel suo Corpo. E far capire questo è importante. Che realmente trovino la possibilità di vivere una vita di fede, con la Parola di Dio, con la comunione della Chiesa e possano vedere che la loro sofferenza è un dono per la Chiesa, perché servono così a tutti anche per difendere la stabilità dell’amore, del Matrimonio; e che questa sofferenza non è solo un tormento fisico e psichico, ma è anche un soffrire nella comunità della Chiesa per i grandi valori della nostra fede. Penso che la loro sofferenza, se realmente interiormente accettata, sia un dono per la Chiesa. Devono saperlo, che proprio così servono la Chiesa, sono nel cuore della Chiesa. Grazie per il vostro impegno…” (2 giugno 2012)

Ricapitolando:
alle domande di Papa Francesco avevano già risposto Giovanni Paolo II che lui stesso ha canonizzato e Benedetto XVI ancora vivente. E allora dubbi e perplessità ottenebrano la nostra mente: o Papa Francesco non ha mai letto questi Testi – e noi non lo vogliamo credere possibile -, o Papa Francesco li conosce ma non gli interessano, li ritiene superate o peggio, sogna di realizzare una sua visione di Chiesa…. e francamente anche questo non vogliamo crederlo.

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Non sono poche le persone che, confuse da molte interviste del Papa, ci chiedono come regolarsi. Semplice: con il Magistero della Chiesa e con la Scrittura che abbiamo sopra esposto.

Si tratta di non usare questa verità come una spada, percuotendo ora i divorziati-risposati con accanimento o con disprezzo, al contrario, CARITA’ NELLA VERITA’, dare la verità con carità, invitando queste persone ad abbandonare le loro pretese e a dedicarsi, per noi, per la Chiesa, per loro stessi e con noi: “ a frequentare il sacrificio della Messa (imparando magari a fare la Comunione spirituale che non sostituisce l’Eucaristia, ma più è fatta con sacrificio e più se ne ricevono benefici e grazie), a perseverare nella preghiera, a dare incremento alle opere di carità e alle iniziative della comunità in favore della giustizia, a educare i figli nella fede cristiana, a coltivare lo spirito e le opere di penitenza per implorare così, di giorno in giorno, la grazia di Dio….”

e possono anche essere veri testimoni CON LA LORO RINUNCIA se vissuta con vera sofferenza e non quale pretesa: “che la loro sofferenza è un dono per la Chiesa, perché servono così a tutti anche per difendere la stabilità dell’amore, del Matrimonio”

e questo discorso VALE PER TUTTI, per chiunque sa – dopo un retto esame della coscienza – di non essere idoneo a ricevere l’Eucaristia, vale cioè anche per quei cristiani che pur vivendo i Sacramenti oggettivamente in modo legale, soggettivamente però vivono sostenendo l’eresia del nostro tempo favorendo per esempio l’aborto, favorendo i divorzi altrui, sostenendo l’agenda gender e l’omosessualità, sostenendo l’eutanasia, sostenendo ciò che è contrario alla legge naturale, chiunque sostiene questa cultura della morte non può ricevere la Comunione Eucaristica, ma non può neppure fare da Catechista, ne può PRETENDERE ciò che per altro nega alla verità e invece promuove la menzogna quando sostiene l’eresia culturale del nostro tempo.


3 commenti:

  1. quel fulmine caduto sulla cupola di San Pietro proprio quando si è dimesso papa Benedetto.......credo sia un segno dell'Ira di Dio .....ma purtroppo non sapiamo "leggere i segni" e ci coglierà i più impreparati.......

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  2. Fa un po' ridere vedere le foto di Wojtyla e Razinga Zeta come se fossero il Settimo Cavalleria. Tali figuri sono colpevoli quanto l'orripilante Orgoglio.

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    1. Tutto vero, ma cerchiamo di essere più precisi e di formulare giudizi più rispondenti alla realtà e Verità. Ci sono state delle colpe ascrivibili a determinati soggetti che si sono lasciati sedurre dall'Avversario. Sono sì colpevoli ma se ha consentito che Satana raccogliesse tanti frutti forse davvero sono i personali peccati di ognuno ad essere il problema di fondo. Riformiamoci per riformare, e vale anche per la cattiva abitudine di esprimere condanne così spietate. Il reo deve essere individuato, incriminato e messo nelle condizioni di emendarsi pagando quanto dovuto. Ricordiamoci che la giustizia non è solo dovuta alle vittime ma anche e oso dire soprattutto ai colpevoli. Perché? Perché è il colpevole che sta nella condizione peggiore agli occhi di Dio e che rischia la condanna eterna e la disperazione. Accusiamo, condanniamo ma tendendo presente il fine delle nostre umane condanne che non può e non deve essere quello di emettere una sentenza immutabile. Non saremmo credibili agli occhi del prossimo se ci comportiamo in questo modo. Chi ha ragione continua ad averla anche se evita di strepitare e bollire di rabbia. Questi modernisti vanno inchiodati alle loro colpe con brutale obiettività, non con controproducente e risibile(agli occhi del nemico)furore.

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