Nel mistero del Sangue versato
(di Cristiana de Magistris) Tra le varie Feste che la riforma liturgica post-conciliare ha abilmente depennato dal calendario, v’è quella assai significativa del Preziosissimo Sangue, celebrata fino al 1970 il 1° luglio di ogni anno. Il Sangue versato da Nostro Signore Gesù Cristo per la salvezza dell’umanità è stato oggetto di culto sin dai primi secoli dell’era cristiana, benché la devozione si accrebbe a partire dall’XI secolo.
Tale devozione assunse sotto il pontificato di Pio VII una forma ben precisa e si iniziò a tributare uno speciale culto ai 7 spargimenti di sangue di Nostro Signore, approvati e indulgenziati dall’allora Pontefice: la circoncisione, l’agonia nell’orto, la flagellazione, la coronazione di spine, la via del Calvario, la crocefissione, la transfissione del cuore. La festa liturgica fu istituita da Pio IX, sotto il cui pontificato questa devozione ebbe una svolta gloriosa.
Il Sangue del Signore contiene in sé tutto il mistero sconvolgente dell’umana redenzione. Nessun cristiano può essere indifferente a questa devozione perché – come afferma perentoriamente l’Aquinate – Il Sangue di Cristo è la chiave del paradiso. Da null’altro, infatti, siamo stati salvati se non dal Sangue preziosissimo del nostro divin Redentore, sangue ab aeterno presente nella mente di Dio al pari del peccato dell’uomo.
Il padre Faber non esita ad affermare che quel Sangue, che fa ora la nostra gioia, è stato da sempre parte e causa dell’eterna felicità di Dio. Dio non ci vede come noi vediamo noi stessi, ma ci vede bagnati dal Sangue del suo divin Figlio. La scena del mondo agli occhi di Dio è tinta di rosso. È così perché Egli l’ha voluto. Lo spargimento del Sangue per la redenzione è parte della libertà del Suo amore. È stato, in qualche modo, il modo di redenzione più degno della sua maestà ed anche il modo di redenzione che più facilmente provocasse l’amore degli uomini. Venuto al mondo, il nostro Redentore ha mostrato una sorta di impaziente sollecitudine nel versare il suo Sangue.
Le prime gocce bagnarono la terra solo otto giorni dopo la sua nascita. E quando giunse la “sua ora”, l’ora stabilita ab aeterno per la redenzione del mondo, in quell’eterno Venerdì Santo atteso da millenni, Egli, nell’impeto del Suo amore, anticipò quell’ora suprema spargendo il Sangue nel Getsemani, il giorno prima, quasi incapace ad attendere ancora una notte la consumazione del dramma del Calvario. Sembra – osserva padre Faber – che la gioia che Gli veniva dallo spargimento del proprio Sangue fosse quasi un sollievo all’amarezza della Passione.
E quando il Sacrificio fu compiuto, il Redentore del mondo non si accontentò di aver sparso tutto il suo Sangue bevendo il calice fino alla feccia. Egli volle che misticamente quello spargimento continuasse fino alla fine dei tempi attraverso i Sacramenti della sua Chiesa.
In questo perpetuo spargimento di Sangue occorre ammirare la prodigalità della divina sapienza che avrebbe potuto lavate il peccato dell’uomo anche con una sola lacrima del divin Infante. Il Sangue dell’Uomo-Dio non era strettamente necessario. Lo fu per l’immenso amore di Dio. Come dice sant’Ambrogio, Dio permise il peccato perché volle un mondo da salvare. E volle salvarlo con la massima possibile espressione del suo amore: il Sangue.
«Il Signore Dio nostro – osserva il Vescovo di Milano – (…) creò il cielo e non leggo che si sia riposato; creò la terra e non leggo che si sia riposato; creò il sole, la luna, le stelle, e non leggo nemmeno allora che si sia riposato; ma leggo che ha creato l’uomo e che a questo punto si è riposato, avendo qualcuno a cui rimettere i peccati». Cristo crocifisso e sanguinante appare il motivo per cui Dio creò il mondo.
La liturgia ambrosiana pare farsi eco del suo Maestro, quando in un suo prefazio giunge a esclamare: «Ti sei chinato sulle nostre ferite e ci hai guarito, donandoci una medicina più forte delle nostre piaghe, una misericordia più grande della nostra colpa. Così anche il peccato, in virtù del Tuo invincibile amore, è servito a elevarci alla vita divina» (XVI Domenica per annum).
Salito al Cielo, il Redentore del mondo è sempre in atto di presentare al Padre le sue piaghe “irrimarginabili”, ancora vermiglie del sangue versato sul Golgota per la salvezza di tutti gli uomini.
“In un certo senso – scrive padre Faber – tutta la storia della Chiesa è la storia della devozione al Preziosissimo Sangue”, perché è la storia della predicazione del Vangelo e dell’amministrazione dei sacramenti. La liturgia era un tempo impregnata del ricordo diretto o indiretto del prezzo della nostra salvezza.
L’anno liturgico iniziava con la Festa della Circoncisione, quasi a ricordare che la storia dell’umana redenzione, riflessa nella liturgia, è una storia d’amore sanguinante. Anche questa festa è stata abilmente depennata dai novatores. La moderna cristianità sembra aver smarrito il ricordo del Sangue redentore, che nei tempi andati invitava da solo alla compunzione, alla penitenza, alle opere di misericordia, alla preghiera, all’amore di Colui che per noi tutto si è donato. Siamo prezzo del Sangue di Cristo. Occorre ritornare a questa memoria che è vita. È per noi e non per esseri inanimati che il Sangue di Cristo è stato versato. La terra con le sue bellezze passerà, ci avverte san Giovanni nell’Apocalisse: Vidi poi un nuovo cielo e una nuova terra, perché il cielo e la
terra di prima erano scomparsi (Ap 21,1).
terra di prima erano scomparsi (Ap 21,1).
E mentre la Chiesa discute del clima, del buco dell’ozono, della sopravvivenza degli insetti e dei rettili, pare aver dimenticato che non è questo il suo compito, poiché essa è, e sempre sarà, la “conservatrice eterna del Sangue incorruttibile” del suo Signore (Manzoni).
Né vale, per discolparsi da questa deriva umanitaria, invocare il Santo di Assisi quale vessillifero della difesa del creato, che egli lodò, certamente, ma solo perché vi vedeva impressa l’impronta del Creatore: «Dello stesso altissimo Figlio di Dio – scriveva – nient’altro vedo corporalmente, in questo mondo, se non il santissimo Corpo e il santissimo Sangue suo» (FF 113). Egli lodava il creato perché lo vedeva imporporato del Sangue di Cristo. Anche per lui il mondo era tinto di rosso. (Cristiana de Magistris)
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