Il Sinodo, il Signor Veneranda e il diavolo
… può solo diventare un inferno una Chiesa in cui ogni singolo caso (oggi i divorziati risposati, domani chissà cos’altro) diventa legge a se stesso. Una Chiesa in cui, “caso per caso”, ognuno decide della propria innocenza. Una Chiesa, di fatto, senza legge. Il disegno demoniaco non è quello di una Chiesa in cui l’ordine dei princìpi, e quindi delle leggi, sia invertito, ma una Chiesa in cui l’ordine non esiste.
di Alessandro Gnocchi
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Manzoni (Carletto, non Alessandro), che di mestiere faceva l’umorista, aveva inventato un personaggio esilarante a cui aveva dato il nome di Signor Veneranda. Si trattava di un omarino bizzarro e irritante che, partendo da premesse così banali da non impensierire l’interlocutore, attraverso una serie di sillogismi bislacchi arrivava a conclusioni da manicomio capaci di mandare fuori dai gangheri il malcapitato che gli aveva dato retta.
Sembra difficile trovare un’immagine più adatta per definire le giravolte dei commentatori che vogliono spiegare, senza se e senza ma, come il Sinodo sulla famiglia appena concluso sia andato bene. Anzi benissimo, specialmente per coloro che sono così attaccati alla dottrina da fare un tantino ribrezzo all’attuale Pontefice e, comunque, in qualche modo vanno accontentati.
Subito dopo la conferenza stampa conclusiva, un illustre vaticanista conservator-progressista spiegava come fosse caduto “il divieto assoluto di comunione ai divorziati”. Tutto questo perché, notoriamente, le leggi sono fatte di “divieti relativi”. Del resto, si tratta sempre dello stesso vaticanista conservator-progressista che pochi giorni prima spiegava arditamente come la comunione ai divorziati risposati tocchi la disciplina ma non la dottrina.
Si è esibita anche la giornalista sempre in linea (con il potere) che lanciava un messaggio nel grande mare del web per dirsi allibita davanti alle solite mene della stampa così cattiva che vorrebbe far passare quel conservatore di Bergoglio per un rivoluzionario: ma come? – si chiedeva la giornalista sempre in linea – torno dalla conferenza stampa di padre Lombardi convinta che tutto sia andato per il meglio e adesso apro Repubblica e scopro che è passata la comunione ai divorziati risposati. Al complotto… Al complotto… Come se, dopo qualche decennio di mestiere non avesse capito che gli uffici stampa hanno come compito principale quello di nascondere le notizie ai giornalisti, specialmente quelli così pigri o così asserviti da non andare a cercarle di persona e verificarle.
E poi c’è stato anche chi ha scoperto che nell’intero documento votato dai padri sinodali non si parla mai di “comunione” ai divorziati risposati. E questa trovata è persino più comica delle altre perché basta leggere il punto 84 del documento, dove si dice: “La logica dell’integrazione è la chiave del loro accompagnamento pastorale, perché non soltanto sappiano che appartengono al Corpo di Cristo che è la Chiesa, ma ne possano avere una gioiosa e feconda esperienza. Sono battezzati, sono fratelli e sorelle, lo Spirito Santo riversa in loro doni e carismi per il bene di tutti. La loro partecipazione può esprimersi in diversi servizi ecclesiali: occorre perciò discernere quali delle diverse forme di esclusione attualmente praticate in ambito liturgico, pastorale, educativo e istituzionale possano essere superate. Essi non solo non devono sentirsi scomunicati, ma possono vivere e maturare come membra vive della Chiesa, sentendola come una madre che li accoglie sempre, si prende cura di loro con affetto e li incoraggia nel cammino della vita e del Vangelo”.
A beneficio di chi non ha studiato il catechismo e cerca di spiegarlo agli altri, questo significa: comunione. Le “membra vive” della Chiesa sono quelle in stato di grazie che, proprio per questo, possono comunicarsi.
Il signor Veneranda di Manzoni (Carletto, non Alessandro), in frangenti simili, troverebbe una discreta concorrenza e sarebbe persino a mal partito con certi competitori. Non potrebbe essere altrimenti in questa Chiesa che, come spiega papa Francesco, è sì un ospedale da campo, ma psichiatrico.
Tuttavia, non sta qui il punto più inquietante. Il Sinodo è andato come doveva andare ed era ampiamente previsto che si attivassero le grancasse del conservatorismo in saldo per spiegare come questo sia il migliore dei mondi possibili, come questa sia la migliore delle Chiese possibili e come tutto vada bene madama la marchesa.
Sono letture che cercano con sforzo tanto encomiabile quanto mal riposto di tenere sotto controllo tutto quanto è umanamente impossibile. Ma c’è sempre qualche dettaglio che sfugge e, spesso, sono proprio queste inezie i segni dei tempi capaci di mostrare il verso senso degli eventi. Nel caso di questo Sinodo, per esempio, non si è notato abbastanza che il punto per dare il via libera alla comunione ai divorziati risposati sia passato con 177 voti favorevoli: uno in più rispetto al necessario. C’è qualcosa che stride, che inquieta in quel voto in più, perché ricorda tanto lo sberleffo del demonio, l’insulto satanico alla Verità che non viene combattuta versando il sangue del martire, ma attraverso un buffetto che pare quasi una carezza.
Ed è altrettanto simbolico che il cardinale Christoph Schönborn, l’inquieto e inquietante arcivescovo di Vienna, abbia immediatamente spiegato che la questione della comunione ai divorziati risposati andrà analizzata “caso per caso” perché “non esiste il bianco e il nero”. Anche questo è un dettaglio inquietante, se si pensa che il bianco e il nero sono i colori dell’abito del cardinale, il quale è un frate domenicano, e pare quasi che abbia voluto spogliarsi del saio che fu di San Tommaso per dire di essere altro.
Sono suggestioni, naturalmente, ma servono a rendersi conto che i tempi e gli eventi corrono sempre più velocemente e le vecchie ermeneutiche servono a ben poco a comprendere quanto accade. Inutile e inoperante quella posticcia della continuità, poiché tutto muta ad opera dell’autorità che invece avrebbe dovuto conservare. Superata quella della rottura perché ormai è rimasto poco o nulla con cui rompere. Se c’è un’ermeneutica capace di leggere questa corsa verso il baratro guidata dai pastori che dovrebbero tenerne lontano il gregge, è quella infernale. Perché può solo diventare un inferno una Chiesa in cui ogni singolo caso (oggi i divorziati risposati, domani chissà cos’altro) diventa legge a se stesso. Una Chiesa in cui, “caso per caso”, ognuno decide della propria innocenza. Una Chiesa, di fatto, senza legge. Il disegno demoniaco non è quello di una Chiesa in cui l’ordine dei princìpi, e quindi delle leggi, sia invertito, ma una Chiesa in cui l’ordine non esiste.
Una Chiesa del “caso per caso” diventerebbe immediatamente incapace di parlare agli uomini, perché si trasformerebbe in una Babele in cui ciascuno usa una propria lingua, riflesso dei propri valori. Diventerebbe il luogo infernale in cui le parole non dicono più nulla perché nessuno, tranne chi le pronuncia, ne comprenderebbe il significato. Somiglierebbe terribilmente all’inferno così come il demonio lo descrive nel Doctor Faustus di Thomas Mann:
“Questa è precisamente la gioia segreta, la sicurezza dell’inferno: che non è enunciabile, che è salva dal linguaggio, che esiste semplicemente, ma non la si può mettere nel giornale, non la si può rendere pubblica, non se ne può dare una nozione critica con parole, perché le parole ‘sotterraneo’, ‘cantina’, ‘mura spesse’, ‘silenzio’, ‘oblìo’, ‘mancanza di salvezza’ sono soltanto deboli simboli. Di simboli, mio caro, bisogna accontentarsi quando si parla dell’inferno, perché là tutto finisce, non solo la parola indicatrice, ma tutto, tutto… Anzi questo è il principale punto caratteristico e ciò che se ne può dire sulle generali, ed è nello stesso tempo ciò che il nuovo arrivato vi apprende per prima cosa, ciò che da principio non riesce ad afferrare e non può comprendere coi suoi sensi, diremo così, sani; perché la ragione o qualsivoglia limitata comprensione glielo impedisce, perché, insomma, è incredibile, talmente incredibile da fare impallidire, incredibile per quanto chi arriva se lo senta dire sin dall’inizio come un saluto e in forma concisa e decisa, che ‘là tutto finisce’, ogni pietà, ogni grazia, ogni riguardo e fino all’ultima traccia di comprensione per l’obiezione incredula e scongiurante: ‘Questo voi potete, oppure non potete fare di un’anima’. E invece sì, lo si fa e avviene senza il controllo della parola, in cantine afone, laggiù in fondo dove Dio non ode e per tutta l’eternità”.
Ma, ci spiegano, con tanta, tanta misericordia.
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Manzoni (Carletto, non Alessandro), che di mestiere faceva l’umorista, aveva inventato un personaggio esilarante a cui aveva dato il nome di Signor Veneranda. Si trattava di un omarino bizzarro e irritante che, partendo da premesse così banali da non impensierire l’interlocutore, attraverso una serie di sillogismi bislacchi arrivava a conclusioni da manicomio capaci di mandare fuori dai gangheri il malcapitato che gli aveva dato retta.
Sembra difficile trovare un’immagine più adatta per definire le giravolte dei commentatori che vogliono spiegare, senza se e senza ma, come il Sinodo sulla famiglia appena concluso sia andato bene. Anzi benissimo, specialmente per coloro che sono così attaccati alla dottrina da fare un tantino ribrezzo all’attuale Pontefice e, comunque, in qualche modo vanno accontentati.
Subito dopo la conferenza stampa conclusiva, un illustre vaticanista conservator-progressista spiegava come fosse caduto “il divieto assoluto di comunione ai divorziati”. Tutto questo perché, notoriamente, le leggi sono fatte di “divieti relativi”. Del resto, si tratta sempre dello stesso vaticanista conservator-progressista che pochi giorni prima spiegava arditamente come la comunione ai divorziati risposati tocchi la disciplina ma non la dottrina.
Si è esibita anche la giornalista sempre in linea (con il potere) che lanciava un messaggio nel grande mare del web per dirsi allibita davanti alle solite mene della stampa così cattiva che vorrebbe far passare quel conservatore di Bergoglio per un rivoluzionario: ma come? – si chiedeva la giornalista sempre in linea – torno dalla conferenza stampa di padre Lombardi convinta che tutto sia andato per il meglio e adesso apro Repubblica e scopro che è passata la comunione ai divorziati risposati. Al complotto… Al complotto… Come se, dopo qualche decennio di mestiere non avesse capito che gli uffici stampa hanno come compito principale quello di nascondere le notizie ai giornalisti, specialmente quelli così pigri o così asserviti da non andare a cercarle di persona e verificarle.
E poi c’è stato anche chi ha scoperto che nell’intero documento votato dai padri sinodali non si parla mai di “comunione” ai divorziati risposati. E questa trovata è persino più comica delle altre perché basta leggere il punto 84 del documento, dove si dice: “La logica dell’integrazione è la chiave del loro accompagnamento pastorale, perché non soltanto sappiano che appartengono al Corpo di Cristo che è la Chiesa, ma ne possano avere una gioiosa e feconda esperienza. Sono battezzati, sono fratelli e sorelle, lo Spirito Santo riversa in loro doni e carismi per il bene di tutti. La loro partecipazione può esprimersi in diversi servizi ecclesiali: occorre perciò discernere quali delle diverse forme di esclusione attualmente praticate in ambito liturgico, pastorale, educativo e istituzionale possano essere superate. Essi non solo non devono sentirsi scomunicati, ma possono vivere e maturare come membra vive della Chiesa, sentendola come una madre che li accoglie sempre, si prende cura di loro con affetto e li incoraggia nel cammino della vita e del Vangelo”.
A beneficio di chi non ha studiato il catechismo e cerca di spiegarlo agli altri, questo significa: comunione. Le “membra vive” della Chiesa sono quelle in stato di grazie che, proprio per questo, possono comunicarsi.
Il signor Veneranda di Manzoni (Carletto, non Alessandro), in frangenti simili, troverebbe una discreta concorrenza e sarebbe persino a mal partito con certi competitori. Non potrebbe essere altrimenti in questa Chiesa che, come spiega papa Francesco, è sì un ospedale da campo, ma psichiatrico.
Tuttavia, non sta qui il punto più inquietante. Il Sinodo è andato come doveva andare ed era ampiamente previsto che si attivassero le grancasse del conservatorismo in saldo per spiegare come questo sia il migliore dei mondi possibili, come questa sia la migliore delle Chiese possibili e come tutto vada bene madama la marchesa.
Sono letture che cercano con sforzo tanto encomiabile quanto mal riposto di tenere sotto controllo tutto quanto è umanamente impossibile. Ma c’è sempre qualche dettaglio che sfugge e, spesso, sono proprio queste inezie i segni dei tempi capaci di mostrare il verso senso degli eventi. Nel caso di questo Sinodo, per esempio, non si è notato abbastanza che il punto per dare il via libera alla comunione ai divorziati risposati sia passato con 177 voti favorevoli: uno in più rispetto al necessario. C’è qualcosa che stride, che inquieta in quel voto in più, perché ricorda tanto lo sberleffo del demonio, l’insulto satanico alla Verità che non viene combattuta versando il sangue del martire, ma attraverso un buffetto che pare quasi una carezza.
Ed è altrettanto simbolico che il cardinale Christoph Schönborn, l’inquieto e inquietante arcivescovo di Vienna, abbia immediatamente spiegato che la questione della comunione ai divorziati risposati andrà analizzata “caso per caso” perché “non esiste il bianco e il nero”. Anche questo è un dettaglio inquietante, se si pensa che il bianco e il nero sono i colori dell’abito del cardinale, il quale è un frate domenicano, e pare quasi che abbia voluto spogliarsi del saio che fu di San Tommaso per dire di essere altro.
Sono suggestioni, naturalmente, ma servono a rendersi conto che i tempi e gli eventi corrono sempre più velocemente e le vecchie ermeneutiche servono a ben poco a comprendere quanto accade. Inutile e inoperante quella posticcia della continuità, poiché tutto muta ad opera dell’autorità che invece avrebbe dovuto conservare. Superata quella della rottura perché ormai è rimasto poco o nulla con cui rompere. Se c’è un’ermeneutica capace di leggere questa corsa verso il baratro guidata dai pastori che dovrebbero tenerne lontano il gregge, è quella infernale. Perché può solo diventare un inferno una Chiesa in cui ogni singolo caso (oggi i divorziati risposati, domani chissà cos’altro) diventa legge a se stesso. Una Chiesa in cui, “caso per caso”, ognuno decide della propria innocenza. Una Chiesa, di fatto, senza legge. Il disegno demoniaco non è quello di una Chiesa in cui l’ordine dei princìpi, e quindi delle leggi, sia invertito, ma una Chiesa in cui l’ordine non esiste.
Una Chiesa del “caso per caso” diventerebbe immediatamente incapace di parlare agli uomini, perché si trasformerebbe in una Babele in cui ciascuno usa una propria lingua, riflesso dei propri valori. Diventerebbe il luogo infernale in cui le parole non dicono più nulla perché nessuno, tranne chi le pronuncia, ne comprenderebbe il significato. Somiglierebbe terribilmente all’inferno così come il demonio lo descrive nel Doctor Faustus di Thomas Mann:
“Questa è precisamente la gioia segreta, la sicurezza dell’inferno: che non è enunciabile, che è salva dal linguaggio, che esiste semplicemente, ma non la si può mettere nel giornale, non la si può rendere pubblica, non se ne può dare una nozione critica con parole, perché le parole ‘sotterraneo’, ‘cantina’, ‘mura spesse’, ‘silenzio’, ‘oblìo’, ‘mancanza di salvezza’ sono soltanto deboli simboli. Di simboli, mio caro, bisogna accontentarsi quando si parla dell’inferno, perché là tutto finisce, non solo la parola indicatrice, ma tutto, tutto… Anzi questo è il principale punto caratteristico e ciò che se ne può dire sulle generali, ed è nello stesso tempo ciò che il nuovo arrivato vi apprende per prima cosa, ciò che da principio non riesce ad afferrare e non può comprendere coi suoi sensi, diremo così, sani; perché la ragione o qualsivoglia limitata comprensione glielo impedisce, perché, insomma, è incredibile, talmente incredibile da fare impallidire, incredibile per quanto chi arriva se lo senta dire sin dall’inizio come un saluto e in forma concisa e decisa, che ‘là tutto finisce’, ogni pietà, ogni grazia, ogni riguardo e fino all’ultima traccia di comprensione per l’obiezione incredula e scongiurante: ‘Questo voi potete, oppure non potete fare di un’anima’. E invece sì, lo si fa e avviene senza il controllo della parola, in cantine afone, laggiù in fondo dove Dio non ode e per tutta l’eternità”.
Ma, ci spiegano, con tanta, tanta misericordia.
Sinodo dei Vescovi. Brevi considerazioni sulla “Relazione finale”. Interventi di Patrizia Fermani, Alessandro Gnocchi e Massimo Viglione – di Paolo Deotto
Il vostro parlare sia “sì, sì, no, no”… e infatti, ci ritroviamo con un documento fluviale (94 articoli) che spazia a destra e a manca, non senza chiudersi con le più ampie rassicurazioni circa l’accoglienza, il discernimento, la misericordia… e intanto Scalfari ha dettato le nuove linee religiose per l’umanità.
di Paolo Deotto
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Mi limito a poche considerazioni, per lasciare poi la parola a Patrizia Fermani, Alessandro Gnocchi e Massimo Viglione.
Chi, contro ogni evidenza, continua a sostenere l’esistenza di Babbo Natale, ha fatto notare con soddisfazione che il Sinodo non ha toccato la Dottrina del matrimonio, né la “Relazione finale” parla esplicitamente di comunione ai divorziati risposati. Certamente, in nessun punto della relazione finale si afferma esplicitamente che il matrimonio non è più indissolubile, o che l’adulterio da peccato mortale è derubricato a marachella… ma si scorda che la scure sul matrimonio cattolico è già piombata con i motu proprio con cui Bergoglio, di sua propria iniziativa, ha modificato il regime della nullità matrimoniale, introducendo procedure e cause di nullità che, di fatto, demoliscono il concetto stesso di sacramento.
Quanto al fatto che nella “Relazione finale” non si parli esplicitamente di comunione ai divorziati risposati, i punti dall’84 all’86 contengono un diluvio di affermazioni sui divorziati risposati, quasi presentati come una nuova “classe” potenzialmente ricchissima di virtù, di cui finora la Chiesa si sarebbe scordata. Tutto è così vago, dalla “integrazione”, a uno “scandalo” che non si capisce più da chi provenga, ad affermazioni surreali sulla possibilità di coniugare le mille attenzioni a queste situazioni irregolari senza per questo mettere in discussione l’indissolubilità, che non si vede perché da questo putiferio debba restare esclusa la comunione per gli adulteri, conviventi o meno che siano. Ripeto: conviventi. Perché non scordiamoci che se si parla di “divorziati risposati”, si parla sempre di persone che hanno contratto il cosiddetto matrimonio civile, ossia un atto amministrativo privo di ogni valore. E il surrealismo continua nell’affermare che in tali condizioni sia possibile curare l’educazione cristiana dei figli.
Il punto 86 parla del mitico “percorso di accompagnamento e discernimento” e distrugge definitivamente l’aureo principio che si sintetizza nell’evangelico: “Il vostro parlare sia sì, sì, no, no”.
Un pasticcio troppo impasticciato per essere stato fatto a caso. Tutti contenti, possiamo proclamare che la Dottrina è salva. Peccato che la prassi, che a questo punto riceve un sigillo autorevole, possa applicarsi solo sfasciando la Dottrina, e lasciandosi tranquillamente alle spalle il fatto che il matrimonio, l’unico a meritare tale nome, è un sacramento.
Il gran parlare sul Sinodo ha fatto passare in secondo piano l’omelia domenicale di Scalfari, interlocutore privilegiato di Bergoglio. Consiglio a tutti una lettura attenta di questa omelia, cliccando qui. Si annuncia la fine ufficiale della religione cattolica e, finalmente, la creazione del “Dio unico”, ovvero la morte di Dio. Sant’Atanasio è fuori tempo, ci garantisce il grande Eugenio. Ora c’è Bergoglio, che finalmente ha capito tutto. Del resto, non ci aveva già detto che Dio non è cattolico?
In attesa di leggere l’ennesima arrampicata sugli specchi di Padre Lombardi (ammesso e non concesso che la faccia), chiediamoci anche se è solo casuale il fatto che l’omelia domenicale di Scalfari tratti l’argomento così caro agli atei, ossia la morte della Vera Fede, proprio in coincidenza con la “Relazione finale”.
E ora passo la parola a Patrizia Fermani, Alessandro Gnocchi e Massimo Viglione.
di Paolo Deotto
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Mi limito a poche considerazioni, per lasciare poi la parola a Patrizia Fermani, Alessandro Gnocchi e Massimo Viglione.
Chi, contro ogni evidenza, continua a sostenere l’esistenza di Babbo Natale, ha fatto notare con soddisfazione che il Sinodo non ha toccato la Dottrina del matrimonio, né la “Relazione finale” parla esplicitamente di comunione ai divorziati risposati. Certamente, in nessun punto della relazione finale si afferma esplicitamente che il matrimonio non è più indissolubile, o che l’adulterio da peccato mortale è derubricato a marachella… ma si scorda che la scure sul matrimonio cattolico è già piombata con i motu proprio con cui Bergoglio, di sua propria iniziativa, ha modificato il regime della nullità matrimoniale, introducendo procedure e cause di nullità che, di fatto, demoliscono il concetto stesso di sacramento.
Quanto al fatto che nella “Relazione finale” non si parli esplicitamente di comunione ai divorziati risposati, i punti dall’84 all’86 contengono un diluvio di affermazioni sui divorziati risposati, quasi presentati come una nuova “classe” potenzialmente ricchissima di virtù, di cui finora la Chiesa si sarebbe scordata. Tutto è così vago, dalla “integrazione”, a uno “scandalo” che non si capisce più da chi provenga, ad affermazioni surreali sulla possibilità di coniugare le mille attenzioni a queste situazioni irregolari senza per questo mettere in discussione l’indissolubilità, che non si vede perché da questo putiferio debba restare esclusa la comunione per gli adulteri, conviventi o meno che siano. Ripeto: conviventi. Perché non scordiamoci che se si parla di “divorziati risposati”, si parla sempre di persone che hanno contratto il cosiddetto matrimonio civile, ossia un atto amministrativo privo di ogni valore. E il surrealismo continua nell’affermare che in tali condizioni sia possibile curare l’educazione cristiana dei figli.
Il punto 86 parla del mitico “percorso di accompagnamento e discernimento” e distrugge definitivamente l’aureo principio che si sintetizza nell’evangelico: “Il vostro parlare sia sì, sì, no, no”.
Un pasticcio troppo impasticciato per essere stato fatto a caso. Tutti contenti, possiamo proclamare che la Dottrina è salva. Peccato che la prassi, che a questo punto riceve un sigillo autorevole, possa applicarsi solo sfasciando la Dottrina, e lasciandosi tranquillamente alle spalle il fatto che il matrimonio, l’unico a meritare tale nome, è un sacramento.
Il gran parlare sul Sinodo ha fatto passare in secondo piano l’omelia domenicale di Scalfari, interlocutore privilegiato di Bergoglio. Consiglio a tutti una lettura attenta di questa omelia, cliccando qui. Si annuncia la fine ufficiale della religione cattolica e, finalmente, la creazione del “Dio unico”, ovvero la morte di Dio. Sant’Atanasio è fuori tempo, ci garantisce il grande Eugenio. Ora c’è Bergoglio, che finalmente ha capito tutto. Del resto, non ci aveva già detto che Dio non è cattolico?
In attesa di leggere l’ennesima arrampicata sugli specchi di Padre Lombardi (ammesso e non concesso che la faccia), chiediamoci anche se è solo casuale il fatto che l’omelia domenicale di Scalfari tratti l’argomento così caro agli atei, ossia la morte della Vera Fede, proprio in coincidenza con la “Relazione finale”.
E ora passo la parola a Patrizia Fermani, Alessandro Gnocchi e Massimo Viglione.
Il Sinodo di per sè non conta nulla , inutile sfasciarsi la testa sulle interpretazioni. La relazione finale non poteva produrre niente di diverso viste le divergenze presenti. Ciò che conta sono gli atti del magistero che il papa può emanare (con la scusa del sinodo). Per questo credo che l'invito alla preghiera fatto dal Card. Sarah a conclusione dell'assemblea sia più pressante ora che prima.
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