Priesthood's simulator – Il simulatore del sacerdozio
L'ex abate di Montecassino Pietro Vittorelli |
Nun
ce se po' fida' più de nessuno, nemmeno sarvognuno de 'n abbate!
De
onesto ce sta ancora quarcheduno? Puro voi preti pe' campa' rubbate?
Pare che ha combinato un bèr casino, 'sto Vittorelli inzieme cór
fratello,
si la Procura de Montecassino j'ha sequestrato tutto sur
più bello!
De certo sarà la Maggistratura, a stabbili' si questo è
un gran ladrone:
pe' lui sarà 'na grossa fregatura, de dove'
rinuncia' a mezzo mijone!
Ma è giusto che perfino un'Abbazzia, mo'
deve da subbi' 'na rubberia?
La tragedia che ha coinvolto in queste ore la Francia, con gli attentati e le vittime provocate dagli estremisti islamici a Parigi contribuirà certamente a far dimenticare l'ennesimo scandalo clericale italiano del quale moltissimi italiani non hanno colto il significato profondo, vedendovi solo una grave incoerenza di tipo morale (1).
Mi riferisco
all'ex abate benedettino Pietro Vittorelli (2), colto con le mani nel
sacco dalla finanza che, l'11 novembre, gli ha sequestrato 500.000 euro, soldi non suoi ma impossessati dal religioso per
condurre una vita di lusso, con vestiti, cene, profumi e, pure,
droghe assunte in compagnie tutt'altro che edificanti.
I semplici
si chiedono come sia possibile tutto ciò ma i fatti sono lì,
spietati, a inchiodare il reo. Post factum, alcuni tra la
maggioranza lo
maledicono usando parole che in questo blog non ripeto. Inutile dire
che quest'atteggiamento lascia il tempo che trova. Solo pochissimi si
chiedono come mai la cosa sia passata inosservata fino a poco tempo
prima. Tra questi pochissimi nessuno si chiede sulla base di cosa, la
comunità monastica e, in seguito, il Vaticano, eleggono un abate: su una
convenzione esteriore, una preparazione intellettuale, un'apparente
pietà o su una reale formazione spirituale?
Sembra,
infatti, che ci si dimentichi la cosa più fondamentale e che la
tradizione patristica, viceversa, aveva assolutamente chiara: la vita
religiosa autentica non è una formazione intellettuale ma una
formazione (spesso assai impegnativa) di cuore perché la sede
dell'autentica religione non sta nel cervello ma nel cuore purificato
(3).
Il cuore
purificato, toccato dalla presenza divina (la grazia) ha modo di
rendere consapevole il soggetto di Dio: “Beati i puri di cuore
perché vedranno Dio”(Mt 5, 8). Il centro di tutta la vita religiosa è
sempre e solo il cuore.
Come il
gusto nell'uomo è in grado di valutare il sapore di una pietanza, il
cuore è in grado di intuire, in modo ineffabile ma reale, la
presenza divina. Questa consapevolezza è chiara a tutta la
patristica e attinge alla tradizione biblica stessa. Tutto nasce da
qui, tutto consegue da qui, tutto si orienta da qui. Per questo
l'uomo “trovata la perla preziosa, vende tutto, pur di
acquistarla” (cfr. Mt 13, 46), ossia va contro le sue passioni negative che oscurano
l'occhio del cuore, la possibilità di percepire l'ineffabile
presenza divina, pur di rimanere sempre con il Signore, come diceva
san Paolo.
Ecco perché
la memoria del Signore, ossia la preghiera, può divenire un'attività
incessante, secondo san Gregorio di Nazianzo, per cui non si dovrebbe
fare altro che questa e accompagnare a questa ogni attività
quotidiana.
Questo tipo
di esperienza mistica è completamente dimenticata in Occidente
(salvo, forse, rarissimi casi). Ed è esattamente ciò a provocare la
rovina del Cristianesimo. Avviene, allora, la sostituzione della
realtà (l'esperienza divina) con una sua immagine intellettuale (lo
studio, le definizioni concettuali).
Qui non si vuole ostracizzare
l'utilizzo dell'intelletto ma il suo uso deviato in modo che i concetti argomentativi finiscono per sostituire l'indispensabile
esperienza mistica trasformando il cristianesimo in un'ideologia
religiosa, in un'idolatria dove lo stesso Dio coincide con l'immagine
intellettuale
che l'uomo se ne è fatto (4).
E, dal momento che la foto di una
pastasciutta non è assolutamente come un bel piatto di pastasciutta
davanti a sé (ossia, fuor di metafora, l'immagine intellettuale di
Dio non è come il contatto con Dio), la deriva di laici e clero
verso l'agnosticismo è irrefrenabile!
La più
chiara professione di agnosticismo, se non di ateismo, viene dunque
fatta da quel clero che, vittima più di tutti di un'ideologizzazione
del Cristianesimo, finisce inevitabilmente per vivere il contrario di
quanto professa a parole.
Questo è il
background nel quale, c'è da supporre, si è mosso pure Pietro
Vittorelli, ex abate di Montecassino.
Vincendo una
certa ritrosìa naturale di fronte a questi personaggi, ho voluto ascoltare attentamente alcune sue
dichiarazioni ancora disponibili su youtube (temo che a breve le
cancelleranno) per capire meglio la mentalità di questa persona, il
modo in cui è stato formato (o deformato) poiché è chiaro che
costui riflette anche e soprattutto tutto un ambiente di tipo clericalistico.
Ho dunque
fatto riferimento a due eventi:
- Il discorso di ringraziamento del neo abate Pietro Vittorelli in occasione della sua benedizione abbaziale (nel 2007) udibile in questo link;
- L'intervista rilasciata dallo stesso presule al giornalista Alessio Porcu udibile al seguente link:
Prima di
tutto c'è un elemento costante, presente in entrambi gli interventi, da me
riscontrato pure in molto clero: la tendenza ad autocelebrarsi
(5). Il clero ha il delicato
compito di portare luce a Cristo,
facendo come un saggio terapeuta che cura gli altri e se stesso,
accompagnando a Dio tutti.
Quando un chierico fa un discorso religioso, se ha avuto una reale
formazione
spirituale, sarà ben attento a non far focalizzare l'attenzione
degli altri su sé stesso perché questo atteggiamento psicologico
distoglierà inevitabilmente gli altri da Dio fissandoli sul puro
contingente o, peggio!, sul chiacchiericcio. Questa sensibilità
spirituale era talmente chiara in
determinati santi che li portava a raccontare di eventi
soprannaturali, avuti da loro stessi, attribuendoli ad altre persone.
In questo modo edificavano i loro ascoltatori e, allo stesso tempo,
non si esaltavano. Al contrario, un contesto fortemente umanistico
(in cui l'uomo è al centro di tutto e il proprio essere sta al centro
del
cosmo) si mostrerà inevitabilmente per ciò che è finendo per
deformare sensibilmente l'ordine di valori del Cristianesimo. L'umiltà
sarà la prima cosa ad essere sacrificata!
Questa
tendenza autocelebrativa l'ho notata nel primo discorso, laddove
l'abate dichiara: “Ogni
giorno, ogni istante, quanti
mi accosteranno possano scorgere
qualcosa della bellezza eterna
dell'immagine di Dio ... mi sento pienamente
figlio di san Benedetto”.
“Il buongiorno si vede dal mattino”, si dice normalmente e qui si
nota una pericolosa voglia di elevarsi, in nome di Dio. Qualsiasi
persona spiritualmente più accorta avrebbe, al contrario, detto:
“Ogni giorno, ogni istante quanti mi accosteranno preghino perché
possa essere fedele e incarni la bellezza eterna dell'immagine di Dio
della quale sono perfettamente indegno … mi sento indegnamente
figlio di san Benedetto”.
Nell'intervista
rimbalza la stessa autocelebrazione, suggerita in modo inopportuno
dallo stesso intervistatore (non è così che ci si rivolge ad un monaco, solleticando il suo egocentrismo!):
“A quale dei suoi
predecessori si ispira di più?”.
“Mi
ispiro al grande abate Desiderio di questo monastero che ha dato
grande impulso a Montecassino; penso a Bernardo Iglerio che ha amato
moltissimo il territorio diocesano ... Noi ciociari siamo
persistenti e pervicaci negli obbiettivi che ci diamo […]
L'esperienza politica mi ha dato quell'esperienza nel mondo
che mi aiuta a prevenire piuttosto che a combattere certe
situazioni”.
È
chiaro che il prelato non voleva essere in nulla inferiore ai presuli
di cui esaltava la grandezza e si dichiara ricco dell'esperienza del
mondo, facendo quello che è, a mio avviso, un discorso poco
opportuno per un chierico. L'orgoglio personale riceve ulteriore
foraggiamento il che è particolarmente stridente, soprattutto in un
monaco ...
Quello
a cui invito a porre particolare attenzione è il seguente discorso, come
risposta alla domanda “cosa sia più necessario alla nostra epoca”:
“Oggi
c'è la necessità di tornare ad uno studio serio, serrato
delle cose. In un momento di crisi come questo è importante per tutti
quanti riprendere a studiare e non osservare per sentito
dire o con una visione superficiale delle cose ... Noi cristiani
dobbiamo avere la convinzione che Dio è presente ovunque e non
esiste uno spazio nel quale sia assente. E mi riferisco anche a
spazi, o situazioni o sistemi di peccato dove comunque Dio entra e
cerca di illuminare il cuore degli uomini”.
Qui
i valori tradizionali (della patristica cristiana) sono completamente
capovolti. Quanto è importante per un cristiano non è, prima di
tutto, studiare ma avere un contatto con Dio. È questo contatto che
da un orientamento e un modo di vedere le cose nel mondo. Lo studio è
sempre seguente e non è assolutamente essenziale, tant'è vero che
Cristo non ha voluto scegliere i suoi discepoli tra i dotti farisei
ma tra gli ignoranti pescatori. È vero che la patristica più
elevata l'abbiamo quando si congiunge l'esperienza del divino con una
buona formazione intellettuale ma il discorso dell'abate, non
menzionando la prima, non solo è monco ma è eretico in senso
etimologico. Un'eresia ampiamente diffusa, soprattutto nell'odierno ambito
clericale in cui lo stesso papa pare abbia steso la spiritualità cristiana sul letto di Procuste di un buonismo sociologistico.
Mi
impressiona, poi, quanto segue: Dio è presente ovunque, anche nei
sistemi di peccato per cercare d'illuminare il cuore degli uomini.
Che
Dio sia presente ovunque non ne ho dubbi. Ma che possa illuminare gli
uomini nel peccato, se costoro non si convertono a lui, è
completamente errato. Il sole in una giornata di agosto può
illuminare ovunque ma non potrà mai entrare in una casa che ha porte
e finestre ben chiuse! Ecco cosa manca a questa frase dell'abate, una
parolina molto evidente al mondo monastico antico: la conversione! (6)
L'abate
poco dopo menziona la conversione ma in un modo molto parziale che puo' essere totalmente fuorviante:
“Il
sacrificio vero è quando ci rivolgiamo al Signore e manifestiamo a
Dio la nostra disponibilità a cambiare, pur riconoscendone la
difficoltà e il fatto che siamo fragili e che, magari, in quel
momento siamo davvero disponibili a cambiare ma che, dopo un'ora,
capita qualcosa e ritorniamo ad errare”.
Tutto
si ferma ad una pura intenzionalità, senza accampare le basi per
rendere concreto questo cambiamento con la rinuncia ai beni terreni,
cosa che un monaco dovrebbe praticare vigorosamente ogni giorno e che purtroppo
l'abate in oggetto non praticava affatto. L'ascesi diviene, così,
una pura intenzionalità, non qualcosa di realmente praticato.
Interessante l'appunto: “dopo un'ora capita qualcosa e ritorniamo
ad errare” perché, letto oggi ha un sapore fortemente autobiografico; sembra che l'abate descriva se stesso!
Per
un monaco è importante la liturgia. Per questo l'intervistatore
chiede all'abate il senso della liturgia nella vita cristiana. La
risposta è ancora una volta poco concreta perciò teorica come l'asserzione di un libro di metafisica filosofica.
Alla fine, è puramente umanistica risolvendosi in qualcosa di
solamente umano.
“La
liturgia è un totale invito alla gioia ... aver la percezione che in
situazioni anche drammatiche Dio si rende presente ... questo passa
attraverso la comunione degli intenti, mettersi insieme per fare cose
buone. Per questa pasqua è essenziale essere presi per mano e condotti alla
comprensione di questi gesti e simboli straordinari che
possono caricarci di speranza per il futuro e il domani, facendoci
credere che il domani è meglio di oggi. Questa speranza ci fa vivere
diversamente ogni situazione. Gli uomini devono mettersi attorno ad
un tavolo, guardarsi negli occhi e dire con franchezza quali sono i
problemi e cercare insieme di risolverli”.
La
liturgia è, invece, il luogo in cui la grazia di Dio (che non viene
nominata!) agisce e la sua azione, se è reale, non può non essere
sentita dal credente. Questo tipo di percezione sperimentale è tale
da dare la speranza nell'Al di là, una speranza che illumina anche
il nostro mondo, nonostante molti problemi possano non essere mai risolti
(per cui il domani non è affatto detto che sia meglio di oggi).
La
vera soluzione ai problemi umani, dunque, non si risolve in un
rapporto orizzontale (gli uomini si mettono attorno ad un tavolo e
cercano di risolverli) ma, per il cristiano, nel rapporto autentico con
Dio che da la forza per sopportare certe contraddizioni irrisolvibili
dell'umanità.
La
soluzione dell'abate è una soluzione puramente politica, non
evangelica. Questo secolarismo evidentemente confessato, questa
speranza secolare professata, sentimentale e teorica, è il tipico
segnale di chi ha ridotto il Cristianesimo ad un'ideologia, non ad un
rapporto autentico con la divinità.
Molti
si sono scandalizzati davanti al comportamento immorale di questo
abate. I presupposti teologici, però, rimanendo inalterati
continueranno a produrre persone di tal genere. Ecco perché, alla
fine, questo tipo di clero non è espressione reale del sacerdozio
del Nuovo Testamento, quanto una sua caricatura, una mal riuscita
simulazione.
________________________
Note
1)
Credo che l'istituzione ecclesiastica faccia affidamento sulla
straordinaria capacità di dimenticare questo e altri eventi da parte
del popolo italiano pensando, così, che l'oblio possa porre una
soluzione a problemi endemici che spesso non si vogliono affatto
risolvere o si crede di risolvere con palliativi puramente esteriori
e superficiali. In realtà se anche il popolo dimentica, dal momento
che i presupposti non si vogliono toccare, o prima o poi si
ripresenteranno altri fatti simili. Pare essere questo il destino
delle istituzioni ecclesiastiche in questo nostro travagliato tempo.
2)
Per una generica presentazione di questo prelato vedi il seguente sito.
3)
Tutto ciò è talmente ignorato in Occidente che perfino alle stesse
persone che si recano in Chiesa – e che ne dovrebbero essere edotte
– se si chiede loro quale sia l' “occhio” con il quale si
percepisce Dio rimangono esterrefatte e non sanno cosa rispondere.
L'approccio "sperimentale" è considerato irreale, superstizioso; la
religione è confinata nell'ideale, nel moralistico. Non è dunque strano
che gran parte del mondo cattolico si mobiliti contro il matrimonio dei
gay e che sia quasi indifferente dinnanzi allo scempio della liturgia,
della teologia e della spiritualità.
4)
La
patristica, soprattutto greca, condanna severissimamente questo
processo di idolatrizzazione che, in realtà, contraddistingue
moltissima religiosità cristiana in Occidente. C'è, inoltre, da
aggiungere una precisazione: oggi per "mistica" nel nostro contesto
s'intende qualcosa di fuorviante, di sentimentale e psicologistico. Non
c'è dubbio che alcuni la vedano così, soprattutto in quegli ambiti che
cercano sensazioni "speciali", eventi "spettacolari" per poter credere.
La patristica antica e la letteratura ascetica dei primi secoli, al
contrario, non aveva quest'impostazione, dal momento che aveva
chiaramente distinto tra ciò che è prodotto da uno psichismo religioso
malato e ciò che è reale segno di una presenza spirituale, non umana,
quindi divina.
5)
Tale tendenza l'ho trovata pure nella presentazione, fatta dal card.
Sarah ad un suo recente libro. Inutile dire che i cattolici più ferventi (o
più fanatici?) sono ben lungi dall'accorgersi della pericolosità di
quest'atteggiamento autocelebrativo, assolutamente stigmatizzato nell'antichità cristiana, evidente segnale di clericalismo.
6)
Che sia questo il
fondamento teorico con cui l'abate perseguiva la sua doppia vita? Non
dimentichiamo che quest'atteggiamento spirituale è assai diffuso nel
clero odierno, soprattutto in una sua corrente libertina che non è certo
composta da pochissime persone...
Pubblicato da
Pietro C.
http://traditioliturgica.blogspot.it/2015/11/priesthoods-simulator-il-simulatore-del.html
Il monsignore gay e l'ex abate: la doppia morale
Il monsignore gay e l'ex abate: la doppia morale
Cospirazioni sinodali, il caso di monsignor Chamarsa, Vatileaks hanno sfilato di recente sul red carpet di tutti i principali media mondiali. Da ultimo, la notizia che l’ex abate di Montecassino, Pietro Vittorelli, è stato indagato per aver usato in modo indebito 500mila euro, soldi che appartenevano alla Curia.
Il gossip ecclesiale gode di ottima salute in queste settimane. Cospirazioni sinodali, il caso di monsignor Chamarsa, Vatileaks hanno sfilato di recente sul red carpet di tutti i principali media mondiali. Da ultimo la sete di scandali di giornali e Tv ha trovato appagamento nella notizia che l’ex abate di Montecassino, Pietro Vittorelli, è stato indagato per aver usato in modo indebito 500mila euro, soldi che appartenevano alla Curia. Vittorelli vantava plurime aderenze con esponenti del mondo della politica non proprio immacolati dal punto massmediatico e non solo.
Ricordiamo Piero Marrazzo, ex governatore della Regione Lazio, il quale si era rifugiato a Montecassino per sfuggire al polverone mediatico-giudiziario scatenatosi per le sue frequentazioni con transessuali, e Angelo Balducci, già presidente del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, arrestato nel febbraio 2010 nell’ambito dell’inchiesta sugli appalti per le Grandi opere. Dopo l’esperienza monastica don Pietro scoprì la politica. Lo troviamo, infatti, in abiti borghesi nell’ottobre del 2014 ad un convegno organizzato nella sede italiana del Parlamento europeo a Roma, accanto al consigliere regionale del Lazio Mario Abbruzzese e ad Antonio Tajani, primo vicepresidente del Parlamento europeo. Il viso di dom Pietro era però conosciuto anche nell’ambiente gay, dove si presentava con il nome di Marco Venturi. Si vocifera di festini e orge in una casetta sulla Casilina, di pratiche erotiche estreme, di viaggi e cene sontuose, di pernottamenti in hotel pentastellati (a volte le ricevute erano a 4 zeri), nonché di uso di droghe, a cui Vittorelli non avrebbe rinunciato nemmeno dopo un ictus che lo avrebbe lasciato malconcio su una sedia a rotelle.
Tutte licenze che il Vittorelli-Venturi si concedeva distraendo fondi dell’ordine, destinati - ripetono i media - ai poveri. Insomma l’ex abate è la sintesi perfetta dell’incarnazione del male per la vulgata corrente: un religioso che ruba ai poveri, si dà a pratiche omosessuali, vive sfarzosamente, fa uso di droghe, è amico di politici e uomini danarosi (tra i molti, Lapo Elkan) su cui girano molte voci poco lusinghiere ed è pure indagato. Eppure, ci vien da dire, il giudizio sulle condotte oggettivamente riprovevoli di dom Pietro è un tantino ipocrita. Si rabbrividisce di fronte ai suoi festini a luci rosse. Ma la libertà sessuale secondo i cliché correnti non dovrebbe essere concessa a tutti, religiosi compresi? Per la cultura laica se Dio non esiste così come i suoi precetti sulla castità, perché vietare godimenti venerei ai sacerdoti? Nei giornali patinati in allegato ai quotidiani è tutto un florilegio del sesso libero da tabù, di triangoli amorosi, di scappatelle e orgette con effetto catartico sulla psiche e la vita di coppia. Perché negarlo anche a chi ormai è un ex prete?
Si grida “Vergogna!” perché dom Pietro frequentava bei maschioni. Eppure quei giornali che sbattono in prima pagina le vicende di Vittorelli sono gli stessi che berciano in continuazione sulla normalità di ogni orientamento sessuale. E che dire poi della presunta tossicodipendenza dell’ex abate? Il governo e molti esponenti politici è da tempo che spingono per una liberalizzazione dei trip a base di droghe.
In breve, il caso Vittorelli mette in luce che ci sono vizi e vizi, peccati cattolici e peccati laici. Prendiamo ad esempio la vicenda del “collega” Chamarsa. Questi dai media è stato trattato bene, anzi benissimo, spesso elogiato per quel suo ormai famigerato outing. Perché Chamarsa aveva rispettato alcune regole auree del politicamente corretto: non era stato scoperto con le mani nella marmellata, ma era stato lui per primo ad aprire il vaso di Pandora; appariva come vittima di una Chiesa conservatrice e retriva e pioniere del nuovo che avanza in campo dottrinale, non aveva mai rubato (peggior peccato mortale in questa nuova chiesa dei pauperisti) e la sua relazione omosessuale non aveva il baricentro sulla voglia di trasgressione, bensì sull’ “affetto”. Insomma nel salotto del mondo che conta si presenta bene Chamarsa, con l’abito buono.
Il raffronto tra Vittorelli e Chamarsa è allora illuminante. A ben vedere non importa di quali nefandezze si macchia un prelato, ma è questione di stile. Importa il come, non il cosa. In altri termini non esiste una dose minima di peccato ad uso personale che non suscita riprovazione sociale. Dose, superata la quale, scatta la censura e la lacerazione di vesti. Tu uomo in talare puoi comportarti come i tuoi omologhi laici in fatto di sesso e sballo, l’importante è rispettare le regole del gioco dettate dalla vulgata corrente. Rivendica per te il piacere erotico in ogni sua declinazione come sana espressione della tua personalità e scamperai alla censura. Non farti scoprire nel godere di ogni bassezza edonistica, ma vendila come conquista sociale e rivendicala come gesto di libertà. Vivi pure di istinti, ma vestili con i panni nobili dei diritti civili. Si badi bene. Non è stata questa una difesa di Vittorelli, ma solo prurito per l’incoerenza di giudizio.
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