ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

martedì 1 dicembre 2015

Porta di servizio

ROMA, DA RIBALTATA A DECENTRATA



La stampa, concorde anche questa volta con il gesto rivoluzionario di Papa Bergoglio - in visita pastorale nei paesi africani - ha salutato con entusiasmo da stadio la decisione papale di aprire ufficialmente l’Anno Santo, il Giubileo della Misericordia – tautologia meramente mediatica e sovrabbondante dacché il Giubileo è, di per sé, istituzione della Misericordia stessa – non più in Roma, sede del Vicario di Cristo, della tomba dei due Apostoli Prìncipi della Chiesa, centro e faro irradiante del Cristianesimo, ma in Bangui, capitale della Repubblica Centrafricana, definita, per l’occasione “Capitale del mondo” (Il Giornale, 30 novembre 2015).

Abbiamo titolato Roma come ‘ribaltata’, mutuando l’espressione dall’ottimo e prezioso saggio di Enrico Maria Radaelli (La Chiesa ribaltata – Ed. Gondolin 2014) per indicare come il primato della prassi e della pastorale bergogliana stia operando un completo sovvertimento della dottrina e della bimillenaria  storia, che la Chiesa, cioè Gesù Cristo, ha fissato e tracciato nel corso dei secoli.
  Già l’affacciarsi, la sera del 13 marzo 2013, al balcone della Basilica petrina e il presentarsi alla Cattolicità, appena dopo la sua elezione a Sommo Pontefice, esordendo con un “buonasera”, ha fatto comprendere come la Roma Vaticana sarebbe stata considerata, da allora ed in séguito, non più “locus terribilis” (Gen. 28, 17) – cioè sacro -  sede ed altare di Cristo, ma soltanto un tipo di salotto dove alla diffusione del messaggio divino e al parlar evangelico si sarebbe sostituito il garbato galateo mondano.
Questo, il primo ribaltamento che, alla maggioranza torpida e beota, è parso “apertura” di una nuova Chiesa, cortese, alla mano, fuori schema ieratico, maggiormente vicina all’uomo – e più distante da Dio! – tanto più che il novello Papa, di nome Francesco, ebbe a definirsi, e si definisce tuttora, “Vescovo di Roma”, con ovvia grande letizia di quel mondo, combattuto da Cristo, che finalmente si trova accanto non il Vicario del Figlio di Dio, ma un’autorità che, omettendo di salutare i fedeli con l’unica conveniente e dovuta formula “Sia lodato Gesù Cristo”, lanciava la ‘buona sera’, così come oggi, i sacerdoti, a Santa Messa conclusa, dopo la benedizione, si sentono in dovere di impartire un familiare augurio di “buona giornata”, tanto per rinforzare col bon ton, non si sa mai ce ne fosse bisogno, la precedente data in nome della Santissima Trinità.

E non solo “Roma ribaltata” ma anche “decentrata”, del che è facile intuire la ragione in quanto, avendo spostato il perno su cui poggia l’intera trascendenza, di cui un segno eminente è il Giubileo, di fatto quella che era CAPUT MUNDI è diventata punto di circonferenza, entità periferica cioè. E non vale che essa Roma, sia il luogo della cattedra “stabilita per lo loco santo/u’ siede il successor del maggior Piero” (Inf. II, 24), che essa sia erede e  mutazione ontologica dell’Impero romano da temporale in spirituale, intesa quale “kathechon” (II Tess. 2, 6 e segg.), argine e diga all’irruzione dell’Anticristo, colui “qui tenet, scilicet romanum imperium” (S. Tommaso: op. LXVIII De Antichristo).
Pertanto, con un’operazione di scenografica, massmediatica e politica pastorale, Papa Bergoglio ha tramutato Roma, il centro, in “periferìa” – termine a lui sì caro – e la periferìa in centro. Di fatto, lo stesso Papa, aveva cancellato la centralità di Roma quando, l’8 giugno del 2014, con affettuoso slancio, aveva ospitato nei giardini vaticani i rappresentanti del mondo palestinese ed ebreo e, unitamente a loro, pregato per la pace in nome di un Dio generico, decolorato, non cattolico ma ecumenistico, così come vuole e impone la massoneria.

E allora, la Porta Santa, la Porta della salvezza, quella collocata nella Basilica di San Pietro, la “porta justitiae” in cui “justi intrabunt” (Salmo 117, 19), sarà da oggi declassata a porta di servizio, una delle tante di cui dispongono le sacre stanze, un po’ meno santa dell’altra aperta nella cattedrale di Bangui.

Sarà, come scrive il buon Rino Cammilleri (Il Giornale 30 novembre 2015), che l’Africa cristiana rappresenta la nuova Chiesa rispetto alla vecchia europea, una Chiesa che sola s’è dichiarata, nell’ultimo Sinodo, contro le degenerazioni teologiche nordeuropee in tema di aborto, omosessualità, divorzio – e non saremo certo noi a contestare questa radiografìa, pur nutrendo forti riserve in termini di strategìa dacché avremmo apprezzato, ed esultato, se nel predetto scellerato Sinodo costoro, i prelati africani, avessero abbandonato, quale testimonianza e prova della loro adesione alla parola di Cristo, i lavori – sarà che l’Africa sta conoscendo, per mano di un fanatismo islamico, che Papa Bergoglio colpevolmente omette di indicarne la matrice religiosa riparandosi dietro l’indicazione di un generico terrorismo, sta conoscendo, dicevamo, un fiorire continuo di martiri, monito severo e luminoso per il pigro e liberal cattomassonico europeo che fugge la testimonianza della propria fede con accorgimenti dialettici e cavillosi tanto per non apparire vile e codardo, come in effetti è.

Sarà anche così, ma è anche vero che Roma è Roma e a nessuno è lecito portarle via il primato che si configura anche, e non solo, nell’indizione e nell’apertura del Giubileo. Noi vogliamo ricordare che Gesù non celebrò la sua Cena, ove istituì Se Stesso facendosi vita eucaristica e Porta Santa, non patì la Passione e la Morte, non si glorificò nella Resurrezione in un periferica località di Giudea o di Galilea, ma completò il disegno del Padre a Gerusalemme, il centro, il perno, il fulcro su cui poggiava la Vecchia Alleanza e dove nasceva quella Nuova. Se Gesù avesse agito secondo lo spirito bergogliano – l’attenzione somma ed unica alla povertà del mondo – avrebbe dovuto compiere l’opera della salvezza in qualche desolata e dimenticata landa dell’impero romano ove il morso della povertà, della violenza, della fame maggiormente incrudeliva che non in Gerusalemme. Egli preferì soffrire in quella che, nella lettura della prima Domenica di Avvento – 29 novembre 2015 -  il profeta Geremìa chiama “Gerusalemme, nome che vuol dire: Signore, giustizia nostra” (XXXIII, 16).

Nel libro degli “Atti di Pietro”, opera apocrifa greca attribuita a tale Leucio Carino – II sec. – e tradotta in latino, si legge la famosa e nota scena di Pietro che sta fuggendo da Roma ove imperversa la persecuzione di Nerone. Sulla Via Appia, dove l’apostolo sta camminando, appare Gesù che, carico della Croce, va in senso contrario. A Pietro che, sorpreso, chiede: “Quo vadis Domine?” – Dove vai o Signore? – Gesù risponde: “Eo Romam, iterum crucifigi” – vado a Roma per essere di nuovo crocifisso -.
Ora, qualcuno ci potrà contestare non probante tale testimonio, apocrifa essendo questa fonte. Noi, però, affermiamo che, siccome addirittura la letteratura apocrifa indica Roma il luogo dove Gesù sarebbe disposto a farsi di nuovo crocifiggere, chiaro appare il primato dell’Urbe, la nuova Gerusalemme, predestinata già con l’istituzione della Chiesa (Mt. 16, 18/19) e sancita con il martirio del primo Vicario di Cristo. Perciò, Roma cattolica, capitale del mondo e non Bangui.

Aprire ufficialmente l’Anno Santo giubilare, fuori dalla sede istituzionale, così come ha fatto Papa Bergoglio, è come se un nuovo Parlamento celebrasse la seduta d’apertura della legislatura in un’aula di consiglio comunale. Ma forse sarebbe bene ricordare che è nello stile di questo Pontefice derogare e sradicare forme e liturgìe secolari – l’ossatura della Katholika – così come dimostra, fra i tanti esempî, la cerimonia della lavanda dei piedi che ha celebrato non in San Giovanni in Laterano, sede tradizionale, figurando come apostoli i suoi cardinali, ma scegliendo il carcere  romano di Rebibbia figurando colà detenuti/e cristiani e non cristiani. Ma di questo parlammo in un nostro precedente scritto sempre su questo sito.

Ma, poi: come non ricordare le parole di Cristo, così come racconta Matteo, che all’obiezione  dei discepoli con cui essi disapprovarono quell’inopportuno uso di profumo, che per loro era ricchezza da devolvere ai poveri piuttosto che sprecarlo per lavare i piedi al maestro, così rispose: “Perché infastidite questa donna? Essa ha compiuto un’azione buona verso di Me. I poveri, infatti, li avete sempre con voi, Me, invece, non sempre mi avete” (26, 10/11).


di L. P. 
http://www.unavox.it/ArtDiversi/DIV1382_L-P_Roma_decentrata.html

“FUORI MODA”. La posta di Alessandro Gnocchi

Bergoglio in Africa ha parlato di bagni, cucine, scarichi fognari… Non a caso, rivolgendosi ai Pastori, non li ha invitati a celebrare la Messa, ma a  “prendere l’iniziativa contro tante ingiustizie, a coinvolgersi nei problemi dei cittadini, ad accompagnarli nelle loro lotte, a custodire i frutti del loro lavoro collettivo e a celebrare insieme ogni piccola o grande vittoria”. Proprio così: “celebrare insieme ogni piccola o grande vittoria” e non il Sacrificio di Nostro Signore, l’unico atto che libera veramente gli uomini, anche quelli che vivono e muoiono nella miseria.
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Martedì 1° dicembre 2015
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È pervenuta in redazione:
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Gentilissimo dottor Gnocchi,
mi scuso fin dal principio perché chiedendole una valutazione sul viaggio in Africa di Papa Francesco so di sottoporla alla tortura di leggere tutto quanto ha detto. Le confesso che io ho seguito gli eventi con un solo occhio perché quando si tratta di questo Papa ho sempre paura ogni volta che apre bocca o che compie un gesto. Mi permetto quindi di chiedere a lei come è andata, visto che lei è costretto dal suo lavoro a guardare tutto con attenzione. C’è qualcosa che l’ha colpita in particolare? Visto che questo tipo di tortura fa parte del suo mestiere ne approfitto.
Grazie per la sua attenzione,
Giovanna Romeo
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zrbrpsCara Giovanna,
non pensi che l’abitudine a leggere, ascoltare, guardare quanto questo Papa scrive, dice e compie renda meno penoso farlo ogni volta che scrive, parla e si esibisce sul palcoscenico mediatico mondano. Insomma, anche questa volta è stata dura e dunque vale la pena di mettere a frutto la fatica dividendola da buoni fratelli con chiunque lo chieda. Diciamo che è una modalità ascetica per applicare la misericordia tanto cara a questo pontificato che la predica, ma non la pratica.
Circa la sua domanda, devo dire che, in effetti, c’è qualcosa che mi ha particolarmente colpito durante il viaggio africano. Si tratta del discorso tenuto in Kenya alla baraccopoli di Kangemi, nei sobborghi di Nairobi. Però, prima di farci sopra qualche considerazione, bisogna che lei condivida almeno un po’ la tortura, cui io mi sottopongo professionalmente, anche per conto terzi, leggendo i seguenti passi. Se vuole, anche per rendersi conto che non sono estrapolati maliziosamente dal loro brodo di cultura ermeneutica tradendo l’attuale magistero pontificio, può trovare il testo integrale sul sito del Vaticano, che ormai è diventato il “Bollettino Ufficiale Bergogliano”, più o meno come le bacheche delle Case del Fascio ai tempi di Mussolini o delle Case del Popolo ai tempi di Stalin.
Dunque, cara Giovanna, si turi il naso, trattenga il respiro, butti giù tutto d’un fiato quanto segue e tenga presente che i neretti nel testo sono miei.
Questo si aggrava quando vediamo l’ingiusta distribuzione del terreno (forse non in questo quartiere, ma in altri) che porta in molti casi intere famiglie a pagare affitti abusivi per alloggi in condizioni edilizie per niente adeguate. Ho saputo anche del grave problema dell’accaparramento delle terre da parte di “imprenditori privati” senza volto, che pretendono perfino di appropriarsi del cortile della scuola dei propri figli. Questo accade perché si dimentica che «Dio ha dato la terra a tutto il genere umano, perché essa sostenti tutti i suoi membri, senza escludere né privilegiare nessuno» (Giovanni Paolo II, Enc. Centesimus annus, 31).
In questo senso, un grave problema è la mancanza di accesso alle infrastrutture e servizi di base. Mi riferisco a bagni, fognature, scarichi, raccolta dei rifiuti, luce, strade, ma anche scuole, ospedali, centri ricreativi e sportivi, laboratori artistici. Voglio riferirmi in particolare all’acqua potabile. «L’accesso all’acqua potabile e sicura è un diritto umano essenziale, fondamentale e universale, perché determina la sopravvivenza delle persone, e per questo è condizione per l’esercizio degli altri diritti umani. Questo mondo ha un grave debito sociale verso i poveri che non hanno accesso all’acqua potabile, perché ciò significa negare ad essi il diritto alla vita radicato nella loro inalienabile dignità» (Enc. Laudato si’, 30). Negare l’acqua ad una famiglia, attraverso qualche pretesto burocratico, è una grande ingiustizia, soprattutto quando si lucra su questo bisogno.
Questo contesto di indifferenza e ostilità, di cui soffrono i quartieri popolari, si aggrava quando la violenza si diffonde e le organizzazioni criminali, al servizio di interessi economici o politici, utilizzano i bambini e i giovani come “carne da cannone” per i loro affari insanguinati. Conosco anche le sofferenze di donne che lottano eroicamente per proteggere i loro figli e figlie da questi pericoli. Chiedo a Dio che le autorità prendano insieme a voi la strada dell’inclusione sociale, dell’istruzione, dello sport, dell’azione comunitaria e della tutela delle famiglie, perché questa è l’unica garanzia di una pace giusta, vera e duratura.
(…)
A questo proposito, propongo di riprendere l’idea di una rispettosa integrazione urbana. Né sradicamento, né paternalismo, né indifferenza, né semplice contenimento. Abbiamo bisogno di città integrate e per tutti. Abbiamo bisogno di andare oltre la mera declamazione di diritti che, in pratica, non sono rispettati, e attuare azioni sistematiche che migliorino l’habitat popolare e progettare nuove urbanizzazioni di qualità per ospitare le generazioni future. Il debito sociale, il debito ambientale con i poveri delle città si paga concretizzando il sacro diritto alla terra, alla casa e al lavoro [le tre “t”: tierra, techo, trabajo]. Questa non è filantropia, è un dovere morale di tutti.
Faccio appello a tutti i cristiani, in particolare ai Pastori, a rinnovare lo slancio missionario, a prendere l’iniziativa contro tante ingiustizie, a coinvolgersi nei problemi dei cittadini, ad accompagnarli nelle loro lotte, a custodire i frutti del loro lavoro collettivo e a celebrare insieme ogni piccola o grande vittoria. So che fate molto, ma vi chiedo di ricordare che non è un compito in più, ma forse il più importante, perché «i poveri sono i destinatari privilegiati del Vangelo» (Benedetto XVI, Discorso ai Vescovi del Brasile, 11 maggio 2007, 3)
Cari cittadini, cari fratelli. Preghiamo, lavoriamo e impegniamoci insieme perché ogni famiglia abbia una casa decente, abbia accesso all’acqua potabile, abbia un bagno, abbia energia sicura per illuminare, per cucinare, per migliorare le proprie abitazioni… perché ogni quartiere abbia strade, piazze, scuole, ospedali, spazi sportivi, ricreativi e artistici; perché i servizi essenziali arrivino ad ognuno di voi; perché siano ascoltati i vostri appelli e il vostro grido che chiede opportunità; perché tutti possiate godere della pace e della sicurezza che meritate secondo la vostra infinita dignità umana.
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È andato giù, Giovanna? Brava. Allora continuo dicendole che, anche se non fosse arrivata la sua lettera, avrei comunque scritto un commento a quanto ho appena fatto ingurgitare a lei e agli altri lettori. Pensavo di riportare questi passi senza citare la fonte e poi proporre il seguente quiz: “Secondo voi, queste affermazioni sono: A) del presidente dell’ordine dei geometri; B) dell’assessore ai lavori pubblici e agli arredi urbani della vostra città; C) dell’assessore ai servizi sociali della vostra città; D) di Nichi Vendola; E) di Marx (Groucho, non Karl); F) del vescovo di Roma.
Cara Giovanna, mi pareva un giochino simpatico, ma mi sono subito reso conto che sarebbe stato del tutto inutile e, soprattutto, di una facilità disarmante. Visto che in nessuna riga viene citato Nostro Signore Gesù Cristo, anche i lettori più distratti avrebbero indovinato subito che il titolare delle affermazioni in oggetto può essere soltanto l’attuale vescovo di Roma.
Se ci fosse un bravo vaticanista, e soprattutto se ce ne fosse uno libero, tra quelli che svolazzano per i cieli del mondo al seguito di Bergoglio lasciando nell’azzurro immacolato le scie del loro puzzolente incenso a coprire quelle del meno rivoltante cherosene dell’aereo papale, ci avrebbe scritto sopra un pezzo memorabile. Ma quel vaticanista non c’è e quel pezzo non è uscito. Qualcuno vi ha fatto cenno, ma i più accorti, quelli che a ogni morte e a ogni dimissione di Papa si mettono subito a tappetino sotto i piedi del successore, hanno pensato bene di nascondere al calduccio della solita e avariata retorica sui poveri questo libero pensiero muratorio fatto di mattoni e calcestruzzo, ma anche di squadra e compasso.
zzzzfrc1E un bravo titolista, fosse anche solo per il gusto della battuta, questo pezzo che nessuno ha scritto lo avrebbe confezionato come si deve. “Più fognature per tutti”, avrebbe aperto in prima pagina, facendo seguire un sommario concepito più o meno così: “Lo ha chiesto con forza papa Bergoglio nel corso del suo viaggio in Africa. Grazie alla profetica onniscienza di cui è dotato, il portavoce di Eugenio Scalfari non si è limitato a chiedere solo scarichi adeguati, ma anche i relativi bagni, senza i quali le condutture fognarie rimarrebbero inoperanti. E ha invocato anche la possibilità di cucinare poiché, se non si cucina, non si mangia e, se non si mangia, i bagni non servono e le fogne sarebbero state costruite inutilmente”.
Se ha letto con attenzione il discorso di Bergoglio, cara Giovanna, converrà che non esagero. Non ho inventato nulla, è scritto tutto lì dentro. Guardi bene e magari verrà anche a lei qualche idea da bravo titolista. Per esempio, “Scaricare meno, scaricare tutti”, “Bagni, amore e fantasia”, “Se non scaricherà, lotta dura sarà”, “Fate i vostri bisogni, non fate la guerra”, “Fogna dura, senza paura”, “Muratori di tutto il mondo unitevi”… E qui, sull’ultimo titolo, mi fermo lasciando a ciascuno la libera interpretazione del termine “Muratori”.
Mi permetta, cara Giovanna, di evitare le considerazioni seriose, che più o meno conosciamo tutti.  Dovrei ripetere ciò che dico fin da quel “Buonasera” che gelò il sangue nelle vene di tanti bravi cattolici. La metto solo in guardia da qualche solerte e servile “voce del magistero” secondo la quale, se lo si legge attentamente e con il cuore in ascolto, in questo discorso, si vede che “papa Bergoglio ha difeso coraggiosamente la vita e ha parlato chiaramente contro l’aborto”.  Ebbene, tutta questa chiarezza e questo coraggio sono condensati nella seguente riga: “Non mancano di fatto, pressioni affinché si adottino politiche di scarto come quella della riduzione della natalità”. Non male per quello che, occhio e croce, dovrebbe essere il Vicario di Cristo. Del resto, nella riciclica Laudato si’, la carta fondativa del suo pontificato, si è preoccupato con più solerzia del destino dei microrganismi che di quello dei bambini abortiti e non si vede perché ora dovrebbe insegnare qualcosa di diverso.
Per concludere, visto che siamo in materia di costruzioni e infrastrutture, qualcuno potrebbe eccepire che Bergoglio ha fatto un bel discorso, ma non si è preoccupato della copertura economica dei suoi progetti. Ebbene, questo sofistico che osa criticare il Papissimo si sbaglia. Bergoglio, nella sua profetica onniscienza, ci ha pensato, eccome, alla copertura economica. I soldi per costruire, fognature, bagni, acquedotti, linee elettriche, centri sportivi e via discorrendo si ricavano risparmiando sulla costruzione delle chiese, gli unici edifici che non ha mai citato come necessari per il bene di un popolo. Non a caso, quando si rivolge ai Pastori, non li invita a celebrare la Messa, ma a “prendere l’iniziativa contro tante ingiustizie, a coinvolgersi nei problemi dei cittadini, ad accompagnarli nelle loro lotte, a custodire i frutti del loro lavoro collettivo e a celebrare insieme ogni piccola o grande vittoria”.
Proprio così, cara Giovanna, a “celebrare insieme ogni piccola o grande vittoria” e non il Sacrificio di Nostro Signore, l’unico atto che libera veramente gli uomini, anche quelli che vivono e muoiono nella miseria. Ma a che cosa servono le chiese a chi diffonde la fede nell’uomo invece che quella in Cristo? A nulla, quindi “Più fognature per tutti”.
Alessandro Gnocchi
Sia lodato Gesù Cristo

"Giusto usare il profilattico per evitare l'Hiv?". La risposta di Papa Francesco: la svolta

Cade uno degli ultimi e anacronistici tabù della Chiesa sull'uso dei preservativi. La nuova apertura arriva da Papa Francesco che durante il suo viaggio di ritorno dal viaggio in Africa ha risposto alle domande dei giornalisti. Ed è stata proprio quella sui tantissimi malati di Aids nel continente africano a dare lo spunto: "Sappiamo che la prevenzione è una chiave, sappiamo anche che i preservativi non sono l'unico modo per fermare l'epidemia, ma è una parte importante per la risposta - ha detto il giornalista - Non è forse il tempo di cambiare la posizione della Chiesa? E permettere l'uso dei preservativi?". Bergoglio ha quindi risposto: "La domanda mi sembra troppo piccola, mi sembra anche una domanda parziale, sì è uno dei metodi". Il Papa poi argomenta: "La morale della Chiesa si trova in questo punto davanti a una perplessità: il quinto o il sesto comandamento? Difendere la vita o il rapporto sessuale aperto alla vita? Ma questo non è Il problema più grande. Mi fa pensare alla domanda che rivolsero a Gesù: è lecito guarire il sabato? Non parliamo se si può usare questo o quel cerotto per una piccola ferita. La grande ferita è l’ingiustizia sociale, lo sfruttamento dell’ambiente, la malnutrizione, il lavoro schiavo, la mancanza d’acqua potabile, il traffico d’anni.. A me non piace scendere a riflessioni così casistiche. Le guerre sono il motivo di mortalità più grande. Non pensare se è lecito o no guarire il sabato. Io dirò all’umanità: fare giustizia. E quando tutti siano guariti, quando non ci sia ingiustizia, possiamo parlare del sabato".
http://www.liberoquotidiano.it/news/esteri/11854835/papa-francesco-profilattico-hiv-malati.html

di Giuliano Guzzo

Oggi, 1° dicembre, è la Giornata Mondiale contro l’Aids. E temo che, anziché contribuire ad accrescere la coscienza dell’epidemia mondiale di Aids dovuta alla diffusione del virus HIV, molti si ridurranno alla solita, tristissima apologia del condom; senza tuttavia precisare che se è vero che questo ha un’efficacia protettiva dell’80% [1], detta efficacia risulta limitata all’uso perfetto, continuo e senza deroga alcuna. Il punto è che l’uso del preservativo si presta a numerosi e frequenti errori, che vanno dal fatto che non sempre viene indossato per tutta la durata del rapporto, al fatto che spesso viene inserito al contrario perché srotolato dal lato sbagliato, dal mancato spazio lasciato sulla punta alla rimozione sbagliata [2]; tanto che uno studio condotto su 509 adolescenti ha messo in luce come l’uso corretto e costante del preservativo riguardasse appena 80 soggetti, il 16% [3].
No, tranquilli. Nessuno, oggi, vuole indire alcuna crociata contro il condom. Si vuole solo far presente, sulla scorta delle dichiarazioni, a suo tempo contestatissime, di Benedetto XVI, che non è riempiendo strade e scuole di distributori di preservativi – e quindi offrendo una risposta meramente materialista al problema – che batteremo l’Aids, bensì guardando oltre. Parola di Edward Green, direttore della Harvard HIV Prevention Research Project, il quale, sconfessando certa propaganda, ha dichiarato testualmente:«Quando il Papa ha detto che la risposta sta proprio nella fedeltà e nella monogamia, questo è esattamente quello che abbiamo trovato empiricamente» [4]. Che il dottor Green, al pari di quanti non si allineano al festival del preservativo, sia solo un ostinato oscurantista? Difficile. La realtà – ricerche alla mano [5] – è che la migliore risposta all’HIV è il cambiamento del comportamento sessuale. La realtà, cioè, è che ci vuole vera educazione. E possibilmente meno spot di cosiddetti vip che parlano, al solito, senza sapere ciò che dicono.

Note: [1] Cfr.Weller S. – Davis K. (2002) Condom effectiveness in reducing heterosexual HIV transmission. «Cochrane database of systematic reviews»;(1):CD003255; [2] Cfr. Sanders S.A. – Yarber W.L. – Kaufman E.L. – Crosby R.A. – Graham C.A. – Milhausen R.R. (2012) Condom use errors and problems: a global view.«Sexual Health»; 9(1) 81-95; [3] Cfr. Paz-Bailey G. – Koumans E. H. – Sternberg M. – Pierce A. – Papp J. – Unger E.R. – Sawyer M. – Black C.M. – Markowitz L.E. (2005) The Effect of Correct and Consistent Condom Use on Chlamydial and Gonococcal Infection among Urban Adolescents.«Archives of Pediatric and Adolescent Medicine»;159(6):536-542; [4] Green E. in The pope was right about condoms, says Harvard HIV expert. «bbc.co.uk», 29/3/2009; [5] Cfr. Murphy E.M. – Greene M.E. – Mihailovic A. – Olupot-Olupot P. (2006) Was the “ABC” approach (abstinence, being faithful, using condoms) responsible for Uganda’s decline in HIV? «PLoS Med»;3(9):e379; Halperin D.T. – Mugurungi O. – Hallett T.B. – Muchini B. – Campbell B. – Magure T. – Benedikt C. Gregson S. (2011) A surprising prevention success: why did the HIV epidemic decline in Zimbabwe? «PLoS Med»;8(2):e1000414.

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