Ddl Cirinnà. Lettera aperta a Massimo Gandolfini
Credo che sia doveroso da parte Sua un chiarimento circa il messaggio che la manifestazione indetta il 30 gennaio prossimo contro il ddl Cirinnà vorrebbe far giungere ai responsabili della cosa pubblica, i quali stanno dimostrando con evidenza di usare in modo sconsiderato e irresponsabile il proprio potere politico, senza distinzione di appartenenza. Le persone che si fidano di chi le convoca e intraprendono anche lunghi viaggi per rispondere alla convocazione, sono meritevoli di essere adeguatamente informate sugli obiettivi dell’iniziativa a cui contribuiscono a dare corpo.
di Elisabetta Frezza
.
Egregio professor Gandolfini,
Mi rivolgo a Lei nella Sua qualità di coordinatore e portavoce del Comitato Difendiamo i Nostri Figli, che sta chiamando a raccolta le famiglie italiane per la manifestazione indetta il 30 gennaio prossimo contro il ddl Cirinnà.
Credo infatti che, in vista della futura mobilitazione, sia doveroso da parte Sua un chiarimento circa il messaggio che la nuova adunata vorrebbe far giungere ai responsabili della cosa pubblica, i quali stanno dimostrando con evidenza di usare in modo sconsiderato e irresponsabile il proprio potere politico, senza distinzione di appartenenza.
La conclamata contrarietà al disegno di legge attualmente all’esame del Parlamento – il NO Cirinnà assunto a slogan dell’iniziativa – è una bandiera troppo vaga, che in questo frangente rischia di risultare sommamente equivoca: è piuttosto scontato che il monstrum giuridico partorito dalla onorevole piddina con la collaborazione di varie levatrici di turno, tutte orgogliosamente omofile, susciti istintivo raccapriccio in chiunque abbia conservato qualche residuo anticorpo al veleno della follia ideologica sparso a man bassa in tutte le direzioni dalla cabina di comando della macchina tritacervelli. Nè occorre possedere particolari competenze giuridiche per cogliere le aberrazioni ivi contenute, è sufficiente un po’ di sano buon senso.
E fin qui siamo tutti d’accordo.
Al di là di questo minimissimo comun denominatore (pars destruens), voi organizzatori avete però a parer mio il dovere di spiegare dove, di fatto, intendete andare a parare (pars construens), soprattutto perché nella vostra carovana imbarcate tante brave persone desiderose di far sentire una voce dissonante da quella, prepotente e sinistra, che risuona come eco ufficiale. Persone che si fidano di chi le convoca con tanto ardore, che sono disposte a intraprendere un viaggio per la causa e perciò anche meritevoli di essere adeguatamente informate sugli obiettivi dell’iniziativa a cui contribuiscono a dare corpo.
A prova del fatto che la mia domanda non è pretestuosa nè peregrina, non posso non ricordare l’imbarazzante circostanza verificatasi in occasione della scorsa adunata, quella del 20 giugno, cui seguì di lì a pochissimi giorni la rivoltante esibizione parlamentare dei politici presenti in piazza, pronti ad elargire il proprio voto di fiducia al governo Renzi su quella famigerata legge c.d. della buona scuola, che ha fornito avallo normativo a tutte le manipolazioni di stampo genderista dei programmi scolastici. (Al proposito, e per inciso, mi ha colpita sentirla parlare di gender nelle scuole come di una evenienza futuribile e tutt’ora scongiurabile in via diplomatica, anziché di una tragica realtà in atto in ogni angolo del paese).
In effetti, quella volta, si è notato un certo imbarazzo nel definire i termini della manifestazione, che alla fine si decise non dovesse essere contro nulla e nessuno, ma semplicemente celebrare la bellezza della famiglia naturale. Si è visto poi in che modo bizzarro il messaggio è stato recepito da chi di dovere.
Oggi, dopo sette mesi interlocutori intessuti di fumosi discorsi incrociati su famiglie, coppie, convivenze e matrimoni, voi sollecitate una nuova imponente calata su Roma. E vi premurate di sottolineare come il manifestare contro questo testo sciagurato non significhi voler discriminare nessuno, o non voler riconoscere i c.d. diritti degli omosessuali. Ecco, qui sta il punto.
Perché, vede, suppongo non sia più un mistero per nessuno, almeno tra gli addetti ai lavori, come tra il “matrimonio” omosessuale della Cirinnà e ogni altra forma di tutela giuridica delle convivenze more uxorio non ci sia alcuna differenza qualitativa. In altre parole, qualsiasi declinazione o veste onomastica ci si inventi – aggiungendo un pezzettino di qua o togliendone uno di là per conquistare l’immancabile punto di incontro, sempre seduti all’immancabile tavolo delle negoziazioni – nulla cambia nella sostanza, si tratta di mere gradazioni di un solo unico fenomeno, in sè nocivo per la conservazione e la vita della società: rendere tali unioni di fatto uno status riconosciuto e tutelato dall’ordinamento costituisce uno sfregio al senso stesso del diritto, la cui coessenziale funzione “ordinatrice” viene manomessa e tradita. Senza considerare – ma questa è solo una logica conseguenza del vizio originario insito nella premessa – che qualsiasi delle varianti sul tema è di fatto matematicamente destinata a uniformarsi, più prima che poi, a quella più estrema ed eversiva in virtù dell’intervento, scontatissimo, della magistratura militante. Poichè si sa già che il proteiforme principio di uguaglianza-a-prescindere imporrà, a parità di condizioni (comunanza di vita sentimentale-affettiva-sessuale), l’estensione indiscriminata del medesimo trattamento previsto per il matrimonio. Scardinare il significato e la funzione dell’istituzione famigliare, violentandola nel suo significato ontologico per giustapporre ad essa grottesche parodie, non può non provocare una micidiale reazione a catena e lo smottamento di tutti i valori di riferimento della società.
Le chiedo dunque la cortesia di chiarire a me e a tanti questo punto fondamentale. A sentire e leggere i vari interventi sul tema, si trae l’impressione che su ciò si voglia elegantemente glissare, forse per farsi capienti e accoglienti di tutto l’ampio spettro dei potenziali partecipanti – dai galantiniani ai nostalgici del magistero, dai dialoganti agli introversi – e forse, comunque, perché c’è un copione già scritto, dal finale scontato, che si è deciso di integrare con qualche peripezia utile a dare corpo alla trama e lustro quanto basta a tutte le parti in scena, in primis ai sedicenti cattolici.
Tra i parlamentari ormai non c’è più nessuno che non si sgoli a ripetere compulsivamente la formula beota – entrata nell’orecchio a tutti e mandata a memoria collettiva – che “diritti individuali si, adozioni no”, oppure quell’altro assurdo tormentone che i bambini hanno “diritto” a una mamma e un papà. Sappiamo che la finta resistenza ha trovato qui il suo mantra non solo condiviso ad intra, ma condivisibile anche ad extra dai supposti avversari, tanto è solo una questione di tempo, il risultato è assicurato e poi anche la chiesa in uscita ha detto papale-papale che ci sta. Più di così..
È qui che vogliamo arrivare?
A sentire certe Sue dichiarazioni recenti parrebbe tanto di sì, che ci si sia tutti allineati su questa direttrice suicida, pur a diverse velocità. Lei per esempio dice di essere perfettamente d’accordo sulle convivenze non matrimoniali purché non omogenee al matrimonio e si spinge sino a coniare per esse la creativa figura paragiuridica del “diritto attenuato” (Clicca quiper il video che contiene questa affermazione), rispetto alla “pienezza del diritto” che sarebbe prerogativa della famiglia. Una di quelle formule – tipo quelle di cui sopra – destinate ad avere una fortuna inversamente proporzionale alla loro sensatezza.
Chissà se tutte le famiglie, perlomeno quelle non eterodirette, che stanno mettendo in conto una trasferta a Roma sono contente di questa trovata. Forse no.
Sarebbe bello avvisarle in tempo utile per quali obiettivi sarà spesa la loro eventuale generosa presenza. Quali battaglie, vere o simulate, saranno condotte anche nel loro nome.
La ringrazio molto se vorrà darmi qualche delucidazione in merito.
di Elisabetta Frezza
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Egregio professor Gandolfini,
Mi rivolgo a Lei nella Sua qualità di coordinatore e portavoce del Comitato Difendiamo i Nostri Figli, che sta chiamando a raccolta le famiglie italiane per la manifestazione indetta il 30 gennaio prossimo contro il ddl Cirinnà.
Credo infatti che, in vista della futura mobilitazione, sia doveroso da parte Sua un chiarimento circa il messaggio che la nuova adunata vorrebbe far giungere ai responsabili della cosa pubblica, i quali stanno dimostrando con evidenza di usare in modo sconsiderato e irresponsabile il proprio potere politico, senza distinzione di appartenenza.
La conclamata contrarietà al disegno di legge attualmente all’esame del Parlamento – il NO Cirinnà assunto a slogan dell’iniziativa – è una bandiera troppo vaga, che in questo frangente rischia di risultare sommamente equivoca: è piuttosto scontato che il monstrum giuridico partorito dalla onorevole piddina con la collaborazione di varie levatrici di turno, tutte orgogliosamente omofile, susciti istintivo raccapriccio in chiunque abbia conservato qualche residuo anticorpo al veleno della follia ideologica sparso a man bassa in tutte le direzioni dalla cabina di comando della macchina tritacervelli. Nè occorre possedere particolari competenze giuridiche per cogliere le aberrazioni ivi contenute, è sufficiente un po’ di sano buon senso.
E fin qui siamo tutti d’accordo.
Al di là di questo minimissimo comun denominatore (pars destruens), voi organizzatori avete però a parer mio il dovere di spiegare dove, di fatto, intendete andare a parare (pars construens), soprattutto perché nella vostra carovana imbarcate tante brave persone desiderose di far sentire una voce dissonante da quella, prepotente e sinistra, che risuona come eco ufficiale. Persone che si fidano di chi le convoca con tanto ardore, che sono disposte a intraprendere un viaggio per la causa e perciò anche meritevoli di essere adeguatamente informate sugli obiettivi dell’iniziativa a cui contribuiscono a dare corpo.
A prova del fatto che la mia domanda non è pretestuosa nè peregrina, non posso non ricordare l’imbarazzante circostanza verificatasi in occasione della scorsa adunata, quella del 20 giugno, cui seguì di lì a pochissimi giorni la rivoltante esibizione parlamentare dei politici presenti in piazza, pronti ad elargire il proprio voto di fiducia al governo Renzi su quella famigerata legge c.d. della buona scuola, che ha fornito avallo normativo a tutte le manipolazioni di stampo genderista dei programmi scolastici. (Al proposito, e per inciso, mi ha colpita sentirla parlare di gender nelle scuole come di una evenienza futuribile e tutt’ora scongiurabile in via diplomatica, anziché di una tragica realtà in atto in ogni angolo del paese).
In effetti, quella volta, si è notato un certo imbarazzo nel definire i termini della manifestazione, che alla fine si decise non dovesse essere contro nulla e nessuno, ma semplicemente celebrare la bellezza della famiglia naturale. Si è visto poi in che modo bizzarro il messaggio è stato recepito da chi di dovere.
Oggi, dopo sette mesi interlocutori intessuti di fumosi discorsi incrociati su famiglie, coppie, convivenze e matrimoni, voi sollecitate una nuova imponente calata su Roma. E vi premurate di sottolineare come il manifestare contro questo testo sciagurato non significhi voler discriminare nessuno, o non voler riconoscere i c.d. diritti degli omosessuali. Ecco, qui sta il punto.
Perché, vede, suppongo non sia più un mistero per nessuno, almeno tra gli addetti ai lavori, come tra il “matrimonio” omosessuale della Cirinnà e ogni altra forma di tutela giuridica delle convivenze more uxorio non ci sia alcuna differenza qualitativa. In altre parole, qualsiasi declinazione o veste onomastica ci si inventi – aggiungendo un pezzettino di qua o togliendone uno di là per conquistare l’immancabile punto di incontro, sempre seduti all’immancabile tavolo delle negoziazioni – nulla cambia nella sostanza, si tratta di mere gradazioni di un solo unico fenomeno, in sè nocivo per la conservazione e la vita della società: rendere tali unioni di fatto uno status riconosciuto e tutelato dall’ordinamento costituisce uno sfregio al senso stesso del diritto, la cui coessenziale funzione “ordinatrice” viene manomessa e tradita. Senza considerare – ma questa è solo una logica conseguenza del vizio originario insito nella premessa – che qualsiasi delle varianti sul tema è di fatto matematicamente destinata a uniformarsi, più prima che poi, a quella più estrema ed eversiva in virtù dell’intervento, scontatissimo, della magistratura militante. Poichè si sa già che il proteiforme principio di uguaglianza-a-prescindere imporrà, a parità di condizioni (comunanza di vita sentimentale-affettiva-sessuale), l’estensione indiscriminata del medesimo trattamento previsto per il matrimonio. Scardinare il significato e la funzione dell’istituzione famigliare, violentandola nel suo significato ontologico per giustapporre ad essa grottesche parodie, non può non provocare una micidiale reazione a catena e lo smottamento di tutti i valori di riferimento della società.
Le chiedo dunque la cortesia di chiarire a me e a tanti questo punto fondamentale. A sentire e leggere i vari interventi sul tema, si trae l’impressione che su ciò si voglia elegantemente glissare, forse per farsi capienti e accoglienti di tutto l’ampio spettro dei potenziali partecipanti – dai galantiniani ai nostalgici del magistero, dai dialoganti agli introversi – e forse, comunque, perché c’è un copione già scritto, dal finale scontato, che si è deciso di integrare con qualche peripezia utile a dare corpo alla trama e lustro quanto basta a tutte le parti in scena, in primis ai sedicenti cattolici.
Tra i parlamentari ormai non c’è più nessuno che non si sgoli a ripetere compulsivamente la formula beota – entrata nell’orecchio a tutti e mandata a memoria collettiva – che “diritti individuali si, adozioni no”, oppure quell’altro assurdo tormentone che i bambini hanno “diritto” a una mamma e un papà. Sappiamo che la finta resistenza ha trovato qui il suo mantra non solo condiviso ad intra, ma condivisibile anche ad extra dai supposti avversari, tanto è solo una questione di tempo, il risultato è assicurato e poi anche la chiesa in uscita ha detto papale-papale che ci sta. Più di così..
È qui che vogliamo arrivare?
A sentire certe Sue dichiarazioni recenti parrebbe tanto di sì, che ci si sia tutti allineati su questa direttrice suicida, pur a diverse velocità. Lei per esempio dice di essere perfettamente d’accordo sulle convivenze non matrimoniali purché non omogenee al matrimonio e si spinge sino a coniare per esse la creativa figura paragiuridica del “diritto attenuato” (Clicca quiper il video che contiene questa affermazione), rispetto alla “pienezza del diritto” che sarebbe prerogativa della famiglia. Una di quelle formule – tipo quelle di cui sopra – destinate ad avere una fortuna inversamente proporzionale alla loro sensatezza.
Chissà se tutte le famiglie, perlomeno quelle non eterodirette, che stanno mettendo in conto una trasferta a Roma sono contente di questa trovata. Forse no.
Sarebbe bello avvisarle in tempo utile per quali obiettivi sarà spesa la loro eventuale generosa presenza. Quali battaglie, vere o simulate, saranno condotte anche nel loro nome.
La ringrazio molto se vorrà darmi qualche delucidazione in merito.
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Egregio professor Gandolfini,
Mi rivolgo a Lei nella Sua qualità di coordinatore e portavoce del Comitato Difendiamo i Nostri Figli, che sta chiamando a raccolta le famiglie italiane per la manifestazione indetta il 30 gennaio prossimo contro il ddl Cirinnà.
Credo infatti che, in vista della futura mobilitazione, sia doveroso da parte Sua un chiarimento circa il messaggio che la nuova adunata vorrebbe far giungere ai responsabili della cosa pubblica, i quali stanno dimostrando con evidenza di usare in modo sconsiderato e irresponsabile il proprio potere politico, senza distinzione di appartenenza.
La conclamata contrarietà al disegno di legge attualmente all’esame del Parlamento – il NO Cirinnà assunto a slogan dell’iniziativa – è una bandiera troppo vaga, che in questo frangente rischia di risultare sommamente equivoca: è piuttosto scontato che il monstrum giuridico partorito dalla onorevole piddina con la collaborazione di varie levatrici di turno, tutte orgogliosamente omofile, susciti istintivo raccapriccio in chiunque abbia conservato qualche residuo anticorpo al veleno della follia ideologica sparso a man bassa in tutte le direzioni dalla cabina di comando della macchina tritacervelli. Nè occorre possedere particolari competenze giuridiche per cogliere le aberrazioni ivi contenute, è sufficiente un po’ di sano buon senso.
E fin qui siamo tutti d’accordo.
Al di là di questo minimissimo comun denominatore (pars destruens), voi organizzatori avete però a parer mio il dovere di spiegare dove, di fatto, intendete andare a parare (pars construens), soprattutto perché nella vostra carovana imbarcate tante brave persone desiderose di far sentire una voce dissonante da quella, prepotente e sinistra, che risuona come eco ufficiale. Persone che si fidano di chi le convoca con tanto ardore, che sono disposte a intraprendere un viaggio per la causa e perciò anche meritevoli di essere adeguatamente informate sugli obiettivi dell’iniziativa a cui contribuiscono a dare corpo.
A prova del fatto che la mia domanda non è pretestuosa nè peregrina, non posso non ricordare l’imbarazzante circostanza verificatasi in occasione della scorsa adunata, quella del 20 giugno, cui seguì di lì a pochissimi giorni la rivoltante esibizione parlamentare dei politici presenti in piazza, pronti ad elargire il proprio voto di fiducia al governo Renzi su quella famigerata legge c.d. della buona scuola, che ha fornito avallo normativo a tutte le manipolazioni di stampo genderista dei programmi scolastici. (Al proposito, e per inciso, mi ha colpita sentirla parlare di gender nelle scuole come di una evenienza futuribile e tutt’ora scongiurabile in via diplomatica, anziché di una tragica realtà in atto in ogni angolo del paese).
In effetti, quella volta, si è notato un certo imbarazzo nel definire i termini della manifestazione, che alla fine si decise non dovesse essere contro nulla e nessuno, ma semplicemente celebrare la bellezza della famiglia naturale. Si è visto poi in che modo bizzarro il messaggio è stato recepito da chi di dovere.
Oggi, dopo sette mesi interlocutori intessuti di fumosi discorsi incrociati su famiglie, coppie, convivenze e matrimoni, voi sollecitate una nuova imponente calata su Roma. E vi premurate di sottolineare come il manifestare contro questo testo sciagurato non significhi voler discriminare nessuno, o non voler riconoscere i c.d. diritti degli omosessuali. Ecco, qui sta il punto.
Perché, vede, suppongo non sia più un mistero per nessuno, almeno tra gli addetti ai lavori, come tra il “matrimonio” omosessuale della Cirinnà e ogni altra forma di tutela giuridica delle convivenze more uxorio non ci sia alcuna differenza qualitativa. In altre parole, qualsiasi declinazione o veste onomastica ci si inventi – aggiungendo un pezzettino di qua o togliendone uno di là per conquistare l’immancabile punto di incontro, sempre seduti all’immancabile tavolo delle negoziazioni – nulla cambia nella sostanza, si tratta di mere gradazioni di un solo unico fenomeno, in sè nocivo per la conservazione e la vita della società: rendere tali unioni di fatto uno status riconosciuto e tutelato dall’ordinamento costituisce uno sfregio al senso stesso del diritto, la cui coessenziale funzione “ordinatrice” viene manomessa e tradita. Senza considerare – ma questa è solo una logica conseguenza del vizio originario insito nella premessa – che qualsiasi delle varianti sul tema è di fatto matematicamente destinata a uniformarsi, più prima che poi, a quella più estrema ed eversiva in virtù dell’intervento, scontatissimo, della magistratura militante. Poichè si sa già che il proteiforme principio di uguaglianza-a-prescindere imporrà, a parità di condizioni (comunanza di vita sentimentale-affettiva-sessuale), l’estensione indiscriminata del medesimo trattamento previsto per il matrimonio. Scardinare il significato e la funzione dell’istituzione famigliare, violentandola nel suo significato ontologico per giustapporre ad essa grottesche parodie, non può non provocare una micidiale reazione a catena e lo smottamento di tutti i valori di riferimento della società.
Le chiedo dunque la cortesia di chiarire a me e a tanti questo punto fondamentale. A sentire e leggere i vari interventi sul tema, si trae l’impressione che su ciò si voglia elegantemente glissare, forse per farsi capienti e accoglienti di tutto l’ampio spettro dei potenziali partecipanti – dai galantiniani ai nostalgici del magistero, dai dialoganti agli introversi – e forse, comunque, perché c’è un copione già scritto, dal finale scontato, che si è deciso di integrare con qualche peripezia utile a dare corpo alla trama e lustro quanto basta a tutte le parti in scena, in primis ai sedicenti cattolici.
Tra i parlamentari ormai non c’è più nessuno che non si sgoli a ripetere compulsivamente la formula beota – entrata nell’orecchio a tutti e mandata a memoria collettiva – che “diritti individuali si, adozioni no”, oppure quell’altro assurdo tormentone che i bambini hanno “diritto” a una mamma e un papà. Sappiamo che la finta resistenza ha trovato qui il suo mantra non solo condiviso ad intra, ma condivisibile anche ad extra dai supposti avversari, tanto è solo una questione di tempo, il risultato è assicurato e poi anche la chiesa in uscita ha detto papale-papale che ci sta. Più di così..
È qui che vogliamo arrivare?
A sentire certe Sue dichiarazioni recenti parrebbe tanto di sì, che ci si sia tutti allineati su questa direttrice suicida, pur a diverse velocità. Lei per esempio dice di essere perfettamente d’accordo sulle convivenze non matrimoniali purché non omogenee al matrimonio e si spinge sino a coniare per esse la creativa figura paragiuridica del “diritto attenuato” (Clicca quiper il video che contiene questa affermazione), rispetto alla “pienezza del diritto” che sarebbe prerogativa della famiglia. Una di quelle formule – tipo quelle di cui sopra – destinate ad avere una fortuna inversamente proporzionale alla loro sensatezza.
Chissà se tutte le famiglie, perlomeno quelle non eterodirette, che stanno mettendo in conto una trasferta a Roma sono contente di questa trovata. Forse no.
Sarebbe bello avvisarle in tempo utile per quali obiettivi sarà spesa la loro eventuale generosa presenza. Quali battaglie, vere o simulate, saranno condotte anche nel loro nome.
La ringrazio molto se vorrà darmi qualche delucidazione in merito.
Ddl Cirinnà. L’ultimo colpo per realizzare la distruzione totale
Non è esagerato affermare che se il Ddl Cirinnà diventerà legge dello Stato, non solo sarà completata l’opera di distruzione della famiglia, ma sarà ferita nel profondo la stessa natura dell’uomo. Consegnati alla violenza e alla prevaricazione i rapporti di genitorialità e di figliolanza – ché tali sono l’immissione di un figlio in una sedicente famiglia di omosessuali e la produzione del figlio con sfruttamento di utero altrui – ridotto a grottesca caricatura il rapporto di coppia, l’uomo viene definitivamente sottratto alla stabilità delle relazioni e alla certezza delle appartenenze per cadere non solo nella melma queer dove tutto è mutevole e provvisorio, ma in una realtà fatta di menzogna.
di Marisa Orecchia
.
E’ questo il destino che i poteri forti che governano il mondo hanno preparato per l’uomo: diventi un individuo decontestualizzato, senza relazioni significative, senza una famiglia che possa dirsi tale e che ne sia sostegno e rifugio, e sarà facilmente governabile e manipolabile. Un mondo fatto di individui che si illudono di essere liberi, di scegliere, di fare e disfare a piacimento, ma nella realtà eterodiretti, governati fin nelle scelte più irrilevanti, allenati e irreggimentati a seguire la voce del padrone che dal sistema massmediatico incalza e blandisce. Incoraggiati, come iprolet di orwelliana memoria, a spegnere cervello e volontà nel massiccio uso della pornografia o a cantare come il popolo di Huxley la canzoncina Orgy Porgy nell’ora di orgia in una sessualità promiscua che uccide la relazione. Sesso e pornografia come circenses offerto al popolo, soprattutto a giovani e ragazzi per ottunderne le coscienze e inaridire quello slancio che nella cultura occidentale ha favorito ogni conquista dello spirito.
Non sembri esagerato quanto detto fin qui. Il Ddl Cirinnà, se diverrà legge, cancellerà per il presente e per il futuro la concezione della famiglia e la stessa natura dell’uomo, così come sono state percepite, considerate, vissute fin dagli albori della civiltà.
Non è necessario rifarsi alle parole di Genesi o a quelle di Gesù per comprendere il senso della famiglia e della procreazione dei figli. Certamente esse illuminano con la luce della trascendenza queste realtà umane , le caricano di senso che rimanda con tremore al Mistero trinitario, le fissano nell’Eternità.
Ma l’uomo, già al muovere dei suoi primi passi sulla terra, ben prima di ogni Rivelazione, aveva ben compreso la natura dell’uomo, il suo essere maschio e femmina, il suo desiderio di famiglia e di procreazione, in adesione ad una legge che gli parlava nel cuore. A questo lo spingeva la sua natura e lui l‘ha seguita anche se non ne conosceva l’Autore .
I millenni, da quelli più lontani fino a quelli della civiltà greco-latina, ci rimandano gli echi di una cultura che è nata e fiorita in questa consapevolezza. Ogni attività umana, l’arte in ogni sua manifestazione, la letteratura, lo ius, il mos ci parlano dell’amore e dell’attrazione dell’uomo per la donna e viceversa, della famiglia, dei figli che da questo amore sono chiamati alla vita.
Oggi invece tutto deve essere stravolto, snaturato in nome di una nuova cultura che cancelli la natura dell’uomo.
La legge Cirinnà sarà l’ultima tappa di un percorso che dura da anni, in cui molti hanno lavorato alacremente per distruggere, mentre chi doveva opporsi non lo ha fatto o lo ha fatto in modo poco efficace e convinto. Per timore, per opportunismo, per comodità, per convinzioni sue personali, per seguire i tempi nuovi e le correnti del mondo.
E’ sempre difficile, se non impossibile per la storia, definire con una data l’inizio di una concatenazione di eventi, ma è forse possibile fissare l’inizio di quello che per la famiglia è stato un iter catastrofico nella data del 24 aprile 1947 quando, con votazione a scrutinio segreto, venne, in sede costituente, cassato con una maggioranza di soli tre voti, l’aggettivoindissolubile riferito al matrimonio, in quello che sarà l’articolo 29 della Costituzione Italiana. Determinante, oltre alla votazione segreta, fu l’assenza di 36 deputati democristiani.
Poi fu solo questione di tempo. Al referendum abrogativo della legge 898 che nel 1970 aveva introdotto il divorzio nel nostro Paese, i cattolici persero perché non si erano presentati compatti. Era stata da molti di essi ripetutamente e autorevolmente evocata a favore della legge quella duritia cordis per la quale Mosè aveva consentito il ripudio della moglie e inoltre molti furono quelli che caddero nella trappola che avrebbe funzionato egregiamente anche per la successiva tappa disgregatrice , l’aborto: Io non divorzierò/abortirò mai perché sono cattolico, ma non posso impedire a un non credente di farlo. Come se l’indissolubilità del matrimonio e la salvaguardia della vita innocente fossero valori solo per i cattolici e non principi cardine della società, perduti i quali la società stessa si disgrega.
La legge 194 sull’aborto volontario porta la firma di esponenti politici della democrazia cristiana e l’allora capo del governo, sempre dello stesso partito, minacciò il ricorso all’Avvocatura di Stato per difenderla contro avanzate eccezioni in incostituzionalità. Oggi molti cattolici, o sedicenti tali, di questa legge assassina si sono fatti paladini e asseriscono convinti che è buona legge perché tutela le donne e, nelle “parti buone”, consente di salvare qualche bambino. Di fatto è una legge che consente di fare del bimbo concepito ciò che si vuole, ciò che aggrada alla donna e che ha fatto finora 6 milioni di vittime.
Figlia della legge 194 è la legge sulla fecondazione in vitro. Ugualmente abortiva, stimola e nutre la hybris prometeica dell’uomo che, al chiuso dei laboratori, si crede Dio e produce la vita. Quanti hanno per il passato sostenuto che la legge avrebbe permesso solo la forma omologa, accettabile perché usa solo gameti appartenenti alla coppia, sono stati messi a tacere dalla Consulta e da sentenze “creative”, che in poco più di dieci anni hanno legalizzato ogni aberrazione.
E adesso arriva la Cirinnà. Chi potrà fermare questa deriva ? C’è forse un Katechon che può trattenere questa dissoluzione che avanza? Per il passato, in tempi difficili e perigliosi , il credente guardava alla Chiesa che nel turbine della tempesta , da qualunque parte arrivasse, sapeva dire parole di guida.
In tempi di vita contadina, nella più completa mancanza di mezzi di comunicazione e di notizie se non quelle portate dal viaggiatore che per ventura si trovava di lì a passare , il prete era quello cui fare riferimento. Conosceva la dottrina, suggeriva la morale, faceva chiarezza.
Oggi nelle nostre chiese, salvo poche eccezioni, è diffusa una strana afasia. Quelle prediche, quelle omelie settimanali tanto temute da Antonio Gramsci e ripetutamente identificate , nei suoi Quaderni dal Carcere, come momenti attraverso cui la Chiesa attua operazioni di controllo culturale ed influenza il pensiero, non esistono più. Cancellate dall’insipienza del politicamente corretto.
Può caderci addosso qualunque sfascio culturale, morale, etico , bioetico. In chiesa si parla d’altro.
di Marisa Orecchia
.
E’ questo il destino che i poteri forti che governano il mondo hanno preparato per l’uomo: diventi un individuo decontestualizzato, senza relazioni significative, senza una famiglia che possa dirsi tale e che ne sia sostegno e rifugio, e sarà facilmente governabile e manipolabile. Un mondo fatto di individui che si illudono di essere liberi, di scegliere, di fare e disfare a piacimento, ma nella realtà eterodiretti, governati fin nelle scelte più irrilevanti, allenati e irreggimentati a seguire la voce del padrone che dal sistema massmediatico incalza e blandisce. Incoraggiati, come iprolet di orwelliana memoria, a spegnere cervello e volontà nel massiccio uso della pornografia o a cantare come il popolo di Huxley la canzoncina Orgy Porgy nell’ora di orgia in una sessualità promiscua che uccide la relazione. Sesso e pornografia come circenses offerto al popolo, soprattutto a giovani e ragazzi per ottunderne le coscienze e inaridire quello slancio che nella cultura occidentale ha favorito ogni conquista dello spirito.
Non sembri esagerato quanto detto fin qui. Il Ddl Cirinnà, se diverrà legge, cancellerà per il presente e per il futuro la concezione della famiglia e la stessa natura dell’uomo, così come sono state percepite, considerate, vissute fin dagli albori della civiltà.
Non è necessario rifarsi alle parole di Genesi o a quelle di Gesù per comprendere il senso della famiglia e della procreazione dei figli. Certamente esse illuminano con la luce della trascendenza queste realtà umane , le caricano di senso che rimanda con tremore al Mistero trinitario, le fissano nell’Eternità.
Ma l’uomo, già al muovere dei suoi primi passi sulla terra, ben prima di ogni Rivelazione, aveva ben compreso la natura dell’uomo, il suo essere maschio e femmina, il suo desiderio di famiglia e di procreazione, in adesione ad una legge che gli parlava nel cuore. A questo lo spingeva la sua natura e lui l‘ha seguita anche se non ne conosceva l’Autore .
I millenni, da quelli più lontani fino a quelli della civiltà greco-latina, ci rimandano gli echi di una cultura che è nata e fiorita in questa consapevolezza. Ogni attività umana, l’arte in ogni sua manifestazione, la letteratura, lo ius, il mos ci parlano dell’amore e dell’attrazione dell’uomo per la donna e viceversa, della famiglia, dei figli che da questo amore sono chiamati alla vita.
Oggi invece tutto deve essere stravolto, snaturato in nome di una nuova cultura che cancelli la natura dell’uomo.
La legge Cirinnà sarà l’ultima tappa di un percorso che dura da anni, in cui molti hanno lavorato alacremente per distruggere, mentre chi doveva opporsi non lo ha fatto o lo ha fatto in modo poco efficace e convinto. Per timore, per opportunismo, per comodità, per convinzioni sue personali, per seguire i tempi nuovi e le correnti del mondo.
E’ sempre difficile, se non impossibile per la storia, definire con una data l’inizio di una concatenazione di eventi, ma è forse possibile fissare l’inizio di quello che per la famiglia è stato un iter catastrofico nella data del 24 aprile 1947 quando, con votazione a scrutinio segreto, venne, in sede costituente, cassato con una maggioranza di soli tre voti, l’aggettivoindissolubile riferito al matrimonio, in quello che sarà l’articolo 29 della Costituzione Italiana. Determinante, oltre alla votazione segreta, fu l’assenza di 36 deputati democristiani.
Poi fu solo questione di tempo. Al referendum abrogativo della legge 898 che nel 1970 aveva introdotto il divorzio nel nostro Paese, i cattolici persero perché non si erano presentati compatti. Era stata da molti di essi ripetutamente e autorevolmente evocata a favore della legge quella duritia cordis per la quale Mosè aveva consentito il ripudio della moglie e inoltre molti furono quelli che caddero nella trappola che avrebbe funzionato egregiamente anche per la successiva tappa disgregatrice , l’aborto: Io non divorzierò/abortirò mai perché sono cattolico, ma non posso impedire a un non credente di farlo. Come se l’indissolubilità del matrimonio e la salvaguardia della vita innocente fossero valori solo per i cattolici e non principi cardine della società, perduti i quali la società stessa si disgrega.
La legge 194 sull’aborto volontario porta la firma di esponenti politici della democrazia cristiana e l’allora capo del governo, sempre dello stesso partito, minacciò il ricorso all’Avvocatura di Stato per difenderla contro avanzate eccezioni in incostituzionalità. Oggi molti cattolici, o sedicenti tali, di questa legge assassina si sono fatti paladini e asseriscono convinti che è buona legge perché tutela le donne e, nelle “parti buone”, consente di salvare qualche bambino. Di fatto è una legge che consente di fare del bimbo concepito ciò che si vuole, ciò che aggrada alla donna e che ha fatto finora 6 milioni di vittime.
Figlia della legge 194 è la legge sulla fecondazione in vitro. Ugualmente abortiva, stimola e nutre la hybris prometeica dell’uomo che, al chiuso dei laboratori, si crede Dio e produce la vita. Quanti hanno per il passato sostenuto che la legge avrebbe permesso solo la forma omologa, accettabile perché usa solo gameti appartenenti alla coppia, sono stati messi a tacere dalla Consulta e da sentenze “creative”, che in poco più di dieci anni hanno legalizzato ogni aberrazione.
E adesso arriva la Cirinnà. Chi potrà fermare questa deriva ? C’è forse un Katechon che può trattenere questa dissoluzione che avanza? Per il passato, in tempi difficili e perigliosi , il credente guardava alla Chiesa che nel turbine della tempesta , da qualunque parte arrivasse, sapeva dire parole di guida.
In tempi di vita contadina, nella più completa mancanza di mezzi di comunicazione e di notizie se non quelle portate dal viaggiatore che per ventura si trovava di lì a passare , il prete era quello cui fare riferimento. Conosceva la dottrina, suggeriva la morale, faceva chiarezza.
Oggi nelle nostre chiese, salvo poche eccezioni, è diffusa una strana afasia. Quelle prediche, quelle omelie settimanali tanto temute da Antonio Gramsci e ripetutamente identificate , nei suoi Quaderni dal Carcere, come momenti attraverso cui la Chiesa attua operazioni di controllo culturale ed influenza il pensiero, non esistono più. Cancellate dall’insipienza del politicamente corretto.
Può caderci addosso qualunque sfascio culturale, morale, etico , bioetico. In chiesa si parla d’altro.
.
E’ questo il destino che i poteri forti che governano il mondo hanno preparato per l’uomo: diventi un individuo decontestualizzato, senza relazioni significative, senza una famiglia che possa dirsi tale e che ne sia sostegno e rifugio, e sarà facilmente governabile e manipolabile. Un mondo fatto di individui che si illudono di essere liberi, di scegliere, di fare e disfare a piacimento, ma nella realtà eterodiretti, governati fin nelle scelte più irrilevanti, allenati e irreggimentati a seguire la voce del padrone che dal sistema massmediatico incalza e blandisce. Incoraggiati, come iprolet di orwelliana memoria, a spegnere cervello e volontà nel massiccio uso della pornografia o a cantare come il popolo di Huxley la canzoncina Orgy Porgy nell’ora di orgia in una sessualità promiscua che uccide la relazione. Sesso e pornografia come circenses offerto al popolo, soprattutto a giovani e ragazzi per ottunderne le coscienze e inaridire quello slancio che nella cultura occidentale ha favorito ogni conquista dello spirito.
Non sembri esagerato quanto detto fin qui. Il Ddl Cirinnà, se diverrà legge, cancellerà per il presente e per il futuro la concezione della famiglia e la stessa natura dell’uomo, così come sono state percepite, considerate, vissute fin dagli albori della civiltà.
Non è necessario rifarsi alle parole di Genesi o a quelle di Gesù per comprendere il senso della famiglia e della procreazione dei figli. Certamente esse illuminano con la luce della trascendenza queste realtà umane , le caricano di senso che rimanda con tremore al Mistero trinitario, le fissano nell’Eternità.
Ma l’uomo, già al muovere dei suoi primi passi sulla terra, ben prima di ogni Rivelazione, aveva ben compreso la natura dell’uomo, il suo essere maschio e femmina, il suo desiderio di famiglia e di procreazione, in adesione ad una legge che gli parlava nel cuore. A questo lo spingeva la sua natura e lui l‘ha seguita anche se non ne conosceva l’Autore .
I millenni, da quelli più lontani fino a quelli della civiltà greco-latina, ci rimandano gli echi di una cultura che è nata e fiorita in questa consapevolezza. Ogni attività umana, l’arte in ogni sua manifestazione, la letteratura, lo ius, il mos ci parlano dell’amore e dell’attrazione dell’uomo per la donna e viceversa, della famiglia, dei figli che da questo amore sono chiamati alla vita.
Oggi invece tutto deve essere stravolto, snaturato in nome di una nuova cultura che cancelli la natura dell’uomo.
La legge Cirinnà sarà l’ultima tappa di un percorso che dura da anni, in cui molti hanno lavorato alacremente per distruggere, mentre chi doveva opporsi non lo ha fatto o lo ha fatto in modo poco efficace e convinto. Per timore, per opportunismo, per comodità, per convinzioni sue personali, per seguire i tempi nuovi e le correnti del mondo.
E’ sempre difficile, se non impossibile per la storia, definire con una data l’inizio di una concatenazione di eventi, ma è forse possibile fissare l’inizio di quello che per la famiglia è stato un iter catastrofico nella data del 24 aprile 1947 quando, con votazione a scrutinio segreto, venne, in sede costituente, cassato con una maggioranza di soli tre voti, l’aggettivoindissolubile riferito al matrimonio, in quello che sarà l’articolo 29 della Costituzione Italiana. Determinante, oltre alla votazione segreta, fu l’assenza di 36 deputati democristiani.
Poi fu solo questione di tempo. Al referendum abrogativo della legge 898 che nel 1970 aveva introdotto il divorzio nel nostro Paese, i cattolici persero perché non si erano presentati compatti. Era stata da molti di essi ripetutamente e autorevolmente evocata a favore della legge quella duritia cordis per la quale Mosè aveva consentito il ripudio della moglie e inoltre molti furono quelli che caddero nella trappola che avrebbe funzionato egregiamente anche per la successiva tappa disgregatrice , l’aborto: Io non divorzierò/abortirò mai perché sono cattolico, ma non posso impedire a un non credente di farlo. Come se l’indissolubilità del matrimonio e la salvaguardia della vita innocente fossero valori solo per i cattolici e non principi cardine della società, perduti i quali la società stessa si disgrega.
La legge 194 sull’aborto volontario porta la firma di esponenti politici della democrazia cristiana e l’allora capo del governo, sempre dello stesso partito, minacciò il ricorso all’Avvocatura di Stato per difenderla contro avanzate eccezioni in incostituzionalità. Oggi molti cattolici, o sedicenti tali, di questa legge assassina si sono fatti paladini e asseriscono convinti che è buona legge perché tutela le donne e, nelle “parti buone”, consente di salvare qualche bambino. Di fatto è una legge che consente di fare del bimbo concepito ciò che si vuole, ciò che aggrada alla donna e che ha fatto finora 6 milioni di vittime.
Figlia della legge 194 è la legge sulla fecondazione in vitro. Ugualmente abortiva, stimola e nutre la hybris prometeica dell’uomo che, al chiuso dei laboratori, si crede Dio e produce la vita. Quanti hanno per il passato sostenuto che la legge avrebbe permesso solo la forma omologa, accettabile perché usa solo gameti appartenenti alla coppia, sono stati messi a tacere dalla Consulta e da sentenze “creative”, che in poco più di dieci anni hanno legalizzato ogni aberrazione.
E adesso arriva la Cirinnà. Chi potrà fermare questa deriva ? C’è forse un Katechon che può trattenere questa dissoluzione che avanza? Per il passato, in tempi difficili e perigliosi , il credente guardava alla Chiesa che nel turbine della tempesta , da qualunque parte arrivasse, sapeva dire parole di guida.
In tempi di vita contadina, nella più completa mancanza di mezzi di comunicazione e di notizie se non quelle portate dal viaggiatore che per ventura si trovava di lì a passare , il prete era quello cui fare riferimento. Conosceva la dottrina, suggeriva la morale, faceva chiarezza.
Oggi nelle nostre chiese, salvo poche eccezioni, è diffusa una strana afasia. Quelle prediche, quelle omelie settimanali tanto temute da Antonio Gramsci e ripetutamente identificate , nei suoi Quaderni dal Carcere, come momenti attraverso cui la Chiesa attua operazioni di controllo culturale ed influenza il pensiero, non esistono più. Cancellate dall’insipienza del politicamente corretto.
Può caderci addosso qualunque sfascio culturale, morale, etico , bioetico. In chiesa si parla d’altro.
Ddl Cirinnà. La tragica commedia degli equivoci
Il riconoscimento giuridico della convivenza more uxorio è lo straordinario traguardo di potere fissato dai movimenti omosessualisti, per tenere definitivamente in pugno una società incapace di individuare anche le condizioni indispensabili per la propria sopravvivenza… per dare forza suggestiva ad una pretesa senza fondamento giuridico, si è cambiato anche il concetto di diritto, che da pretesa tutelata dalla legge perché oggettivamente meritevole, cioè rilevante per l’interesse generale, è diventato pretesa che riflette ogni esigenza di benessere individuale, qualunque sia il suo contenuto
di Patrizia Fermani
.
L’inizio della discussione parlamentare sul ddl Cirinnà è il punto di arrivo della tragica campagna di guerra guidata dalla cecità morale, culturale e intellettuale di una intera classe politica che, senza scrupoli e senza lume di ragione, sta portando la nostra società verso le sabbie mobili dove altri sono stati inghiottiti già da tempo. Il riconoscimento giuridico della convivenza more uxorio è lo straordinario traguardo di potere fissato dai movimenti omosessualisti, per tenere definitivamente in pugno una società incapace di individuare anche le condizioni indispensabili per la propria sopravvivenza. Infatti quando un nemico ben equipaggiato e mediaticamente assistito si è fatto sotto sotto le mura, per vero già indebolite della cittadella, ma avrebbe potuto essere debellato ai primi colpi di mano, la confusione delle idee, il fumo delle parole e la paura di pensare contro la marea delle opinioni telecomandate, hanno quasi annullato sul nascere ogni resistenza. E ora, giunti ad un punto ormai cruciale di questa storia desolante, l’unica possibilità di difesa ancora rimasta sta tutta nel capire quali siano le armi usate da questo nemico e quali gli errori degli assediati sui quali esso continua a prosperare. Occorre dunque riordinare i tasselli che vanno a comporre l’intero quadro di insieme.
Anzitutto bisogna rendersi conto, senza margine di dubbio, che un qualunque riconoscimento giuridico, in qualunque misura esso avvenga, della convivenze more uxorio tra persone dello stesso sesso o di sesso diverso (ma queste ultime sono state solo utilizzate come apripista per rendere all’inizio meno ostiche le prime), è il passo decisivo e definitivo per la resa senza condizioni a quel nemico e alle mostruosità che esso già va apparecchiando fra una indifferenza abbastanza diffusa. Il resto viene di conseguenza.
Dovrebbe essere chiaro a tutti che una pretesa di legalizzazione, volta cioè ad ottenere una qualche tutela giuridica, per essere plausibile debba fare riferimento ad una realtà meritevole di quella tutela, cioè portatrice di un valore di interesse generale e a nessuno verrebbe in mente di invocare uno speciale statuto per un rapporto perché segnato da forte attrazione sessuale e sentimentale come quello adulterino o per quello semplicemente affettivo o intellettuale che lega due amici, due persone accomunate da interessi politici o culturali, e via dicendo. E dovrebbe essere altrettanto evidente, che, semmai, la consacrazione giuridica delle relazioni omosessuali porterebbe conseguenze pesantissime di ordine etico e sociale.
Ecco allora che la accorta strategia dei movimenti omosessualisti ha puntato ad alimentare l’equivoco di una presunta analogia con il rapporto matrimoniale, reclamando alla convivenza more uxorio tra persone dello stesso sesso la medesima protezione, sul presupposto che vi ricorrano le stesse condizioni di fatto: rapporto sessuale, rapporto affettivo e coabitazione. Il tutto in omaggio al principio di uguaglianza. Ma il ragionamento non reggeva perché la tutela prevista dall’articolo 29 della Costituzione copre soltanto il matrimonio quale è ancora previsto dalle leggi dello Stato e non ammette (ancora) forzature.
Per superare la difficoltà di adattare la lettera dell’articolo 29 si è cercato allora di cambiare il significato del matrimonio. Si è cominciato cioè a far passare l’idea che l’elemento caratterizzante del rapporto matrimoniale sia anzitutto il dato affettivo, e siccome anche la convivenza more uxorio viene caratterizzata dall’unione erotico sessuale e dal dato affettivo, l’analogia col rapporto matrimoniale poteva essere giocata sul piano dei sentimenti. Si poteva far scivolare l’attenzione dal piano del diritto e dell’etica a quello magmatico della suggestione emotiva. E questo è servito per influenzare l’opinione corrente, sempre sensibile alle questioni del cuore, e rendere di nuovo plausibile una qualunque richiesta di tutela paramatrimoniale. Per alimentare l’equivoco è stata creata la “coppia omosessuale”, munita di una sua carica di rispettabilità per la assonanza con la coppia formata dai coniugi. Sennonché quest’ultima include in sé proprio il rapporto di coniugio cioè il rapporto istituzionale di riferimento. La coppia di coniugi indica il legame istituzionale che vi è sotteso, con la relativa distinzione di ruoli che si riflette nella terminologia: essa comprende un marito ed una moglie, così come la coppia reale comprende un re e una regina. Rapporto indissolubile e di complementarietà. La coppia omosessuale è un falso terminologico che non aggiunge nulla alla sostanza delle cose, perché rappresenta semplicemente due persone dello stesso sesso che intrattengono più o meno stabilmente un rapporto erotico e/o affettivo, è cioè una espressione numerica come una coppia di sedie, una coppia di comò o una coppia di gatti. Ma l’espediente ha fatto un buon lavoro alimentando una inesistente e impossibile analogia con il rapporto matrimoniale
Ora dovrebbe risultare evidente che la legge non tutela nel matrimonio il rapporto sessuale e affettivo tra due persone conviventi (addirittura non si preoccupa neppure del fatto che in concreto il matrimonio sia realmente consumato e nelle intenzioni di chi si scambia la promessa matrimoniale ci sia il fine procreativo come fa – o ha fatto finora – il diritto canonico), ma tutela lo strumento capace di fondare potenzialmente la famiglia quale nucleo fondamentale della società votato alla formazione della generazioni.
Il legislatore civile tutela la funzione sociale dell’istituto matrimoniale e proprio perché si tratta di un legislatore laico sanamente distante dalle indagini sulla coscienza individuale, si attiene solo alla volontà pubblicamente espressa dai nubendi di accedere all’istituto matrimoniale. L’ufficiale di stato civile non chiede ad essi se si amano, quanto si amano o se intendano mettere al mondo dei figli, ma solo se sono consapevoli di ciò che l’istituto matrimoniale comporta, e se intendono tenere fede ai doveri assunti e all’impegno di crescere ed educare l’eventuale prole. Come al momento di firmare l’atto di acquisto di una casa, non siamo tenuti a dichiarare al notaio se la compriamo a fini speculativi, per abitarci solo temporaneamente o se è la casa dei nostri sogni. Ma semplicemente esprimiamo la volontà di utilizzare quell’importante strumento giuridico che l’ordinamento ci mette a disposizione per agevolare i commerci.
Ma questo equivoco della presunta assimilabilità della convivenza matrimoniale a quella “more uxorio” etero od omosessuale, in via affettivo emozionale, non ha risparmiato la stragrande maggioranza delle persone, comprese quelle che per mestiere dovrebbero sapere che cos’è il diritto. E per dare forza suggestiva ad una pretesa senza fondamento giuridico, si è cambiato anche il concetto di diritto che da pretesa tutelata dalla legge perché oggettivamente meritevole, cioè rilevante per l’interesse generale, è diventato pretesa che riflette ogni esigenza di benessere individuale, qualunque sia il suo contenuto. Così si è arrivati a formulare il concetto del “diritto alla felicità”, che ai giuristi del passato sarebbe apparso come una trovata goliardica buona per il testo di un papiro di laurea. E naturalmente hanno dilagato i “diritti degli omosessuali”, quelli che dovrebbero essere fondati appunto sui gusti sessuali individuali.
Eppure da signore e signori devoti teorici o pratici degli amori omoerotici, dalle Bindi alle Concia, dalle Marzano allo Scalfarotto, fino ora all’ormai mitica Cirinnà, il concetto di diritto alla felicità è stato elargito anche in sussiegose aule universitarie, ormai adibite a cassa di risonanza di qualunque idiozia ideologicamente assistita e propagata.
Ma il marchingegno ideologico politico al cui servizio sono assoldati tutti i mezzi di comunicazione, una volta messo in moto ha funzionato a dovere, macinando il buon senso e appiattendo i cervelli su una falsa rappresentazione che ormai è diventata opinione ruminata senza ripensamenti. Il rapporto affettivo che lega due omosessuali di qualunque genere, poiché è produttore di felicità, sublima il rapporto non solo nella fantasia un po’ ingolfata di Veronesi, ma è sentito ormai unanimemente come degno di essere tutelato dalla legge, che sola dovrebbe garantire questo stato di grazia, con l’aiuto generoso del munifico contribuente.
Per smontare questo meccanismo perverso, e dalle conseguenze incontrollabili, bisogna tornare all’equivoco di fondo, nel frattempo completamente oscurato dalla contraffazione di una realtà delle cose che la retta ragione dovrebbe leggere senza paraocchi. Si tratta di recuperare il senso della verità oggettiva sulla quale deve essere finalmente riportato il ragionamento.
.
- Il rapporto omosessuale è contrario al modello predisposto da madre natura e ne rappresenta una devianza. Questa devianza può essere inserita nelle categoria della anomalia fisica, di quella psichica, di quella morale, ma rimane sempre come un comportamento umano in cui una funzione fisiologica come quella sessuale non viene impiegata secondo le sue proprie finalità. Se il mangiare e il bere sono funzioni preordinate al sostentamento dell’essere umano, il ruminare i cibi o l’alcolismo esulano da quella funzione e diventano, qualunque ne sia la causa, comportamenti aberranti che di certo non possono diventare normali solo perché dettati ad esempio, da una particolare situazione emotiva.
- Da un punto di vista etico religioso il “rapporto omosessuale” è in contrasto con la legge di natura iscritta nel disegno della creazione, e contraddice dunque la legge divina. Che si consideri quel fenomeno oggettivamente in contrasto con la legge di natura biologicamente intesa, o che si intenda per legge naturale il canone etico che precede ogni legge umana perché dettata dalla volontà di Dio, e che sta scritto nel disegno della creazione, per necessità logica e morale la pratica omosessuale rimane esclusa dallo spazio della normalità sessuale o della liceità morale.
- Come l’anomalia dello alcolismo non viene cancellata dalla debolezza emotiva che l’ha eventualmente generata, così i cosiddetti motivi sentimentali, cioè la componente affettiva che eventualmente si accompagna al rapporto erotico contro natura, non è certo in grado di normalizzarlo. In ogni caso non è in grado di giustificare alcuna assimilazione tra il rapporto omosessuale anche “stabile”, con la relazione matrimoniale o a quella paramatrimoniale alla quale l’astuzia senatoriale ha dato ora il nome di “unione civile”.
- In conclusione il fatto che due omosessuali abbiano un qualunque tipo di rapporto, stabile o transeunte, affettivo o solo sessualmente coinvolgente, può essere anche di cruciale importanza per loro, per gli amici dell’arci gay, o per il partito politico che ha fatto una bandiera della difesa di quegli interessi, ma è del tutto indifferente e deve rimanere del tutto indifferente per il diritto, che non si interessa né si può interessare di quanto non abbia anche un rilievo di interesse generale.
- Soprattutto non è indifferente per chi avendo la responsabilità di crescere i propri figli ha il diritto e il dovere di impedire che ad essi siano impunemente proposti modelli di comportamento e di vita intrinsecamente distruttivi e sterili, tra l’altro in una prepotente ed ineludibile forma totalitaria. Infatti quello che viene tragicamente trascurata è la influenza negativa che il dilagare della propaganda omosessualista genera nella formazione morale e intellettuale della giovani generazioni, alle quali è già stato inferto un danno incalcolabile tra l’ indifferenza generale, l’afasia o il balbettio grottesco e ormai indecente della Chiesa.
- Ecco dunque che quanti oggi, alimentando la più pericolosa delle confusioni, e credendo addirittura di combattere la buona battaglia a favore della famiglia, contro la manipolazione della educazione o contro le oscene pratiche di produzione degli esseri umani ad uso e consumo di omosessuali che dimostrano involontariamente di essere preda di pulsioni deviate, dicono di essere contrari al matrimonio omosessuale ma non alle “unioni civili” e forniscono così alla Cirinnà e alla sua compagnia di giro un assist formidabile, quello sul quale queste hanno proprio confidato. Si può far passare la tutela delle “unioni civili” dando ad intendere che sia cosa innocua, magari perché momentaneamente non accompagnate dalla possibilità di creare “figli”. A questo risultato provvederà comunque in seguito la Corte Costituzionale, che da guardiano della Costituzione di è fatto guardiano di ciò che le aberranti istituzioni europee e l’aberrante politica dominante impongono. Ma esso è soltanto il tragico risultato pratico. Prima di questo e alla base di questo c’è l’aberrazione di elevare a realtà degna di attenzione sociale e di tutela giuridica un fenomeno la cui sola pubblicizzazione e diffusione mina i fondamenti della società in cui abbiamo la responsabilità di crescere le nuove generazioni, difendendole dall’inganno e dalla
- Le unioni civili sono una mostruosità, non perché conducono o possono condurre a conseguenze aberranti, ma conducono a queste conseguenze aberranti perché sono aberranti in se stesse.
- Senza questa chiara e forte consapevolezza ogni iniziativa che aspira a combattere quella che viene ora ritenuta finalmente da molti una battaglia irrinunciabile, può finire fatalmente per aprire solo l’ultima porta ad un nemico mosso unicamente dalla propria ottusa follia.
La (severa) mossa a sopresa di Francesco
di Patrizia Fermani
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L’inizio della discussione parlamentare sul ddl Cirinnà è il punto di arrivo della tragica campagna di guerra guidata dalla cecità morale, culturale e intellettuale di una intera classe politica che, senza scrupoli e senza lume di ragione, sta portando la nostra società verso le sabbie mobili dove altri sono stati inghiottiti già da tempo. Il riconoscimento giuridico della convivenza more uxorio è lo straordinario traguardo di potere fissato dai movimenti omosessualisti, per tenere definitivamente in pugno una società incapace di individuare anche le condizioni indispensabili per la propria sopravvivenza. Infatti quando un nemico ben equipaggiato e mediaticamente assistito si è fatto sotto sotto le mura, per vero già indebolite della cittadella, ma avrebbe potuto essere debellato ai primi colpi di mano, la confusione delle idee, il fumo delle parole e la paura di pensare contro la marea delle opinioni telecomandate, hanno quasi annullato sul nascere ogni resistenza. E ora, giunti ad un punto ormai cruciale di questa storia desolante, l’unica possibilità di difesa ancora rimasta sta tutta nel capire quali siano le armi usate da questo nemico e quali gli errori degli assediati sui quali esso continua a prosperare. Occorre dunque riordinare i tasselli che vanno a comporre l’intero quadro di insieme.
Anzitutto bisogna rendersi conto, senza margine di dubbio, che un qualunque riconoscimento giuridico, in qualunque misura esso avvenga, della convivenze more uxorio tra persone dello stesso sesso o di sesso diverso (ma queste ultime sono state solo utilizzate come apripista per rendere all’inizio meno ostiche le prime), è il passo decisivo e definitivo per la resa senza condizioni a quel nemico e alle mostruosità che esso già va apparecchiando fra una indifferenza abbastanza diffusa. Il resto viene di conseguenza.
Dovrebbe essere chiaro a tutti che una pretesa di legalizzazione, volta cioè ad ottenere una qualche tutela giuridica, per essere plausibile debba fare riferimento ad una realtà meritevole di quella tutela, cioè portatrice di un valore di interesse generale e a nessuno verrebbe in mente di invocare uno speciale statuto per un rapporto perché segnato da forte attrazione sessuale e sentimentale come quello adulterino o per quello semplicemente affettivo o intellettuale che lega due amici, due persone accomunate da interessi politici o culturali, e via dicendo. E dovrebbe essere altrettanto evidente, che, semmai, la consacrazione giuridica delle relazioni omosessuali porterebbe conseguenze pesantissime di ordine etico e sociale.
Ecco allora che la accorta strategia dei movimenti omosessualisti ha puntato ad alimentare l’equivoco di una presunta analogia con il rapporto matrimoniale, reclamando alla convivenza more uxorio tra persone dello stesso sesso la medesima protezione, sul presupposto che vi ricorrano le stesse condizioni di fatto: rapporto sessuale, rapporto affettivo e coabitazione. Il tutto in omaggio al principio di uguaglianza. Ma il ragionamento non reggeva perché la tutela prevista dall’articolo 29 della Costituzione copre soltanto il matrimonio quale è ancora previsto dalle leggi dello Stato e non ammette (ancora) forzature.
Per superare la difficoltà di adattare la lettera dell’articolo 29 si è cercato allora di cambiare il significato del matrimonio. Si è cominciato cioè a far passare l’idea che l’elemento caratterizzante del rapporto matrimoniale sia anzitutto il dato affettivo, e siccome anche la convivenza more uxorio viene caratterizzata dall’unione erotico sessuale e dal dato affettivo, l’analogia col rapporto matrimoniale poteva essere giocata sul piano dei sentimenti. Si poteva far scivolare l’attenzione dal piano del diritto e dell’etica a quello magmatico della suggestione emotiva. E questo è servito per influenzare l’opinione corrente, sempre sensibile alle questioni del cuore, e rendere di nuovo plausibile una qualunque richiesta di tutela paramatrimoniale. Per alimentare l’equivoco è stata creata la “coppia omosessuale”, munita di una sua carica di rispettabilità per la assonanza con la coppia formata dai coniugi. Sennonché quest’ultima include in sé proprio il rapporto di coniugio cioè il rapporto istituzionale di riferimento. La coppia di coniugi indica il legame istituzionale che vi è sotteso, con la relativa distinzione di ruoli che si riflette nella terminologia: essa comprende un marito ed una moglie, così come la coppia reale comprende un re e una regina. Rapporto indissolubile e di complementarietà. La coppia omosessuale è un falso terminologico che non aggiunge nulla alla sostanza delle cose, perché rappresenta semplicemente due persone dello stesso sesso che intrattengono più o meno stabilmente un rapporto erotico e/o affettivo, è cioè una espressione numerica come una coppia di sedie, una coppia di comò o una coppia di gatti. Ma l’espediente ha fatto un buon lavoro alimentando una inesistente e impossibile analogia con il rapporto matrimoniale
Ora dovrebbe risultare evidente che la legge non tutela nel matrimonio il rapporto sessuale e affettivo tra due persone conviventi (addirittura non si preoccupa neppure del fatto che in concreto il matrimonio sia realmente consumato e nelle intenzioni di chi si scambia la promessa matrimoniale ci sia il fine procreativo come fa – o ha fatto finora – il diritto canonico), ma tutela lo strumento capace di fondare potenzialmente la famiglia quale nucleo fondamentale della società votato alla formazione della generazioni.
Il legislatore civile tutela la funzione sociale dell’istituto matrimoniale e proprio perché si tratta di un legislatore laico sanamente distante dalle indagini sulla coscienza individuale, si attiene solo alla volontà pubblicamente espressa dai nubendi di accedere all’istituto matrimoniale. L’ufficiale di stato civile non chiede ad essi se si amano, quanto si amano o se intendano mettere al mondo dei figli, ma solo se sono consapevoli di ciò che l’istituto matrimoniale comporta, e se intendono tenere fede ai doveri assunti e all’impegno di crescere ed educare l’eventuale prole. Come al momento di firmare l’atto di acquisto di una casa, non siamo tenuti a dichiarare al notaio se la compriamo a fini speculativi, per abitarci solo temporaneamente o se è la casa dei nostri sogni. Ma semplicemente esprimiamo la volontà di utilizzare quell’importante strumento giuridico che l’ordinamento ci mette a disposizione per agevolare i commerci.
Ma questo equivoco della presunta assimilabilità della convivenza matrimoniale a quella “more uxorio” etero od omosessuale, in via affettivo emozionale, non ha risparmiato la stragrande maggioranza delle persone, comprese quelle che per mestiere dovrebbero sapere che cos’è il diritto. E per dare forza suggestiva ad una pretesa senza fondamento giuridico, si è cambiato anche il concetto di diritto che da pretesa tutelata dalla legge perché oggettivamente meritevole, cioè rilevante per l’interesse generale, è diventato pretesa che riflette ogni esigenza di benessere individuale, qualunque sia il suo contenuto. Così si è arrivati a formulare il concetto del “diritto alla felicità”, che ai giuristi del passato sarebbe apparso come una trovata goliardica buona per il testo di un papiro di laurea. E naturalmente hanno dilagato i “diritti degli omosessuali”, quelli che dovrebbero essere fondati appunto sui gusti sessuali individuali.
Eppure da signore e signori devoti teorici o pratici degli amori omoerotici, dalle Bindi alle Concia, dalle Marzano allo Scalfarotto, fino ora all’ormai mitica Cirinnà, il concetto di diritto alla felicità è stato elargito anche in sussiegose aule universitarie, ormai adibite a cassa di risonanza di qualunque idiozia ideologicamente assistita e propagata.
Ma il marchingegno ideologico politico al cui servizio sono assoldati tutti i mezzi di comunicazione, una volta messo in moto ha funzionato a dovere, macinando il buon senso e appiattendo i cervelli su una falsa rappresentazione che ormai è diventata opinione ruminata senza ripensamenti. Il rapporto affettivo che lega due omosessuali di qualunque genere, poiché è produttore di felicità, sublima il rapporto non solo nella fantasia un po’ ingolfata di Veronesi, ma è sentito ormai unanimemente come degno di essere tutelato dalla legge, che sola dovrebbe garantire questo stato di grazia, con l’aiuto generoso del munifico contribuente.
Per smontare questo meccanismo perverso, e dalle conseguenze incontrollabili, bisogna tornare all’equivoco di fondo, nel frattempo completamente oscurato dalla contraffazione di una realtà delle cose che la retta ragione dovrebbe leggere senza paraocchi. Si tratta di recuperare il senso della verità oggettiva sulla quale deve essere finalmente riportato il ragionamento.
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L’inizio della discussione parlamentare sul ddl Cirinnà è il punto di arrivo della tragica campagna di guerra guidata dalla cecità morale, culturale e intellettuale di una intera classe politica che, senza scrupoli e senza lume di ragione, sta portando la nostra società verso le sabbie mobili dove altri sono stati inghiottiti già da tempo. Il riconoscimento giuridico della convivenza more uxorio è lo straordinario traguardo di potere fissato dai movimenti omosessualisti, per tenere definitivamente in pugno una società incapace di individuare anche le condizioni indispensabili per la propria sopravvivenza. Infatti quando un nemico ben equipaggiato e mediaticamente assistito si è fatto sotto sotto le mura, per vero già indebolite della cittadella, ma avrebbe potuto essere debellato ai primi colpi di mano, la confusione delle idee, il fumo delle parole e la paura di pensare contro la marea delle opinioni telecomandate, hanno quasi annullato sul nascere ogni resistenza. E ora, giunti ad un punto ormai cruciale di questa storia desolante, l’unica possibilità di difesa ancora rimasta sta tutta nel capire quali siano le armi usate da questo nemico e quali gli errori degli assediati sui quali esso continua a prosperare. Occorre dunque riordinare i tasselli che vanno a comporre l’intero quadro di insieme.
Anzitutto bisogna rendersi conto, senza margine di dubbio, che un qualunque riconoscimento giuridico, in qualunque misura esso avvenga, della convivenze more uxorio tra persone dello stesso sesso o di sesso diverso (ma queste ultime sono state solo utilizzate come apripista per rendere all’inizio meno ostiche le prime), è il passo decisivo e definitivo per la resa senza condizioni a quel nemico e alle mostruosità che esso già va apparecchiando fra una indifferenza abbastanza diffusa. Il resto viene di conseguenza.
Dovrebbe essere chiaro a tutti che una pretesa di legalizzazione, volta cioè ad ottenere una qualche tutela giuridica, per essere plausibile debba fare riferimento ad una realtà meritevole di quella tutela, cioè portatrice di un valore di interesse generale e a nessuno verrebbe in mente di invocare uno speciale statuto per un rapporto perché segnato da forte attrazione sessuale e sentimentale come quello adulterino o per quello semplicemente affettivo o intellettuale che lega due amici, due persone accomunate da interessi politici o culturali, e via dicendo. E dovrebbe essere altrettanto evidente, che, semmai, la consacrazione giuridica delle relazioni omosessuali porterebbe conseguenze pesantissime di ordine etico e sociale.
Ecco allora che la accorta strategia dei movimenti omosessualisti ha puntato ad alimentare l’equivoco di una presunta analogia con il rapporto matrimoniale, reclamando alla convivenza more uxorio tra persone dello stesso sesso la medesima protezione, sul presupposto che vi ricorrano le stesse condizioni di fatto: rapporto sessuale, rapporto affettivo e coabitazione. Il tutto in omaggio al principio di uguaglianza. Ma il ragionamento non reggeva perché la tutela prevista dall’articolo 29 della Costituzione copre soltanto il matrimonio quale è ancora previsto dalle leggi dello Stato e non ammette (ancora) forzature.
Per superare la difficoltà di adattare la lettera dell’articolo 29 si è cercato allora di cambiare il significato del matrimonio. Si è cominciato cioè a far passare l’idea che l’elemento caratterizzante del rapporto matrimoniale sia anzitutto il dato affettivo, e siccome anche la convivenza more uxorio viene caratterizzata dall’unione erotico sessuale e dal dato affettivo, l’analogia col rapporto matrimoniale poteva essere giocata sul piano dei sentimenti. Si poteva far scivolare l’attenzione dal piano del diritto e dell’etica a quello magmatico della suggestione emotiva. E questo è servito per influenzare l’opinione corrente, sempre sensibile alle questioni del cuore, e rendere di nuovo plausibile una qualunque richiesta di tutela paramatrimoniale. Per alimentare l’equivoco è stata creata la “coppia omosessuale”, munita di una sua carica di rispettabilità per la assonanza con la coppia formata dai coniugi. Sennonché quest’ultima include in sé proprio il rapporto di coniugio cioè il rapporto istituzionale di riferimento. La coppia di coniugi indica il legame istituzionale che vi è sotteso, con la relativa distinzione di ruoli che si riflette nella terminologia: essa comprende un marito ed una moglie, così come la coppia reale comprende un re e una regina. Rapporto indissolubile e di complementarietà. La coppia omosessuale è un falso terminologico che non aggiunge nulla alla sostanza delle cose, perché rappresenta semplicemente due persone dello stesso sesso che intrattengono più o meno stabilmente un rapporto erotico e/o affettivo, è cioè una espressione numerica come una coppia di sedie, una coppia di comò o una coppia di gatti. Ma l’espediente ha fatto un buon lavoro alimentando una inesistente e impossibile analogia con il rapporto matrimoniale
Ora dovrebbe risultare evidente che la legge non tutela nel matrimonio il rapporto sessuale e affettivo tra due persone conviventi (addirittura non si preoccupa neppure del fatto che in concreto il matrimonio sia realmente consumato e nelle intenzioni di chi si scambia la promessa matrimoniale ci sia il fine procreativo come fa – o ha fatto finora – il diritto canonico), ma tutela lo strumento capace di fondare potenzialmente la famiglia quale nucleo fondamentale della società votato alla formazione della generazioni.
Il legislatore civile tutela la funzione sociale dell’istituto matrimoniale e proprio perché si tratta di un legislatore laico sanamente distante dalle indagini sulla coscienza individuale, si attiene solo alla volontà pubblicamente espressa dai nubendi di accedere all’istituto matrimoniale. L’ufficiale di stato civile non chiede ad essi se si amano, quanto si amano o se intendano mettere al mondo dei figli, ma solo se sono consapevoli di ciò che l’istituto matrimoniale comporta, e se intendono tenere fede ai doveri assunti e all’impegno di crescere ed educare l’eventuale prole. Come al momento di firmare l’atto di acquisto di una casa, non siamo tenuti a dichiarare al notaio se la compriamo a fini speculativi, per abitarci solo temporaneamente o se è la casa dei nostri sogni. Ma semplicemente esprimiamo la volontà di utilizzare quell’importante strumento giuridico che l’ordinamento ci mette a disposizione per agevolare i commerci.
Ma questo equivoco della presunta assimilabilità della convivenza matrimoniale a quella “more uxorio” etero od omosessuale, in via affettivo emozionale, non ha risparmiato la stragrande maggioranza delle persone, comprese quelle che per mestiere dovrebbero sapere che cos’è il diritto. E per dare forza suggestiva ad una pretesa senza fondamento giuridico, si è cambiato anche il concetto di diritto che da pretesa tutelata dalla legge perché oggettivamente meritevole, cioè rilevante per l’interesse generale, è diventato pretesa che riflette ogni esigenza di benessere individuale, qualunque sia il suo contenuto. Così si è arrivati a formulare il concetto del “diritto alla felicità”, che ai giuristi del passato sarebbe apparso come una trovata goliardica buona per il testo di un papiro di laurea. E naturalmente hanno dilagato i “diritti degli omosessuali”, quelli che dovrebbero essere fondati appunto sui gusti sessuali individuali.
Eppure da signore e signori devoti teorici o pratici degli amori omoerotici, dalle Bindi alle Concia, dalle Marzano allo Scalfarotto, fino ora all’ormai mitica Cirinnà, il concetto di diritto alla felicità è stato elargito anche in sussiegose aule universitarie, ormai adibite a cassa di risonanza di qualunque idiozia ideologicamente assistita e propagata.
Ma il marchingegno ideologico politico al cui servizio sono assoldati tutti i mezzi di comunicazione, una volta messo in moto ha funzionato a dovere, macinando il buon senso e appiattendo i cervelli su una falsa rappresentazione che ormai è diventata opinione ruminata senza ripensamenti. Il rapporto affettivo che lega due omosessuali di qualunque genere, poiché è produttore di felicità, sublima il rapporto non solo nella fantasia un po’ ingolfata di Veronesi, ma è sentito ormai unanimemente come degno di essere tutelato dalla legge, che sola dovrebbe garantire questo stato di grazia, con l’aiuto generoso del munifico contribuente.
Per smontare questo meccanismo perverso, e dalle conseguenze incontrollabili, bisogna tornare all’equivoco di fondo, nel frattempo completamente oscurato dalla contraffazione di una realtà delle cose che la retta ragione dovrebbe leggere senza paraocchi. Si tratta di recuperare il senso della verità oggettiva sulla quale deve essere finalmente riportato il ragionamento.
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- Il rapporto omosessuale è contrario al modello predisposto da madre natura e ne rappresenta una devianza. Questa devianza può essere inserita nelle categoria della anomalia fisica, di quella psichica, di quella morale, ma rimane sempre come un comportamento umano in cui una funzione fisiologica come quella sessuale non viene impiegata secondo le sue proprie finalità. Se il mangiare e il bere sono funzioni preordinate al sostentamento dell’essere umano, il ruminare i cibi o l’alcolismo esulano da quella funzione e diventano, qualunque ne sia la causa, comportamenti aberranti che di certo non possono diventare normali solo perché dettati ad esempio, da una particolare situazione emotiva.
- Da un punto di vista etico religioso il “rapporto omosessuale” è in contrasto con la legge di natura iscritta nel disegno della creazione, e contraddice dunque la legge divina. Che si consideri quel fenomeno oggettivamente in contrasto con la legge di natura biologicamente intesa, o che si intenda per legge naturale il canone etico che precede ogni legge umana perché dettata dalla volontà di Dio, e che sta scritto nel disegno della creazione, per necessità logica e morale la pratica omosessuale rimane esclusa dallo spazio della normalità sessuale o della liceità morale.
- Come l’anomalia dello alcolismo non viene cancellata dalla debolezza emotiva che l’ha eventualmente generata, così i cosiddetti motivi sentimentali, cioè la componente affettiva che eventualmente si accompagna al rapporto erotico contro natura, non è certo in grado di normalizzarlo. In ogni caso non è in grado di giustificare alcuna assimilazione tra il rapporto omosessuale anche “stabile”, con la relazione matrimoniale o a quella paramatrimoniale alla quale l’astuzia senatoriale ha dato ora il nome di “unione civile”.
- In conclusione il fatto che due omosessuali abbiano un qualunque tipo di rapporto, stabile o transeunte, affettivo o solo sessualmente coinvolgente, può essere anche di cruciale importanza per loro, per gli amici dell’arci gay, o per il partito politico che ha fatto una bandiera della difesa di quegli interessi, ma è del tutto indifferente e deve rimanere del tutto indifferente per il diritto, che non si interessa né si può interessare di quanto non abbia anche un rilievo di interesse generale.
- Soprattutto non è indifferente per chi avendo la responsabilità di crescere i propri figli ha il diritto e il dovere di impedire che ad essi siano impunemente proposti modelli di comportamento e di vita intrinsecamente distruttivi e sterili, tra l’altro in una prepotente ed ineludibile forma totalitaria. Infatti quello che viene tragicamente trascurata è la influenza negativa che il dilagare della propaganda omosessualista genera nella formazione morale e intellettuale della giovani generazioni, alle quali è già stato inferto un danno incalcolabile tra l’ indifferenza generale, l’afasia o il balbettio grottesco e ormai indecente della Chiesa.
- Ecco dunque che quanti oggi, alimentando la più pericolosa delle confusioni, e credendo addirittura di combattere la buona battaglia a favore della famiglia, contro la manipolazione della educazione o contro le oscene pratiche di produzione degli esseri umani ad uso e consumo di omosessuali che dimostrano involontariamente di essere preda di pulsioni deviate, dicono di essere contrari al matrimonio omosessuale ma non alle “unioni civili” e forniscono così alla Cirinnà e alla sua compagnia di giro un assist formidabile, quello sul quale queste hanno proprio confidato. Si può far passare la tutela delle “unioni civili” dando ad intendere che sia cosa innocua, magari perché momentaneamente non accompagnate dalla possibilità di creare “figli”. A questo risultato provvederà comunque in seguito la Corte Costituzionale, che da guardiano della Costituzione di è fatto guardiano di ciò che le aberranti istituzioni europee e l’aberrante politica dominante impongono. Ma esso è soltanto il tragico risultato pratico. Prima di questo e alla base di questo c’è l’aberrazione di elevare a realtà degna di attenzione sociale e di tutela giuridica un fenomeno la cui sola pubblicizzazione e diffusione mina i fondamenti della società in cui abbiamo la responsabilità di crescere le nuove generazioni, difendendole dall’inganno e dalla
- Le unioni civili sono una mostruosità, non perché conducono o possono condurre a conseguenze aberranti, ma conducono a queste conseguenze aberranti perché sono aberranti in se stesse.
- Senza questa chiara e forte consapevolezza ogni iniziativa che aspira a combattere quella che viene ora ritenuta finalmente da molti una battaglia irrinunciabile, può finire fatalmente per aprire solo l’ultima porta ad un nemico mosso unicamente dalla propria ottusa follia.
La (severa) mossa a sopresa di Francesco
Mario Bergoglio ha eliminato il cardinale Angelo Bagnasco dall' agenda degli incontri ufficiali. Era fissato un colloquio privato ma poi è stata cancellato dal bollettino interno timbrato "Prefettura della Casa Pontificia". L'ultimo gesto questo, fa notare Il Fatto Quotidiano, che sancisce una frattura sempre più profonda tra la Chiesa di Francesco e quella dei vescovi italiani presieduta da Bagnasco. Non bisogna essere vaticanisti per capire il motivo: l'esposizione mediatica del cardinale per il Family Day in programma il 30 gennaio. Il Papa non ha gradito l'intromissione di Bagnasco di domenica sera sulle unioni civili.
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