Fu l'esponente più importante del modernismo, scomunicato dalla Chiesa e privato della cattedra dal fascismo. È l'ora della sua riabilitazione
Il 20 aprile ricorre il 70° anniversario della morte di Ernesto Buonaiuti (1881-1946), l'esponente più importante del modernismo italiano. Sedici anni fa, in questi giorni, Indro Montanelli, Ernesto Galli della Loggia e Giulio Andreotti, domandarono alla Chiesa di rivedere il giudizio sul modernismo, condannato come «sintesi di tutte le eresie» da Pio X.
Fu l'esponente più importante del modernismo, scomunicato dalla Chiesa e privato della cattedra dal fascismo. È l'ora della sua riabilitazione
Il 20 aprile ricorre il 70° anniversario della morte di Ernesto Buonaiuti (1881-1946), l'esponente più importante del modernismo italiano. Sedici anni fa, in questi giorni, Indro Montanelli, Ernesto Galli della Loggia e Giulio Andreotti, domandarono alla Chiesa di rivedere il giudizio sul modernismo, condannato come «sintesi di tutte le eresie» da Pio X.
Era l'epoca in cui Giovanni Paolo II chiedeva perdono a chiunque, dagli indios alle vittime dell'Inquisizione, per gli errori e i torti commessi. Il Papa fece orecchie da mercante, e su Buonaiuti incombe ancora la damnatio memoriae voluta un secolo fa dal Vaticano. Tanto che forse occorre ricordare chi fu.
Nacque a Roma nel 1881, la famiglia gestiva una piccola tabaccheria. Entrò presto in seminario e completò gli studi all'Università gregoriana negli stessi anni dei futuri papi Pio XII e Giovanni XXIII, che fu anche suo studente e ammise una volta di avere «imparato molto da lui» ma che, come tutti i papi successivi, non considerò neppure l'ipotesi di riabilitarlo post mortem. Ordinato sacerdote nel 1903, divenne presto l'animatore e il protagonista del modernismo in Italia, come Alfred Loisy in Francia e George Tyrrel in Inghilterra. Sacerdote piissimo quanto svincolato dai dogmi, sosteneva che occorre vivere guidati solo da un sentimento del bene, liberi dal peso dei dogmi, politici e religiosi, voleva una più larga e attiva partecipazione dei laici all'azione religiosa della Chiesa, una maggiore autonomia e libertà nella ricerca scientifica: il Vaticano avrebbe dovuto vedere «in ogni progresso del pensiero e in ogni evoluzione della tecnica sociale le manifestazioni di una Provvidenza che presiede al progresso della civiltà». Sono idee oggi accolte dalla Vaticano, ma allora - con l'enciclica Pascendi, del 1907 - Pio X scomunicò il modernismo, riducendolo al silenzio con ogni mezzo, compresi lo spionaggio e la delazione.
Neanche gli spiriti più illuminati come Benedetto Croce intervennero contro questo atteggiamento anticulturale, pensando a torto che si trattasse di battaglie che non riguardavano la vita laica. La repressione che subirono il modernismo e Buonaiuti favorì la totale recessione della libertà religiosa e delle libertà civili: il fascismo non avrebbe trovato i consensi che ebbe in Vaticano, nel clero e nei fedeli, se il modernismo e i suoi esponenti non fossero stati così duramente repressi.
Buonaiuti fu costretto a chiudere tutte le sue riviste e nel 1926 subì la scomunica più grave, quella cosiddetta vitandus, che obbligava ogni buon cattolico a non accostarlo neppure fisicamente. Le sue eccezionali doti di maestro e la sua fede genuina gli permisero tuttavia di avere sempre intorno a sé una cerchia di allievi. Nel 1915 aveva vinto per concorso la cattedra di Storia del Cristianesimo all'Università di Roma. Il Vaticano non poteva sopportare che disponesse di un simile pulpito e fece del «caso Buonaiuti» un punto di incredibile importanza nelle trattative per il Concordato. Il risultato fu che ben due articoli del Concordato del 1929, che ha avuto e ha tanta importanza nella nostra storia, furono scritti su misura contro il sacerdote romano. Il 5, per cui i sacerdoti «apostati o irretiti da censura» non potevano avere alcun incarico a contatto col pubblico; un comma del 20 stabiliva che chi continuava a vestire l'abito talare contro la volontà della Chiesa (come Buonaiuti), sarebbe stato punito al pari di chi avesse abusato della divisa militare. Mussolini subì, in parte: gli tolse la cattedra ma non lo stipendio, e gli fece affidare la cura dell'edizione nazionale di Gioacchino da Fiore.
Ciononostante Buonaiuti, nel 1931, fu uno dei docenti universitari appena una dozzina nella viltà e nell'opportunismo dei più che rifiutarono di giurare fedeltà al regime fascista: «A norma di precise prescrizioni evangeliche Matteo, V, 34 reputo mi sia vietata ogni forma di giuramento». Fu estromesso dall'università e cominciò per lui una vita travagliatissima che descrisse in un'opera tragica e commovente, Pellegrino di Roma (1945). Tuttavia nel 1939 rifiutò la cattedra di Teologia a Losanna perché avrebbe dovuto aderire alla Chiesa riformata. Poté sopravvivere solo grazie agli aiuti di amici e riuscì a completare la sua opera storiografica più importante, la grande Storia del Cristianesimo (1942-43).
Caduto il fascismo, venne reintegrato nella cattedra ma sempre con riferimento al Concordato - non nell'insegnamento. Dopo la liberazione di Roma rifiutò di accostarsi alla sinistra, per non tradire i valori evangelici e la propria libertà, e morì senza sacramenti religiosi avendo rifiutato fino all'ultimo di abiurare le proprie idee. Volle sulla lapide l'ostia e il calice, simbolo del suo sacerdozio. Andate a portargli un fiore, è sepolto al Verano.
Politicamente il suo dramma fu il dramma eterno di quegli italiani che non vogliono accettare etichette di destra, sinistra, centro, e per questo invece di essere esaltati come campioni di libertà vengono disprezzati da destra, sinistra, centro. Anche l'Italia laica dovrebbe chiedergli perdono per non averlo difeso e onorato come meritava. Buonaiuti venne lasciato solo, in balia dei fascisti e dei gesuiti, che lo attaccarono spietatamente, dal 1906 in poi, con ogni genere di accuse: fino a diffondere la falsa voce che il sacerdote fosse interessato alle sue studentesse. Lui scrisse nell'autobiografia che lo «spirito italiano» è stato segnato da «secoli d'opprimente pedagogia gesuitica, tutta concentrata nel proposito di monopolizzare la vita dello spirito e di lasciare gli uomini ad una soggezione passiva di minorenni e di tutelati». I gesuiti infierirono su di lui anche dopo la morte, nel necrologio, e ancora nel 1957 definivano quell'uomo coltissimo come dotato di «uno spruzzolo di erudizione». Soltanto 16 anni fa, nella Civiltà Cattolica, padre Giovanni Sale chiese perdono, a nome della rivista e dei gesuiti, per la vera e propria persecuzione cui sottoposero Buonaiuti («dimenticando che la carità e l'amore verso l'errante viene prima della pur doverosa condanna dell'errore») ma puntualmente - rinnovò la condanna alle sue tesi.
Oggi c'è un Papa che sembra voler recuperare lo spirito più profondo del messaggio di Buonaiuti: portare la Chiesa al di fuori delle degenerazioni del dogma, per riscoprire un cristianesimo inteso come esperienza etica e mistica. Sarà lui il gesuita Francesco a chiedere perdono a Buonaiuti?
di Franca Giansoldati
Naturalmente non è possibile. Certe spinte le deve limitare. L'anno scorso decise di andare personalmente dall'ottico, per cambiare la montatura degli occhiali che si era rotta e nell'arco di 5 minuti successe il finimondo, piazza del Popolo si era intasata di persone. Nugoli di turisti con l'iphone in mano a riprendere la scena nel negozio, mentre fuori la calca, man mano che passavano i minuti, montava come la panna. Dovettero intervenire diverse pattuglie di vigili per ripristinare un varco e tenere a bada i curiosi. Insomma rompere l'isolamento papale non sempre si rivela facile. Ma da quando è iniziato il Giubileo della Misericordia rompere le righe è più facile. Ogni venerdì del mese, senza dare preavvisi, si reca in periferia a trovare anziani, malati terminali, giovani drogati, detenuti, immigrati. Questo mese ha scelto di andare a Lesbo, l'isola avamposto dell'immigrazione, simbolo del fallimento delle politiche europee. La sua predicazione su alcuni temi è martellante. La Chiesa in uscita, il cammino verso le periferie, il tenere aperte le porte del cuore per non blindarsi dentro le serrature dell'anima. Francesco è il primo a metterle in pratica. E non solo metaforicamente.
Martedì 26 Aprile 2016,
URL : http://www.ilmessaggero.it/primopiano/vaticano/papa_bergoglio_santa_marta_uscite_fuori_dal_vaticano-1694466.html
Se solo fosse cattolico.....santo subito!!
RispondiElimina"Era l'epoca in cui Giovanni Paolo II chiedeva perdono a chiunque, dagli indios alle vittime dell'Inquisizione, per gli errori e i torti commessi. Il Papa fece orecchie da mercante"
RispondiEliminaProbabilmente fece "orecchie da mercante" la Congregazione per la Dottrina della fede , dato che Wojtyla ebbe il merito e l'accortezza di rivolgersi ad altri per le questioni attinenti all'ortodossia.
Che poi l'autore non è quello che metteva i microfoni nei confessionali? Adesso è diventato clericale..