Il frate che salva dall’Isis la cultura cristiana
Da Erbil “È di carta giapponese, preziosissima”, spiega il frate in tunica bianca rigirando fra le mani una scatola grigia: uno dei suoi ferri del mestiere. Padre Najeeb Michaeel è un domenicano di sessantuno anni che ha dedicato la propria vita a salvare dalla furia dell’Isis i documenti e i manoscritti della comunità cristiana di Qaraqosh, nel nord dell’Iraq.
Najeeb è fuggito nell’agosto 2014 con altri centomila cristiani, posti di fronte all’alternativa fra la conversione all’islam e la morte certa: perseguitato dal Califfo, vive da sfollato ad Erbil, in uno dei tanti campi profughi che punteggiano la periferia della capitale del Kurdistan iracheno.
Avvolto nella sua veste candida, dirige quello che la voce popolare ha ribattezzato “lo scheletro”: un palazzo in costruzione abbandonato, che doveva ospitare un albergo a cinque stelle e per ironia della sorte ha finito per dare rifugio a centinaia di profughi cristiani e yazidi. In questo girone dantesco dove le donne lavano la verdura nell’acqua sporca e i bimbi giocano nella polvere, Najeeb lavora sodo per salvare dall’oblio i venti secoli di storia della Chiesa cattolica irachena.
Ci accoglie calorosamente nel suo “laboratorio di restauro”: una stanzetta a fianco della cappella, affollata di incartamenti e scatoloni. Qui riporta in vita e archivia i documenti del convento che ha dovuto ad abbandonare a Qaraqosh. Il lavoro di inventario è iniziato ormai molti anni fa, ai tempi della Seconda guerra del Golfo: all’inizio era solo, spiega, ma col tempo sempre più amici e conoscenti hanno iniziato a collaborare all’opera di conservazione della memoria storica.
“Da molti anni stavo riordinando l’archivio storico del mio convento, volevo raccogliere tutti i documenti della comunità – racconta in ottimo francese, mentre muove le mani paffute – Nell’agosto 2014, quando le milizie del Califfo sono arrivate alle porte della città, ho caricato su tutto un camion e sono fuggito a est, fino ad Erbil.”
Najeeb calcola di aver sottratto alla furia del Califfo almeno quattromila manoscritti. Quel che viene lasciato nelle mani dell’Isis va perduto: nella regione di Mosul gli invasori jihadisti sono entrati nel cimitero e hanno distrutto persino le lapidi delle tombe cristiane. Una vera e propriadamnatio memoriae, che però non scoraggia il religioso. Pennelli e carta assorbente alla mano, il domenicano ha raccolto intorno a sé una piccola squadra di ricercatori ed esperti di restauro, impegnati nella cura di un giardino di cultura di inestimabile valore.
La metafora botanica è di Najeeb: “L’Isis vuole annientare la presenza e persino la memoria dei cristiani in questi territori. La nostra sfida è salvare l’albero, che sono le persone, ma anche le radici, che affondano nella storia.”
L’obiettivo dei tagliagole è cancellare la storia dei cristiani, per raccontare ai propri figli che queste terre sono musulmane da sempre. Una colossale bugia. La regione di Mosul – oggi capitale irachena del Califfato – è stata evangelizzata sul finire del primo secolo, direttamente dagli ultimi Apostoli: una primogenitura di cui i preti iracheni vanno fieri ancora oggi. “Noi siamo fra i pochissimi a parlare ancora l’aramaico, la lingua di Gesù – aggiunge con orgoglio il frate – Per questo è essenziale alimentare la speranza e resistere al terrore conservando la propria identità.”
Certo, molti manoscritti sono andati perduti per sempre, ma la sfida è vinta. Con le sue scatole di cartone, i barattoli di colla e i nastri di tela Najeeb ha sconfitto Isis: anche i fedeli analfabeti, che nei corridoi dello Scheletro gli baciano le mani secondo l’usanza delle campagne, gli sono riconoscenti. È grazie a uomini come lui che la Chiesa può sopravvivere, pensano in molti.
Il frate sorride e scrolla la testa di fronte ai complimenti. “Salvare i documenti è stato qualcosa di naturale – ride – Le famiglie mettevano in salvo i bambini: io non sono sposato e quindi ho portato via i manoscritti. Che sono un po’ come i miei figli”.
Foto e video di Gabriele Orlini
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