La penitenza chiesta dal Cielo, odiata dal mondo
Il concetto di penitenza è estraneo al mondo moderno, immerso nell’edonismo e nel relativismo. Nuovo è l’atteggiamento delle autorità ecclesiastiche impregnate di “cattolicesimo adulto”. Le penitenze mortificano l’Io, piegano la natura ribelle, riparano ed espiano i peccati propri ed altrui. E non solo…
Se c’è un concetto radicalmente estraneo alla mentalità contemporanea è quello di penitenza.
Il termine e la nozione di penitenza evocano l’idea di una sofferenza che infliggiamo a noi stessi per espiare colpe proprie o altrui e per unirci ai meriti della Passione redentrice di Nostro Signore Gesù Cristo. Il mondo moderno rifiuta il concetto di penitenza, perché è immerso nell’edonismo e perché professa il relativismo, che è la negazione di qualsiasi bene per il quale valga la pena di sacrificarsi, a meno che non sia la ricerca del piacere. Solo questo può spiegare episodi come il furibondo attacco mediatico in corso contro le Francescane dell’Immacolata, i cui monasteri vengono dipinti come luoghi di sevizie, solo perché in essi si è praticata una vita austera e penitente. Usare il cilicio o imprimere sul proprio petto il monogramma del nome di Gesù viene considerato una barbarie, mentre praticare il sadomasochismo o tatuare indelebilmente il proprio corpo è oggi considerato un diritto inalienabile della persona.
I nemici della Chiesa ripetono con tutta la forza di cui i media sono capaci le accuse degli anticlericali di tutti i tempi. Ciò che è nuovo è l’atteggiamento di quelle autorità ecclesiastiche, che invece di prendere le difese delle suore diffamate, le abbandonano, con segreto compiacimento, al carnefice mediatico. Il compiacimento nasce dall’incompatibilità che esiste tra le regole a cui queste religiose si ostinano ad uniformarsi e i nuovi standard imposti dal “cattolicesimo adulto”.
Lo spirito di penitenza appartiene, fin dalle origini, alla Chiesa cattolica, come ci ricordano le figure di san Giovanni Battista e santa Maria Maddalena, ma oggi anche per molti uomini di Chiesa ogni richiamo alle antiche pratiche ascetiche è considerato intollerabile. Eppure non v’è dottrina più ragionevole di quella che stabilisce la necessità della mortificazione della carne. Se il corpo è in rivolta contro lo spirito (Gal 5, 16-25), non è forse ragionevole e prudente castigarlo? Nessun uomo è esente dal peccato, neppure i “cristiani adulti”. Dunque chi espia i propri peccati con la penitenza non agisce forse secondo un principio tanto logico quanto salutare? Le penitenze mortificano l’Io, piegano la natura ribelle, riparano ed espiano i peccati propri ed altrui. Se poi consideriamo le anime amanti di Dio, che cercano la somiglianza con il Crocifisso, allora la penitenza diviene una necessità dell’amore. Sono celebri le pagine del De Laude flagellorum di san Pier Damiani, il grande riformatore dell’XI secolo, il cui monastero di Fonte Avellana era caratterizzato da un’estrema austerità nelle regole. «Vorrei subire il martirio per Cristo – egli scriveva – non ne ho l’occasione; ma sottoponendomi ai colpi, almeno manifesto la volontà della mia anima ardente».
Ogni riforma, nella storia della Chiesa, è avvenuta con l’intento di riparare con le austerità e le penitenze i mali del tempo. Nel XVI e XVII secolo, i Minimi di san Francesco di Paola praticano un voto di vita quaresimale che impone loro l’astensione perpetua non solo di carne, ma di uova, latte e tutti i suoi derivati; i Recolletti consumano il proprio pasto in terra, mescolano cenere ai cibi, si allungano davanti alla porta del Refettorio sotto i piedi dei Religiosi che entrano; i Fatebenefratelli prevedono nelle loro costituzioni di «mangiare in terra, baciare i piedi dei fratelli, subire riprensioni pubbliche e accusarsi pubblicamente». Analoghe sono le Regole dei Barnabiti, degli Scolopi, dell’Oratorio di san Filippo Neri, dei Teatini. Non c’è istituto religioso, che non preveda nelle proprie costituzioni, la prassi del capitolo delle colpe, la disciplina più volte la settimana, i digiuni, la diminuzione delle ore di sonno e di riposo.
Benedetto XIV, che era un Papa mite ed equilibrato, affidò la preparazione del Giubileo del 1750 a due grandi penitenti, san Leonardo da Porto Maurizio e san Paolo della Croce. Fra’ Diego da Firenze ci ha lasciato un diario della missione tenuta in piazza Navona dal 13 al 25 luglio 1759 da san Leonardo da Porto Maurizio, che con una pesante catena al collo e una corona di spine in capo si flagellava davanti alla folla gridando: «O penitenza o inferno». San Paolo della Croce terminava la sua predicazione infliggendosi dei colpi così violenti che spesso qualche fedele non resisteva più allo spettacolo e saltava sul palco, a rischio di essere colpito egli stesso, per arrestargli il braccio.
La penitenza è stata praticata ininterrottamente per duemila anni dai santi (canonizzati e non), che – con la loro vita – hanno contribuito a scrivere la storia della Chiesa, da santa Giovanna di Chantal e santa Veronica Giuliana, che si incisero sul petto il Cristogramma con il ferro incandescente, a santa Teresa del Bambin Gesù, che scrive il Credo col suo sangue, alla fine del libriccino dei Santi Vangeli che porta sempre sul cuore. Questa generosità non caratterizza solo le monache contemplative. Nel Novecento due santi diplomatici illuminano la Curia romana: il cardinale Rafael Merry del Val, segretario di Stato di san Pio X, e il servo di Dio, mons. Giuseppe Canovai, rappresentante della Santa Sede in Argentina e in Cile. Il primo indossava, sotto la porpora cardinalizia, una camicia di crine intrecciata con piccoli ganci di ferro. Del secondo, autore di una preghiera scritta col sangue, il cardinale Siri scrive: «Le catenelle, i cilizi, i flagelli orribili a base di lama da barba, le ferite, le cicatrizzazioni incalzate da supervenienti ferite non sono il principio, ma il termine di un fuoco interiore; non la causa; ma la eloquente e rivelatrice esplosione di esso. Si trattava della chiarezza per cui in sé ed in ogni cosa vedeva un valore per amare Dio e per cui vedeva assicurato nel lancinante sacrificio del sangue la sincerità d’ogni altra interiore rinuncia».
Fu negli anni Cinquanta del Novecento che le pratiche ascetiche e spirituali della Chiesa iniziarono a declinare. Il padre Giovanni Battista Janssens, generale della Compagnia di Gesù, intervenne più di una volta, per richiamare i propri confratelli allo spirito di sant’Ignazio. Nel 1952 inviò loro una lettera sulla «continua mortificazione», in cui si opponeva alle posizioni della nouvelle théologie, che tendevano a escludere la penitenza riparatrice e quella impetratoria e scriveva che digiuni, flagelli, cilizi e altre asperità devono restare nascoste agli uomini secondo la norma di Cristo (Mt 6, 16-8), ma devono essere insegnate e inculcate ai giovani gesuiti fino al terzo anno di probazione. Possono cambiare, nei secoli, le forme di penitenza, ma non può mutare lo spirito, sempre opposto a quello del mondo.
Prevedendo l’apostasia spirituale del secolo XX, la Madonna in persona, a Fatima, richiamò la necessità della penitenza. La penitenza non è altro che il rifiuto delle false parole del mondo, la lotta contro le potenze delle tenebre, che si contendono con quelle angeliche il dominio delle anime e la mortificazione continua della sensualità e dell’orgoglio radicati nel più profondo del nostro essere. Solo accettando questo combattimento contro il mondo, il demonio e la carne (Ef 6, 10-12), potremmo comprendere il significato della visione di cui tra un anno celebreremo il centesimo anniversario. I pastorelli di Fatima videro «al lato sinistro di Nostra Signora un poco più in alto un Angelo con una spada di fuoco nella mano sinistra; scintillando emetteva fiamme che sembrava dovessero incendiare il mondo; ma si spegnevano al contatto dello splendore che Nostra Signora emanava dalla sua mano destra verso di lui: l’Angelo indicando la terra con la mano destra, con voce forte disse: Penitenza, Penitenza, Penitenza!».
Roberto de Mattei
Se c’è un concetto radicalmente estraneo alla mentalità contemporanea è quello di penitenza.
Il termine e la nozione di penitenza evocano l’idea di una sofferenza che infliggiamo a noi stessi per espiare colpe proprie o altrui e per unirci ai meriti della Passione redentrice di Nostro Signore Gesù Cristo. Il mondo moderno rifiuta il concetto di penitenza, perché è immerso nell’edonismo e perché professa il relativismo, che è la negazione di qualsiasi bene per il quale valga la pena di sacrificarsi, a meno che non sia la ricerca del piacere. Solo questo può spiegare episodi come il furibondo attacco mediatico in corso contro le Francescane dell’Immacolata, i cui monasteri vengono dipinti come luoghi di sevizie, solo perché in essi si è praticata una vita austera e penitente. Usare il cilicio o imprimere sul proprio petto il monogramma del nome di Gesù viene considerato una barbarie, mentre praticare il sadomasochismo o tatuare indelebilmente il proprio corpo è oggi considerato un diritto inalienabile della persona.
I nemici della Chiesa ripetono con tutta la forza di cui i media sono capaci le accuse degli anticlericali di tutti i tempi. Ciò che è nuovo è l’atteggiamento di quelle autorità ecclesiastiche, che invece di prendere le difese delle suore diffamate, le abbandonano, con segreto compiacimento, al carnefice mediatico. Il compiacimento nasce dall’incompatibilità che esiste tra le regole a cui queste religiose si ostinano ad uniformarsi e i nuovi standard imposti dal “cattolicesimo adulto”.
Lo spirito di penitenza appartiene, fin dalle origini, alla Chiesa cattolica, come ci ricordano le figure di san Giovanni Battista e santa Maria Maddalena, ma oggi anche per molti uomini di Chiesa ogni richiamo alle antiche pratiche ascetiche è considerato intollerabile. Eppure non v’è dottrina più ragionevole di quella che stabilisce la necessità della mortificazione della carne. Se il corpo è in rivolta contro lo spirito (Gal 5, 16-25), non è forse ragionevole e prudente castigarlo? Nessun uomo è esente dal peccato, neppure i “cristiani adulti”. Dunque chi espia i propri peccati con la penitenza non agisce forse secondo un principio tanto logico quanto salutare? Le penitenze mortificano l’Io, piegano la natura ribelle, riparano ed espiano i peccati propri ed altrui. Se poi consideriamo le anime amanti di Dio, che cercano la somiglianza con il Crocifisso, allora la penitenza diviene una necessità dell’amore. Sono celebri le pagine del De Laude flagellorum di san Pier Damiani, il grande riformatore dell’XI secolo, il cui monastero di Fonte Avellana era caratterizzato da un’estrema austerità nelle regole. «Vorrei subire il martirio per Cristo – egli scriveva – non ne ho l’occasione; ma sottoponendomi ai colpi, almeno manifesto la volontà della mia anima ardente».
Ogni riforma, nella storia della Chiesa, è avvenuta con l’intento di riparare con le austerità e le penitenze i mali del tempo. Nel XVI e XVII secolo, i Minimi di san Francesco di Paola praticano un voto di vita quaresimale che impone loro l’astensione perpetua non solo di carne, ma di uova, latte e tutti i suoi derivati; i Recolletti consumano il proprio pasto in terra, mescolano cenere ai cibi, si allungano davanti alla porta del Refettorio sotto i piedi dei Religiosi che entrano; i Fatebenefratelli prevedono nelle loro costituzioni di «mangiare in terra, baciare i piedi dei fratelli, subire riprensioni pubbliche e accusarsi pubblicamente». Analoghe sono le Regole dei Barnabiti, degli Scolopi, dell’Oratorio di san Filippo Neri, dei Teatini. Non c’è istituto religioso, che non preveda nelle proprie costituzioni, la prassi del capitolo delle colpe, la disciplina più volte la settimana, i digiuni, la diminuzione delle ore di sonno e di riposo.
Benedetto XIV, che era un Papa mite ed equilibrato, affidò la preparazione del Giubileo del 1750 a due grandi penitenti, san Leonardo da Porto Maurizio e san Paolo della Croce. Fra’ Diego da Firenze ci ha lasciato un diario della missione tenuta in piazza Navona dal 13 al 25 luglio 1759 da san Leonardo da Porto Maurizio, che con una pesante catena al collo e una corona di spine in capo si flagellava davanti alla folla gridando: «O penitenza o inferno». San Paolo della Croce terminava la sua predicazione infliggendosi dei colpi così violenti che spesso qualche fedele non resisteva più allo spettacolo e saltava sul palco, a rischio di essere colpito egli stesso, per arrestargli il braccio.
La penitenza è stata praticata ininterrottamente per duemila anni dai santi (canonizzati e non), che – con la loro vita – hanno contribuito a scrivere la storia della Chiesa, da santa Giovanna di Chantal e santa Veronica Giuliana, che si incisero sul petto il Cristogramma con il ferro incandescente, a santa Teresa del Bambin Gesù, che scrive il Credo col suo sangue, alla fine del libriccino dei Santi Vangeli che porta sempre sul cuore. Questa generosità non caratterizza solo le monache contemplative. Nel Novecento due santi diplomatici illuminano la Curia romana: il cardinale Rafael Merry del Val, segretario di Stato di san Pio X, e il servo di Dio, mons. Giuseppe Canovai, rappresentante della Santa Sede in Argentina e in Cile. Il primo indossava, sotto la porpora cardinalizia, una camicia di crine intrecciata con piccoli ganci di ferro. Del secondo, autore di una preghiera scritta col sangue, il cardinale Siri scrive: «Le catenelle, i cilizi, i flagelli orribili a base di lama da barba, le ferite, le cicatrizzazioni incalzate da supervenienti ferite non sono il principio, ma il termine di un fuoco interiore; non la causa; ma la eloquente e rivelatrice esplosione di esso. Si trattava della chiarezza per cui in sé ed in ogni cosa vedeva un valore per amare Dio e per cui vedeva assicurato nel lancinante sacrificio del sangue la sincerità d’ogni altra interiore rinuncia».
Fu negli anni Cinquanta del Novecento che le pratiche ascetiche e spirituali della Chiesa iniziarono a declinare. Il padre Giovanni Battista Janssens, generale della Compagnia di Gesù, intervenne più di una volta, per richiamare i propri confratelli allo spirito di sant’Ignazio. Nel 1952 inviò loro una lettera sulla «continua mortificazione», in cui si opponeva alle posizioni della nouvelle théologie, che tendevano a escludere la penitenza riparatrice e quella impetratoria e scriveva che digiuni, flagelli, cilizi e altre asperità devono restare nascoste agli uomini secondo la norma di Cristo (Mt 6, 16-8), ma devono essere insegnate e inculcate ai giovani gesuiti fino al terzo anno di probazione. Possono cambiare, nei secoli, le forme di penitenza, ma non può mutare lo spirito, sempre opposto a quello del mondo.
Prevedendo l’apostasia spirituale del secolo XX, la Madonna in persona, a Fatima, richiamò la necessità della penitenza. La penitenza non è altro che il rifiuto delle false parole del mondo, la lotta contro le potenze delle tenebre, che si contendono con quelle angeliche il dominio delle anime e la mortificazione continua della sensualità e dell’orgoglio radicati nel più profondo del nostro essere. Solo accettando questo combattimento contro il mondo, il demonio e la carne (Ef 6, 10-12), potremmo comprendere il significato della visione di cui tra un anno celebreremo il centesimo anniversario. I pastorelli di Fatima videro «al lato sinistro di Nostra Signora un poco più in alto un Angelo con una spada di fuoco nella mano sinistra; scintillando emetteva fiamme che sembrava dovessero incendiare il mondo; ma si spegnevano al contatto dello splendore che Nostra Signora emanava dalla sua mano destra verso di lui: l’Angelo indicando la terra con la mano destra, con voce forte disse: Penitenza, Penitenza, Penitenza!».
Roberto de Mattei
Lega cattolica per la preghiera di riparazione. Preghiere in riparazione dei sacrilegi consumati nelle Filippine e nella diocesi di Bergamo in applicazione dell’esortazione “Amoris Laetitia”. Avvisi per il secondo incontro nazionale e una lettura di formazione di San Bernardo di Chiaravalle .
Calendario tradizionale. Giovedì 21 aprile 2016 – S. Anselmo Vescovo, Confessore e Dottore della Chiesa – per il Martirologio clicca qui
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Gentili amici,
come abbiamo letto di recente (clicca qui) la Conferenza episcopale delleFilippine e la diocesi di Bergamo sono state le prime ad annunciare ufficialmente, in applicazione dell’esortazione “Amoris Laetitia”, il sacrilegio che consumeranno ammettendo alla Comunione persone che vivono in stato permanente di peccato mortale. Preghiamo quindi questa settimana in riparazione di queste gravi offese al Sacro Cuore di Gesù. Preghiamo perché i buoni fedeli non si facciamo ingannare da falsi messaggi che, facendo perdere la nozione stessa di peccato, portano alla perdizione.Restiamo fedeli in particolare alla recita del Santo Rosario e alla partecipazione, ove possibile, alla S. Messa in rito antico (cliccando qui verrete indirizzati all’elenco dei luoghi e orari della S. Messa tradizionale).
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Si avvicina la data del 1° maggio, quando a Linarolo si terrà il Secondo incontro nazionale della Lega cattolica per la preghiera di riparazione (cliccate qui per il programma della giornata).
Per poter organizzare bene la giornata vi preghiamo, se ancora non lo avete fatto, di comunicarci al più presto la vostra adesione con una mail a legariparazione@email.it .
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Inoltre, poiché Linarolo non è raggiungibile per ferrovia, preghiamo tutti coloro che abbiano posti disponibili in macchina, di comunicarcelo, autorizzandoci a pubblicare il loro nome, città di provenienza, numero di posti disponibili e indirizzo mail. In tal modo faciliteremo chi è sprovvisto di automobile, che potrà mettersi in contatto per organizzare il viaggio. Sarà anche l’occasione per conoscersi tra aderenti alla Lega residenti nella stessa zona. Avvisateci con mail alegariparazione@email.it .
Sono disponibili DUE posti auto da Cremona. Rivolgersi a Giovanni Faimani, giovannifaimani@hotmail.com
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Per la nostra formazione, leggiamo un sermone di San Bernardo di Chiaravalle sul Cantico dei Cantici. Il testo potrà anche essere scaricato in formato pdf cliccando qui; in tal modo potrete costituire e conservare la vostra biblioteca di letture di formazione.
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NOTIZIE E AVVISI
– Ogni domenica e festa di precetto a Milano, nella chiesa di Santa Maria della Consolazione, in largo Cairoli, viene celebrata alle 10.00 la Santa Messa in Rito ambrosiano antico. Per informazioni:http://messatradizionalemilano.blogspot.it/
– Ogni domenica e festa di precetto, a Monza, viene celebrata la Santa Messa in rito antico alle 18.45, nella chiesa delle Adoratrici Perpetue del Santissimo Sacramento, via Italia 37. Per informazioni, cliccare “La Messa di sempre – Monza” .
– Ogni primo venerdì del mese, al Priorato Madonna di Loreto, a Rimini-Spadarolo, alle ore 21, Adorazione Eucaristica notturna per riparare le offese e gli oltraggi al Sacro Cuore di Gesù.
– Ogni primo venerdì del mese, nella parrocchia di Linarolo (Pavia), alle 16.30 si tengono la recita del Santo Rosario di riparazione e delle Litanie, e alle 17.00 la celebrazione della Messa in rito romano antico secondo le intenzioni della Lega per la preghiera di riparazione.
– a Firenze, nell’Oratorio di S. Francesco Poverino, Santa Messa domenicale in rito antico alle ore 10 e tutti i venerdì, alle ore 18.30, Preghiera di Riparazione (S. Rosario, Litanie del Sacro Cuore, Atto di riparazione ed altre preci anche per impetrare l’aiuto divino alla Chiesa martire della ferocia islamica). Per informazioni: Dante Pastorelli, dante.pastorelli@virgilio.it, tel. 055.600804
– Ogni venerdì un gruppo di fedeli si ritrova per la preghiera a Cremona. Per informazioni: Mauro Faverzani – mauro.faverzani@gmail.com
– Ogni primo venerdì del mese viene celebrata la Santa Messa in rito antico alle 19.30 a Modena nella parrocchia dello Spirito Santo in via Fratelli Rosselli. Vi partecipano alcuni aderenti alla Lega di riparazione secondo le intenzioni proposte dalla nostra iniziativa. Ricordiamo che nella medesima chiesa viene celebrata ogni domenica alle 17 la S. Messa (dal 2007) e, a richiesta, anche gli altri sacramenti.
– Se altri sacerdoti fossero disposti a fare lo stesso nella zona in cui operano, ce lo facciano sapere e provvederemo a darne comunicazione.
– Ricordiamo che è possibile anche il semplice incontro tra laici che preghino secondo le intenzioni della Lega come già indicato. Anche in questo caso, sarebbe utile segnalarcelo in modo da poterne dare comunicazione. Rimane il fatto che lo strumento più efficace per la diffusione è il passaparola, che sarebbe meglio chiamare apostolato.
– Nei limiti delle nostre forze, siamo a disposizione per incontrare gli amici che intendono impegnarsi in questa impresa. Per questo, si faccia riferimento all’indirizzo di posta elettronica della Lega di riparazione, legariparazione@email.it , e troveremo il modo e il tempo per farlo.
Paolo Deotto – Alessandro Gnocchi
Sia lodato Gesù Cristo
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LETTURA DI FORMAZIONE
SAN BERNARDO DI CHIARAVALLE
SERMONI SUL CANTICO DEI CANTICI
Sermone III
per scaricare il testo in formato pdf, clicca qui
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I. Il primo bacio, dato ai piedi. II. Il secondo, alle mani. III. Il terzo, della bocca. I. 1. Oggi leggiamo nel libro dell’esperienza. Entrate in voi stessi, e ognuno di voi esamini la sua coscienza sulle cose che stiamo per dire. Vorrei sapere se a qualcuno di voi, come si crede, sia dato di dire: Mi baci con il bacio della sua bocca (Cant 1,1). Infatti, non uno qualsiasi può sinceramente dire questo, ma colui solo che almeno una volta ha ricevuto questo bacio spirituale dalla bocca di Cristo, questi sollecita e ripete volentieri questa sua esperienza. lo penso che nessuno possa sapere che cosa sia questo bacio se non colui che lo riceve. È infatti una manna nascosta, e solo chi ne mangia ne avrà ancora fame. È una fonte sigillata, a cui non comunica un estraneo; ma solamente chi ne beve ne avrà ancora sete. Senti uno che è esperto, come ricerca: Rendimi, dice, la gioia della tua salvezza (Sal 50,14). Non pretenda questo un’anima carica, come la mia, di peccati, ancora soggetta alla passione della sua carne, che non sente ancora la soavità dello spirito, ancora ignara e del tutto inesperta dei gaudi interiori. 2. A una tal anima tuttavia io indico un posto conveniente per la sua salvezza. Non si accosti temerariamente alla bocca del serenissimo Sposo, ma si prostri con me con timore ai piedi del severissimo Signore, e con il pubblicano, non al cielo, ma alla terra, volga tremebonda gli occhi, onde evitare che la sua faccia, abituata alle tenebre, confusa tra i luminari dei cieli e abbagliata da insoliti splendori, sia oppressa dalla gloria e venga nuovamente avvolta dalla caligine di tenebre dense. Non ti sembri, o anima che ti trovi in questa condizione, chiunque tu sia, vile e dispregevole quel posto, dove la santa peccatrice depose i suoi peccati e si rivestì della santità. Ivi l’Etiope mutò la pelle e restituita a nuovo candore, rispondeva ormai con fiducia e con verità a coloro che la rimproveravano: Sono scura, ma bella, figlie di Gerusalemme. (Cant 1,4). Ti stupisci pensando con quale arte e con quali mezzi abbia potuto ottenere questo? Ecco in poche parole: pianse amaramente, e traendo dal profondo del cuore profondi sospiri, scossi da salutari singulti, vomitò il fiele interno. Il celeste Medico subito venne in soccorso, perché velocemente corre la sua parola (Sal 147,15). Non è forse una medicina la parola di Dio? Certamente, e forte e potente, tale che scruta i cuori e le reni. E infine la Parola di Dio è viva, efficace, e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, delle giunture e delle midolla, e scruta i sentimenti e i pensieri del cuore (Eb 4,12). Sull’esempio dunque di questa beata penitente, prostrati anche tu, o misera, e cesserai di essere misera: prostrati anche tu per terra, abbraccia i piedi (di Gesù), placalo con baci, bagnali con lacrime, con le quali non laverai lui, ma te stessa, e sarai come una del gregge delle pecore tosate che ascendono dal bagno, in modo che tu non ardisca levare lo sguardo soffuso di vergogna e di dolore prima di aver udito anche tu: Ti sono rimessi i tuoi peccati (Lc 7,48), e Sorgi, sorgi, prigioniera figlia di Sion, alzati e scuoti da te la polvere (Is 52,1-2).
II. 3. Dopo, pertanto, il primo bacio ai piedi, non presumere ancora di alzarti al bacio della bocca. Ma ti farà come da gradino per salire a quello un altro bacio, che riceverai in secondo luogo. E sentine adesso la ragione. Se Gesù mi avrà detto: Ti sono rimessi i tuoi peccati, che mi gioverà se io non cesserò di peccare? Mi sono tolto la tunica; se me la rimetto che progresso ho fatto? Se di nuovo sporcherò i miei piedi che avevo lavato, che mi gioverà averli lavati? Lordo di ogni genere di vizi, sono stato immerso a lungo nel fango della palude; ma senza dubbio sarà peggio il ricadervi che l’esservi giaciuto. In ultimo, colui che mi ha reso sano, ricordo che mi ha detto: Ecco, sei stato fatto sano, va e non peccare più, perché non ti succeda qualche cosa di peggio (Gv 5,14). Ma è necessario che colui che ha dato la volontà di convertirsi, aggiunga anche la virtù della perseveranza nel bene, perché non torni a fare le cose di cui mi sono pentito, e la nuova condizione diventi peggiore della prima. Guai a me, anche quando sono pentito, se subito toglierà da me la sua mano colui senza del quale io non posso far nulla. Nulla, dico, neppure pentirmi ed evitare il male. Ascolto pertanto ciò che mi consiglia il Sapiente: Nell’orazione, dice, non usare molte parole (Eccli 7,15). Mi spaventa anche la minaccia che il Giudice fa alla pianta che non fa frutti buoni. Lo confesso, per tutte queste cose non sono del tutto contento della prima grazia per cui mi sono pentito dei miei peccati, se non ne riceverò una seconda, che faccia cioè degni frutti di penitenza, e d’ora in poi non torni più al vomito. 4. Dunque, prima di presumere cose più alte e sante, devo prima chiedere e ottenere questo. Non voglio diventare sommo troppo in fretta: voglio progredire poco alla volta. Quanto dispiace a Dio l’impudenza del peccatore, altrettanto gli è grata la verecondia del penitente. Lo placherai più presto, se starai nei tuoi limiti, e non cercherai cose più alte di te. È un lungo e ardito salto dai piedi alla bocca, e neanche conveniente. E che? Di fresco ancora sporco di polvere, ti accosterai alla sacra bocca? Ieri tratto dal fango, oggi ti presenti al volto della gloria? Passa prima per la mano. Essa prima ti purifichi, essa ti sollevi. Come ti solleverà? Dandoti quelle cose per cui tu ardisca aspirare a tanto; e queste cose sono l’ornamento della continenza, e degni frutti di penitenza, che sono opere della pietà. Queste ti innalzeranno dall’immondizia (sterco) e ti daranno la speranza di udire cose più sublimi. E ricevendo il dono, bacia la mano, vale a dire, non a te, ma al suo nome dà gloria. Fallo, e rifallo ancora, sia per i peccati perdonati, sia per le virtù elargite. E così mettiti al sicuro da questo rimprovero: Che cosa hai che tu non abbia ricevuto? E se hai ricevuto, perché ti glorii come se non avessi ricevuto? (1 Cor 4,7).
III. 5. Ormai finalmente hai nei due baci una doppia esperienza della divina degnazione, e non sarà forse più per te presunzione aspirare a cose più sante. Quanto più, infatti, cresci in grazia, tanto più ti dilati per la fiducia. E così avviene che tu ami con più ardore, e bussi con più fiducia per chiedere quello che senti che ti manca ancora. Ora, a chi bussa viene aperto (Lc 11,10). Ormai quel supremo bacio di somma degnazione e di meravigliosa soavità, credo che non sarà più negato a un’anima cosi disposta. Questa è la via, questo l’ordine. Prima di tutto ci prostriamo ai piedi e versiamo lacrime, davanti a Dio che ci ha fatti, per i nostri trascorsi. In secondo luogo cerchiamo la mano che ci sollevi e che dia forza alle nostre ginocchia infiacchite. In ultimo, dopo aver ottenuto questo con molte preghiere e lacrime, avremo forse l’ardire di alzare il capo alla stessa bocca della gloria, avidi e tremanti, dico, non solo per contemplarla, ma per baciarla; poiché lo Spirito Cristo Signore è davanti alla nostra faccia (Lam 4,20), e aderendo a lui nel bacio santo, per sua degnazione formeremo con lui un solo spirito. 6. A Te, o Signore Gesù, a Te giustamente ha detto il mio cuore: Ha cercato te il mio volto, il tuo volto, o Signore, io cercherò (Sal 26,8). Veramente al mattino mi hai fatto udire la tua misericordia, allorché a me che giacevo prima nella polvere e baciavo i tuoi venerabili piedi, hai rimesso i peccati della mia vita. E poi in seguito hai rallegrato l’anima del tuo servo allorché nel bacio della mano mi hai concesso la grazia di praticare il bene. E ora, che rimane, o Signore buono, se non che, ormai nella pienezza della luce, nel fervore dello spirito, ammettendomi anche al bacio della bocca con tua grande degnazione, tu mi dia la gioia piena della tua presenza? Indicami, o soavissimo, o serenissimo, indicami dove tu pascoli, dove riposi nel meriggio (Cant 1,6). Fratelli, è buono per noi stare qui, ma ecco che ci viene a distogliere la malizia del giorno. Quelli infatti che, ci si dice, sono arrivati, ci costringono a interrompere, più che a finire un grato discorso. Io andrò a ricevere gli ospiti, perché nulla manchi ai doveri di quella carità di cui parliamo, perché non ci tocchi sentirci dire: Dicono infatti e non fanno (Mt 23,3). Voi nel frattempo pregate perché il Signore gradisca le offerte delle mie labbra, per la vostra stessa edificazione e per la lode e gloria del suo nome.
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