I quattro chiodi fissi di Bergoglio.
Ma nemmeno il terzo
regge
Ha suscitato molto interesse la doppia confutazione fatta su www.chiesa dal barnabita Giovanni Scalese e dal benedettino Giulio Meiattini dei quattro "postulati" ai quali papa Francesco appende come chiodi il suo pensiero, da lui esposti nell'esortazione programmatica "Evangelii gaudium" e ripresi in altri suoi documenti e discorsi.
A padre Meiattini ha replicato – in difesa delle ragioni "pastorali" del papa – il teologo Andrea Grillo, suo collega di insegnamento al Pontificio Ateneo Sant'Anselmo di Roma. Con immediata controreplica del dotto benedettino:
Il postulato caro a Jorge Mario Bergoglio sul quale i due hanno polemizzato è il primo: quello che asserisce che il tempo è superiore allo spazio.
L'intervento qui di seguito si appunta invece sul terzo dei quattro postulati bergogliani: quello secondo cui la realtà è superiore all'idea.
Ne è autore don Roberto A.M. Bertacchini, canonico della concattedrale di Ortona ed ex gesuita.
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Caro Magister,
seguo come posso le sue accurate riflessioni sulla vita della Chiesa. In particolare ho letto con interesse le analisi circa i quattro postulati del pensiero di Jorge Mario Bergoglio.
Vorrei qui soffermarmi sul terzo di essi: la realtà è superiore all’idea.
Molto opportunamente, Giovanni Scalese ha diffidato da una lettura di esso in chiave metafisico-tomista. E la sua esegesi è chiara e condivisibile. Come ex-gesuita aggiungo un tassello, tipico del modo di procedere della Compagnia: "entrare con la loro e uscire con la nostra". Tradotto: "la loro" è la realtà da cui occorre partire. Perciò non si parte da un principio normativo, ciò che corrisponderebbe al primato dell’idea.
Da un punto di vista pastorale, questo atteggiamento pratico sconfessa molto della pastorale cattolica preconciliare, e rende ragione anche del fatidico: "Chi sono io per giudicare?", che tanto successo ha avuto nel mondo laico, e altrettanto sconcerto ha gettato in quello cattolico. Dal punto di vista delle intenzioni di papa Francesco, sento di condividere la sua volontà critica verso un tradizionale modo di procedere, i cui frutti insoddisfacenti sono innegabili.
C’è però un problema. Un postulato deve essere tetragono a ogni possibile assalto della ragione, altrimenti non si può definire tale. E il terzo postulato – così come esso è formulato – non è solo molto fragile, ma è erroneo e contraddittorio.
Noto anzitutto che la formulazione "la realtà è superiore all’idea" è assoluta, sciolta da qualsivoglia contesto. E allora pretende per se stessa un valore tanto filosofico che teologico; o – parafrasando Bernard Lonergan – pretende un valore veritativo incondizionato, ossia una forza veritativa invulnerabile.
Ebbene, tale pretesa è eccessiva, ed è persino contraddittoria con il secondo principio, secondo cui l’unità prevale sul conflitto.
È eccessiva sul piano filosofico, in quanto negata dal divenire e da una corretta visione antropologica. La capacità progettuale umana dice il contrario, ossia che l’idea è superiore alla realtà, almeno tanto in quanto essa sia in grado di modificarla. Un esempio irrecusabile è l’omicidio. Se la realtà fosse superiore all’idea, esso sarebbe impossibile. Invece, quando si uccide, l’idea omicida prevale sulla realtà/esistenza della vittima.
Ciò non toglie che molte volte la progettualità umana fallisce, sicché è vero che la realtà sovente manifesta resistenze importanti rispetto all’idea, ossia al progetto umano. Da questo punto di vista, la corretta valutazione della realtà e delle resistenze che essa oppone all’idea che si persegua è saggezza. Ossia è quella saggezza condivisibile che probabilmente papa Francesco voleva evidenziare e proporre.
Sul piano teologico, la suddetta formulazione è solo parzialmente evangelica. Lo è in quanto, negli episodi di miracolo, Gesù mostra sempre di partire dalla realtà: e cioè dalla fede di chi chiede, e anche dai bisogni oggettivi che gli vengono manifestati. È antievangelica, in quanto Gesù nella sua predicazione diffonde un immaginario innovativo, che però agirà efficacemente nella storia e sulla storia, modificandola radicalmente.
Si dice comunemente che l’immaginario di oggi sia la realtà di domani, e un motto sessantottino era "immaginare è potere". Ossia: posso prendere il potere, tanto in quanto immagino di poterlo prendere. Perciò l’immaginazione – ossia l’idea – è più fondamentale della realtà, perché esprime il principio anamorfico, mentre la realtà (con le sue resistenze) quello omeostatico-conservativo.
Detto diversamente: anche le idee fanno parte della realtà, perché come minimo fanno parte degli uomini e ne orientano la vita. Però alcune sono innovative e altre no. Le prime talvolta prevalgono, modificando la realtà, ma non sempre. Tuttavia Gesù capisce che il piano dell’immaginario è strategico, ed è su di esso che si gioca la battaglia decisiva. Se non si capisce questo, si capisce ben poco del Vangelo e della pastorale di Gesù. Ma se la battaglia decisiva è una questione di immaginario, ne deriva che secondo Gesù l’Idea prevale sulla realtà. E di tale sua convinzione dà testimonianza con la morte di croce.
Infine, se l’unità prevale sul conflitto- – come predica il secondo postulato – ciò significa che il non essere prevale sull’essere. L’essere è il conflitto-realtà. È il punto di partenza. Naturalmente ogni punto di partenza è superabile. Tuttavia ci sono due modi di superare il conflitto: quello belluino e quello sapiente. Nel modo belluino la dicotomia resta, perché la morte dell’amicizia prevale. Nel modo sapiente l’amicizia prevale attraverso il perdono (Ef 2, 14-16).
Ciò significa che nella visione sapiente l’idea dell’unità prevale sulla realtà del conflitto. Affermando questo secondo principio, Bergoglio si mostra perciò totalmente allineato a Gesù e alla dogmatica neotestamentaria. Ma, nel contempo, si autocontraddice quando afferma il terzo, cioè la superiorità della realtà rispetto all'idea.
Concludendo, il terzo principio è condivisibile quanto alla presumibile intenzione bergogliana; ma è mal formulato, ossia non è un principio generale. Esso ha cioè un valore veritativo che – ben che vada – si restringe entro i presupposti limitativi impliciti, presenti nel pensiero che lo formula. E siccome papa Francesco ha dato più volte prova di un’umiltà apprezzabile, la domanda è quale sia la condizione di possibilità di un infortunio di tal genere: erroneità e contraddittorietà in un documento papale. Eccesso di yes-man nel suo entourage? Deficit di persone capaci di acribia proporzionata? O cos’altro? Ovviamente parto dalla realtà, e mi astengo dall’immaginare.
Roberto A.M. Bertacchini
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