State calmi, è strategia della tensione
E’ troppo presto per dire qualcosa di più preciso. L’assassinio di Ankara è stato rivendicato, più precisamente esaltato, dall’IS e da Al Qaeda, certo come no: attraverso il SITE di Rita Katz. E’ un indizio abbastanza preciso. Anche Obama, anche al Dipartimento di Stato, e alla Cia, hanno ottime ragioni per esaltare l’omicidio, prima di dover traslocare.
A che scopo?, mi chiede qualcuno. Che domanda: uno degli scopi della strategia della tensione, l’ondata sincrona di attentati l’ha già ottenuto dentro di voi: vulnerabili, esposti ad un’aggressione che può colpirvi in ogni momento, perché il nemico, musulmano, è folle . Lo è, infatti; solo pensate che è quel nemico musulmano che vi hanno imposto di accettare a centinaia di migliaia, masse troppo subitanee che manca il tempo di integrare, giovani maschi per lo più, per cui le fanciulle europee sono una provocazione sessuale; quanti di loro sono criminali e pregiudicati? Jihadisti?
Ma se provate a fare questa domanda siete razzisti, egoisti, privi di carità.
La centrale che vi obbliga ad accoglierli tutti, è la stessa che vuol farvi paura –e giustamente – per questa invasione inassimilabile. Contraddizione? Ma questa è uno dei suoi strumenti più preziosi nella strategia della tensione, vi lacera fra due pulsioni opposte, due discrasie cognitive, fra senso di colpa e urto irrazionale di rabbia, voglia di uccidere. E’ un successo.
Perché la strategia della tensione in Europa, in queste ore? Mentre Aleppo è liberata? Mentre Obama fa’ le valige?
Putin, limpido, ha spiegato: “L’assassinio (dell’ambasciatore) è una provocazione mirante a impedire il miglioramento delle relazioni russo-turche, minare il processo di pace in Siria promosso da Russia, Turchia, Iran ed altri paesi interessate a risolvere il conflitto in Siria”.
Per noi europei, la strategia della tensione ha uno scopo quasi tradizionale: farci travolgere dal terrore che è dovunque, odiare i musulmani mentre ci obbligano ad accoglierli, significa che ci sentiamo insicuri – e perciò chiediamo un governo forte, autoritario, con una polizia che censuri i siti – non solo gli islamici, anche i nostri: ne va della nostra vita! Leggi speciali d’emergenza, legge marziale. O stringiamoci tutti sotto l’ombrello della NATO, che ci difende dai jihadisti…
L’oligarchia di Bruxelles travolta dalle critiche e contestazioni, dal crescere del “populismo”, l’Unione Europea che vede incagliato il suo progetto sovrannazionale, può trovarvi il suo tornaconto: imporre ordine e disciplina, recuperare “autorità”. E’ presto per dirlo. Aspettiamo i media di domani, cosa dicono, quali ricette invocano, quale capo o “fratello” per l’emergenza, capace di calmare i nostri terrori: sono le parole d’ordine a cui ci faranno obbedire. Quale il prossimo “Je suis Charly”? Aspettiamo domani.
Un camion chiamato Ariel
(dall’Ansa:
l camion era partito dall’Italia per fare rientro in Polonia. Lo scrive il Guardian, per il quale il mezzo doveva fermarsi a Berlino per consegnare il carico ed il conducente, cugino del proprietario dell’azienda di trasporti polacca, aveva detto di volersi fermare per la serata. Ci sono forti sospetti, afferma il Guardian online, che il mezzo si stato rubato durante il viaggio. L’autocarro è di un’azienda di trasporti di Danzica, che dice di aver perso il contatto con il mezzo attorno alle 16 del pomeriggio.
Il proprietario dell’azienda, identificato solo come Ariel Z, è stato intervistato dall’emittente polacca Tvn24 e ha detto che il mezzo era guidato da suo cugino, che aveva intenzione di passare la serata a Berlino. Ha escluso che il suo parente, che guida camion da 15 anni, possa aver provocato lo schianto.
E’ troppo presto per dire qualcosa di più preciso. L’assassinio di Ankara è stato rivendicato, più precisamente esaltato, dall’IS e da Al Qaeda, certo come no: attraverso il SITE di Rita Katz. E’ un indizio abbastanza preciso. Anche Obama, anche al Dipartimento di Stato, e alla Cia, hanno ottime ragioni per esaltare l’omicidio, prima di dover traslocare.
A che scopo?, mi chiede qualcuno. Che domanda: uno degli scopi della strategia della tensione, l’ondata sincrona di attentati l’ha già ottenuto dentro di voi: vulnerabili, esposti ad un’aggressione che può colpirvi in ogni momento, perché il nemico, musulmano, è folle . Lo è, infatti; solo pensate che è quel nemico musulmano che vi hanno imposto di accettare a centinaia di migliaia, masse troppo subitanee che manca il tempo di integrare, giovani maschi per lo più, per cui le fanciulle europee sono una provocazione sessuale; quanti di loro sono criminali e pregiudicati? Jihadisti?
Ma se provate a fare questa domanda siete razzisti, egoisti, privi di carità.
La centrale che vi obbliga ad accoglierli tutti, è la stessa che vuol farvi paura –e giustamente – per questa invasione inassimilabile. Contraddizione? Ma questa è uno dei suoi strumenti più preziosi nella strategia della tensione, vi lacera fra due pulsioni opposte, due discrasie cognitive, fra senso di colpa e urto irrazionale di rabbia, voglia di uccidere. E’ un successo.
Perché la strategia della tensione in Europa, in queste ore? Mentre Aleppo è liberata? Mentre Obama fa’ le valige?
Putin, limpido, ha spiegato: “L’assassinio (dell’ambasciatore) è una provocazione mirante a impedire il miglioramento delle relazioni russo-turche, minare il processo di pace in Siria promosso da Russia, Turchia, Iran ed altri paesi interessate a risolvere il conflitto in Siria”.
Per noi europei, la strategia della tensione ha uno scopo quasi tradizionale: farci travolgere dal terrore che è dovunque, odiare i musulmani mentre ci obbligano ad accoglierli, significa che ci sentiamo insicuri – e perciò chiediamo un governo forte, autoritario, con una polizia che censuri i siti – non solo gli islamici, anche i nostri: ne va della nostra vita! Leggi speciali d’emergenza, legge marziale. O stringiamoci tutti sotto l’ombrello della NATO, che ci difende dai jihadisti…
L’oligarchia di Bruxelles travolta dalle critiche e contestazioni, dal crescere del “populismo”, l’Unione Europea che vede incagliato il suo progetto sovrannazionale, può trovarvi il suo tornaconto: imporre ordine e disciplina, recuperare “autorità”. E’ presto per dirlo. Aspettiamo i media di domani, cosa dicono, quali ricette invocano, quale capo o “fratello” per l’emergenza, capace di calmare i nostri terrori: sono le parole d’ordine a cui ci faranno obbedire. Quale il prossimo “Je suis Charly”? Aspettiamo domani.
Un camion chiamato Ariel
(dall’Ansa:
l camion era partito dall’Italia per fare rientro in Polonia. Lo scrive il Guardian, per il quale il mezzo doveva fermarsi a Berlino per consegnare il carico ed il conducente, cugino del proprietario dell’azienda di trasporti polacca, aveva detto di volersi fermare per la serata. Ci sono forti sospetti, afferma il Guardian online, che il mezzo si stato rubato durante il viaggio. L’autocarro è di un’azienda di trasporti di Danzica, che dice di aver perso il contatto con il mezzo attorno alle 16 del pomeriggio.
Il proprietario dell’azienda, identificato solo come Ariel Z, è stato intervistato dall’emittente polacca Tvn24 e ha detto che il mezzo era guidato da suo cugino, che aveva intenzione di passare la serata a Berlino. Ha escluso che il suo parente, che guida camion da 15 anni, possa aver provocato lo schianto.
Omicidio Karlov: un’esecuzione in diretta, opera di cani rabbiosiTwitter: @FedericoDezzani
Omicidio Karlov: un’esecuzione in diretta, opera di cani rabbiosiTwitter: @FedericoDezzani
È stato vittima di un’esecuzione quasi in diretta l’ambasciatore russo in Turchia, Andrei Karlov, freddato con una raffica di colpi alla Galleria d’Arte Moderna d’Ankara: le grida dell’omicida, un poliziotto poco più che 20enne, inducono i media a parlare di terrorismo di matrice islamista, una vendetta per le vicende di Aleppo. Diversi elementi suggeriscono che la pista dell’estremismo religioso sia solo un paravento e che dietro l’assassinio si nascondano i servizi atlantici, ancora radicati in Turchia grazie alla rete dell’imam Fethullah Gülen. Difficilmente tra Russia e Turchia scenderà il gelo, perché il Cremlino farebbe così il gioco dei mandanti: l’omicidio dell’ambasciatore Karlov è però una spia dell’attuale clima internazionale. L’establishment atlantico agisce sempre più come un cane rabbioso.
No, non ci sarà nessuna rottura russo-turca
Lunedì 19 dicembre, Ankara, Galleria d’Arte moderna: l’ambasciatore russo in Turchia, Andrei Karlov, sta tenendo un discorso all’inaugurazione della mostra “la Russia vista dai Turchi”. Prima che inizi a parlare, si posiziona alle sue spalle un uomo: è vestito con camicia bianca e cravatta nera, giovane, ben rasato e composto. L’ambasciatore russo si cimenta nel classico discorso di routine per simili occasioni.
Il ragazzo alle sue spalle estrae la pistola e gli scarica diversi colpi in corpo, in una drammatica sequenza immortalata dalle telecamere rivolte verso Karlov1.
L’attentatore non fugge, né esce dal campo delle telecamere, ma rivendica platealmente il gesto: “Allaha Akbahar”, “Non dimenticate Aleppo, non dimenticate la Siria”, “noi moriamo in Siria voi morite qua”, etc. etc. A quel punto il racconto video si interrompe: intervengono le forze di sicurezza, liquidano il terrorista e, per soddisfare il pubblico che ama il feticcio dei cadaveri, sarà pubblicata solo la sua foto dopo il blitz, riverso a terra e sanguinante, sullo sfondo di un muro crivellato.
Andrei Karlov è dichiarato ufficialmente morto poco dopo, ottenendo così il triste primato di primo ambasciatore russo ucciso in servizio in quasi due secoli di storia: bisogna infatti risalire all’assalto alla delegazione russa a Teheran, nel 1829, per trovare un caso analogo. Trascorrano poche ore ancora e anche l’omicida riceve un nome: è Mevlut Mert Altintas, 22enne, di professione poliziotto. Sfruttando il tesserino, Altintas ha potuto introdursi armato in sala, posizionarsi alle spalle dell’ambasciatore e freddarlo al momento opportuno.
A corroborare la pista jihadista interviene, come sempre in questi casi, l’israeliana Rita Katz e la sua società Site Intelligence Group, che sondano la rete alla ricerca di ciò che l’ISIS pensa e dice: il loro lavoro è così prezioso che, in sua assenza, il Califfato sarebbe senza voce. La galassia dell’ISIS, dice la Katz, è in grande fermento per l’assassinio di Karlov e saluta il terrorista come un eroe, caduto difendendo gli eroi di Aleppo.
La matrice “islamista” dell’attentato è credibile? L’assassinio è il secondo, drammatico, atto di un’escalation tra Russia e Turchia dopo l’abbattimento del Su-24 russo nel novembre 2015? C’è da attendersi un repentino deterioramento delle relazioni russo-turche?
La risposta a tutte le domande è: no.
Seguendo il classico ragionamento deduttivo, partiremo dal generale per scendere al particolare, dimostrando come la clamorosa uccisione dell’ambasciatore russo in Turchia non sia opera di un fanatico isolato, ma dei servizi atlantici, decisi asabotare qualsiasi intesa tra Mosca ed Ankara in un momento cruciale del conflitto siriano. Partiremo quindi dall’analisi geopolitica per scendere ai dettagli dell’omicidio di Karlov: sarà un percorso agevole e lineare, che non lascerà alcun dubbio sulla matrice “NATO” dell’attentato.
La Russia e la Turchia sono state, per quasi cinque anni, sul lato opposto della barricata nella guerra siriana: Mosca a sostegno di Bashar Assad, Ankara a fianco dell’insurrezione armata e poi dell’ISIS. La prima difendendo uno storico alleato regionale, la seconda allettata da sogni neo-ottomani, sapientemente alimentati dagli angloamericani che hanno sfruttato la Turchia per i loro piani di destabilizzazione del Medio Oriente. Dalla Turchia, partono armi e terroristi, verso la Turchia, viaggiano i camion cisterna carichi di petrolio, da cui il Califatto trae il suo sostentamento.
Mosca, nell’autunno 2015, scende direttamente in campo inviando una spedizione militare che nel volgere di poche settimane sposta gli equilibri del conflitto a favore di Damasco. Ankara, sobillata dagli angloamericani (che promettono probabilmente a Recep Erdogan di schierarsi a fianco dell’alleato NATO qualsiasi cosa capiti), reagisce abbattendo il Su-24 russo nei cieli siriani: i rapporti tra Ankara e Mosca precipitano ed il Cremlino adotta una serie di misure economiche in rappresaglia.
L’appoggio angloamericano, però, non supera all’atto pratico qualche tiepido pronunciamento da parte del segretario della NATO, Jens Stoltenberg, e del presidente degli Stati Uniti, Barack Obama: Ankara è sostanzialmente lasciata sola dinnanzi ad una superpotenza nucleare, avvelenata per la pugnalata alle spalle. Non solo. Più i mesi passano e più Recep Erdogan intuisce quali siano i progetti più reconditi “dell’Occidente”: smembrare Siria ed Iraq, a vantaggio di un nascente Kurdistannel cuore del Medio Oriente. La prospettiva è inquietante per Ankara, perché una simile entità finirebbe, presto o tardi, colcannibalizzare le regioni turche a maggioranza curda.
Tradito ed isolato, il “sultano” Erdogan cambia radicalmente strategia: licenzia Ahmet Davutoglu, artefice della politica neo-ottomana ed anti-russa, e nomina un nuovo premier che, il 13 luglio, apre alla riconciliazione con la Siria e Bashar Assad. Come impedire la defezione di Ankara ed una ricomposizione tra Erdogan e Putin? Semplice: destabilizzando la Turchia.Scatta così il colpo di Stato del 15 luglio che, come analizzammo a suo tempo, non mirava tanto a defenestrare Erdogan per sostituirlo con una giunta militare quanto, piuttosto, a scatenare una guerra civile così da gettare il Paese nel caos, sul modello delle insurrezioni in Libia e Siria.
C’è chi dice che durante le concitate ore del golpe Erdogan fosse nascosto in una base russa; chi dice che Mosca abbia giocato un ruolo di primo piano nello sventare il putsch: di certo sappiamo soltanto che Recep Erdogan, represso col pugno di ferro il colpo di Stato, vola il 9 agosto a San Pietroburgo per incontrarsi con Vladimir Putin, per la prima visita dopo la rottura diplomatica dell’anno precedente. In parallelo, i rapporti con gli USA precipitano: ministri e giornali vicino al governo accusano direttamente Washington di essere all’origine del putsch, mentre lo stesso Erdogan chiede con insistenza l’estradizione dell’imam Fethullah Gülen, suo vecchio padrino politico oggi residente in Pennsylvania e padrone di un impero mediatico-religioso benedetto dalla CIA.
Lo scenario per gli strateghi angloamericani volge al peggio: si è passati dall’auspicata guerra civile tra sciiti e sunniti ad una riappacificazione tra Ankara e Teheran, benedetta da Mosca, in chiave anti-curda ed anti-occidentale. “Iran and Turkey agree to cooperate over Syria” scrive con rammarico la qatariota Aljazeera nell’agosto 20162, presagendo il rischio di un’intesa tra i due Paesi a discapito dell’ISIS e dell’insurrezione islamista.
Grazie al disimpegno di Ankara dal dossier siriano (non totale, perché urterebbe troppi interessi nazionali ed internazionali, ma comunque determinante), russi ed iraniani possono infatti stringere il cerchio intorno ad Aleppo, sino alla totale riconquista del 12 dicembre. Il colpo per Washington e le altre cancellerie occidentali che hanno investito un enorme capitale politico sulla caduta di Assad (Londra, Parigi e Tel Aviv) è durissimo: il “regime di Bashar” riporta una vittoria decisiva e Mosca, galvanizzata dal successo, si afferma come il nuovo dominus del Medio Oriente a discapito delle vecchie potenze occidentali. Gli equilibri regionali si decidono ormai al Cremlino, che si assume l’onore e l’onore di conciliare gli interessi, spesso divergenti, dei diversi attori.
A distanza di poco più di una settimana dalla liberazione di Aleppo, è in programma infatti a Mosca una trilaterale tra Russia, Iran e Turchia per discutere sul conflitto siriano alla luce degli ultimi sviluppi: “Russia, Iran and Turkey to hold Syria talks in Moscow on Tuesday” scrive la Reuters il 19 dicembre. Nelle stesse ore in cui esce l’agenzia, l’ambasciatore russo Andrei Karlov è ucciso ad Ankara, nella Galleria d’Arte Moderna, per mano del poliziotto Mevlut Mert Altintas.
Possiamo quindi dedurre senza difficoltà l’identità dei mandanti dell’attentato: ad armare la mano dell’assassino di Karlov sono gli stessi che dal 2011 in avanti hanno tentato di rovesciare Assad, gli stessi che hanno inoculato il germe dell’ISIS in Siria, gli stessi che hanno ordito il putsch militare in Turchia della scorsa estate, gli stessi che sognavano un zona d’interdizione di volo sopra la Siria, gli stessi che hanno interesse a sabotare un’intesa tra Turchia, Russia ed Iran. Sono Washington ed i suoi alleati.
Il nostro ragionamento si sposta quindi sulla dinamica dell’omicidio: afferrata le realtà a scala generale, grazie all’analisi geopolitica, non ci resta che calarla nel particolare, evidenziando tutte le peculiarità dell’omicidio Karlov che rivelano l’inconfutabile “zampino” dei servizi segreti atlantici:
- il poliziotto Mevlut Mert Altintas non avrebbe mai potuto introdursi armato nella Galleria d’Arte moderna e posizionarsi alle spalle dell’ambasciatore, né quest’ultimo essere separato dai propri guardaspalle, se un’attenta regia non avesse pianificato nel minimo dettaglio l’operazione: qualcuno ha agito perché tutte le misure di sicurezza fossero aggirate;
- la presenza di una regia nell’omicidio di Karlov è testimoniata dalla sua esecuzione “a favore di telecamera” e dalla velocità con cui il video ha lasciato la Galleria d’Arte Moderna per invadere la rete ed i media: è stato quasi un omicidio in diretta, così da aumentarne esponenzialmente l’impatto. Il filmato, in altre circostanze, difficilmente avrebbe lasciato la scena del crimine, certamente non così in fretta. Il killer è stato attentamente istruito per agire dentro il campo della telecamera, così da confezionare un video sulla falsariga di quelli prodotti dall’ISIS o da Al Qaida: il poliziotto Mevlut Mert Altintas è nell’inquadratura delle camere prima, durante e dopo l’omicidio;
- l’attentatore non è un funzionario di polizia qualsiasi: membro delle unità anti-sommossa, ha fatto parte anche dellascorta di Recep Erdogan3. Per avvicinare il presidente turco ed essere assegnato al suo corpo di sicurezza personale, Mevlut Mert Altintas deve aver superato un accurato esame psicofisico e politico. Ciò corrobora la tesi del sindaco di Ankara, Melih Gokcek, secondo cui l’attentatore fosse un membro della rete dell’imam Fethullah Gülen, radicata sia nella magistratura che nelle forze dell’ordine. Ricordiamo che Gülen, mentore di Erdogan e suo alleato fino al 2015, ha orchestrato dall’esilio dorato in Pennsylvania il putsch militare della scorsa estate;
- la concomitanza dell’omicidio di Karlov con l’attentato di Berlino, una riedizione della strage di Nizza del luglio scorso, indica una comune regia ed un’attenta pianificazione: una serie di attacchi terroristici simultanei o separati da poco tempo, hanno un effetto stordente sull’opinione pubblica, che non ha il tempo per metabolizzare gli avvenimenti né la possibilità di porsi interrogativi su quanto stia realmente avvenendo. Lo si è già visto quest’estate in Francia: il 14 luglio muoiono un’ottantina di persone ed il 26 luglio, quando le domande senza risposta sulla strage abbondano ancora, l’attenzione è già dirottata sulla barbara uccisione del parroco di Rouen.
Quali conclusioni si possono quindi trarre dall’omicidio Karlov?
Difficilmente Mosca ed Ankara romperanno i rapporti come lo scorso novembre dopo l’abbattimento del Su-24, perché così facendo agirebbero secondo i piani di chi ha orchestrato l’attentato. L’assassinio dell’ambasciatore è però una spia del clima internazionale che si respira. Il 2016 è stato un annus horribilis per l’establishment euro-atlantico: il referendum inglese di giugno ha decretato l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, le presidenziali americane hanno incoronato il populista e filo-putiniano Donald Trump, le forze centrifughe in seno all’eurozona hanno raggiunto livelli allarmanti, la Russia si è imposta come potenza di primo piano in Medio Oriente, la guerra siriana ha svoltato a favore di Bashar Assad.
Cresce l’impotenza dell’oligarchia e ed aumenta, di conseguenza, la sua ferocia: attentati, omicidi e stragi sono ormai tanto frequenti e clamorosi quanto approssimativi e spudorati. L’esecuzione in diretta dell’ambasciatore Andrei Karlov confermare la sensazione che, avvicinandosi la fine, il Potere si comporti sempre più come un cane rabbioso.
1https://www.youtube.com/watch?v=mujTdkw7LeQ
2http://www.aljazeera.com/news/2016/08/iran-turkey-agree-cooperate-syria-160812141119888.html
3http://www.repubblica.it/esteri/2016/12/19/news/turchia_attentato_ambasciatore_ferito-154466100/?ref=HRER3-1
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Lunedì 19 dicembre, Ankara, Galleria d’Arte moderna: l’ambasciatore russo in Turchia, Andrei Karlov, sta tenendo un discorso all’inaugurazione della mostra “la Russia vista dai Turchi”. Prima che inizi a parlare, si posiziona alle sue spalle un uomo: è vestito con camicia bianca e cravatta nera, giovane, ben rasato e composto. L’ambasciatore russo si cimenta nel classico discorso di routine per simili occasioni.
Il ragazzo alle sue spalle estrae la pistola e gli scarica diversi colpi in corpo, in una drammatica sequenza immortalata dalle telecamere rivolte verso Karlov1.
L’attentatore non fugge, né esce dal campo delle telecamere, ma rivendica platealmente il gesto: “Allaha Akbahar”, “Non dimenticate Aleppo, non dimenticate la Siria”, “noi moriamo in Siria voi morite qua”, etc. etc. A quel punto il racconto video si interrompe: intervengono le forze di sicurezza, liquidano il terrorista e, per soddisfare il pubblico che ama il feticcio dei cadaveri, sarà pubblicata solo la sua foto dopo il blitz, riverso a terra e sanguinante, sullo sfondo di un muro crivellato.
Andrei Karlov è dichiarato ufficialmente morto poco dopo, ottenendo così il triste primato di primo ambasciatore russo ucciso in servizio in quasi due secoli di storia: bisogna infatti risalire all’assalto alla delegazione russa a Teheran, nel 1829, per trovare un caso analogo. Trascorrano poche ore ancora e anche l’omicida riceve un nome: è Mevlut Mert Altintas, 22enne, di professione poliziotto. Sfruttando il tesserino, Altintas ha potuto introdursi armato in sala, posizionarsi alle spalle dell’ambasciatore e freddarlo al momento opportuno.
A corroborare la pista jihadista interviene, come sempre in questi casi, l’israeliana Rita Katz e la sua società Site Intelligence Group, che sondano la rete alla ricerca di ciò che l’ISIS pensa e dice: il loro lavoro è così prezioso che, in sua assenza, il Califfato sarebbe senza voce. La galassia dell’ISIS, dice la Katz, è in grande fermento per l’assassinio di Karlov e saluta il terrorista come un eroe, caduto difendendo gli eroi di Aleppo.
La matrice “islamista” dell’attentato è credibile? L’assassinio è il secondo, drammatico, atto di un’escalation tra Russia e Turchia dopo l’abbattimento del Su-24 russo nel novembre 2015? C’è da attendersi un repentino deterioramento delle relazioni russo-turche?
La risposta a tutte le domande è: no.
Seguendo il classico ragionamento deduttivo, partiremo dal generale per scendere al particolare, dimostrando come la clamorosa uccisione dell’ambasciatore russo in Turchia non sia opera di un fanatico isolato, ma dei servizi atlantici, decisi asabotare qualsiasi intesa tra Mosca ed Ankara in un momento cruciale del conflitto siriano. Partiremo quindi dall’analisi geopolitica per scendere ai dettagli dell’omicidio di Karlov: sarà un percorso agevole e lineare, che non lascerà alcun dubbio sulla matrice “NATO” dell’attentato.
La Russia e la Turchia sono state, per quasi cinque anni, sul lato opposto della barricata nella guerra siriana: Mosca a sostegno di Bashar Assad, Ankara a fianco dell’insurrezione armata e poi dell’ISIS. La prima difendendo uno storico alleato regionale, la seconda allettata da sogni neo-ottomani, sapientemente alimentati dagli angloamericani che hanno sfruttato la Turchia per i loro piani di destabilizzazione del Medio Oriente. Dalla Turchia, partono armi e terroristi, verso la Turchia, viaggiano i camion cisterna carichi di petrolio, da cui il Califatto trae il suo sostentamento.
Mosca, nell’autunno 2015, scende direttamente in campo inviando una spedizione militare che nel volgere di poche settimane sposta gli equilibri del conflitto a favore di Damasco. Ankara, sobillata dagli angloamericani (che promettono probabilmente a Recep Erdogan di schierarsi a fianco dell’alleato NATO qualsiasi cosa capiti), reagisce abbattendo il Su-24 russo nei cieli siriani: i rapporti tra Ankara e Mosca precipitano ed il Cremlino adotta una serie di misure economiche in rappresaglia.
L’appoggio angloamericano, però, non supera all’atto pratico qualche tiepido pronunciamento da parte del segretario della NATO, Jens Stoltenberg, e del presidente degli Stati Uniti, Barack Obama: Ankara è sostanzialmente lasciata sola dinnanzi ad una superpotenza nucleare, avvelenata per la pugnalata alle spalle. Non solo. Più i mesi passano e più Recep Erdogan intuisce quali siano i progetti più reconditi “dell’Occidente”: smembrare Siria ed Iraq, a vantaggio di un nascente Kurdistannel cuore del Medio Oriente. La prospettiva è inquietante per Ankara, perché una simile entità finirebbe, presto o tardi, colcannibalizzare le regioni turche a maggioranza curda.
Tradito ed isolato, il “sultano” Erdogan cambia radicalmente strategia: licenzia Ahmet Davutoglu, artefice della politica neo-ottomana ed anti-russa, e nomina un nuovo premier che, il 13 luglio, apre alla riconciliazione con la Siria e Bashar Assad. Come impedire la defezione di Ankara ed una ricomposizione tra Erdogan e Putin? Semplice: destabilizzando la Turchia.Scatta così il colpo di Stato del 15 luglio che, come analizzammo a suo tempo, non mirava tanto a defenestrare Erdogan per sostituirlo con una giunta militare quanto, piuttosto, a scatenare una guerra civile così da gettare il Paese nel caos, sul modello delle insurrezioni in Libia e Siria.
C’è chi dice che durante le concitate ore del golpe Erdogan fosse nascosto in una base russa; chi dice che Mosca abbia giocato un ruolo di primo piano nello sventare il putsch: di certo sappiamo soltanto che Recep Erdogan, represso col pugno di ferro il colpo di Stato, vola il 9 agosto a San Pietroburgo per incontrarsi con Vladimir Putin, per la prima visita dopo la rottura diplomatica dell’anno precedente. In parallelo, i rapporti con gli USA precipitano: ministri e giornali vicino al governo accusano direttamente Washington di essere all’origine del putsch, mentre lo stesso Erdogan chiede con insistenza l’estradizione dell’imam Fethullah Gülen, suo vecchio padrino politico oggi residente in Pennsylvania e padrone di un impero mediatico-religioso benedetto dalla CIA.
Lo scenario per gli strateghi angloamericani volge al peggio: si è passati dall’auspicata guerra civile tra sciiti e sunniti ad una riappacificazione tra Ankara e Teheran, benedetta da Mosca, in chiave anti-curda ed anti-occidentale. “Iran and Turkey agree to cooperate over Syria” scrive con rammarico la qatariota Aljazeera nell’agosto 20162, presagendo il rischio di un’intesa tra i due Paesi a discapito dell’ISIS e dell’insurrezione islamista.
Grazie al disimpegno di Ankara dal dossier siriano (non totale, perché urterebbe troppi interessi nazionali ed internazionali, ma comunque determinante), russi ed iraniani possono infatti stringere il cerchio intorno ad Aleppo, sino alla totale riconquista del 12 dicembre. Il colpo per Washington e le altre cancellerie occidentali che hanno investito un enorme capitale politico sulla caduta di Assad (Londra, Parigi e Tel Aviv) è durissimo: il “regime di Bashar” riporta una vittoria decisiva e Mosca, galvanizzata dal successo, si afferma come il nuovo dominus del Medio Oriente a discapito delle vecchie potenze occidentali. Gli equilibri regionali si decidono ormai al Cremlino, che si assume l’onore e l’onore di conciliare gli interessi, spesso divergenti, dei diversi attori.
A distanza di poco più di una settimana dalla liberazione di Aleppo, è in programma infatti a Mosca una trilaterale tra Russia, Iran e Turchia per discutere sul conflitto siriano alla luce degli ultimi sviluppi: “Russia, Iran and Turkey to hold Syria talks in Moscow on Tuesday” scrive la Reuters il 19 dicembre. Nelle stesse ore in cui esce l’agenzia, l’ambasciatore russo Andrei Karlov è ucciso ad Ankara, nella Galleria d’Arte Moderna, per mano del poliziotto Mevlut Mert Altintas.
Possiamo quindi dedurre senza difficoltà l’identità dei mandanti dell’attentato: ad armare la mano dell’assassino di Karlov sono gli stessi che dal 2011 in avanti hanno tentato di rovesciare Assad, gli stessi che hanno inoculato il germe dell’ISIS in Siria, gli stessi che hanno ordito il putsch militare in Turchia della scorsa estate, gli stessi che sognavano un zona d’interdizione di volo sopra la Siria, gli stessi che hanno interesse a sabotare un’intesa tra Turchia, Russia ed Iran. Sono Washington ed i suoi alleati.
Il nostro ragionamento si sposta quindi sulla dinamica dell’omicidio: afferrata le realtà a scala generale, grazie all’analisi geopolitica, non ci resta che calarla nel particolare, evidenziando tutte le peculiarità dell’omicidio Karlov che rivelano l’inconfutabile “zampino” dei servizi segreti atlantici:
Difficilmente Mosca ed Ankara romperanno i rapporti come lo scorso novembre dopo l’abbattimento del Su-24, perché così facendo agirebbero secondo i piani di chi ha orchestrato l’attentato. L’assassinio dell’ambasciatore è però una spia del clima internazionale che si respira. Il 2016 è stato un annus horribilis per l’establishment euro-atlantico: il referendum inglese di giugno ha decretato l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, le presidenziali americane hanno incoronato il populista e filo-putiniano Donald Trump, le forze centrifughe in seno all’eurozona hanno raggiunto livelli allarmanti, la Russia si è imposta come potenza di primo piano in Medio Oriente, la guerra siriana ha svoltato a favore di Bashar Assad.
Cresce l’impotenza dell’oligarchia e ed aumenta, di conseguenza, la sua ferocia: attentati, omicidi e stragi sono ormai tanto frequenti e clamorosi quanto approssimativi e spudorati. L’esecuzione in diretta dell’ambasciatore Andrei Karlov confermare la sensazione che, avvicinandosi la fine, il Potere si comporti sempre più come un cane rabbioso.
Il ragazzo alle sue spalle estrae la pistola e gli scarica diversi colpi in corpo, in una drammatica sequenza immortalata dalle telecamere rivolte verso Karlov1.
L’attentatore non fugge, né esce dal campo delle telecamere, ma rivendica platealmente il gesto: “Allaha Akbahar”, “Non dimenticate Aleppo, non dimenticate la Siria”, “noi moriamo in Siria voi morite qua”, etc. etc. A quel punto il racconto video si interrompe: intervengono le forze di sicurezza, liquidano il terrorista e, per soddisfare il pubblico che ama il feticcio dei cadaveri, sarà pubblicata solo la sua foto dopo il blitz, riverso a terra e sanguinante, sullo sfondo di un muro crivellato.
Andrei Karlov è dichiarato ufficialmente morto poco dopo, ottenendo così il triste primato di primo ambasciatore russo ucciso in servizio in quasi due secoli di storia: bisogna infatti risalire all’assalto alla delegazione russa a Teheran, nel 1829, per trovare un caso analogo. Trascorrano poche ore ancora e anche l’omicida riceve un nome: è Mevlut Mert Altintas, 22enne, di professione poliziotto. Sfruttando il tesserino, Altintas ha potuto introdursi armato in sala, posizionarsi alle spalle dell’ambasciatore e freddarlo al momento opportuno.
A corroborare la pista jihadista interviene, come sempre in questi casi, l’israeliana Rita Katz e la sua società Site Intelligence Group, che sondano la rete alla ricerca di ciò che l’ISIS pensa e dice: il loro lavoro è così prezioso che, in sua assenza, il Califfato sarebbe senza voce. La galassia dell’ISIS, dice la Katz, è in grande fermento per l’assassinio di Karlov e saluta il terrorista come un eroe, caduto difendendo gli eroi di Aleppo.
La matrice “islamista” dell’attentato è credibile? L’assassinio è il secondo, drammatico, atto di un’escalation tra Russia e Turchia dopo l’abbattimento del Su-24 russo nel novembre 2015? C’è da attendersi un repentino deterioramento delle relazioni russo-turche?
La risposta a tutte le domande è: no.
Seguendo il classico ragionamento deduttivo, partiremo dal generale per scendere al particolare, dimostrando come la clamorosa uccisione dell’ambasciatore russo in Turchia non sia opera di un fanatico isolato, ma dei servizi atlantici, decisi asabotare qualsiasi intesa tra Mosca ed Ankara in un momento cruciale del conflitto siriano. Partiremo quindi dall’analisi geopolitica per scendere ai dettagli dell’omicidio di Karlov: sarà un percorso agevole e lineare, che non lascerà alcun dubbio sulla matrice “NATO” dell’attentato.
La Russia e la Turchia sono state, per quasi cinque anni, sul lato opposto della barricata nella guerra siriana: Mosca a sostegno di Bashar Assad, Ankara a fianco dell’insurrezione armata e poi dell’ISIS. La prima difendendo uno storico alleato regionale, la seconda allettata da sogni neo-ottomani, sapientemente alimentati dagli angloamericani che hanno sfruttato la Turchia per i loro piani di destabilizzazione del Medio Oriente. Dalla Turchia, partono armi e terroristi, verso la Turchia, viaggiano i camion cisterna carichi di petrolio, da cui il Califatto trae il suo sostentamento.
Mosca, nell’autunno 2015, scende direttamente in campo inviando una spedizione militare che nel volgere di poche settimane sposta gli equilibri del conflitto a favore di Damasco. Ankara, sobillata dagli angloamericani (che promettono probabilmente a Recep Erdogan di schierarsi a fianco dell’alleato NATO qualsiasi cosa capiti), reagisce abbattendo il Su-24 russo nei cieli siriani: i rapporti tra Ankara e Mosca precipitano ed il Cremlino adotta una serie di misure economiche in rappresaglia.
L’appoggio angloamericano, però, non supera all’atto pratico qualche tiepido pronunciamento da parte del segretario della NATO, Jens Stoltenberg, e del presidente degli Stati Uniti, Barack Obama: Ankara è sostanzialmente lasciata sola dinnanzi ad una superpotenza nucleare, avvelenata per la pugnalata alle spalle. Non solo. Più i mesi passano e più Recep Erdogan intuisce quali siano i progetti più reconditi “dell’Occidente”: smembrare Siria ed Iraq, a vantaggio di un nascente Kurdistannel cuore del Medio Oriente. La prospettiva è inquietante per Ankara, perché una simile entità finirebbe, presto o tardi, colcannibalizzare le regioni turche a maggioranza curda.
Tradito ed isolato, il “sultano” Erdogan cambia radicalmente strategia: licenzia Ahmet Davutoglu, artefice della politica neo-ottomana ed anti-russa, e nomina un nuovo premier che, il 13 luglio, apre alla riconciliazione con la Siria e Bashar Assad. Come impedire la defezione di Ankara ed una ricomposizione tra Erdogan e Putin? Semplice: destabilizzando la Turchia.Scatta così il colpo di Stato del 15 luglio che, come analizzammo a suo tempo, non mirava tanto a defenestrare Erdogan per sostituirlo con una giunta militare quanto, piuttosto, a scatenare una guerra civile così da gettare il Paese nel caos, sul modello delle insurrezioni in Libia e Siria.
C’è chi dice che durante le concitate ore del golpe Erdogan fosse nascosto in una base russa; chi dice che Mosca abbia giocato un ruolo di primo piano nello sventare il putsch: di certo sappiamo soltanto che Recep Erdogan, represso col pugno di ferro il colpo di Stato, vola il 9 agosto a San Pietroburgo per incontrarsi con Vladimir Putin, per la prima visita dopo la rottura diplomatica dell’anno precedente. In parallelo, i rapporti con gli USA precipitano: ministri e giornali vicino al governo accusano direttamente Washington di essere all’origine del putsch, mentre lo stesso Erdogan chiede con insistenza l’estradizione dell’imam Fethullah Gülen, suo vecchio padrino politico oggi residente in Pennsylvania e padrone di un impero mediatico-religioso benedetto dalla CIA.
Lo scenario per gli strateghi angloamericani volge al peggio: si è passati dall’auspicata guerra civile tra sciiti e sunniti ad una riappacificazione tra Ankara e Teheran, benedetta da Mosca, in chiave anti-curda ed anti-occidentale. “Iran and Turkey agree to cooperate over Syria” scrive con rammarico la qatariota Aljazeera nell’agosto 20162, presagendo il rischio di un’intesa tra i due Paesi a discapito dell’ISIS e dell’insurrezione islamista.
Grazie al disimpegno di Ankara dal dossier siriano (non totale, perché urterebbe troppi interessi nazionali ed internazionali, ma comunque determinante), russi ed iraniani possono infatti stringere il cerchio intorno ad Aleppo, sino alla totale riconquista del 12 dicembre. Il colpo per Washington e le altre cancellerie occidentali che hanno investito un enorme capitale politico sulla caduta di Assad (Londra, Parigi e Tel Aviv) è durissimo: il “regime di Bashar” riporta una vittoria decisiva e Mosca, galvanizzata dal successo, si afferma come il nuovo dominus del Medio Oriente a discapito delle vecchie potenze occidentali. Gli equilibri regionali si decidono ormai al Cremlino, che si assume l’onore e l’onore di conciliare gli interessi, spesso divergenti, dei diversi attori.
A distanza di poco più di una settimana dalla liberazione di Aleppo, è in programma infatti a Mosca una trilaterale tra Russia, Iran e Turchia per discutere sul conflitto siriano alla luce degli ultimi sviluppi: “Russia, Iran and Turkey to hold Syria talks in Moscow on Tuesday” scrive la Reuters il 19 dicembre. Nelle stesse ore in cui esce l’agenzia, l’ambasciatore russo Andrei Karlov è ucciso ad Ankara, nella Galleria d’Arte Moderna, per mano del poliziotto Mevlut Mert Altintas.
Possiamo quindi dedurre senza difficoltà l’identità dei mandanti dell’attentato: ad armare la mano dell’assassino di Karlov sono gli stessi che dal 2011 in avanti hanno tentato di rovesciare Assad, gli stessi che hanno inoculato il germe dell’ISIS in Siria, gli stessi che hanno ordito il putsch militare in Turchia della scorsa estate, gli stessi che sognavano un zona d’interdizione di volo sopra la Siria, gli stessi che hanno interesse a sabotare un’intesa tra Turchia, Russia ed Iran. Sono Washington ed i suoi alleati.
Il nostro ragionamento si sposta quindi sulla dinamica dell’omicidio: afferrata le realtà a scala generale, grazie all’analisi geopolitica, non ci resta che calarla nel particolare, evidenziando tutte le peculiarità dell’omicidio Karlov che rivelano l’inconfutabile “zampino” dei servizi segreti atlantici:
- il poliziotto Mevlut Mert Altintas non avrebbe mai potuto introdursi armato nella Galleria d’Arte moderna e posizionarsi alle spalle dell’ambasciatore, né quest’ultimo essere separato dai propri guardaspalle, se un’attenta regia non avesse pianificato nel minimo dettaglio l’operazione: qualcuno ha agito perché tutte le misure di sicurezza fossero aggirate;
- la presenza di una regia nell’omicidio di Karlov è testimoniata dalla sua esecuzione “a favore di telecamera” e dalla velocità con cui il video ha lasciato la Galleria d’Arte Moderna per invadere la rete ed i media: è stato quasi un omicidio in diretta, così da aumentarne esponenzialmente l’impatto. Il filmato, in altre circostanze, difficilmente avrebbe lasciato la scena del crimine, certamente non così in fretta. Il killer è stato attentamente istruito per agire dentro il campo della telecamera, così da confezionare un video sulla falsariga di quelli prodotti dall’ISIS o da Al Qaida: il poliziotto Mevlut Mert Altintas è nell’inquadratura delle camere prima, durante e dopo l’omicidio;
- l’attentatore non è un funzionario di polizia qualsiasi: membro delle unità anti-sommossa, ha fatto parte anche dellascorta di Recep Erdogan3. Per avvicinare il presidente turco ed essere assegnato al suo corpo di sicurezza personale, Mevlut Mert Altintas deve aver superato un accurato esame psicofisico e politico. Ciò corrobora la tesi del sindaco di Ankara, Melih Gokcek, secondo cui l’attentatore fosse un membro della rete dell’imam Fethullah Gülen, radicata sia nella magistratura che nelle forze dell’ordine. Ricordiamo che Gülen, mentore di Erdogan e suo alleato fino al 2015, ha orchestrato dall’esilio dorato in Pennsylvania il putsch militare della scorsa estate;
- la concomitanza dell’omicidio di Karlov con l’attentato di Berlino, una riedizione della strage di Nizza del luglio scorso, indica una comune regia ed un’attenta pianificazione: una serie di attacchi terroristici simultanei o separati da poco tempo, hanno un effetto stordente sull’opinione pubblica, che non ha il tempo per metabolizzare gli avvenimenti né la possibilità di porsi interrogativi su quanto stia realmente avvenendo. Lo si è già visto quest’estate in Francia: il 14 luglio muoiono un’ottantina di persone ed il 26 luglio, quando le domande senza risposta sulla strage abbondano ancora, l’attenzione è già dirottata sulla barbara uccisione del parroco di Rouen.
Difficilmente Mosca ed Ankara romperanno i rapporti come lo scorso novembre dopo l’abbattimento del Su-24, perché così facendo agirebbero secondo i piani di chi ha orchestrato l’attentato. L’assassinio dell’ambasciatore è però una spia del clima internazionale che si respira. Il 2016 è stato un annus horribilis per l’establishment euro-atlantico: il referendum inglese di giugno ha decretato l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, le presidenziali americane hanno incoronato il populista e filo-putiniano Donald Trump, le forze centrifughe in seno all’eurozona hanno raggiunto livelli allarmanti, la Russia si è imposta come potenza di primo piano in Medio Oriente, la guerra siriana ha svoltato a favore di Bashar Assad.
Cresce l’impotenza dell’oligarchia e ed aumenta, di conseguenza, la sua ferocia: attentati, omicidi e stragi sono ormai tanto frequenti e clamorosi quanto approssimativi e spudorati. L’esecuzione in diretta dell’ambasciatore Andrei Karlov confermare la sensazione che, avvicinandosi la fine, il Potere si comporti sempre più come un cane rabbioso.
1https://www.youtube.com/watch?v=mujTdkw7LeQ
2http://www.aljazeera.com/news/2016/08/iran-turkey-agree-cooperate-syria-160812141119888.html
3http://www.repubblica.it/esteri/2016/12/19/news/turchia_attentato_ambasciatore_ferito-154466100/?ref=HRER3-1
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Strategia della tensione dopo la sconfitta di Aleppo
"Nei messaggi di solidarieta' alla Russia, la prima vittima il dizionario
dei sinonimi e contrari".
L'attentatore di Andrej Gennadovich Karlov, uno degli uomini di punta della diplomazia russa, era un poliziotto in congedo. Non si sa se fosse un "lupo solitario" ma è certo il suo obiettivo.
di Fulvio Scaglione* - Famiglia Cristiana
Andrej Gennadovich Karlov, 62 anni, non era un ambasciatore qualunque. Era una diplomatico della vecchia scuola, cresciuto ai tempi dell’Urss e temprato da incarichi “tosti” come i dieci anni trascorsi in Corea, prima quella del Sud e poi quella del Nord. Karlov rappresentava la Federazione russa in Turchia da tre anni e aveva gestito i momenti di crisi (l’abbattimento del caccia russo nel novembre 2015) come la clamorosa riappacificazione tra i due Paesi.
Ma nemmeno Mert Altintas, 22 anni, l’uomo che l’ha ucciso sparandogli alla schiena a una mostra d’arte ad Amkara, era un assassino qualunque: diplomato nel 2014 all’accademia di polizia di Smirne, era membro delle squadre turche antisommossa.
I media turchi sostengono che Altintas fosse stato rimosso dall’incarico nella grande “purga” seguita al fallito colpo di Stato contro Erdogan del luglio di quest’anno. E quelli russi aggiungono che proprio per questo aveva presentato documenti falsi per entrare alla mostra. Il che contrasta con quanto invece sostengono altre fonti d’informazione, e cioè che proprio il tesserino della polizia abbia consentito al killer di avvicinare l’ambasciatore che avrebbe ucciso.
Proprio il giorno dopo il ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu, avrebbe dovuto sbarcare a Mosca per una serie di colloqui, dopo che analoghi incontri avevano portato in Russia prima il presidente Erdogan e poi il premier Binali Yildirim. Può anche essere una coincidenza. Se lo è, il valore simbolico è comunque forte. Il terrorista ha sparato accompagnandosi con le grida diventate di prammatica in questi casi, come Allah u akbar” (Allah è il più grande). E ha aggiunto una serie di invettive contro il ruolo sostenuto dalla Russia in Siria e in particolare ad Aleppo. E anche in questo caso l’attentato è arrivato con straordinaria puntualità, poche ore dopo che il Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha trovato un accordo per inviare nella città martire un gruppo di osservatori per “per consentire il monitoraggio da parte delle Nazioni Unite sul benessere dei civili nei quartieri orientali della città di Aleppo" ma “in coordinamento con tutte le parti interessate”, quindi anche con il Governo di Bashar al-Assad.
Le indagini chiariranno i particolari ancora confusi. E soprattutto diranno se Altintas era stato arruolato da qualche organizzazione dell’estremismo islamico oppure se ha colpito da lupo solitario, come ora si usa dire. Comunque sia, l’obiettivo politico di questo attentato è chiaro: interrompere il riavvicinamento tra la Turchia di Recep Erdogan e la Russia di Vladimir Putin. È stato proprio questo riavvicinamento, completatosi dopo il golpe di luglio contro Erdogan che, secondo molte voci, i russi avrebbero contribuito a sventare, a favorire la svolta di Aleppo, ormai interamente riconquistata dalle truppe fedeli ad Assad aiutate dall’aviazione russa.
Questa svolta militare non avrebbe potuto realizzarsi se la Turchia non avesse chiuso i canali di rifornimento (di combattenti, armi, soldi) che per anni aveva aperto a ribelli e jihadisti assortiti. E porta con sé un profondo significato politico. Vuol dire che nel prossimo futuro una Siria di Assad continuerà a esistere e a essere un interlocutore ineludibile. Realtà che Erdogan non può non aver soppesato prima di trovare l’intesa con la Russia.
Questa intesa, incarnata dall’ambasciatore Karlov, è entrata nel mirino di Altintas. E dalla reazione di Erdogan e di Putin si capiranno molte cose. Per esempio, chi loro giudichino il vero mandante di questo assassinio che, paradossalmente ma non tanto, potrebbe infine rafforzare i legami, e la sensazione di un interesse comune di fronte a nemici potenti, tra Ankara e Mosca.
Intanto, subito dopo l’attentato, sono partiti i messaggi di solidarietà delle cancellerie occidentali. Prima vittima, il dizionario dei sinonimi e contrari, perché tutti i messaggi erano pieni di acrobazie verbali pur di evitare il termine “terrorismo”. Ma se il pazzo che spara in una discoteca per gay negli Usa è un terrorista e un poliziotto che ammazza un ambasciatore in Turchia non lo è, vuol proprio dire che qualcuno, dalle nostre parti, ha perso di vista la realtà.
Questa intesa, incarnata dall’ambasciatore Karlov, è entrata nel mirino di Altintas. E dalla reazione di Erdogan e di Putin si capiranno molte cose. Per esempio, chi loro giudichino il vero mandante di questo assassinio che, paradossalmente ma non tanto, potrebbe infine rafforzare i legami, e la sensazione di un interesse comune di fronte a nemici potenti, tra Ankara e Mosca.
Intanto, subito dopo l’attentato, sono partiti i messaggi di solidarietà delle cancellerie occidentali. Prima vittima, il dizionario dei sinonimi e contrari, perché tutti i messaggi erano pieni di acrobazie verbali pur di evitare il termine “terrorismo”. Ma se il pazzo che spara in una discoteca per gay negli Usa è un terrorista e un poliziotto che ammazza un ambasciatore in Turchia non lo è, vuol proprio dire che qualcuno, dalle nostre parti, ha perso di vista la realtà.
Fulvio Scaglione
*Pubblichiamo per gentile concessione dell'AutoreOra, condanniamo tutti il terrorismo, "senza se e senza ma": salvo continuare ad appoggiarlo in Siria, naturalmente.
di Massimo Zucchetti*
Due giorni fa scrissi, concludendo il mio pezzo sull'occidente che appoggia i terroristi in Siria ed è in lutto perché ad Aleppo sono stati spazzati via:
"State attenti che i terroristi, sentendosi traditi, non vengano a trovarvi a casa. Tanto sono i vostri protegè, no? Auguri"
Come la popolazione civile usata come scudo umano dai terroristi di Al Qaeda ad Aleppo, altri innocenti a Berlino, vittime dei loro alleati dell'ISIS.
Il 75% delle armi in mano all'ISIS viene da USA e Occidente.
Ora, condanniamo tutti il terrorismo, "senza se e senza ma": salvo continuare ad appoggiarlo in Siria, naturalmente.
** Scienziato (Scientist), Plasma Science and Fusion Center presso Massachusetts Institute of Technology. Post facebook del 20 dicembre 2016
Due giorni fa scrissi, concludendo il mio pezzo sull'occidente che appoggia i terroristi in Siria ed è in lutto perché ad Aleppo sono stati spazzati via:
"State attenti che i terroristi, sentendosi traditi, non vengano a trovarvi a casa. Tanto sono i vostri protegè, no? Auguri"
Come la popolazione civile usata come scudo umano dai terroristi di Al Qaeda ad Aleppo, altri innocenti a Berlino, vittime dei loro alleati dell'ISIS.
Il 75% delle armi in mano all'ISIS viene da USA e Occidente.
Ora, condanniamo tutti il terrorismo, "senza se e senza ma": salvo continuare ad appoggiarlo in Siria, naturalmente.
** Scienziato (Scientist), Plasma Science and Fusion Center presso Massachusetts Institute of Technology. Post facebook del 20 dicembre 2016
Intervista ad un abitante di Aleppo appena liberata
Un abitante di Aleppo descrive la vita nella città quando comandava “l’opposizione moderata”.
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Sottotitoli in Italiano a cura di Mario per SakerItalia.it
Sottotitoli in Italiano a cura di Mario per SakerItalia.it
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