ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

venerdì 24 marzo 2017

Tanti Giuda e i loro fratelli

Sala stampa della Santa Sede
Oggi pomeriggio, alle ore 18.00, presso la Sala Regia del Palazzo Apostolico, il Santo Padre Francesco riceve in udienza 27 Capi di Stato e di Governo dell’Unione Europea, accompagnati dalle loro Delegazioni, in occasione del 60.mo anniversario della firma dei Trattati di Roma.http://ilsismografo.blogspot.com/2017/03/vaticano-udienza-di-papa-francesco-ai_24.html

Da Bergoglio lo slancio europeista che l'Unione sta cercando


Quando parlò a Strasburgo, nel 2014, nello storico discorso al Parlamento Europeo, Francesco parlò dell'Europa un po' come ad un nonna, visto che i vecchi ideali che hanno ispirato i padri fondatori, sembravano aver perso la forza iniziale. Oggi, in Vaticano, nella solenne Sala Regia, il Papa venuto da lontano ma con radici europee nel sangue, dice che l'Unione, quella che prese forma a Roma nel 1957, «non ha davanti a sé un'inevitabile vecchiaia, ma la possibilità di una nuova giovinezza». Le parole sono forti e Bergoglio conosce bene i tasti della politica, nulla del lungo discorso sull'Europa – il terzo di questa portata, dopo Strasburgo e Roma nel maggio di un anno fa, per il premio Carlo Magno – è una concessione alla retorica vuota che in campo europeo è spesso il filo conduttore.
E torna come ha già fatto più volte nell'ultimo anno sulle derive populiste. Parla lento, scandisce bene le parole quando ripropone di nuovo l'allarme contro il populismo dilagante, malattia infettiva delle democrazie. Solidarietà europea contro l'egoismo nazionale, apertura all'immigrazione, abbattimento di quei muri che stanno risorgendo, coraggio della classe politica: ai leader europei chiede di «non avere paura di assumere decisioni efficaci, in grado di rispondere ai problemi reali delle persone e di resistere alla prova del tempo».
Le necessità economiche (“i parametri”) non devono piegare ogni decisione, anche il lavoro è la priorità: «Non c'è pace laddove manca lavoro o la prospettiva di un salario dignitoso. Non c'è pace nelle periferie delle nostre città, nelle quali dilagano droga e violenza». Il tema dei migranti entra di forza nel lungo e articolato discorso del Papa. L'Europa, dice, «ritrova speranza quando non si chiude nella paura di false sicurezze». Del resto la sua storia «è fortemente determinata dall'incontro con altri popoli e culture e la sua identità è, ed è sempre stata, un'identità dinamica e multiculturale».
Insomma, «non ci si può limitare a gestire la grave crisi migratoria di questi anni come fosse solo un problema numerico, economico o di sicurezza. La questione migratoria pone una domanda più profonda, che è anzitutto culturale», e la paura spesso avvertita trova «nella perdita d'ideali la sua causa più radicale». Quindi in assenza di una vera prospettiva ideale si finisce per essere dominati dal timore che l'altro ci strappi dalle abitudini consolidate, ci privi dei confort acquisiti, metta in qualche modo in discussione uno stile di vita fatto troppo spesso solo di benessere materiale. Questo tema è una costante nella pastorale del Papa, che la riproporrà anche nella visita a Milano, dove incontrerà dei migranti in un quartiere periferico del capoluogo. Al termine del discorso una foto con i leader europei nella adiacente Cappella Sistina, dove ha conversato un po' con la Cancelliera Angela Merkel e con il presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, mentre con il presidente francese Francois Hollande il saluto ha visto anche un abbraccio, unico tra tutti i capi di Stato e di governo, in ricordo della vicinanza nata con la strage di Nizza.   di  http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2017-03-24/da-bergoglio-slancio-europeista-che-unione-sta-cercando-193128.shtml?uuid=AEYay7s&refresh_ce=1

“La Chiesa è convinta che ci sia bisogno di più Europa”, dice Angelo Bagnasco. Ma di che “chiesa” parla? 


Perdendo l’ennesima occasione per tacere, il presidente della CEI fa un bel discorso europeista nel quale scrupolosamente non nomina mai Gesù Cristo. Nomina con molta discrezione il Vangelo, ricordando che la “chiesa cattolica” è sempre disponibile a dare il suo contributo all’Europa con “grande rispetto e cordialità”. Qui non si tratta più di chiedersi “Dove va la Chiesa cattolica?”, ma piuttosto: “Dov’è la Chiesa cattolica?”.
di Paolo Deotto

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Per motivi che francamente mi sfuggono in questi giorni – il culmine sarà domani con cerimonie, cortei, discorsi e altra mercanzia – si “celebrano” i sessant’anni dei Trattati di Roma, considerati il primo passo verso la creazione di quella fantastica istituzione che è la UE, l’unione dei banchieri & affini, che da anni ormai ci ha dato la possibilità di impoverirci sempre più (Grecia docet), ha cancellato la sovranità nazionale, ma in compenso ha fatto e fa il possibile per l’amorevole cura e diffusione di aborto, omosessualità, eutanasia e generi affini, mentre giornalmente accoglie e coccola migliaia di immigrati che stanno cancellando i residui di civiltà che ancora c’erano.
Questa schifezza, in mano a immensi capitali privati di persone di alta spiritualità come l’onnipresente e onnipossente Soros (per non dirne che uno), sembra piacere molto ad Angelo Bagnasco, che se fosse solo il sig. Bagnasco avrebbe il diritto di dire tutto ciò che gli passa per la testa ma che, essendo presidente della CEI nonché del Consiglio delle conferenze episcopali europee, avrebbe il dovere, almeno, di ricordarsi che quando parla impegna gli organismi che presiede e rappresenta.

Spigoliamo da fonte sicura, il sito di Radio Vaticana , e apprendiamo con vivo interesse che c’è un patrimonio da non disperdere, costituito da “sicurezza, pace, scambi fruttuosi”. A parte che c’è quasi un macabro umorismo in queste parole, perché l’ultimo esempio di “sicurezza” l’hanno avuto ieri i londinesi, mentre gli scambi saranno di certo “fruttuosi”, ma andrebbe chiarito per chi, a parte questi dettagli da nulla, è interessante notare come per il presidente della CEI il vero patrimonio europeo, che era una volta costituito dalla cultura e dalla civiltà cristiana, pare che non esista. Del resto, questa Europa che tanto piace a Bagnasco, che infatti ne vuole “di più” (boh!) è la stessa Europa che, per fare un solo esempio, aveva manifestato la sua viva preoccupazione quando l’Ungheria guidata da Orban aveva approvato la nuova costituzione, che nel suo preambolo ricorda, con orgoglio, l’origine cristiana della nazione magiara. È la stessa Europa che non manca di bacchettare gli stati membri che non garantiscano il pieno esercizio di “diritti” come l’aborto, o che non accettano supinamente di essere invasi da torme di immigrati, in gran parte musulmani.
A questo punto un inguaribile sognatore come il sottoscritto potrebbe immaginare che l’autorevole voce di un Principe della Chiesa (già, Bagnasco è anche cardinale) si alzi forte e chiara per ammonire l’Unione Europea e tutti gli organismi o stati nazionali che si sono allontanati dall’unica strada possibile, quella della Fede cattolica, per ricordare loro che c’è una sola strada per costruire qui in terra la giustizia e la società, la Fede in Nostro Signore Gesù Cristo. Ogni altra strada è destinata alla rovina e per convincersene basta studiare la storia.
Ma Bagnasco è un prudentino, non nomina Cristo (non si sa mai, mica piace a tutti) e apprendiamo di dover pregare il Principe della pace e della vita. E così facciamo contenti un po’ tutti, ed è importante, ora che il CEO di Santa Marta ha sdoganato tutti, luterani, valdesi, anglicani, e compagnia bella. E poi, visto che ha pure lavato i piedi agli islamici, un generico riferimento al Principe della pace può andar bene anche a loro.
Il presidente della CEI per l’ennesima volta rassicura sul fatto che non si vuole convertire nessuno, figuriamoci. “Chiunque vuole essere salvo deve anzitutto mantenersi nella fede cattolica”?. Ma và! Sant’Atanasio ha fatto il suo tempo, roba vecchia. Pensate un po’, arrivava a credere in Dio, in Gesù Cristo Suo unico figlio e nello Spirito Santo. Anticaglie.
L’attuale “chiesa” di cui parla Bagnasco si pone sul mercato della libera concorrenza ed è pronta a offrire il suo “contributo” e come lo fa? Con “grande rispetto e cordialità”.
Roba da manicomio. La chiesa, questa chiesa rappresentata da Bagnasco, è convinta, e i fatti lo dimostrano, di non avere alcuna missione evangelizzatrice, di non essere depositaria della Verità. Sì, ha qualcosa che può andar bene, ma lo offre sul mercato e, sia ben chiaro, lo offre con rispetto e cordialità. Passi per la cordialità, in fondo va sempre bene. Ma il “rispetto”? “Rispetto” per chi e per cosa?
Ma forse non è roba da manicomio, in tutte queste vicende c’è una diabolica coerenza. Giorno dopo giorno si lavora per convincere i popoli che la fede cristiana è sì una bella roba, ma certamente non è essenziale. Tant’è che le strutture ufficiali ecclesiastiche si guardano bene dal ricordare che fuori dalla Fede cattolica non c’è, non può esserci salvezza. E si rivolgono al mondo con soave spirito collaborativo, con “cordialità e rispetto”.
Ogni giorno ci addoloriamo nel vedere lo scempio della Dottrina, la mondanizzazione, l’inchino al mondo e ci chiediamo: “Dove la va la Chiesa?”. È molto probabile che la domanda corretta sia piuttosto un’altra: “Dov’è la Chiesa?”.
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– di Paolo Deotto

https://www.riscossacristiana.it/la-chiesa-e-convinta-che-ci-sia-bisogno-di-piu-europa-dice-angelo-bagnasco-ma-di-che-chiesa-parla-di-paolo-deotto/












Diciotto anni fa, l’Europa bombardava se stessa. Ora festeggiate pure i vostri Trattati da traditori


Scusate ma di cosa stiamo parlando? Quale allarme dovrebbe farci vivere inchiodati nel terrore? Togliete le incrostazioni ideologiche e guardiamo in faccia la realtà: a Orly ha agito un uomo in preda ad alcool e droghe, tanto che le stesse autorità francesi hanno parlato – dopo l’autospia e una rapida indagine nel suo passato – del gesto di un pazzo. Ieri ad Anversa è stato fermato un uomo in automobile che stava approssimandosi troppo a una zona pedonale, sintomo che voleva fare una strage: tre ore dopo l’arresto, le autorità non erano ancora state in grado di interrogarlo talmente era ubriaco e strafatto di droghe, di cui la macchina era piena. Londra, poi, non ha bisogno di ulteriori giudizi da parte mia, come anticipavo nel mio articolo di ieri, è la stampa mainstream oggi a dare il suo giudizio: quasi tutti i quotidiani italiani titolano sul flop dell’intelligence britannica, visto che l’attentatore era un soggetto radicale già noto all’MI5, il quale però lo riteneva “marginale”.


Certo, ci sono poi casi clinici – purtroppo, quasi sempre in seno alla cosiddetta area della destra – che riescono a dar vita a prime pagine simili

ma ci tocca prendere atto del fatto che pur di vendere due copie in più, certi personaggi sarebbero pronti a tramutare in spaventosa emergenza anche un peto in ascensore. E’ la cattiva coscienza della borghesia che dorme cullata dalle sue paure che si tramutano in certezze, sono i decisionisti un tanto al chilo, i venditori di fumo ma soprattutto di cortine fumogene, sono i frutti della propaganda che assurgono al ruolo di studente modello. E non c’è niente da fare, è inutile provare a farli ragionare: perché, soprattutto se si viene dalla destra (area talmente grande ed eterogenea da rappresentarne in realtà almeno quattro), bisognerebbe saper scindere fenomeni meramente riconducibili al degrado sociale della società in cui viviamo con gli equilibri reale del mondo.

Ovvero, che bisognava evitare di lasciar campo libero all’integrazionismo buonismo che ha permesso la creazione, a Birmingham, di aree dove il 70% dei cittadini è di religione islamica ma che è da limitati mentali mettere in croce l’intero islam per quattro pazzi (nel caso di specie, un pazzo e due alcolizzati): chi ha combattuto sul campo l’Isis in Siria? E chi lo sta facendo in Iraq? Siriani, iracheni, iraniani ed Hezbollah sono tutti musulmani ma, guarda caso, rischiano la ghirba anche per noi, visto che cercano di estirpare una volta per tutte il cancro salafita di Daesh dalla faccia della terra. Ma sapete quante copie in meno fa vendere un ragionamento simile? Meglio gridare all’attentato, al jihadista, all’islam alle porte, al kebab che minaccia la polenta: non sia mai che un giorno qualcuno si chieda da dove provengano le armi con cui gli uomini di al-Baghdadi stanno resistendo a Mosul, come a Raqqa come ad Aleppo o, negli ultimi giorni, in certe aree di Damasco.

Non sia mai che qualcuno si chieda come mai, da quando il Pentagono ha aumentato la sua presenza in Iraq e Siria (tutta in chiave anti-russa), l’instabilità, i combattimenti, i bombardamenti di moschee e i kamikaze siano tornati di colpo in quei Paesi. Come mai chi combatte sotto le insegne di Al-Nusra lo fa con armi di fabbricazione tedesca, ovvero costruite nella stessa Germania che ha vissuto la strage al mercatino di Natale o quella al centro commerciale di Monaco di Baviera? Degli Usa non parlo nemmeno, visto che il loro interesse congiunto con i piani dell’Isis è addirittura fondativo, basti leggere i leaks di Juliane Assange riguardo le conversazioni tra Sidney Bluementhal e Hillary Clinton, la campionessa della democrazia mondiale.
Scusate mai io a questa logica non intendo soggiacere, né ora, né mai. Certo, ci sono gli islamisti radicali al mondo. Certo, alcuni di loro sono così fulminati da essere pronti a fare strage di infedeli nel cuore delle nostre città ma, al netto della paura, quante vittime occidentali possiamo imputare al novero del jihad globale e quante di fede islamica? Ce lo dice questa tabella dell’Economist,

la quale ci mostra come dopo la geniale intuizione Usa di esportare democrazia e dichiarare guerra al terrore, la situazione sia decisamente peggiorata. Scusate ma quanto può essere credibile un Occidente che si proclama in guerra, in stato di emergenza e continua a fare affari con le monarchie del Golfo, ovvero con gli sponsor principali di salafiti e wahabiti al mondo? Se siamo così stronzi da finanziare chi vuole tagliarci la gola, di chi è la colpa? Lo so, certi argomenti funzionano poco ma occorre affrontarli se si vuole essere credibili, altrimenti giocate pure a fare Sallusti e vivete sereni.

Ma non basta, perché la psicosi è un’arma politica troppo straordinaria per lasciarla confinata all’emergenza terrorismo, tocca ampliarla ad altro: ed ecco che per domani tutti si attendono Roma messa a ferro e fuoco dai Black Bloc, pronti a calare in massa per rovinare le celebrazioni dei 60 anni dei Trattati di Roma. Dunque, mettiamo le cose in prospettiva: sapete da quanti uomini era composto Daesh, quando gli Usa cominciarono a far finta di bombardarlo (peccato che invece che missili, venissero sparati rifornimenti)? Tra i 25mila e 30mila uomini, ben armati e addestrati. Vi pare un numero insormontabili per un esercito NATO di prima grandezza quello Usa o quello britannico? Certo, se fornisci tu addestratori e armi – inviate ai cosiddetti ribelli e poi, casualmente, sempre finite nelle mani di Al-Nusra o Isis – stai un bel pezzo avanti nel progetto di suicidarti ma, si sa, c’è sempre la carta del vittimismo alla Sallusti: ci attaccano, vogliono portarci la sharia, sono alle porte. Patetici.
Soprattutto, se guardiamo il calendario odierno: 24 marzo. Esattamente 18 anni fa, l’Europa che domani festeggia – un po’ in ordine sparso, giova sottolinearlo – i suoi atti fondativi, si accodava ai desiderata di destabilizzazione balcanica degli Stati Uniti e cominciava la sua campagna di 72 giorni di bombardamento della Serbia. Il motivo? La falsa repressione in Kosovo, come testimoniato dal patologo dell’ICTY (Tribunale penale internazionale per la ex-Jugoslavia), Emilio Perez Pujol, chiamato a indagare sulla cosiddetta strage di Racak, quella che fornì a Madeleine Albright e Richard Holbrooke il casus belli per dar via alla campagna aerea. E cosa scoprì? Alla fine del suo lavoro certificò che “ho informato il mio governo sui risultati della nostra indagine e cioè che avevamo trovato i corpi di solo 187 vittime delle quali, tranne quattro o cinque, tutte erano decedute di morte naturale. In principio ci aspettavamo di esaminarne almeno 2000”.

E ancora, nell’intervista al Sunday Times e Le Monde:”Ho calcolato che la cifra finale dei morti in Kosovo si aggira attorno a 2500 unità al massimo, ben lontano dalle 44mila che mi avevano preannunciato. Questo ammontare comprende molte morti inspiegabili che non possono essere attribuite a nessuna parte in causa in particolare”. Su queste basi, l’Europa che oggi spegne le candeline a Roma, bombardò città, paesi, infrastrutture, fabbriche. Disintegrò un Paese, uccise uomini, donne, vecchi e bambini, condannò almeno due generazioni al cancro, avendo devastato l’ambiente: non bastava colpire le fabbriche di vernici e di altri elementi tossici, i cui reflui furono scaricati nelle acque ma si decise che era l’occasione buona per togliere dai magazzini e utilizzare un po’ armamento all’uranio impoverito.

E chi combatteva dall’altra parte, chi si spacciava da partigiano resistente contro l’aggressione islamofoba di Slobodan Milosevic e dei suoi paramilitari? L’UCK, ovvero un gruppo terrorista e islamista, dedito tra l’altro a narcotraffico, vendita di organi e armi, sfruttamento della prostituzione e altre attività decisamente edificanti. E chi sponsorizzava quei galantuomini? La versione balcanica delle primavere arabe: Dipartimento di Stato, CIA ed MI6 britannico, il tutto sotto la spinta della potente lobby albanese al Congresso Usa, cioé il National Albanian American Council (NAAC) e l’Albanian Issue Caucus e con i buoni uffici dell’ex candidato alla Casa Bianca, Bob Dole, del capo della Commissione esteri del Senato, Jesse Helms, oltre a Eliot Engel e Peter King, deputati bipartisan. Perché tanto interesse USA? Semplice, l’UCK garantiva a Washington ciò di cui aveva bisogno, in vista dell’allargamento sempre più a Est della Nato: destabilizzazione.

Se Daesh ha una sua emanazione nei Balcani, di chi pensate che sia la responsabilità? Se oggi il Kosovo, così come l’entità musulmana di Bosnia, sono veri e propri avamposti del jihadismo alle porte di casa nostra, sulla rotta balcanica, di chi è la colpa? Come mai, poi, i centri di addestramento di Daesh, foto satellitari alla mano, in Kosovo sorgono accanto a basi militari Usa? Come mai la missione KFOR non ha aperto bocca in questi anni rispetto al processo di destabilizzazione e radicalizzazione, quella vera, nei Balcani? Ed ecco che, proprio pochi giorni fa, scopriamo che il Kosovo potrebbe presto avere un suo esercito. Questo almeno è il messaggio lanciato da Pristina ed è una chiamata alle armi che desta preoccupazione non soltanto nei Balcani ma anche, inevitabilmente, in Europa e fra tutte le potenze interessate al quadro politico balcanico, in primis Stati Uniti e Russia.

La volontà di creazione di un esercito regolare per il Kosovo non è un’idea nata negli ultimi giorni ma è un progetto che il governo di Pristina aveva già ampiamente valutato nel 2014, anno in cui furono molteplici i comunicati dell’allora primo ministro Hasim Thaçi, oggi Presidente della Repubblica, con i quali era stato affermato non soltanto il desiderio dell’istituzione di un ministero della Difesa per il Kosovo ma anche la formazione, nell’arco di un quinquennio, di un esercito regolare. E come mai, non più tardi del 17 marzo scorso, il segretario di Stato Usa, Rex Tillerson, ha chiesto al Senato Usa la ratifica urgente dell’adesione del Montenegro alla NATO al fine di “incentivare l’integrazione, le riforme democratiche e il commercio”? Prendete una cartina dei Balcani e date una bella occhiata alla posizione in cui si trovano Kosovo e Montenegro a livello di rotta balcanica per i migranti e mettete il tutto in prospettiva: vi sentite tranquilli?
Volete un bel domino di Stati satellite della destabilizzazione atlantica alle porte di casa, al fine di aprire un varco a potenziali primavere balcaniche che permettano alla NATO di espandersi fino ai confini russi, salvo poi accusare Mosca di aggressione? Se lo volete, oggi scordatevi dell’infamia posta in essere contro l’Europa e la sua trincea 18 anni fa e preparatevi a festeggiare, domani, l’Europa a guida atlantica nata 60 anni fa. Mettete in conto una cosa, però: così facendo, si incorre in due pericoli. Primo, dite addio agli ubriaconi stile Orly e preparatevi a commando addestrati, pronti a fare davvero strage. Secondo, preparatevi alla guerra con Mosca. A Belgrado hanno già detto a Federica Mogherini, nel caso, da quale parte staranno.
‘Serbia, Russia, we don't need EU’: Protesters booed Mogherini during speech to Serbian Parliament
Lo stesso vale per la Repubblica Sparska, temo prossimo obiettivo della destabilizzazione del Dipartimento di Stato. Attenti, qui parliamo dell’uscio di casa. Lo stesso che nel 1999 qualcuno cercava di difendere, ottenendo dai suoi “fratelli” bombe e morte come ringraziamento. Fatevi un favore, in vista dei festeggiamenti di domani. Fermatevi un attimo a riflettere sugli avvenimenti degli ultimi 50 anni abbondanti e fatevi una sola domanda: chi è stato ed è davvero amico dell’Europa dei popoli (o, quantomeno, non nemico) e chi il vero nemico? Prenderne coscienza, sarebbe già un passo avanti. Fare pace con il cervello, al netto dell’allarmismo da terrore permanente, sarebbe il top.
Sono Mauro Bottarelli, Seguimi su Twitter! Follow @maurobottarelli

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