ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

venerdì 1 settembre 2017

Per non finire come Sosa

Giuda Iscariota in un esorcismo rivela che la presenza reale di Gesù nell'Eucaristia stava scomparendo già nel 1975

t.me/IstruzioneCattolica

Da un esorcismo del 1975:
Soltanto l'intervento di Dio può salvare la Chiesa Cattolica
G: Soltanto l’intervento di Dio stesso, di ESSO LASSÙ (mostra in alto) può salvarla ancora. La Chiesa è completamente nei nostri lacci. Perisce, impappinata. É strettamente ingolfata nelle modernità, nelle idee dei professori, dei dottori, dei sacerdoti, che si credono più intelligenti di altri. Soltanto la preghiera e la penitenza possono ancora salvarla, ma sono soltanto pochi che lo compiono (respiro ansante, penoso).
E: Dì la verità Giuda Iscariote...!
Cristo è presente ancora In tutti i tabernacoli?
G: ... fin nel coro possiamo ballare, persino davanti al tabernacolo. Perché non c’è più in ogni tabernacolo... Non voglio dire questo, non voglio dire (ringhia fortemente).

E: Dì la verità, devi dirlo, Giuda Iscariote, per ordine della Madre di Dio! Lucifero non deve disturbare!
G: Deplorano nel cielo, che la santa ostia non è più consacrata in ogni tabernacolo.
E: Perché no? Dì la verità nel nome...!
G: Se il sacerdote non crede più alle parole della transustanziazione e non ha l’intenzione di consacrare, l’ostia non viene consacrata. Allora è come pane comune, come dicono i protestanti e le sette. La maggior parte dei sacerdoti se ne «frega» anzi, perché fa soltanto quello che ordina il popolo. Desidera essere venerato nel suo modernismo e nella sua presunzione che gli dà alla testa (brontola).
E: Dì la verità e soltanto la verità, tutto quello che devi dire per ordine della Madre di Dio! Giuda Iscariote!
G: Per QUELLI IN ALTO (mostra in alto) è il colmo della tristezza, che in questi casi la gente crede di ricevere Cristo nell’ostia... ed è soltanto pane comune. Infatti non è più Cristo. Dunque significa per loro una perdita di grazie, per conseguenza si allontanano dalla strada buona. Vengono ingannati persino dai loro propri sacerdoti.
E: Dì la verità Giuda Iscariote nel nome...!
G: Devo dire, ESSI nel cielo (mostra in alto) non lo amano ... (s’impunta parlando) ... non lo vedono volentieri quando si usa ostie brune.



Questo dialogo ci insegna diverse cose importanti: la prima è che Giuda Iscariota, come voleva tutta la Teologia classica e medievale, si trova all'inferno secondo quanto detto da Gesù nel Vangelo: "Il Figlio dell'uomo se ne va ma guai a quell'uomo per il quale Egli viene tradito. Sarebbe meglio per lui che non fosse mai nato". Secondo ci ricorda che per operare la transustanzazione è necessario avere dei requisiti. Innanzitutto voler fare ciò che fa la Chiesa e se un sacerdote- validamente ordinato da un valido vescovo - ignora oppure non vuole con la sua libera volontà aderire e operare ciò chela Chiesa crede e insegna, il miracolo eucaristico non avviene. Questo con buona pace di tutti coloro che ignorano il vero insegnamento della Chiesa Cattolica sul sacrificio della Messa e sulla validità dei riti dei sacramenti. Non si citi il Concilio Tridentino a sproposito poiché il demonio e l'esorcista in questione conoscono bene il suo insegnamento.


https://gloria.tv/article/1numYcqwE6jU6CsiReEcBeoh8

NUOVI PRETI DELLA NUOVA CHIESA


FOLLIA ECUMENICA A CEUTA:

OMAGGIO ALL'IDOLO IN CASA DI MARIA

Ceuta: Altare Maggiore del Santuario della Vergine dell'Africa


Il 27 agosto 2017, nella città di Ceuta (città autonoma spagnola del Nord Africa) il vicario vescovile ha accolto nel Santuario della Vergine dell’Africa, con tanto di canti e una folla di fedeli, il simulacro del dio indù Ganesha.

La comunità indù del posto ha celebrato la festa di tale dio, portandone in processione il simulacro. Evidentemente in base ad una precisa programmazione, si è pensato bene di condurre il simulacro fin dentro il Santuario della Vergine dell’Africa, Patrona della città di Ceuta, dove è stato accolto da cattolici festanti che hanno intonato dei canti in onore della Vergine, in particolare della Vergine del Rocío, particolarmente venerata nella Spagna andalusa.



L'ingresso festoso del simulacro dell'idolo nel Santuario

Tale partecipazione, guidata dal parroco del Santuario, che è anche vicario vescovile, può spiegarsi in tanti modi, ma non v’è dubbio che in quello che è rimasto della già cattolicissima Spagna, può poggiare solo sulla totale corruzione della religione cattolica innescata dalla follia ecumenica che infesta ormai da anni il mondo cattolico diabolicamente partorito dal Vaticano II.



Ganesha: idolo indù dal corpo di giovinetto e la testa di elefante:
protettore dell'intimità delle donne, cavalcante un topolino

Grazie a Dio, non sono mancate le proteste, molto energiche, così che il vescovado di Cadice (Cadíz) e Ceuta (sede suffraganea dell’arcidiocesi di Siviglia),  è stato costretto ad emettere un comunicato, che riproduciamo.

Comunicato della diocesi di Cadiz e Ceuta
http://infocatolica.com/?t=noticia&cod=30280

Il 28 agosto, la diocesi di Cadiz e Ceuta ha emesso il seguente comunicato:

Il vescovado di Cadiz e Ceuta, attraverso l’ufficio stampa e comunicazioni, comunica che:

1. L’accettazione all’interno del Santuario della Patrona di Ceuta di membri della comunità indù che portavano l’immagine di una delle divinità da loro venerate, è stato un male e costituisce un fatto riprovevole che non avrebbe dovuto essere consentito.

2. Il Sig. Vescovo desidera esprimere il suo profondo dolore per questo fatto deplorevole che ha potuto causare danno, confusione o scandalo nella comunità cristiana e, come rappresentante della Chiesa di Cadiz e Ceuta, chiede perdono a tutti coloro che per questa situazione sono stati feriti, scandalizzati o confusi nella loro fede.

3. In nessun caso si riprova l’amore dei membri della comunità indù per le loro credenze, apprezziamo la loro dimostrazione di rispetto e ribadiamo la nostra soddisfazione per la cordiale relazione con loro e con le altre confessioni religiose di Ceuta, il che ci obbliga ad essere ancor di più fedeli alla nostra tradizione cristiana.

4. Il Sig. Vicario di Ceuta e parroco del Santuario, debitamente ammonito per aver permesso queste azioni, si è detto dispiaciuto per l’accaduto. Ha riconosciuto che è stato un errore permettere l’entrata di quelle immagini e che in nessun caso si è inteso venerare alcunché fuori del nostro Dio unico e vero, poiché la sua intenzione era solo di accettare la dimostrazione di rispetto che la comunità indù intendeva rivolgere alla comunità cristiana e alla Patrona di Ceuta, effettuando un’offerta floreale all’esterno del tempio e non celebrare in alcun modo un atto religioso congiunto.

5. Il Sig. Vicario ha riconosciuto il suo errore, si è dispiaciuto per il danno che ha potuto causare ai fedeli e si è assunto la totale responsabilità presentando le sue dimissioni, che sono state accettate.

A prima vista, il comunicato, tolte certe incongruenze e alcuni sottintesi rivelatori, sembrerebbe porre un po’ di ordine in mezzo ad un incredibile disordine, ma se si ha la pazienza di visionare il video che riprende questa vicenda

si può cogliere a piene mani il compiacimento del vicario e dei fedeli presenti nel Santuario, che parla di tutt’altro che di un errore o di una leggerezza.
Da notare che i canti in onore della Vergine Maria, intonati dai fedeli, appartengono alla tradizione religiosa andalusa relativa alla venerazione della Vergine del Rocío, quindi la partecipazione dei fedeli presenti è stata particolarmente sentita e compiaciuta, al pari della partecipazione organizzata del vicario, come si vede nel  tratto del video in cui si rende omaggio all’idolo Ganesha dallo stesso altare che porta l’immagine della Vergine.

Dal punto di vista ecumenico, e tenuto conto della convivenza della comunità cristiana con quella indù, occorre notare che in termini meramente popolani può cogliersi una qualche apparente affinità tra la devozione femminile delle due comunità: il dio Ganesha è particolarmente legato alla figura femminile (si vedano le danze indù che accompagnano questa festa) di cui sarebbe un protettore, la Vergine Maria è di per sé il prototipo della donna. Ora, tenuto conto dell’indifferentismo introdotto dalla pratica dell’ecumenismo moderno, certe donne cristiane hanno finito col sentirsi vicine alle donne indù, fino a condividerne certe espressioni folkloristiche. Da qui i canti intonati nel Santuario, per lo più eseguiti dalle donne.

Ovviamente, questo non giustifica alcunché, ma permette di capire a quali blasfemie e  apostasie pratiche possa condurre il malsano “ecumenismo” del Vaticano II.




Ceuta: Santuario della Vergine dell'Africa

http://www.unavox.it/FruttiPostconcilio/NuoviPreti/Ganesha_nel_Santuario.html 
Suffragi alle anime purganti: la preghiera
Tra le opere di suffragio per le anime del Purgatorio ce ne sono tre che hanno un effetto meraviglioso su quelle anime, e sono: la preghiera, la Santa Messa e le Indulgenze.

La preghiera è la nostra potenza, la Messa è la potenza amorosa di Gesù che si offre per sollevare le anime purganti, le Indulgenze sono la ricchezza della Chiesa, donata alle anime purganti.
La Preghiera
La preghiera è come una rugiada di refrigerio che parte dalla nostra anima, sale verso il Cielo e, come rugiada e pioggia salutare, ricade sulle anime purganti. Anche una semplice aspirazione, una giaculatoria, un atto breve di amore a Dio, hanno un'efficacia straordinaria di suffragio.

Il Padre Rossignoli, nella sua opera sul Purgatorio, racconta che un Religioso aveva l'abitudine di recitare un Requiem aeternam ogni qualvolta che passava innanzi ad un cimitero. Un giorno, distratto da gravi pensieri, omise questa preghiera. Ebbe allora l'impressione di vedere i morti uscire dalle loro tombe e seguirlo cantando il versetto 7 del Salmo 128: E non dissero quelli che passavano: la benedizione del Signore sia sopra di voi. A queste parole il Religioso, confuso e mortificato, rispose con le altre parole del Salmo: Vi benediciamo nel nome del Signore, ed allora ebbe l'impressione che i morti, suffragati da quella invocazione, ritornassero nelle loro tombe.

Se una piccola invocazione fu di suffragio a quelle anime, una preghiera costante e perseverante, non le solleva solo per un momento, ma le arricchisce, abbreviando il tempo della loro purificazione.

L'anima, pregando in grazia di Dio, diventa intermediaria tra l'anima purgante e Dio, e Dio per l'amore che le porta, accetta la sua preghiera come una riparazione offerta per le responsabilità dell'anima purgante, come un pagamento anche parziale dei suoi debiti, come una purificazione che la rende capace dell'immensa grazia dell'eterna felicità. Chi prega, dunque, per i defunti, deve stare in grazia di Dio, diversamente non può essere mediatore tra l'anima e Dio.

Tra le preghiere che possiamo fare per i defunti, hanno più valore e più efficacia quelle della Chiesa, che sono presentate a Dio non solo a nome di chi prega, ma a nome di tutta la Chiesa, della quale sono l'espressione ed il sospiro.

Tra queste preghiere primeggia l'Ufficio dei Defunti, purché sia recitato con profonda comprensione e pietà, ed è consigliabile per i fedeli che ignorano il latino di recitarlo nella propria lingua. Oggi se ne trovano ottime traduzioni che facilitano questa pia pratica. In mancanza dell'Ufficio dei Morti, anche la recita del De profundis, riesce di sollievo alle anime purganti, perché, è, come il Requiem aeternam, la preghiera consacrata dalla Chiesa alle anime purganti.

Preghiera efficacissima per le Indulgenze che vi sono annesse, e perché ricorda la Passione di Gesù Cristo è la Via Crucis. Preghiera oltremodo gradita al Signore ed alla Vergine SS.ma è il santo Rosario, al quale sono anche annesse preziosissime indulgenze. Anche la Corona di Requiem detta per le anime purganti, è di efficace refrigerio per loro. Giorni poi di speciali preghiere per i morti sono il terzo, il settimo ed il trigesimo dal loro trapasso, e per pia consuetudine popolare, il lunedì di ogni settimana. ed anche l'intero mese di Novembre, dedicato ai morti. A tutte queste od altre preghiere per i defunti, bisogna aggiungere la santa Confessione e Comunione, e bisogna che, in occasione della morte di una persona cara, i parenti tutti si confessino e si comunichino per l'anima sua. Non c'è testimonianza più bella di premuroso affetto per un defunto, quanto quello di mettersi in grazia di Dio o di accrescere la grazia nella propria anima con l'assoluzione, ed il ricevere Gesù, supplendo con l'amore alle deficienze dei defunti, e specialmente di quelli che furono poco praticanti in vita.
La S. Messa
Suffragio dei suffragi è la Santa Messa, rinnovazione reale, benché incruenta, del sacrificio della Croce che salvò tutto il mondo. Nonostante il decadimento spirituale del popolo in questi nostri tempi nefasti, pure la Santa Messa, celebrata od anche semplicemente ascoltata, è nell'estimazione delle anime.

Una sola Messa, per il suo valore infinito, sarebbe di per sé bastante a liberare tutto il Purgatorio, come l'immolazione della Croce fu sufficiente a redimere per tutti i secoli il genere umano. L'applicazione del S. Sacrificio però, viene limitata dalla volontà di Dio, nella sua ineffabile giustizia.

I teologi dividono in tre parti il frutto della Messa, insegnando che una parte si riversa nel tesoro della Chiesa, e va a vantaggio di tutti i suoi membri. Un'altra parte va a vantaggio del Sacerdote che celebra, ed anche dei fedeli che ascoltano la Messa, perché partecipano al Sacrificio, specialmente quando ne seguono la liturgia e ricevono la Comunione. Il Sacerdote infatti si riguarda tutto unito al popolo quando lo esorta a pregare: « Pregate, o fratelli, affinché il mio e vostro Sacrificio sia accetto a Dio Padre Onnipotente ». Il popolo risponde, per mezzo di chi serve la Messa, o, in massa, come lodevolmente si fa in alcuni luoghi: « Riceva il Signore il Sacrificio dalle tue mani, a lode e gloria del suo Nome, ed anche a nostro vantaggio e di tutta la sua Santa Chiesa ». La terza parte della Messa va a profitto di colui per il quale si celebra, e questa parte, nella misura che Dio solo conosce, è applicabile alle anime del Purgatorio, o ad un'anima cara in particolare.

Per la limitazione che Dio può porre nella sua giustizia all’applicazione di questa parte alle anime purganti, non basta celebrare una sola Messa per i defunti, ma bisogna farne celebrare molte. La ragione è evidente, se si considera che la Santa Messa deve purificare l'anima, e deve, per così dire, dirozzarla, orientarla, elevarla, per renderla capace dell'eterna gloria. Anche la mano di un valorosissimo artista non può di un colpo solo dirozzare il marmo e renderlo capace di figurare come statua perfetta in un Museo di arte. E ciò, non per mancanza di abilità, ma per la resistenza e la rozzezza del marmo staccato dalla montagna, e destinato a diventare un capolavoro di scultura.

L'anima, staccata dal corpo per la morte, in grazia di Dio, è predestinata alla gloria del Cielo, ma porta con sé le imperfezioni e le miserie contratte nella vita. Esse sono innumerevoli, e se noi la vedessimo in quello stato, ne avremmo ribrezzo più di quello che abbiamo alla vista di un lebbroso. E’ ripugnante l'aspetto di un'anima vista nella luce della infinita santità e perfezione di Dio, ed è davvero infinita la misericordia divina che le concede di potersi purificare.

Anche in questo c'è una contesa di amore: Dio ama l'anima passata in grazia sua dalla presente vita, e le vuol dare, per amore, una felicità senza ombre, senza lacrime, senza lutto alcuno, senza rimpianti per il passato, e perciò la purifica, la rinnova, l'abbellisce. L'anima ama Dio, esente un potentissimo slancio verso di Lui, ma si vede macchiata, e non può andare a Lui senza purificarsi.

I tormenti e le pene del Purgatorio sono come l'esposizione dolente delle proprie miserie, perché sono proporzionate alle colpe commesse. In questa dolente esposizione c'è la riparazione alle offese fatte a Dio, nella misericordia dei suffragi c'è l'abbellimento meraviglioso dell'anima. L'abbellimento non può farsi se non si restaura prima un'opera d'arte, manomessa dalla incuria o dal vandalismo ma che ha ancora le linee di un'opera pregiata, capace di essere restaurata. La restaurazione di una tela di Raffaello, per es., si può fare, dicono gli artisti, prima liberandola dalle sovrapposizioni che l'hanno profanata, e poi rintracciando pazientemente il primitivo disegno e i primitivi colori. Questo lavoro non può farsi di un colpo. L'anima è un capolavoro deteriorato, ha bisogno di liberarsi dalle... sovrapposizioni delle colpe, ed ha bisogno che risplenda in lei l'opera di Dio, la grazia che la redense e la misericordia che la perdonò, evitandole di cadere come cencio insozzato, e non più come tela artistica, benché deteriorata nelle fiamme.

La Santa Messa è come il paziente ritocco dell'artista divino che si concentra amorosamente in lei per restaurarla, ma che ha bisogno di liberarla a poco a poco.

Ecco perché una sola Messa non è sufficiente a ridonare all'anima il suo splendore di grazia e di santità, che la rende capace dell'eterno gaudio. Una Messa applicata a lei, la sfiora appena, per così dire, perché trova in lei una massa di miserie da purificare e ne scrosta alcune, perché la misericordia divina è sempre delicata e non forza l'anima.

Come il chirurgo pietoso non strappa di un colpo la benda di una piaga, ma prima la rammollisce, e poi a poco a, poco la toglie, e toltala, comincia a disinfettare la piaga, così la misericordia di Dio, per la Santa Messa, non toglie di un colpo le piaghe dell'anima, quando essa, per i debiti che ha contratti con la giustizia di Dio, non è capace ancora di una completa purificazione.

Non si può d'un tratto dare la pienezza della luce ad un occhio infermo, ma delicatamente si attenua la potenza luminosa e si procede a gradi. Per una Messa, l'anima è semplicemente sollevata, per un'altra comincia a orientarsi nella luce della giustizia di Dio ed ha la forza di rammaricarsi delle proprie responsabilità; per una terza comincia a sentirsi liberata dall'assideramento del suo spirito, e cresce in amore per l'amore di Gesù che la possiede durante la celebrazione del Santo Sacrificio. Ad ogni Messa celebrata per lei, l'anima si sente liberata da un suo debito, ed a poco a poco si copre della veste nuziale che la introduce nell'eterno banchetto di amore.

Come si distinguono le tre parti della Messa, delle quali parlano i Teologi determinando il frutto di ogni Messa? Non è facile dirlo, ed i Teologi non ne determinano la natura ed i limiti. D'altra parte la Messa è un unico Sacrificio, di valore infinito, e non si capisce a primo colpo come possa dividersi in tre parti.

Ecco come si può spiegare questa distinzione teologica.

La Messa è il grande tesoro della Chiesa, è il Sacrificio che la Chiesa offre a Dio, e, logicamente, è la testimonianza di adorazione, di ringraziamento, di espiazione e di preghiera di tutta la Chiesa, per Gesù Cristo che si offre. Questa può chiamarsi la prima parte del frutto della Messa.

Il Santo Sacrificio Gesù lo compie per mezzo del Sacerdote che celebra, ed è logico che il Sacerdote ne goda, prima di tutti i membri della Chiesa, il frutto speciale. Per questo è un vero delitto celebrare male la Messa, arruffarla, e, peggio, celebrarla in peccato. Il Sacerdote allora compie il Sacrificio, perché è Gesù che lo compie per lui, ma non ne raccoglie il frutto, anzi ne raccoglie condanna, perché è lontano da Dio, è terra pietrosa ed inaridita, dove l'acqua non penetra. E’ come un asino che, tutto piagato, porta un tesoro ma non è ricco. Il Sacerdote che celebra in peccato determina col Sacrificio la sublime adorazione di Gesù, ma non partecipa a questo divino atto di adorazione, perché, pur chiamando Gesù sull'Altare, non vive di Lui, anzi gli è nemico. Per il sacrilegio che commette è in uno stato di bestemmia, e come può raccogliere il frutto divino dell'adorazione di Gesù? In questo deplorevole stato, non Partecipa al divino ringraziamento di Gesù, perché è in disgrazia di Dio, ed è sommamente ingrato, come fu ingrato Giuda, che fu a mensa con Gesù, ma lo tradì per 30 monete di argento, pur essendo stato chiamato da Gesù, con predilezione di grazia, all'apostolato! Il Sacerdote sacrilego offre Gesù col sacrificio espiatorio per eccellenza, e però non solo non vi partecipa, ma aggrava la sua responsabilità col più orribile peccato. Infine il Sacerdote sacrilego non è mediatore supplicante con Gesù per le anime, ma è un vilissimo mercenario, che è di ostacolo all'effusione della misericordia di Dio.

Da quello che diciamo si può facilmente dedurre che la parte che i teologi assegnano al Sacerdote nella Messa che celebra è precisamente la sua intima partecipazione alla vita di Gesù che adora, ringrazia, espia e prega. Ed è logico che sia così, giacché è il Sacerdote che chiama Gesù sull'Altare, e per il carattere santo che ha, determina quel Sacrificio sublime, alla cui azione partecipa intimamente.

La terza parte della Messa, che i teologi dicono essere la sola che può applicarsi ai vivi ed ai defunti, è prima di tutto il tesoro delle preghiere liturgiche della Messa, che la Chiesa dona in modo particolare a chi, con l'offerta, determina, per così dire, quell'azione sacrosanta, unendosi così in modo più intimo a quella sublime offerta. Anche nell'antica Legge chi offriva in sacrificio un animale, era, per così dire, con la sua offerta, la causa prossima che determinava quel sacrificio. L'elemosina che il fedele dona per la Messa, è data per il sostentamento del Sacerdote, ed è anche data per glorificare Dio con quella sublimissima azione, è perciò un merito particolare ed una partecipazione particolare ai quattro frutti del Sacrificio: adorazione, ringraziamento, espiazione e preghiera, che giova a chi fa celebrare la Messa e può cedersi ed applicarsi alle anime del Purgatorio.

La Messa dunque non si divide in tre parti, strettamente parlando, ma effonde in tre modi l'infinito tesoro di Gesù: nella Chiesa, nel Sacerdote e nei fedeli, vivi o defunti.

Quando chi fa celebrare una Messa è in peccato mortale, non essendo capace di meritare, e quindi di guadagnare, non può raccogliere da essa un frutto, ed è solo Gesù, nella sua misericordia che direttamente soccorre le anime purganti. Il Sacrificio non perde nulla della sua efficacia per la colpa del Sacerdote o del fedele che lo fa offrire, giacché è Gesù che si offre in persona del Sacerdote, ma è chiaro che il frutto accidentale dipendente dalle disposizioni del Sacerdote o del fedele manca quando il Sacerdote o il fedele sono in peccato.
Le Messe dette «Gregoriane»
Diciamo una parola sulle Messe dette Gregoriane. Sono trenta Messe in continuazione, che si celebrano per un defunto. E’ solo una pia pratica, e non può dirsi che sia di una efficacia infallibile per la liberazione di un'anima, perché è solo Dio che, nella sua giustizia amorosa, applica il suffragio alle anime, come spiegammo.

L'origine delle Messe gregoriane è questa:

S. Gregorio Magno racconta nei suoi Dialoghi (IV c. 10) che un monaco del suo convento, chiamato Giusto, esercitava, col permesso dei Superiori, la medicina. Avendo accettato una volta, di nascosto dell'Abate, la moneta di tre scudi in oro, con gravissima mancanza contro la povertà religiosa, mosso dai rimproveri che gli aveva fatti il monaco Copioso, e umiliato dalla pena della scomunica nella quale era incorso, fu tanto afflitto dal dolore, che, ammalatosi gravemente, se ne morì, pentito, però, e in pace con Dio. Nondimeno, volendo S. Gregorio incutere nei suoi Religiosi un salutare terrore contro quel fallo, che ledeva uno dei voti più importanti della vita religiosa, non tolse al defunto la scomunica, e lo fece seppellire separatamente in un luogo dove si deponevano le immondizie, e gettati i tre scudi nella fossa, fece ripetere ai Religiosi le parole di S. Pietro a Simon Mago: Il tuo danaro perisca con te. Qualche tempo dopo il santo Abate, sentendosi tocco da compassione e forse anche per qualche visione avuta del defunto, fece venire a sé l'economo del monastero, e gli disse: « Da molto tempo il nostro confratello è tormentato dalle pene del Purgatorio, e la carità ci consiglia di liberarlo. Va, dunque, e, incominciando da oggi, offri per lui il santo Sacrificio per lo spazio di 30 giorni, senza tralasciare neppure una volta d’immolare l'Ostia propiziatoria, per la sua liberazione ».

L'economo ubbidì, ma non avendo pensato, per le troppe sue occupazioni a contare i giorni, una notte il defunto apparve a Copioso, dicendogli che se ne saliva al Cielo, libero dalle pene del Purgatorio. Furono allora contati i giorni dall'inizio delle celebrazioni, e si trovò che quello era precisamente il trentesimo. D'allora in poi invalse l'uso di far celebrare le trenta Messe per i defunti, uso che esiste nei Monasteri Benedettini e Trappisti, uso che Dio ha mostrato, con molte rivelazioni di essere a Lui molto accetto.
Le Indulgenze
Parliamo ora del terzo modo di soccorrere le anime del Purgatorio, cioè le Indulgenze.

Il nome stesso: Indulgenze, indica un beneficio ed una remissione di misericordia che si dona per generosità.

Il padrone dell'Evangelo che rimise al servo debitore, i diecimila talenti che gli doveva, gli fece una indulgenza, e questa fu conseguenza dell'umile ed appenata preghiera del servo: Abbi pazienza con me, e ti darò tutto ciò che ti debbo. Il servo supplicò, e quella preghiera gli meritò l'indulgenza, e l'indulgenza era fondata sulla ricchezza del padrone. Certo se non avesse avuto esuberanza di beni, il padrone non gli avrebbe rimesso i diecimila talenti.

Per intendere la natura delle Indulgenze che la Chiesa concede per il potere che Gesù Cristo le ha dato di sciogliere o di legare sulla terra ogni debito che l'anima ha con Dio, bisogna riportarsi prima di tutto all'ammirabile Sacramento della Penitenza. Per questo Sacramento si rimettono i peccati gravi o leggeri, cioè si fa ritornare l'anima, rea di peccati gravi, alla vita della grazia, o le si accresce questa vita, illanguidita da colpe non gravi. Si tratta di un ritorno dei figli al Padre, o di un abbraccio più amoroso e sincero dei figli poco delicati ed affettuosi con Lui.

Ogni colpa è un debito, e suppone una riparazione per ottenerne la remissione. Per la colpa mortale non perdonata, la riparazione è eterna. Se è perdonata, la riparazione è una pena temporale, dovuta per rimettere l'anima nell'equilibrio dell'amore verso Dio. La pena temporale è come la convalescenza dopo una malattia mortale, che rimette il corpo nella sua efficienza. Il dolore dei peccati gravi, quando è sincero, rimette l'anima nell'amicizia di Dio, ma se non è un atto pieno di amore, lascia nella vita un disorientamento, che deve togliersi a poco a poco con le pene della vita, o con la volontaria penitenza temporale e corporale. La pena temporale e la penitenza sono come il prolungarsi, nell'anima, del dolore dei peccati, e come un voler testimoniare a Dio il proprio amore, accogliendo la pena come reazione e riparazione del turpe diletto del peccato, a scapito della divina gloria. Questa riparazione noi la facciamo spontaneamente anche quando ci accorgiamo di avere errato nelle attività della vita naturale. Chi ha dimenticato una cosa importante, e si accorge di un danno subìto, si batte con violenza la fronte come per punirsi.

La Chiesa nei primi secoli della sua vita, assegnava essa stessa la pena temporale per i peccati gravi rimessi nella Confessione, assegnava quaresime di digiuno, ed altre pene umilianti che, benché gravi, erano sempre minima riparazione della pena temporale che l'anima avrebbe meritata.

Compassionando l'umana debolezza, e per facilitare il pieno ritorno dell'anima nel fervore della vita cristiana e del divino amore, la Chiesa, in compenso della pena temporale che dovremmo scontare, ci prescrive opere buone, alle quali ha legato in nostro favore l'applicazione dei meriti e delle soddisfazioni di Gesù Cristo, della SS.ma Vergine e dei Santi.

L'Indulgenza quindi è una remissione di pena temporale, dovuta per i peccati, che la Chiesa concede, sotto certe, condizioni, all’anima in grazia, applicandole i meriti e le soddisfazioni sovrabbondanti di Gesù Cristo, della Vergine e dei Santi, le quali costituiscono il suo tesoro, e per il quale essa scioglie sulla terra, in tutto o in parte, il debito di un'anima, sciogliendolo così anche nel Cielo.

Siccome noi, per la Comunione dei Santi, possiamo soccorrere i defunti, la Chiesa ci dà facoltà di applicare ad essi questo immenso tesoro di misericordia, riducendo così le loro pene, che sono precisamente la soddisfazione delle pene temporali da essi trascurate nella vita presente. L'indulgenza perciò, guadagnata per loro, è un salutare suffragio.

L'Indulgenza può essere plenaria se rimette tutta la pena temporale, ed è parziale se ne rimette solo una parte.

E’ illusione, comune a tanti cristiani, il ritenere di poter guadagnare un'indulgenza arruffando una preghiera semplicemente con la bocca. Occorre invece lo stato di grazia, un intimo atto di amore a Dio nel recitare la preghiera indulgenziata, una interna volontà di non volerlo mai offendere, ed una fedeltà scrupolosa alla formula della preghiera. Cambiarla con mutamenti personali, anche se dettati da fervore, significa magari pregare, ma non raccogliere il tesoro dell'Indulgenza. Uno che dicesse per es.: Dolce Cuore del mio caro e amabile Gesù, fonte di amore, fa' che io t'ami sempre più, reciterebbe una bella giaculatoria, ma non guadagnerebbe l'Indulgenza di 300 giorni che è annessa all'invocazione: Dolce Cuore di Gesù, fa' che io t'ami sempre più.

Quando per l'acquisto di una Indulgenza è prescritta la Confessione e la Comunione, la Chiesa permette di fare la Confessione tra gli otto giorni che precedono o seguono quello stabilito per l'Indulgenza, e di ricevere la Santa Comunione o alla vigilia del detto giorno o fra l'ottava, rimanendo sempre l'obbligo di osservare tutte le altre prescrizioni nel modo e nel tempo stabilito.

Chi è solito confessarsi almeno due volte al mese, o fare la Comunione quotidiana, sebbene se ne astenga una o due volte la settimana, può guadagnare l'Indulgenza anche senza l'attuale Confessione, eccettuate quelle indulgenze concesse sotto forma di Giubileo, sia ordinario che straordinario. Se si è obbligati ad un'opera buona, per mestiere, questa non giova per l'indulgenza senza una speciale concessione. Così un infermiere che deve accudire gl'infermi, non guadagna l'Indulgenza annessa a chi per carità e per amore di Dio visita un infermo. Se si è tenuti ad un'opera, imposta come penitenza in Confessione ed indulgenziata, l'opera giova anche per l'Indulgenza. Lo stato di grazia, condizione necessaria per guadagnare un'indulgenza, si richiede almeno al termine delle opere prescritte. Come potrebbe, infatti, guadagnare la remissione di una pena temporale chi è nemico di Dio, ed ha addosso una condanna di eterna pena? (Confr. Codice di Diritto Canonico).

Per guadagnare le Indulgenze occorre anche l'intenzione di guadagnarle.

Questa intenzione può formularsi al mattino, proponendo di guadagnare le indulgenze annesse a tutte le preghiere e le opere buone latte nella giornata.

E’ logico del resto, perché per l'intenzione tutta l'anima prega ed opera con la Chiesa e nello spirito della Chiesa, volendo partecipare ai suoi tesori.

Dobbiamo aggiungere che mentre in uno stesso giorno si possono guadagnare più volte le stesse Indulgenze parziali, ripetendo le opere ingiunte, non si può guadagnare più d'una volta la stessa Indulgenza plenaria, anche ripetendone le condizioni volute, a meno che non sia diversamente disposto. Così si può guadagnare più volte nel giorno l'Indulgenza detta Toties quoties, cioè che si lucra tante volte: TOTIES, quante volte si fa l'opera ingiunta: QUOTIES. Se l'opera è una visita ad una Chiesa in un giorno determinato, si divide una visita dall'altra, uscendo per poco fuori la porta della Chiesa. Se, per singolarissimo privilegio, ad un Crocifisso è annessa l'Indulgenza plenaria, ogni volta che lo si bacia con amore e pentimento, dicendo per es.: Ti amo, o Gesù , perdonami, ogni volta che lo si bacia, si guadagna l'Indulgenza plenaria. Queste Indulgenze plenarie moltiplicate nel giorno, giovano sopra tutto alle anime del Purgatorio.

Nessuno può applicare ai viventi le Indulgenze, perché è logico che non si può donare la remissione della pena temporale a chi non compie un'opera per meritarla. Sarebbe come un pagare la cambiale a chi ha sempre la cambiale da soddisfare al Banco col quale l'ha contratta. Tutte le Indulgenze invece sono applicabili alle anime purganti, se non è disposto diversamente.

Come si vede da quello che si è detto, le Indulgenze sono un grande tesoro, tanto per noi, quanto per le anime del Purgatorio, e bisogna farne grande conto, ma bisogna pure saperle guadagnare. Non è facile avere l'anima così unita a Dio, e così lontana dalle colpe, dagli attacchi alle colpe leggiere, e dalle abituali negligenze e imperfezioni nella vita cristiana, da poter guadagnare l'Indulgenza.

Non si può pretendere, infatti, di aver rimessa la pena temporale dei propri peccati, quando si vive accumulando altri debiti con la giustizia di Dio.

Se si guadagnassero veramente dai cristiani le Indulgenze della Chiesa, quante sventure di meno ci sarebbero nella nostra vita e nella vita del mondo!

Almeno da questo punto di vista che riguarda il nostro interesse temporale, dovremmo avere sollecitudine di guadagnare le sante Indulgenze, e dovremmo apprezzarne il valore ed il vantaggio.

Dolorosamente tra i cristiani di oggi manca quasi completamente la cognizione stessa delle Indulgenze, alle quali quindi sono perfettamente indifferenti. Eppure quanti debiti abbiamo con Dio, e quante sventure pendono sul nostro capo, frutto disgraziato dei nostri peccati!

Nei momenti difficili della vita sarebbe un gran bene confessarsi, comunicarsi, cercare nei tesori della Chiesa le ricchezze per pagare i nostri debiti, e liberarci dai castighi che meritano ed attirano le nostre miserie spirituali e le nostre colpe!

Tre apparizioni dall'Inferno
E' dogma di fede che esista l'Inferno, e chiunque non creda all'esistenza di questo luogo di perdizione eterna, sappia che è venuto meno alla Fede Cattolica. Similmente sappia di aver mancato alla Fede Cattolica colui che neghi che nell'Inferno vi è fuoco, ed è un fuoco reale e non solo immaginario (Ite, maledicti, in ignem aeternum!). L'insegnamento sull'Inferno è dogmatico, ed è contenuto nei decreti del Concilio di Firenze (1439), che ribadì inoltre il dogma di extra ecclesiam nulla salus, ricordando poi anche che "le anime di quelli che muoiono in stato di peccato mortale attuale o con il solo peccato originale scendono immediatamente all'inferno per esservi punite con diverse pene" (DS 1306).

Mosaici (particolare) della Basilica di S. Maria Assunta a Torcello , Venezia, IX secolo

Tratto da "L'Inferno c'è" di don Giuseppe Tommaselli SDB

I. Tutti sanno che la Chiesa, prima di elevare qualcuno agli onori degli altari e dichiararlo «Santo», esamina attentamente la sua vita e specialmente i fatti più strani e insoliti. Il seguente episodio fu inserito nei processi di canonizzazione di San Francesco De Geronimo (1642-1716), celebre missionario della Compagnia di Gesù, vissuto nel XVII secolo. Un giorno questo sacerdote predicava a una gran folla in una piazza di Napoli. Una donna di cattivi costumi, di nome Caterina, abitante in quella piazza, per distrarre l'uditorio durante la predica, dalla finestra cominciò a fare schiamazzi e gesti spudorati. Il Santo dovette interrompere la predica perché la donna non la smetteva più, ma tutto fu inutile. Il giorno dopo il Santo ritornò a predicare sulla stessa piazza e, vedendo chiusa la finestra della donna disturbatrice, domandò cosa fosse capitato. Gli fu risposto: «È morta questa notte improvvisamente». La mano di Dio l'aveva colpita. «Andiamo a vederla», disse il Santo. Accompagnato da altri entrò nella camera e vide il cadavere di quella povera donna disteso. Il Signore, che talvolta glorifica i suoi Santi anche con i miracoli, gli ispirò di richiamare in vita la defunta. San Francesco di Girolamo guardò con orrore il cadavere e poi con voce solenne disse: «Caterina, alla presenza di queste persone, in nome di Dio, dimmi dove sei»! Per la potenza del Signore si aprirono gli occhi di quel cadavere e le sue labbra si mossero convulse: «All'inferno!... Io sono per sempre all'inferno»!

II. Viveva a Londra, nel 1848, una vedova di ventinove anni, ricca e molto corrotta. Tra gli uomini che frequentavano la sua casa, c'era un giovane Lord di condotta notoriamente libertina. Una notte quella donna era a letto e stava leggendo un romanzo per conciliare il sonno. Appena spense la candela per addormentarsi, si accorse che una luce strana, proveniente dalla porta, si diffondeva nella camera e cresceva sempre più. Non riuscendo a spiegarsi il fenomeno, meravigliata spalancò gli occhi. La porta della camera si aprì lentamente e apparve il giovane Lord, che era stato tante volte complice dei suoi peccati. Prima che essa potesse proferire parola, il giovane le fu vicino, l'afferrò per il polso e disse: «C'è un inferno, dove si brucia»! La paura e il dolore che quella povera donna sentì al polso furono così forti che svenne all'istante. Dopo circa mezz'ora, ripresasi, chiamò la cameriera la quale, entrando nella stanza, sentì un forte odore di bruciato e constatò che la signora aveva al polso una scottatura così profonda da lasciar vedere l'osso e con la forma della mano di un uomo. Notò anche che, a partire dalla porta, sul tappeto c'erano le impronte dei passi di un uomo e che il tessuto era bruciato da una parte all'altra. Il giorno seguente la signora seppe che la stessa notte quel giovane Lord era morto. Questo episodio è narrato da Mons. De Sègur che così commenta: «Non so se quella donna si sia convertita; so però che vive ancora. Per coprire agli sguardi della gente le tracce della sua  scottatura, sul polso sinistro porta una larga fascia d'oro in forma di braccialetto che non toglie mai e per questo particolare viene chiamata "la signora del braccialetto"».

III. A Roma, nel 1873, verso la metà di agosto, una delle povere ragazze che vendevano il loro corpo in una casa di tolleranza si ferì a una mano. Il male, che a prima vista sembrava leggero, inaspettatamente si aggravò, tanto che quella povera donna fu trasportata urgentementesono dannata all'ospedale, dove morì poco dopo. In quel preciso momento, una ragazza che praticava lo stesso «mestiere» nella stessa casa, e che non poteva sapere ciò che stava avvenendo alla sua «collega» finita all'ospedale, cominciò a urlare con grida disperate, tanto che le sue compagne si svegliarono impaurite. Per le grida si svegliarono anche alcuni abitanti del quartiere e ne nacque uno scompiglio tale che intervenne la questura. Cos'era successo? La compagna morta all'ospedale le era apparsa, circondata di fiamme, e le aveva detto: «Io sono dannata! E se non vuoi finire anche tu dove sono finita io, esci subito da questo luogo di infamia e ritorna a Dio»! Nulla poté calmare l'agitazione di quella ragazza, tanto che, appena spuntata l'alba, se ne partì lasciando tutte le altre nello stupore, specialmente non appena giunse la notizia della morte della compagna avvenuta poche ore prima all'ospedale. Poco dopo, la padrona di quel luogo infame, che era una garibaldina esaltata, si ammalò gravemente e, ben ricordando l'apparizione della ragazza dannata, si convertì e chiese un sacerdote per poter ricevere i santi Sacramenti. L'autorità ecclesiastica incaricò della cosa un degno sacerdote, Mons. Sirolli, che era il parroco di San Salvatore in Lauro. Questi richiese all'inferma, alla presenza di più testimoni, di ritrattare tutte le sue bestemmie contro il Sommo Pontefice e di esprimere il proposito fermo di mettere fine all'infame lavoro che aveva fatto fino allora. Quella povera donna morì, pentita, con i conforti religiosi. Tutta Roma conobbe ben presto i particolari di questo fatto. Gli incalliti nel male, com'era prevedibile, si burlarono dell'accaduto; i buoni, invece, ne approfittarono per diventare migliori.
http://traditiomarciana.blogspot.it/2017/08/tre-apparizioni-dallinferno.html

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