ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 15 novembre 2017

Storicismo da quattro soldi


TEOLOGIA E SITUAZIONISMO


Tacere sui valori essenziali per evitare il conflitto? porre le questioni di fede sul terreno sdrucciolevole del “contesto”? una volta imboccata la china del situazionismo si scivola nello storicismo e si affoga nel relativismo 
di Francesco Lamendola  

Per esser chiaro, era stato chiaro: fin troppo. Nella famosa intervista al direttore de La Civiltà Cattolica, Antonio Spadaro, della fine di agosto del 2013, quindi appena cinque mesi dopo la sua elezione al soglio di san Piero – quella in cui paragonava la Chiesa cattolica a un ospedale da campo dove, per prima cosa, si medicano le ferite degli uomini, poi ci si occupa del resto, papa Francesco, fra le altre cose, aveva affermato:
Io vedo con chiarezza che la cosa di cui la Chiesa ha più bisogno oggi è la capacità di curare le ferite e di riscaldare il cuore dei fedeli, la vicinanza, la prossimità. Io vedo la Chiesa come un ospedale da campo dopo una battaglia. È inutile chiedere a un ferito grave se ha il colesterolo e gli zuccheri alti! Si devono curare le sue ferite. Poi potremo parlare di tutto il resto. Curare le ferite, curare le ferite… E bisogna cominciare dal basso. […]
Non possiamo insistere solo sulle questioni legate ad aborto, matrimonio omosessuale e uso dei metodi contraccettivi. Questo non è possibile. Io non ho parlato molto di queste cose, e questo mi è stato rimproverato. Ma quando se ne parla, bisogna parlarne in un contesto. Il parere della Chiesa, del resto, lo si conosce, e io sono figlio della Chiesa, ma non è necessario parlarne in continuazione.[…]
Una pastorale missionaria non è ossessionata dalla trasmissione disarticolata di una moltitudine di dottrine da imporre con insistenza. L’annuncio di tipo missionario si concentra sull’essenziale, sul necessario, che è anche ciò che appassiona e attira di più, ciò che fa ardere il cuore, come ai discepoli di Emmaus.. 


Sono concetti incredibili, espressi dalla bocca di un papa; tali che, fin d’allora, avrebbe dovuto esserci una presa di coscienza di ciò che Bergoglio intendeva fare e di ciò che realmente stava facendo; invece, a causa della fascinazione personale che egli esercitava ed esercita sulle folle, e anche su un certo numero d’intellettuali “laici” – sempre loro: la maledizione della nostra società! – la cosa filò via liscia come l’olio e nessuno gli chiese di render conto di tali incredibili affermazioni, anzi, si rafforzò il mito di cartapesta del papa “buono”, “schietto”, “semplice”, “evangelico” e “francescano”, tutto zelo e carità, tutto spirito di rinnovamento e capacità di ascoltare gli altri, quando non c’è stato pontefice, nella storia moderna della Chiesa, che sia stato lontano più di lui da simili valori, che sia stato privo di carità e di capacità di ascolto, che sia stato superbo e intollerante, come sta mostrando, ogni giorno di più, di essere costui. E il servilismo, la piaggeria, gli indecorosi atteggiamenti di ossequio a tutto campo che gli vengono tributati incessantemente dai suoi ammiratori, molto simili al famigerato culto della personalità che fu proprio di sinistri personaggi del XX secolo, purtroppo non lo stanno aiutando a riacquistare un poco di umiltà, di vero ascolto e di comprensione per chi non capisce quel che sta facendo, per chi è turbato e sconvolto dalle sue iniziative, per chi non accetta certe sue forzature, certe sue uscite dal sapore eretico, per non dire blasfemo, delle quali sembra particolarmente dilettarsi, come se godesse di alzare ogni giorno l’asticella delle provocazioni e di osservare l’effetto che producono sul popolo cristiano. E così egli si sente incoraggiato nella sua insofferenza, nella sua durezza e nel suo disprezzo verso chi lo critica, anche in forma rispettosa: e ne sanno qualcosa i vari Burke, Caffarra, Müller, Sarah, Seifert, Weinandy, eccetera: l’elenco sarebbe lunghissimo. E qui stiamo parlando di gente che è stata ferita da lui, e che dovrebbe essere pur medicata da qualcuno, se la coerenza ha un senso e non è solo retorica, flatus vocis, perché la loro unica colpa era stata quella di agire come dovrebbe fare qualsiasi vero amico: dire apertamente e lealmente quello che pensa, anche se ciò non piace al potente di turno, specialmente laddove la posta in gioco sia la Verità.
Dicevamo che le sue sono parole inaudite, incredibili. Innanzitutto per la contraddizione logica che si rileva tra i “valori non negoziabili”, sui quali bisognerebbe tacere per non pregiudicare il “dialogo” con gli altri (strana idea del dialogo), e la pretesa, poi, di ridurre quei valori a questioni che vanno “contestualizzate” (altra parola magica, di segno chiaramente truffaldino), ossia storicizzate – il suo, di fatto, è uno storicismo verniciato di cattolicesimo, cioè spogliato del soprannaturale e quindi del divino -, contraddizione evidentissima, che emerge dalle sue stesse parole: Non possiamo insistere solo sulle questioni legate ad aborto, matrimonio omosessuale e uso dei metodi contraccettivi. Questo non è possibile. Io non ho parlato molto di queste cose, e questo mi è stato rimproverato. Ma quando se ne parla, bisogna parlarne in un contesto. Proprio come ha fatto Sosa Abascal, parlando dell’indissolubilità del matrimonio; al giornalista Giuseppe Rusconi, che gli ricordava le parole del cardinale Müller, ossia che Gesù era stato chiarissimo su quel punto, Sosa aveva prontamente rimbeccato: 
Intanto bisognerebbe incominciare una bella riflessione su che cosa ha detto veramente Gesù…. A quel tempo nessuno aveva un registratore per inciderne le parole. Quello che si sa è che le parole di Gesù vanno contestualizzate, sono espresse con un linguaggio, in un ambiente preciso, sono indirizzate a qualcuno di definito…
Storicismo da quattro soldi (la faccenda del registratore!; non si saprebbe se ridere o piangere…), ma storicismo a tutto campo, storicismo assoluto: Gesù non ha stabilito norme, non ha distinto quello che è giusto da ciò che è sbagliato, perché Egli parlava in un cotesto, con un linguaggio, si rivolgeva a degli interlocutori ben precisi: insomma, le sue frasi hanno valore solo in quel certo contesto, non hanno un valore assoluto. Un tale storicismo assoluto è il ponte fra il situazionismo (ogni cosa ha significato solo nella  situazione specifica in cui si svolge) e il relativismo più radicale (niente ha un significato che trascende i singoli casi). Questa è, letteralmente, la decostruzione del Vangelo; questa è la deliberata, scientifica, maligna distruzione del cattolicesimo, come dottrina e anche come prassi morale.
Ma le contraddizioni logiche del ragionamento di Bergoglio, tornando alla sua intervista pubblicata nel settembre 2013, non si fermano qui; perché la raccomandazione di non parlare dell’aborto e dei valori non negoziabili - sui quali, peraltro, egli pretende di essere obbediente al Magistero ecclesiastico (mentre non lo è), ragion per cui gli sembra “inutile” ripetere dei concetti già noti - non si concilia affatto con quel che dice subito dopo, e cioè: Una pastorale missionaria non è ossessionata dalla trasmissione disarticolata di una moltitudine di dottrine da imporre con insistenza. L’annuncio di tipo missionario si concentra sull’essenziale, sul necessario, che è anche ciò che appassiona e attira di più, ciò che fa ardere il cuore, come ai discepoli di Emmaus. A parte il concetto relativo a quel che “appassiona” nell’annuncio del Vangelo (non sapevamo che una dottrina religiosa debba “appassionare”; credevamo che ciò appartenesse al mondo del calcio o a quello del ciclismo), il fatto che la pastorale debba concentrarsi sull’essenziale fa sorgere immediata la domanda: ma dunque, il rispetto della vita del nascituro, nel caso dell’aborto, non rientra nell’essenziale? Che razza di ”essenziale” ha in mente il papa Francesco, se di esso non fa parte nemmeno il quinto comandamento: Non ammazzare?
E non è finta qui. Chi ne abbia il tempo e la voglia, può andare a leggersi quel che diceva e scriveva Jorge Mario Bergoglio, quando non era ancora papa, ma soltanto arcivescovo di Buenos Aires. Non solo era un critico dichiarato della teologia della liberazione, che adesso gli piace tanto, al punto che non si prende neanche il disturbo di elogiarla e predicarla, semplicemente perché la considera come già acquista, “incorporata” nella teologia cattolica fatta propria dal Magistero, beninteso dal suo Magistero; ma aveva, a quel’epoca, espressioni durissime verso Lutero e Calvino, che erano, senz’altro – e come del resto insegna la teologia cattolica - degli eretici e degli scismatici; per non dire di quel che pensava a proposito dei divorziati risposati, o comunque conviventi more uxorio. Basti accennare che, su quest’ultimo argomento, egli la pensava come la pensa ora il cardinale Müller e come la dovrebbe pensare, se il Magistero non è un’opinione soggetta a mutare ad ogni soffio di vento, ogni buon cattolico: e cioè che tali persone, pur continuando a far parte della Chiesa e quindi pur potendo frequentare regolarmente le sacre funzioni, non possono tuttavia accostarsi al sacramento dell’Eucarestia, perché si trovano in una condizione di peccato, che la Confessione può bensì sanare, ma solo a condizione che vi sia, da parte loro, il fermo proponimento, corroborato dai fatti, di dare una svolta alla loro vita, che sia coerente con il concetto cardine della indissolubilità del matrimonio cristiano. Sorge perciò la domanda: se la parola chiave della pastorale di Francesco, oltre a “discernimento”, è “contesto”, cos’è che fa testo, a proposito della teologia della liberazione, o della cosiddetta riforma luterana, o della condotta morale dei divorziati risposati: quel che diceva da arcivescovo di Buenos Aires, o quel che dice adesso, da pontefice romano? I contestualisti, i situazionisti e gli storicisti, come lui e come Sosa Abascal, dovrebbero fare attenzione: perché di contesto si può ferire (gli altri), ma si può anche perire. E visto che, ai nostri dì, i registratori esistono, se qualcuno domandasse a papa Francesco per quale ragione quel che diceva allora dovrebbe avere un minor valore di quel che afferma oggi, lui che cosa potrebbe rispondere? Sarebbe costretto a smentire se stesso: o il se stesso di oggi, cosa che certamente non farebbe, oppure quello di ieri; perché, in pratica, ogni storicismo assoluto, come abbiamo detto, conduce al relativismo, e il relativismo è una palude malfida, nella quale finisce per sprofondare anche colui che crede di conoscerla come le sue tasche, e che è solito frequentarla con la massima disinvoltura, convinto che solo agli altri, e non a lui, potrebbe capitare di affogarvi.

Tacere sui valori essenziali per evitare il conflitto?

di Francesco Lamendola

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