DOBBIAMO SPERARE SOLO IN DIO
Perché si deve sperare solo in Dio. Chi siamo in confronto all’opera di Dio. Dobbiamo tenere a bada la superbia di crederci migliori, l’orgoglio della nostra intelligenza se abbiamo capito più di altri non è stato merito nostro
di Francesco Lamendola
Ho visto Dio da lungi e di sfuggita, come Mosè; l’ho veduto e sono rimasto muto, attonito d’ammirazione e di stupore: così scrisse un giorno Carl von Linné, il grande scienziato svedese del XVIII secolo, in un momento di abbandono mistico, fermando la penna dalle sue carte di biologo e alzando lo sguardo dell’anima a contemplare l’Assoluto. Ebbene, crediamo che nella vita di tutti i cercatori della verità arrivi un momento simile a quello descritto da Linneo: un momento in cui la verità parla da sola, senza bisogno di parole, e l’anima, per un istante, intravvede quel che aveva sempre cercato e inseguito, magari percorrendo i più lontani e misteriosi campi. Anche noi abbiamo cercato la verità, per tutta la vita, sin dalla prima adolescenza, quando, con l‘uso della ragione, lo splendore del mondo ci si è rivelato in tutta la sua potenza e ci ha impresso un sigillo indelebile: Tu sei mio, e d’ora in poi servirai me soltanto.
Naturalmente, all’inizio, non è stata una cosa del tutto consapevole: era anzi in gran parte inconscia, e mescolata a tanti altri stimoli, non solo di natura intellettuale; pure, vi era in ciascuno un elemento comune, che solo molto più tardi ci è apparso chiaro ed evidente: la ricerca delle orme di Dio. In ogni cosa, nello studio, nell’amicizia, nello sport, nel godimento della natura e del paesaggio, in ogni cosa vi era questo elemento, sotterraneo, seminascosto: la ricerca delle orme di Dio. E poi, via via che gli interessi intellettuali si sono fatti più precisi - la storia, l’arte, la scienza, il paranormale, la magia, quindi la filosofia, soprattutto la filosofia - sempre più si delineava un itinerario, solo in apparenza disordinato, in realtà sempre più preciso sempre più mirato: la ricerca della verità, cioè, ancora e sempre, la ricerca delle orme di Dio. E che altro è la filosofia, se non la ricerca della verità; e la verità, se non il riflesso dell’Ordine universale? E tuttavia, senza guide, senza mappe, senza una chiara visione d’insieme, anzi procedendo così, un po’ a tentoni: quanta strada, quanti tentativi, quanti vicoli ciechi, quanto ricominciare daccapo. Non aiutati affatto, semmai decisamente ostacolati, dalla cultura offerta dai libri, dalla scuola, dall’università, è stato necessario fare tutto da soli, trovare la direzione da soli, riflettere da soli, pagando in misura sempre maggiore il salario della solitudine: incomprensioni, seccature, noie, polemiche, scomparsa e tradimento degli amici, e sempre più solitudine. Pure, nel silenzio della solitudine umana, una presenza nuova si andava delineando, si andava rafforzando: la presenza, dapprima debole e incerta, poi, un poco alla volta, sempre più chiara, sempre più luminosa, di ciò che avevamo cercato fin dall’inizio, di ciò che i nostri passi avevano cercato per tanti anni: la verità. E quante volte ci eravamo sentiti dire: Tu sei pazzo! Ciò che cerchi non esiste; stai sbagliando tutto; e ora invece essa era lì, in fondo al tunnel splendeva come un faro nella notte, riscaldava il cuore e indicava chiaramente il cammino.
La cultura moderna diceva e dice che la verità non esiste; i filosofi moderni affermano che la verità non esiste; amici e conoscenti avevano giudicato pazzia la sua ricerca, il fatto di aver dedicato una vita intera a quella meta: e adesso la sua luce accendeva l’orizzonte con i suoi riflessi incandescenti, e smentiva tutti quei corvi del malaugurio, tutti quei maestri del nichilismo e della dissoluzione. Certo, essa continuava a restare sempre qualche passo avanti; non era possibile raggiungerla del tutto, vederla da vicino, scaldarsi interamente alla sua fiamma; mano a mano che il cammino procedeva, anche la luce della verità pareva spostarsi in avanti: ma non per beffare il viandante, bensì per ricordargli il dovere dell’umiltà, e la consapevolezza che, in questa dimensione terrena, è possibile bensì avvicinarsi al suo splendore, ma non tanto da appagare ogni desiderio e da spegnere ogni tensione. Perché la vita è lotta, e lottare significa affrontare ogni giorno le insidie della menzogna e tendere le mani verso il fuoco della verità, meta finale che potremo attinger pienamente solo quando i veli saranno caduti e noi potremo vedere Dio faccia a faccia, cosa che qui è impossibile. Intanto, però, vederla, e sia pure da lungi, è la scoperta più esaltante che si possa fare: è la rivelazione che dà un senso alla vita e giustifica ogni sacrificio, lenisce ogni pena.
La cultura moderna spegne le intelligenze e inaridisce l’amore alla verità: è una fabbrica di presuntuosi ignoranti, degni nipotini di Voltaire e dei philosophes illuministi: quante volte, per proseguire nel cammino, abbiamo dovuto voltare le spalle alla cultura moderna, bonificare la mente da tutte le false idee che essa vi aveva instillato, e riscoprire la bellezza e la possanza del pensiero cristiano medievale, oggi così negletto e disprezzato. La cultura moderna, oltre a trasmettere dei concetti falsi e dannosi, come l’assolutizzazione della ragione strumentale e lo scetticismo verso la metafisica, è pure responsabile di un’altra deformazione mentale: l’illusione che tutto sia accessibile a tutti, con poca o nessuna fatica, così, semplicemente per il fatto di avere accesso a informazioni, giornali, libri e diplomi universitari. Ma non è vero affatto. Chi ha un minimo di esperienza in fatto di conferenze pubbliche, specie se di argomento filosofico, sa quanto sia radicato il pregiudizio, fra le persone comuni, che ciascuno è filosofo, e che ciascuno ha “diritto” alla sua verità: come se la verità fosse un diritto e come se fosse paragonabile al diritto di voto, o al diritto di opinione. Ma la verità non è un’opinione: se fosse un’opinione, la verità non esisterebbe, e allora avrebbe ragione la cultura moderna: tanti esseri umani, tante verità; e magari qualcuna in più ancora, a seconda degli stato d’animo e delle fasi della vita di ciascuno.
Pertanto, alle conferenze di filosofia, c’è sempre qualcuno che si alza dal pubblico e chiede, pretende la formula magica, la scorciatoia verso la verità: pensa che, in un mondo dove tutto ha un prezzo e dove tutto è stato mappato, catalogato, inventariato, anche la verità si possa ottenere per le spicce, e che essa si trovi in un luogo preciso, o sia accessibile con una chiave precisa, che si può duplicare per poi servirsene liberamente. Spiacenti, ma non è così: e chi non ha il vero desiderio della verità, chi non è disposto a lottare per essa, chi non sa affrontare rinunce, incomprensioni e solitudine, è meglio che si dedichi a un passatempo meno impegnativo: al giardinaggio, per esempio, o al gioco degli scacchi, nobile arte peraltro, ma non così esigente come la ricerca della verità. Per capire se una persona la sta cercando per davvero, o se vorrebbe semplicemente averla, sfruttando il lavoro altrui e la fatica altrui, ma senza aver compreso che ogni singola persona deve sudare dalla propria fronte e deve lottare contro i propri fantasmi, basta un semplice colpo d’occhio. Al limite, basta ancora meno: perché chi domanda dei libri, dei consigli intellettuali, delle indicazioni circa l’itinerario da seguire, è già fuori strada, appartiene già, senz’altro, alla categoria dei falsi cercatori, dei pigri, dei funghi parassiti. Il vero cercatore non osa nemmeno chiedere, o, se lo fa, la fa con timore e tremore, con gli occhi bassi, con il viso in fiamme e quasi trattenendo il respiro: non per soggezione verso un altro uomo, ma per soggezione verso la verità. La verità, infatti, sa chi la cerca seriamente e chi no: ed è lei a venire incontro all’autentico cercatore. La verità non è una conquista, è un dono: e i doni vengono dall’alto, nessuno può darseli da sé. La verità, questa è la grande scoperta del vero cercatore, è troppo grande perché un essere umano arrivi a conquistarla: ciò significa che, per meritarla, bisogna imparare una grande lezione di umiltà, e applicarla su de stessi. Guardate quel famoso filosofo, o da molti giudicato tale: è pieno di alterigia, guarda la folla dall’alto in basso, par che si annoi a esporre le sue complesse dottrine, pare che faccia una favore a quelli che l’hanno invitato a parlare: ebbene, potete star certi che costui non ha trovato la verità, non vi si è neppure avvicinato. Chi non ha imparato l’umiltà non è amico della verità, neppure da lontano: questa è la legge.
Peraltro, non solo la ricerca della verità richiede costanza, tenacia, fermezza; essa implica anche una sorta di auto-educazione al vero, che si realizza, a livello intellettuale, nel riconoscimento di una verità di ordine superiore rispetto a una verità di ordine inferiore, in un processo dialettico simile a quello degli “stadi della vita” di Kierkegaard. Per noi, almeno, è stato qualcosa del genere: mano a mano che la ricerca continuava, e mano a mano che si faceva più solitaria, più disagevole, ma anche più esaltante e affascinante, ciò che ci aveva occupato la mente fino al giorno prima, a un certo punto cominciava a perdere d’interesse, si rivelava in tutta la sua limitatezza: non che divenisse disprezzabile, ma si mostrava nella sua reale natura, quella di uno degli scalini che conducono in alto, sempre più in alto. Gli scalini non sono fatti perché colui che li sale si fermi ad ogni passo; sono fatti per aiutarlo a salire sempre di più. Non hanno valore in se stessi, ma hanno valore rispetto alla meta. E così, i primi a perdere d’interesse – sempre in senso relativo, e sempre senza alterigia, né ingratitudine - sono stati gli studi sul paranormale; poi, quelli sulle religioni orientali; poi, quelli di ordine artistico; poi, quelli scientifici; poi, quelli storici; e infine, anche quelli filosofici. A un certo punto, la filosofia stessa ci è apparsa non più come la meta, ma come un semplice mezzo di trasporto per giungere alla meta. E che pena, allora, vedere come tante persone si fermano sul gradino della filosofia, come se quel gradino fosse il piano superiore del grande palazzo, al quale pensavano di arrivare: si fermano, e non si rendono conto d’essersi imprigionati da soli; si riempiono la mente di nomi, di formule, di teorie, e non si accorgono di aver scambiato il dito per la Luna. C’è gente che ha consacrato la vita allo studio della filosofia di Hegel, e crede di aver dedicato la vita alla filosofia: ma della filosofia non ha capito nulla, perché la filosofia è la ricerca del vero, e il vero non è quel che ha detto questo o quel filosofo, il vero è andare sempre oltre, fino al centro del discorso: e il centro del discorso è l’Essere. E che pena, vedere quante persone si sono fermate sul gradino dell’estetica, e non vedono altro che l’arte, assolutizzano l’arte, escludono dal proprio orizzonte tutto il resto. O quelle persone che si sono fermate sul gradino della storia, o della scienza, e non vedono altro che la storia, non vedono altro che la scienza, come se fossero le loro divinità, come se non vi fosse altro al mondo.
A partire da un certo punto, si procede per esclusione. Ci si confronta con questo o quel sistema filosofico, con questo o quel pensatore, e si scarta, o, se si preferisce, ci si lascia dietro le spalle, ciò che non è adatto, ciò che non si rivela fruttuoso,ciò che conduce solo dentro vicoli ciechi, ciò che serve solo a un vuoti sfoggio d’intelligenza, che però non porta da nessuna parte. La vera intelligenza ha sempre una direzione; le il vero cercatore della verità va sempre oltre; o, se non può, se non riesce, apre un pezzetto di cielo, e lo mostra a chi viene dopo di lui: quella è la direzione da seguire, non fermatevi dove mi son fermato io, andate avanti. Il vero cercatore della verità non è avido, non è egoista, non è meschino; non considera la sua ricerca come un bene privato, da amministrare a suon dicopyright: non è sempre pronto a querelare chi si serve di una sua pagina di un suo concetto, anzi, si rallegra di essere stato utile a qualcun altro, che possedeva gambe più buone delle sue. E così, scartando una mezza verità dopo l‘altra, una verità parziale dopo l’altra, e anche parecchi errori più o meno ingombranti, il cerchio si restringe, le vie possibili si riducono di numero, finché ne resta aperta una sola: e non la più semplice da percorrere, ma la più logica e naturale.
Grande è stata la nostra ammirazione, giunti a quel punto, per la Verità fedelmente custodita dalla Chiesa cattolica: era ciò che cercavamo ed era il punto dal quale avevamo mosso i primi passi, da bambini, per poi allontanarcene. Tuttavia, mentre ce ne allontanavamo, con lo stesso movimento, però sempre più ampio, vi stavamo anche ritornando: era questione di tempo, ma lì dovevamo ritornare: perché tutto parte da lì, dal Mistero dell’Incarnazione, e tutto vi ritorna. Ma quale non fu il nostro sconcerto, il nostro turbamento, la nostra angoscia, nel vedere che, nel frattempo – erano bastati pochi decenni, una generazione o poco più – il bellissimo giardino si era trasformato in una squallida sterpaglia; le fresche sorgenti si erano inaridite, e la terra era indurita e assetata; gli animali selvatici scorrazzavano liberamente, i custodi se n’erano andati, o si erano mescolati a degl’intrusi, rozzi e ignoranti, i quali, senza alcun riguardo per ciò che quel giardino era stato, l’avevano occupato a loro agio, l’avevano insozzato, l’avevano adibito a luogo di mercato e di meretricio, e alcuni lo lordavano addirittura, come se fosse una latrina. In noi, passato lo sgomento, è sorta una sorda indignazione; poi quell’indignazione ha trovato la voce, e si è fatta sentire apertamente: con le nostre mani avremmo voluto buttar fuori i miserabili, i cialtroni, gli sfrontati abusivi che stavano profanando il bellissimo giardino. Ma chi siamo noi, chi sono gli uomini, in confronto all’opera di Dio? Cenere e polvere, e null’altro. Perciò, la cosa giusta da fare è pregare e confidare in Dio: chiedere a Lui di avere misericordia della nostra miseria, della palude nella quale ci siamo sprofondati, della colpevole negligenza da noi mostrata nel custodire il giardino che ci aveva affidato. Inoltre, dobbiamo lottare anche contro la parte inferiore di noi stessi: il male non è solo fuori, è anche dentro. Dobbiamo tenere a bada la superbia di crederci migliori, l’orgoglio della nostra intelligenza. Se abbiamo capito più di altri, non è stato merito nostro: siamo stati aiutati. Ora, perciò, dobbiamo donare a nostra volta: liberalmente, gratuitamente. E poi, confidare sempre in Dio.
Perché si deve sperare solo in Dio
di Francesco Lamendola
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