«L’alternativa a una Chiesa senza dottrina non è una Chiesa pastorale, ma una Chiesa dell’arbitrio e schiava dello spirito del tempo: praxis sine theoria coecus in via, dicevano i medioevali».
Basterebbero queste poche parole per fare di «Prediche corte, tagliatelle lunghe» un libro imperdibile, ma nelle 208 pagine del volume, pubblicato dalle Edizioni Studio Domenicano, c’è molto di più. C’è tutta la saggezza e tutta la fede dell’autore, il compianto cardinale Carlo Caffarra (1938 – 2017), che qui rivive attraverso una scelta dei suoi interventi da arcivescovo di Bologna, a cura di Lorenzo Bertocchi e Giorgio Carbone.
Da buon emiliano Caffarra amava le tagliatelle, e negli anni bolognesi certamente ebbe modo di gustarle. Ciò che invece il lettore gusta in queste pagine è la profondità del teologo che in modo semplice, da vero maestro e non da trombone, va dritto al cuore delle questioni.
Torniamo al pensiero iniziale. Fa parte del capitolo «Le cinque insidie della Chiesa» (evidente l’eco di Rosmini e delle sue cinque piaghe), e la prima insidia secondo Caffarra è proprio la Chiesa priva di dottrina e sbilanciata sulla pastorale. Una Chiesa che vede nella dottrina un peso, che non vede più nella dottrina il progetto divino sull’uomo, si consegna al pensiero dominante e al relativismo, tralasciando la domanda sulla verità.
«La seconda insidia è dimenticare che la chiave interpretativa della realtà tutta e in particolare della storia umana non è dentro la storia stessa. È la fede».
La terza insidia, anche questa di origine marxista, è il primato della prassi, come se il fondamento della salvezza dell’uomo fosse il suo agire e non la sua fede.
La quarta insidia, legata alla precedente, è la riduzione della proposta cristiana a un’esortazione di tipo morale.
La quinta «è il silenzio circa il giudizio di Dio, mediante una predicazione della misericordia divina fatta in modo tale che rischia di far scomparire dalla coscienza dell’uomo che ascolta la verità che Dio giudica l’uomo».
Ecco. Caffarra parlava e scriveva così. Ed è difficile non provare al tempo stesso gratitudine e nostalgia.
Che cosa diceva, per esempio, circa la situazione attuale della Chiesa?
Ascoltiamo: «Bisogna essere ciechi per non vedere che la Chiesa sta attraversando un momento di confusione e di smarrimento. Non è la prima volta che questo succede. Ne ha vissuti altri di questi momenti. Quando sembrava, come dice Dante, “senza nocchiero e in gran tempesta”. L’han vissuto anche gli apostoli, quando si son trovati in mezzo al lago dentro una bufera di vento e di onde. E – incredibile – Gesù dormiva, si era addormentato. A volte siamo tentati di dire: Gesù, ti sei ancora addormentato in questo momento? Ma sappiamo che Lui c’è, questa è la nostra certezza».
A fronte delle tagliatelle scotte e insipide di tanti pastori preoccupati non di trasmettere la fede ma di seguire l’onda e non scontentare nessuno, quelle di Caffarra sono tagliatelle buone, genuine, e fanno venir voglia di chiederne un secondo piatto. Perché il cardinale non girava attorno alle domande.
Qual è la vera differenza tra chi decide di seguire Cristo e chi decide di non seguirlo? Non si tratta dei comportamenti, ma della misura del proprio essere. Chi segue Cristo «decide di sé in ordine al suo destino eterno». E questa «elevazione dell’io» verso l’eternità ha conseguenze decisive sulla ragione e sulla volontà. Sulla ragione, perché l’intelligenza umana viene «resa capace dalla fede di comprendere il senso ultimo»; sulla volontà, perché essa «viene resa capace di amare come Cristo ha amato».
E sentite questa: «Il principale nemico della nostra fede è l’indifferentismo o relativismo religioso. Esso consiste nel ritenere che tutte le religioni si equivalgono; che in ordine al culto che noi dobbiamo a Dio è indifferente ciò che noi pensiamo di Lui; che in ordine alla nostra appartenenza alla Chiesa non hanno rilevanza le nostre idee in fatto di religione, ma riteniamo forse più rilevanti le nostre idee politiche. Quale è stata la vera guarigione del cieco? La sua fede. Egli ha riconosciuto in Gesù il suo Signore e gli si è prostrato davanti».
Dal relativismo religioso al relativismo morale, osservava Caffarra, il passo è breve, e lo stiamo verificando. Attraverso il relativismo religioso si finisce dritti dritti nel sostenere che non esiste alcuna verità assoluta circa ciò che è bene e ciò che è male. Si dimentica, si vuol dimenticare, che alla base della proposta cristiana non c’è il relativismo (che «è come una metastasi», perché «se accetti i suoi principi, ogni esperienza umana, sia personale che sociale, viene corrotta»), ma il «principio dogmatico», come lo chiamava il cardinale Newman.
Questo era Caffarra. Tagliente come un bisturi nel separare il grano dal loglio; mai arrogante, sempre pieno di fiducia.
Prima di chiudere, ancora due forchettate di buone tagliatelle, scelte tra le moltissime possibili.
Nel culto da rendere a Dio non si può essere approssimativi, superficiali, generici, perché «è la fede nel vero Dio ciò che ci salva». Di conseguenza, «sostituire nelle comunità cristiane il dominio dell’opinabile al primato del dogma di fede significa sradicarle dal solido fondamento della verità divina e fondarle sulle sabbie mobili dei vani pensieri umani. Non basta vivere nella carità, ma è necessario vivere nella carità secondo la verità, ci ha detto l’Apostolo».
Infine, ecco che cosa scriveva ricordando l’amico Giacomo Biffi, suo predecessore alla guida dell’arcidiocesi di Bologna: «Ho potuto constatare più di una volta che, quando parlava del disegno di Dio dentro la storia umana, era preso come da una sorta di incanto che lo affascinava… Questo modo di guardare la realtà gli dava una grande libertà di giudizio – ubi fides, ibi libertas: era il suo motto – sui fatti di oggi e del passato, anche dal punto di vista rigorosamente storico… E Dio solo sa quanto oggi nella nostra Chiesa italiana abbiamo bisogno di una fede capace di generare un giudizio sugli avvenimenti» .
Poco prima di morire, il cardinale ammise di provare amarezza. Avendo firmato con i cardinali Brandmüller, Meisner e Burke i famosi dubia su Amoris laetitia, fu fatto passare per «nemico» di Francesco. Una calunnia per un cardinale come lui, fedelissimo al papa e, proprio per questo, disposto a mettersi in gioco per aiutarlo nella missione di confermare i fratelli nella fede. Ma sappiamo che in questo nostro mondo, pieno di conformismo e opportunismo, pensare con la propria testa, alla luce dell’eterna verità divina, è l’unico peccato imperdonabile.
Aldo Maria Valli
Domenica 10 dicembre 2017 «Avvenire» annunciava che l’Amoris Laetitia, come da volontà di Francesco e, dunque, del «Magistero ufficiale», va applicata secondo le linee guida elaborate dai vescovi argentini e tali linee sono state inserite negli Acta apostolicae sedis, ovvero nella «Gazzetta ufficiale» della Santa Sede. La lettera dei vescovi della regione di Buenos Aires contiene i criteri applicativi dell’eretico capitolo VIII, «Accompagnare, discernere e integrare le fragilità». Il testo, inteso come “prezioso” contributo per una guida pastorale sul tema delle persone divorziate e risposate, era stato diffuso nel settembre 2016, è dunque comparso sugli Acta: numero di ottobre 2016, pagg. 1071-1074. Insieme alla lettera dei vescovi, c’è la risposta del Papa, esplicita e definitiva: «Il testo è molto buono e spiega in modo eccellente il capitolo VIII di Amoris laetitia. Non c’è altra interpretazione. Sono sicuro che farà molto bene».
«Avvenire» con tono altrettanto esplicito e definitivo dichiara che le parole di Francesco avevano «fatto arricciare il naso ai soliti difensori del tempo che fu, secondo cui la lettera, essendo corrispondenza privata, non poteva rappresentare un riferimento valido e universale, soprattutto su un argomento così controverso. Ora il Rescriptum, cioè la nota finale al testo e alla risposta del Papa, firmata dal cardinale segretario di Stato vaticano, Pietro Parolin, chiude una volta per sempre lo stucchevole dibattito: «Il Papa ha deciso che i due documenti vanno intesi come magistero autentico (velut Magisterium authenticum). Altro che corrispondenza privata, questo è invece lo schema che Francesco stesso indica per accompagnare le persone divorziate risposate che intendono riavvicinarsi alle comunità ecclesiali sulla via del pentimento e del discernimento, offrendo loro tutte le risorse concrete e spirituali di cui la Chiesa dispone, compresi “in alcuni casi”, anche i sacramenti.[…] In più punti, nel documento, si chiarisce che non si tratta di una norma valida in tutte le circostanze, ma di un cammino di discernimento dinamico, in cui i fedeli sono chiamati ad un confronto franco con la propria coscienza e con il sacerdote che li accompagna. Cosa cambia con la pubblicazione di questo testo negli Acta? È facile immaginare che conferenze regionali e diocesi saranno incoraggiate a proporre, a loro volta, linee guida e orientamenti pastorali per accompagnare le persone separate in nuova unione alla riscoperta del loro cammino di fede. Per quanto riguarda la Chiesa italiana, hanno già pubblicato linee-guida importanti le Conferenze episcopali della Campania e della Sicilia. Altre hanno messo a punto Orientamenti già calibrati su quanto indicato dal Papa e si preparano ad annunciarne la pubblicazione. Un passo ormai irrinunciabile per togliere Amoris laetitia dal girone delle polemiche sterili e inserirla fruttuosamente nella realtà della vita quotidiana».
Noi saremmo, quindi, per la Chiesa bergogliana, dei «difensori del tempo che fu». Il Figlio di Dio si incarnò duemila anni fa e duemila anni fa Lui dichiarò in modo esplicito e definitivo che il matrimonio è indissolubile e da quell’insegnamento consegue che l’adulterio è peccato mortale. «Va’ e d’ora in poi non peccare più» (Gv 7, 11). Essere «difensori del tempo che fu» significa essere difensori di Cristo Vivo (non della menzogna), difensori della impagabile Verità (non di Lutero), difensori della vivida Fede (non del defunto Pannella e della Bonino), perciò a tale accusa noi rispondiamo: «Siamo fieri di essere difensori del tempo di Cristo!», il tempo dell’eternità.
E questa Chiesa bergogliana, ogni giorno più gnostica, subisce un sempre più evidente isolamento rispetto a tutti coloro che ancora si dichiarano figli della Chiesa di Roma, Una, Santa, Cattolica, Apostolica, così come dimostra il clamoroso documento delle organizzazioni mondiali Pro-Vita pubblicato ieri, nel giorno della Madonna di Guadalupe. I principali responsabili mondiali dei movimenti che lottano contro l’abominio dell’aborto si sono ufficialmente dichiarati «Fedeli all’insegnamento di sempre della Chiesa, non ai pastori che sbagliano». Questi movimenti rappresentano milioni di cattolici in tutto il mondo!
Con determinazione il documento afferma di voler rimanere negli insegnamenti di sempre della Chiesa a proposito della dottrina. Essere con Cristo e di Cristo significa seguirne le leggi, perciò nessuno, neppure il Papa, può separare i credenti da Gesù Cristo. La Chiesa è stata fondata da Cristo per custodire la Fede integra e nessun rivoluzionario potrà mai mutare le volontà del Fondatore, Seconda Persona della Santissima Trinità.
Le parole, presenti nella Promessa di fedeltà all’insegnamento autentico della Chiesa dei leader dei movimenti pro-vita e pro-famiglia sono inequivocabili e sono estremamente chiare:
Il numero di bambini innocenti uccisi dall’aborto nel corso del secolo scorso è maggiore di quello di tutti gli esseri umani che sono morti in tutte le guerre della storia umana. Gli ultimi cinquant’anni hanno testimoniato una continua escalation di attacchi alla struttura della famiglia come è stata progettata e voluta da Dio, capace di creare il miglior ambiente per una sana e vigorosa crescita dell’uomo e soprattutto per l’educazione e la formazione dei bambini. Il divorzio, la contraccezione, l’accettazione di atti e di unioni omosessuali e la diffusione dell’“ideologia di genere” hanno causato danni incommensurabili alla famiglia e ai suoi membri più vulnerabili. Negli ultimi cinquant’anni il movimento pro-vita e pro-famiglia è cresciuto in dimensione e portata per far fronte a questi gravi mali, che minacciano sia il bene temporale che quello eterno dell’umanità. Il nostro movimento comprende uomini e donne di buona volontà provenienti da una grande varietà di ambiti religiosi. Siamo tutti insieme uniti nella difesa della famiglia e dei nostri fratelli e sorelle più vulnerabili, attraverso l’obbedienza alla legge naturale, impressa in tutti i nostri cuori (cfr Rm 2,15). D’altronde, in questa ultima metà di secolo il movimento pro-vita e pro-famiglia si è affidato in modo particolare all’insegnamento immutabile della Chiesa cattolica, che afferma la legge morale con la massima chiarezza. È quindi con grande dolore che negli ultimi anni abbiamo dovuto constatare che la chiarezza dottrinale e morale, su questioni legate alla tutela della vita umana e della famiglia, è stata sempre più sostituita da dottrine ambigue e persino direttamente contrarie all’insegnamento di Cristo e ai precetti della legge naturale».
Le alte gerarchie della Chiesa di oggi, infarcita di errori filosofici e teologici, di ideologie secolarizzate, malsane e distruttive, di spirito rivoluzionario e incendiario, è deragliata. Coloro che hanno firmato il documento diffuso ieri dichiarano a gran voce la volontà di rimanere sulle rotaie del tempo di Cristo e della sua Chiesa, quella che non conosce invecchiamento, orgogli personali, relativismi, apostasia, assenza di misericordia per le anime:
«Aderiamo pienamente a tutte quelle cose “che sono contenute nella parola di Dio e si trovano nella Scrittura e nella Tradizione e che sono proposte dalla Chiesa come principi a cui credere perché divinamente rivelati, sia in base a suo solenne giudizio, sia per suo magistero ordinario e universale”. Dichiariamo la nostra completa obbedienza alla gerarchia della Chiesa cattolica nel legittimo esercizio della sua autorità. Tuttavia, nulla potrà mai convincerci od obbligarci ad abbandonare o contraddire qualsiasi articolo della fede e della morale cattolica. Se esiste conflitto tra le parole e gli atti di qualsiasi membro della gerarchia, compreso il Papa, e la dottrina che la Chiesa ha sempre insegnato, rimarremo fedeli all’insegnamento perenne della Chiesa. Se dovessimo abbandonare la fede cattolica, ci separeremmo da Gesù Cristo, a cui vogliamo essere uniti per tutta l’eternità. Noi, sottoscritti, promettiamo di continuare ad insegnare e propagare i principi morali sopra elencati e ogni altro insegnamento autentico della Chiesa cattolica e che mai, per nessuna ragione, ci allontaneremo da essi».
Siamo nell’ora della prova e del dolore, ma siamo anche nell’ora del combattimento per la Verità portata nel mondo dal Salvatore, che venne appeso alla Croce per redimere ognuno di noi. Chi promuove l’aborto lotta per il male e per la morte. Chi osteggia l’aborto lotta per il bene e per la vita. I firmatari di ieri – e di chi vorrà aggiungersi www.fidelitypledge.com (speriamo vivamente anche Tony Brandi di «ProVita», che attualmente e con sorpresa non compare) – lottano per il Vangelo, per l’oltraggiata istituzione del papato, per la Chiesa, sporcata come la vide e la profetò il Dottore della Chiesa santa Ildegarda di Bingen con «il volto cosparso di polvere, il suo vestito, dal lato destro, era strappato. Anche il mantello aveva perso la sua bellezza singolare e le sue scarpe erano insudiciate dal di sopra […] questo restare aperte delle ferite di Cristo è la colpa dei sacerdoti. Essi stracciano [qui è la stessa Chiesa che parla – ndr] la mia veste poiché sono trasgressori della Legge, del Vangelo e del loro dovere sacerdotale. Tolgono lo splendore al mio mantello, perché trascurano totalmente i precetti loro imposti. Insudiciano le mie scarpe, perché non camminano sulle vie dritte, cioè su quelle dure e severe della giustizia».
Alla Giustizia di Dio, Uno e Trino («Non avrai altro Dio all’infuori di Me»), noi guardiamo e non alle mollezze di un buonismo impietoso e irreligioso.
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