PADRE CANTALAMESSA ALLA CURIA ROMANA: UN'ERESIA TRINITARIA IN NOME DELL'ECUMENISMO
ma solo a favore di essa»
(2 Cor 13, 8)
Siamo ormai giunti alla
certezza incontrovertibile che tanto meno una persona è adatta ad un
incarico particolare, quanto più essa verrà designata a quell’incarico,
soprattutto se in quella posizione potrà far danni. Cupich e
Coccopalmerio si occupano di chierici omosessuali e molestatori, per
fare un esempio: come dire Himmler giudice dei criminali nazisti a
Norimberga, o Erode direttore d’un istituto d’infanzia.
Abbiamo anche visto
che, in seno alla setta che infeuda la Chiesa di Cristo da ormai
sessant’anni, immoralità ed eresia sono due facce del poliedro
modernista, cui si aggiungono cupidigia, brama di potere, orgoglio,
ricatto e menzogna. Un quadro che va progressivamente scoprendosi,
grazie anche all’opera indefessa di chi si crede ormai autorizzato ad
agire alla luce del sole, pensando che ormai non vi sia più alcun
ostacolo al raggiungimento della meta finale.
In questa
istituzionalizzazione dell’apostasia da parte di una vera e propria
mafia d’impresentabili, possiamo comprendere con chiarezza che fenomeni
apparentemente scollegati sono in realtà parte di un unico disegno
criminoso. E quegli eventi che negli scorsi decenni si potevano
deplorare in termini generali senza alcun collegamento reciproco,
mostrano una sconcertante coerenza degna di una mente diabolica.
Proprio in questi
giorni il cardinal Francesco Coccopalmerio ha teorizzato la possibilità
di riconoscere la validità delle ordinazioni anglicane [qui],
in nome di quell’ecumenismo conciliare che ha cancellato l’apostolato
cattolico nella neo-chiesa progressista. É noto l’impegno dei novatori
nel dialogo con la setta anglicana, inaugurato da Paolo VI e proseguito
anche nei successivi Pontificati. Tre anni or sono, il 25 Novembre 2015,
padre Raniero Cantalamessa predicò nell’Abbazia di Westminster,
partecipando alla celebrazione di inizio del Sinodo della Chiesa
d’Inghilterra, una vera e propria communicatio in sacris con degli eretici [qui].
I pennivendoli vaticani ci informano [qui] che padre Cantalamessa, nel corso di una meditazione sull’Avvento tenuta coram Pontifice
alla Curia Romana, ha ancora una volta perorato la necessità dell’unità
con un’erudita metafora trinitaria, che all’orecchio di un inesperto
potrebbe sembrare anche vagamente cattolica; il tono generale
dell’omelia pare erudito e non tralascia il ricorso a melliflue
seduzioni per incantare l’ascoltatore, distratto da figure retoriche e
riferimenti all’iconografia sacra. Ma in quel discorso apparentemente
innocuo si annida a mio parere non solo una scandalosa bestemmia contro
la Ss.ma Trinità, ma anche una delle eresia tanto care al Predicatore in
saio.
Cantalamessa ha
auspicato l’unione dei Cristiani di ogni confessione, prendendo ad
esempio l’intima unità delle Divine Persone della Ss.ma Trinità: «Ogni persona divina ama l’altra esattamente come se stessa». Ed ha spiegato: «Contemplare la Trinità aiuta a vincere la discordia del mondo». E, per meglio esplicitare il proprio pensiero ha detto: «Si
può essere divisi nella mente, in ciò che ognuno pensa su questioni
dottrinali o pastorali ancora legittimamente dibattute nella Chiesa, ma
mai divisi nel cuore: in dubiis libertas, in omnibus vero caritas», per conseguire una «unità nella diversità».
Mi permetto di far notare, en passant, che la citazione latina è incompleta. La frase integra recita: «In necessariis unitas, in dubiis libertas, in omnibus caritas». É significativo che Cantalamessa abbia omesso proprio «in necessariis unitas», ossia l’unità nelle cose necessarie. Vieppiù perché l’adagio compare nell’Enciclica Ad Petri cathedram di Giovanni XXIII [latino - italiano], nella parte che riguarda proprio il ritorno all’unità cattolica di quanti sono separati dalla Chiesa:
«È fuori dubbio che
il divin Redentore ha costituito la sua chiesa dotandola e
corroborandola di solidissima unità; che se, per assurdo, non l’avesse
fatto, avrebbe istituito qualcosa di caduco e mutevole nel tempo, a
quella guisa che i vari sistemi filosofici abbandonati all’arbitrio
delle varie opinioni degli uomini, con l’andar del tempo uno dopo
l’altro sorgono, si trasformano e scompaiono. Non vi può quindi essere
alcuno che non veda come tutto questo sia contrario al divino
insegnamento di Gesù Cristo, che è «via, verità e vita» (Gv 14,6).
Siffatta unità,
venerabili fratelli e diletti figli, che, come abbiamo detto, non deve
essere qualcosa di evanescente, incerto e labile, ma di solido, stabile e
sicuro, se manca alle altre comunità di cristiani, non manca certo alla
chiesa cattolica, come può facilmente vedere chi attentamente la
osservi. Infatti questa unità si fregia di tre note distintive: l’unità
di dottrina, di regime e di culto. Essa è tale da risultare visibile a
tutti, sicché tutti la possono riconoscere e seguire. È tale inoltre
che, secondo la volontà stessa del suo divin Fondatore, tutte le
pecorelle ivi realmente possono riunirsi in un solo ovile sotto la guida
di un solo pastore. E così all’unica casa paterna, stabilita sul
fondamento di Pietro, sono chiamati tutti i figli, e in essa bisogna
cercare di radunare fraternamente tutti i popoli come nell’unico regno
di Dio, i cui cittadini, congiunti tra loro in terra nella concordia di
mente e di animo, abbiano un giorno a godere l’eterna beatitudine in
cielo.
La Chiesa cattolica
comanda di credere fedelmente e fermamente tutto ciò che è stato
rivelato da Dio; quanto cioè si contiene nella sacra Scrittura e nella
Tradizione orale e scritta, e, nel decorso dei secoli, a cominciare
dall’età apostolica, è stato sancito e definito dai Sommi Pontefici e
dai legittimi concili ecumenici. Ogni volta che qualcuno si è
allontanato da questo sentiero, la Chiesa con la sua materna autorità
non ha mai cessato di richiamarlo sulla retta via. Sa bene, infatti, e
sostiene che vi è una sola verità e che non possono ammettersi «verità»
in contrasto tra di loro. Fa sua quindi l’affermazione dell’apostolo
delle genti: «Non abbiamo alcun potere contro la verità, ma solo a
favore di essa» (2 Cor 13, 8).
Vi sono tuttavia non
pochi punti sui quali la chiesa cattolica lascia libertà di disputa ai
teologi, in quanto si tratta di cose non del tutto certe e in quanto
anche, come notava il celebre scrittore inglese cardinale John Henry
Newman, tali dispute non rompono l’unità della chiesa. Esse servono anzi
a una più profonda e migliore intelligenza dei dogmi, poiché preparano e
rendono più sicura la via a questa conoscenza. Infatti dal contrasto
delle varie sentenze scaturisce sempre nuova luce. Ad ogni modo è sempre
da tener presente quella bella e ben nota sentenza attribuita in
diverse forme a diversi autori: nelle cose necessarie ci vuole l’unità,
in quelle dubbie la libertà, in tutte la carità».
Come si vede, i
farneticamenti della neo-chiesa sono sconfessati da Giovanni XXIII, in
perfetta coerenza con il Magistero ininterrotto della Chiesa. Non solo:
la citazione monca del Predicatore della Casa Pontificia dimostra un
intento doloso, nell’aver deliberatamente omesso proprio la parte più
importante.
Il Prelato che sente
citare dal cappuccino quelle parole, orecchia la citazione
dell’enciclica di Roncalli, e crede di trovarvi un elemento
tranquillizzante. Ma questa orecchiabilità della citazione vale pure per
l’Anglicano. Il pio Lettore mi chiederà cosa c’entra un Anglicano con
l’adagio latino. Con la perfidia degna di un Mefistofele, queste parole
si prestano ad una doppia interpretazione, quasi come un ammiccamento all’eretico; perché essa fu usata dal teologo luterano Peter Meiderlin: «Si
nos servaremus in necesariis Unitatem, in non-necessariis Libertatem,
in utrisque Charitatem, optimo certe loco essent res nostrae» (Paraenesis votiva pro pace ecclesiae ad theologos Augustanae, 1626), che a sua volta l’aveva mutuata dall’ex Primate di Dalmazia, Marco Antonio de Dominis: «Omnesque mutuam amplecteremur unitatem in necessariis, in non necessariis libertatem, in omnibus caritatem» (De Republica Ecclesiastica contra Primatum Papae libri X,
lib. IV, cap. 8). Giova ricordare che de Dominis nel 1616 si separò
dalla Chiesa Cattolica per abbracciare l’eresia anglicana, dove
ricevette incarichi ecclesiastici e scrisse diverse opere contro il
Romano Pontefice e la Chiesa di Roma. Tra l’altro, a quello stesso
adagio volle ricorrere l’ugonotto Isaac Casaubon, allorché su incarico
di Giacomo I d’Inghilterra scrisse al cardinale Jacques Du Perron nel
1612 per cercare un accordo tra Anglicani e Cattolici. Infine, questo è
il motto dell’Unione dei Fratelli Boemi e dei Presbiteriani
Evangelici degli Stati Uniti.
Ecco spiegato come, in
quella frasetta apparentemente innocente, Cantalamessa raggiunga il
triplo scopo di non allarmare il Prelato di Curia conservatore, di
lanciare un segnale agli acattolici e di far capire ai suoi sodali il significato della deliberata omissione: tolto «In necessariis unitas», egli conferma in quale senso va letto l’auspicio all’unità, ossia scardinandola dal fondamento nella verità.
L’ingenuo potrà obiettare che, limitatamente alla Chiesa, ossia tra Cattolici che hanno divergenze su «questioni dottrinali o pastorali ancora legittimamente dibattute»,
l’affermazione di padre Cantalamessa è perfettamente ortodossa. Ma così
non è, perché è evidente che il riferimento non è alla Chiesa
Cattolica, ma a quel concetto proteiforme e vaporoso - liquido, come si dice oggi - di una cosiddetta chiesa che includerebbe al proprio interno tutte le denominazioni cristiane. Quella cosa - ché chiamarla chiesa
è teologicamente inappropriato - cui mira il movimento ecumenico
condannato dai Papi sino a Pio XII e che considera la preghiera di
Nostro Signore «ut unum sint» (Jo 17, 21) non già pienamente
realizzata nell’unica Chiesa da Lui fondata, ma da raggiungersi con
l’unione dei Cattolici con eretici e scismatici.
Affermo che la frase di
padre Cantalamessa va intesa in questa accezione perché nella stessa
meditazione alla Curia Romana egli ha parlato di un «vero cammino verso l’unità»
che non avrebbe senso, se fosse da intendersi come riferito ai soli
Cattolici, i quali godono già di quell’unità in virtù della loro
appartenenza alla Chiesa di Cristo. E quando egli afferma che «Cristo ci ha lasciato un mezzo per farlo: l’Eucaristia», il cappuccino si riferisce all’intercomunione, ossia alla partecipazione degli acattolici alla Messa ed alla stessa Comunione eucaristica, peraltro già autorizzata a determinate condizioni da Paolo VI e da Giovanni Paolo II [qui]
ed oggi divenuta scandalosissima prassi in molte Diocesi, non senza il
plauso del Sedicente e pur suscitando non poche perplessità negli stessi
moderati, quali ad esempio il cardinal Müller.
L’ex Prefetto del Sant’Uffizio, proprio alcuni giorni or sono, ha rilasciato un’intervista a LifeSite News
nella quale, senza mezzi termini, invita - e giustamente - i sacerdoti a
disobbedire all’eventuale ordine di un loro Superiore che dovesse
autorizzare l’amministrazione della Comunione agli acattolici: «Per
ricevere la Santa Comunione è richiesta la piena appartenenza alla
Chiesa cattolica; eppure qualcuno ha chiesto al Papa - in modo da
promuovere l’intercomunione - di autorizzare una deroga con affermazioni
teologicamente indistinte che contraddicono la dottrina cattolica e la
chiara istruzione della Congregazione per la Dottrina della Fede; questa
richiesta ha portato confusione nella pratica, con un grave danno alla
Chiesa» [qui].
É evidente che anche in seno alla Gerarchia vi sia un’ala
ultraprogressista che spinge verso la normalizzazione di un abuso ed una
moderata che non giunge ad avvallare un vero e proprio sacrilegio.
Torniamo a Padre
Cantalamessa e al senso delle sue parole. Per una loro corretta
interpretazione è sufficiente rileggere quel ch’egli disse in occasione
dell’incontro tenutosi il 22 Giugno 2006 nello stadio Luna Park di Buenos Aires per pregare per l’unità dei Cristiani.
Entre parenthèses, in quella circostanza l’allora cardinal Bergoglio si inginocchiò (!) per ricevere lo spirito -
oggi sappiamo quale - dinanzi agli esponenti di spicco del III Incontro
Fraterno della Comunione Rinnovata degli Evangelici e Cattolici nello
Spirito.
Ecco le parole del Predicatore della Casa Pontificia: «Il
nostro contributo all’unità è l’amore reciproco. Se alcuni vogliono
costruire l’unità a partire dalle verità di fede, noi vogliamo farlo
partendo dal cuore. L’unità che cerchiamo esiste già perché è stata
conquistata da Cristo e si rende operante nella Chiesa attraverso lo
Spirito Santo. Lo Spirito precede, l’istituzione non può far altro che
seguirlo. C’è ancora molto da fare, e da sola la via dell’ecumenismo
ufficiale e teologico non raggiungerebbe mai l’unità dei cristiani. E’
necessario sostenere l’ecumenismo dottrinale con quello spirituale. E
visto che entrambi procedono dallo stesso spirito, non può esserci
conflitto».
Queste proposizioni
dimostrano che Cantalamessa ha già fatto ricorso allo stesso perverso
ragionamento, assolutamente falso, secondo il quale lo Spirito Santo
viene indicato come ispiratore e motore di un’azione contro le altre due
Persone della Ss.ma Trinità. Cantalamessa sostituisce alla Carità
teologale una solidarietà orizzontale tra persone, giungendo a preferire
l’unità nell’errore alla necessaria e doverosa separazione tra quanti
professano la Verità e coloro che la negano. Egli sovverte completamente
il messaggio cristiano, indicando nell’eterna dannazione la salvezza,
nell’errore la verità, nel demonio il dio da adorare: l’inganno
dell’antico Serpente.
Ecco svelata in tutta
la sua portata devastatrice la pastorale in antitesi alla dottrina,
tematica fatta propria da Bergoglio sin dall’inizio del suo Pontificato.
Il quale, già da quando era Arcivescovo di Buenos Aires, aveva le idee
ben chiare su come portare avanti il suo ecumenismo: «Abbraccio,
piaga e vento. Che il Padre ci chiuda la bocca con l’abbraccio e ci
unisca sempre più. Sì, sono peccatore, vedo la piaga con cui Cristo ci
ha salvato. Appropriamoci della piaga di Cristo. Quanto al vento, è lui
che ci stringe nell’unità e ci unisce come chiese riconciliate nella
diversità». Anche se siamo ormai abituati a sentirlo farneticare,
specialmente quando parla di questioni dottrinali, non può non suscitare
sconcerto e scandalo veder contraddetto in poche parole l’insegnamento
di Nostro Signore e disprezzata la testimonianza di tanti martiri che,
per fedeltà all’unica Chiesa, sono stati uccisi dagli eretici, non
ultimi proprio gli Anglicani.
Quando Cantalamessa parla di «questioni dottrinali o pastorali ancora legittimamente dibattute», egli inganna dolosamente chi lo ascolta, perché non spiega che nel loro novero egli include ad esempio proprio l’intercomunione, e forse addirittura il riconoscimento delle ordinazioni anglicane, che Leone XIII nella bolla Apostolicae curae dichiarò nulle, blindando
il documento - con lungimiranza profetica, direi - con tutti i carismi
dell’infallibilità e specificando che questa definizione non avrebbe
potuto esser in alcun modo contraddetta né attenuata in futuro [qui].
D’altra parte, si
comprende a cosa si riferisca Cantalamessa con quell’affermazione
apparentemente innocua, ma velenosissima nelle sue implicazioni: «Cristo ci ha lasciato un mezzo per farlo: l’Eucaristia».
Si noti anche la critica non troppo velata alle limitazioni attualmente
vigenti per l’accesso alla Comunione, laddove egli afferma che l’unità
auspicata oggi - quale, se non quella dell’ecumenismo irenista? - non è
possibile solo «intorno al nostro punto di vista». Un appello al Papa e ai Prelati della Curia Romana, perché cooperino al raggiungimento di questo scopo. «C’è ancora molto da fare, e da sola la via dell’ecumenismo ufficiale e teologico non raggiungerebbe mai l’unità dei cristiani», perché «se alcuni vogliono costruire l’unità a partire dalle verità di fede, noi vogliamo farlo partendo dal cuore».
Questa contraddizione
tra Fede e Carità non può ovviamente esser ammessa dal Cattolico, perché
entrambe trovano fondamento ed espressione massima nella Ss.ma Trinità:
di qui l’eresia trinitaria di Cantalamessa. Non solo: questo delirio
teologico ha delle immediate ripercussioni pratiche, laddove si separi
la dottrina dalla pastorale. E ancora, le conseguenze si estendono
all’ambito meramente umano: separare ragione e sentimento - mente e cuore
- è un’operazione di schizofrenia artificiale degna del Luteranesimo
prima e del Romanticismo poi: quello ha affermato il primato della fede
indipendentemente dalle opere - pecca fortiter sed fortius crede -
dove questo ha affermato il primato dei sentimenti sulla ragione,
mentre nell’ordine naturale la volontà dev’esser sottomessa
all’intelletto, così come la morale dipende dalla verità. Come si vede,
si torna nuovamente a toccare il Mistero della Sacrosanta ed Individua
Trinità, nella Quale la Carità non cancella la Verità, ma coincide con
essa in Dio. Veritatem facientes in caritate (Ef 4, 14).
«Per questa via non si raggiungerà mai alcuna unità»: occorre quindi bypassare la disputa teologica semplicemente ignorandola, in nome di una «unità nella diversità», di una blasfema «in contrariis unitas».
E per farlo si osa addirittura chiamare in causa la Ss.ma Trinità, come
aveva già fatto Bergoglio l’anno scorso, quando giunse a dire: «Nella Santa Trinità le Persone baruffano a porte chiuse, ma all’esterno danno l’immagine di unità» (Udienza al Catholic Theological Ethics in The World Church, 17 Marzo 2017).
Ecco ridotta la fede nella Presenza Reale a «punto di vista» del Cattolico, e la negazione di questo dogma come «punto di vista» del Protestante o dell’Anglicano. Quest’interpretazione delle parole di Cantalamessa in senso relativista è perfettamente coerente
con il magistero di Bergoglio, che in occasione della visita al tempio
luterano nel Novembre 2015 si permise di affermare: «Mi diceva un
pastore amico: Noi crediamo che il Signore è presente lì. È presente.
Voi credete che il Signore è presente. E qual è la differenza? Eh, sono
le spiegazioni, le interpretazioni… Lascio la domanda ai teologi, a
quelli che capiscono. Soprattutto davanti a un teologo come il cardinale
Kasper». Così il Vicario di Cristo - o colui che ne occupa il
Soglio - finisce per render molto meno criptiche sia le proprie
esternazioni apparentemente sconclusionate, sia i sofismi
pseudodottrinali del carismatico in saio: «punti di vista». Se poi se ne affida la soluzione «a un teologo come il cardinale Kasper», si comprende come siamo arrivati all’apostasia.
In questo modo gli
eretici rimangono tali, dannandosi l’anima perché confermati nel loro
errore da chi viceversa dovrebbe ammonirli, e i Cattolici si vedono
costretti ad ammettere ai propri veri Sacramenti degli impenitenti o a
partecipare ai culti acattolici senza nutrirsi del Pane degli Angeli.
Satana non potrebbe esser più orgoglioso di tanti paladini della sua
causa.
Quella perorata dal
Predicatore della Casa Pontificia è la diversità nella declinazione
dell’eresia, e l’unità nell’esser tutti al di fuori dall’unica Chiesa di
Cristo, che invece professa e adora il Dio Trino come Verità
perfettissima e come Carità infinita, senza alcuna contraddizione non
perché le Divine Persone ignorino reciprocamente ciò che Le rende
differenti, ma perché lo Spirito Santo, ch’è l’Amore che procede dal
Padre e dal Figlio, è Spirito di Verità.
Confondere l’unità
dell’essenza delle Persone della Ss.ma Trinità con l’unità di un
filantropismo massonico che nega deliberatamente la Verità rivelata per
non scontrarsi con chi professa l’errore è una bestemmia intollerabile
ed un’eresia delle peggiori, perché tocca nel cuore il fondamento stesso
della Religione, vanifica l’Incarnazione e la Redenzione, disobbedisce
al comando del Salvatore di annunciare il Vangelo e battezzare tutte le
genti nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Questa è la
perversione della Carità teologale, perché non è capace né di amare Dio,
né di amare il prossimo - e quindi volere il suo bene morale - per
amore del Signore.
Questa è la
dichiarazione finale dell’incontro ecumenico di Buenos Aires,
sottoscritta assieme ad altri eretici da Cantalamessa e da Bergoglio: «Siamo
venuti a celebrare che c’è una sola chiesa, formata da tutti coloro che
confessano che Gesù è il Signore e sono stati battezzati».
Faccio notare che
questa meditazione dai contenuti gravissimi, tenuta dinanzi al Papa ed
alla Curia Romana, anche alla luce della proposta del cardinal
Coccopalmerio di dichiarare valide le ordinazioni anglicane, rappresenta
un’allarmante coincidenza di intenti che non va taciuta, ma dev’esser
anzi denunciata e condannata. Lo richiedono la Carità e la Verità. Lo
esige l’onore di Dio. Lo comanda la salvezza delle anime.
Copyright MMXVIII - Cesare Baronio
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