Vertice abusi, perché non può avere soddisfatto le vittime
Come previsto, il vertice sugli abusi sessuali concluso ieri in Vaticano ha seguito un copione già scritto, dove le parole d'ordine - clericalismo, sinodalità, trasparenza - sono servite a nascondere più che a rivelare, a dare l'idea di un cambiamento radicale quando invece si sta facendo resistenza al cambiamento avviato già da Giovanni Paolo II.
- IL PAPA: ABUSI SUI MINORI COME SACRIFICI UMANI, di Nico Spuntoni
Ascoltare le vittime, ha tante volte ripetuto papa Francesco, non solo in questi giorni. E il Vertice vaticano sulla protezione dei minori, chiuso ieri, è iniziato proprio con la testimonianza di alcune vittime di abusi sessuali da parte di sacerdoti. Ascoltare le vittime: giusto, perché quando si parla di abusi sessuali – soprattutto su minori, ma anche su adulti - troppo spesso se ne parla in modo astratto, come di un problema sì, ma che in fondo non ci tocca da vicino e soprattutto è una grana da risolvere. Dopo questi giorni, avendo ascoltato diverse testimonianze, è auspicabile che i presidenti delle Conferenze episcopali tornino nei loro paesi con una consapevolezza diversa sia delle conseguenze degli abusi sia della gravità degli atti commessi da sacerdoti e vescovi. E da qui almeno potrebbe nascere qualcosa di buono se questa maggiore consapevolezza si tradurrà in azioni concrete.
Ma detto questo, e mettendoci dalla parte delle vittime, potremmo essere soddisfatti da quanto è stato detto e fatto in questi giorni di incontri? Ne dubitiamo fortemente. Abbiamo sentito tante parole, soprattutto tante parole d’ordine: clericalismo, sinodalità, collegialità, trasparenza. Abbiamo già argomentato sulla erroneità o parzialità di questi concetti. Ma soprattutto l’impressione forte è che siano state parole che più che rivelare e spiegare siano servite a nascondere, a gettare fumo, a dare l’idea di un cambiamento radicale mentre invece si fa resistenza a quel cambiamento avviato da Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Una sorta di gioco di prestigio, insomma, dare l’impressione che accada qualcosa mentre in realtà sta succedendo tutt’altro.
Si parla di azioni concrete, di trasparenza: ma la prima cosa che ci si aspetterebbe allora è fare chiarezza sulla vicenda dell’ex cardinale Theodore McCarrick, il cui caso è anche all’origine di questo summit. Invece si sta facendo di tutto per evitare che si faccia luce su quella rete di complicità che ne ha permesso la lunga attività di abusi e nello stesso tempo una grande carriera ecclesiastica. Non solo, i vescovi e cardinali che sono tali grazie all’amicizia con McCarrick vengono addirittura promossi. Cosa dovrebbero pensare le vittime di McCarrick – che sono tante – vedendo che il cardinale Cupich organizza il vertice sugli abusi sessuali; che il cardinale Wuerl viene omaggiato di un messaggio dal Papa che ne esalta le qualità personali e quasi lo descrive come un martire; che il cardinale Farrell – che con McCarrick ha convissuto diversi anni – è stato appena nominato Camerlengo di Santa Romana Chiesa? E che cosa dovrebbero dedurre dal fatto che alla Conferenza episcopale americana non è dato di svolgere un’indagine approfondita su tutta la vicenda, compreso l’accertamento delle complicità nella Curia Romana?
Si parla di clericalismo, di abuso di potere, come origine del problema. Ma è puro buon senso constatare che l’abuso di potere è una conseguenza di un disordine precedente, e si può esprimere in diversi modi. Anche il mobbing è abuso di potere, anche il “nonnismo” lo è, e anche l’uso della violenza sulle persone più deboli. Se si esprime con la violenza sessuale è la causa di questa che va ricercata; e se l’80% degli abusi sono atti omosessuali non si può eludere il problema affermando – come ha fatto monsignor Scicluna, uno dei protagonisti del summit – che l’orientamento sessuale non predispone al peccato. Nessuno vuole affermare che le persone con tendenze omosessuali siano tutte potenziali abusatori, ma allo stesso tempo se la stragrande maggioranza delle violenze sono commesse da persone che hanno queste tendenze un motivo ci sarà. Nasconderlo, fare finta di niente non è di grande consolazione per le vittime di questi predatori.
Nella lettera aperta pubblicata alla vigilia del summit, i cardinali Raymond Burke e Walter Brandmüller spiegavano che gli abusi sui minori e «l’agenda omosessuale» sono parte di «una crisi ben più vasta»: «Le radici di questo fenomeno evidentemente stanno in quell’atmosfera di materialismo, di relativismo e di edonismo, in cui l’esistenza di una legge morale assoluta, cioè senza eccezioni, è messa apertamente in discussione». In altre parole la grave colpa dei preti sta «nell’essersi allontanati dalla verità del Vangelo. La negazione, anche pubblica, nelle parole e nei fatti, della legge divina e naturale, sta alla radice del male che corrompe certi ambienti della Chiesa». In qualche modo le relazioni e gli interventi di questi giorni hanno confermato questo giudizio. Si è parlato dell’argomento senza mai fare riferimento al Vangelo o al sesto comandamento, nessun riferimento a Padri e Dottori della Chiesa, neanche si è guardato a modelli di santi della castità.
Possono delle vittime sentirsi rassicurate dal fatto che dei pastori che dovrebbero indicare la strada del Paradiso, affrontano questi problemi come farebbe un amministratore delegato di un’azienda?
E poi la sinodalità, le giuste procedure per far sì che le denunce delle vittime vengano rapidamente accertate. Ma di questo si è parlato come se finora non ci fosse stato nulla. Non è vero, le procedure già ci sono. Certo, possono essere migliorate, possono essere rese più rigide, ma i casi più clamorosi sono quelli dove le procedure sono state seguite e poi, arrivate a un certo punto, si sono interrotte perché certi “amici” hanno fatto in modo di far sparire i dossier: non solo il caso McCarrick, ma anche padre Marcel Maciel, fondatore dei Legionari di Cristo, il cardinale britannico Cormac Murphy O’Connor. E il vescovo argentino Gustavo Zanchetta, un caso di estrema attualità: sono emerse in questi giorni le prove che ci dicono che la Santa Sede ha mentito non più di un mese e mezzo fa. E come si fa a dare credito a chi da una parte parla di trasparenza e dall’altra cerca di coprirsi?
Non solo, ma in Vaticano c’è già un ufficio che lavora per esaminare tutte le denunce che arrivano a Roma: è una sezione della Congregazione per la Dottrina della Fede, che aveva 10 funzionari; sarebbero dovuti aumentare di almeno tre unità per fare fronte in modo scrupoloso a tutti i casi da affrontare; c’era la promessa, ma invece nel 2017 ne sono stati mandati via tre, senza fornire spiegazioni, e quella sezione si trova tuttora con una diminuzione di personale.
Poi non si può biasimare le vittime se perdono la fiducia nella volontà di mettere a posto le cose.
Invece di creare nuove commissioni, che sono soltanto fumo negli occhi e poi sono causa di ulteriori discussioni e spaccature, basterebbe rafforzare le strutture che già esistono per accelerare i processi e accertare con scrupolo i fatti contestati a preti e vescovi.
Riccardo Cascioli
http://www.lanuovabq.it/it/vertice-abusi-perche-non-puo-avere-soddisfatto-le-vittime
La rivincita di monsignor Viganò
Pur con tutti i limiti già evidenziati del summit in Vaticano, si deve comunque riconoscere che se si è svolto è grazie al memoriale dello scorso agosto di monsignor Carlo Maria Viganò, che ha costretto il gruppo che gestisce la Chiesa a cercare una risposta mediatica alla sfida lanciata dall'ex nunzio negli Usa.
Monsignor Carlo Maria Viganò
Nel suo esilio l’arcivescovo Carlo Maria Viganò potrebbe, e dovrebbe, essere soddisfatto. La sua coraggiosa testimonianza dell’agosto scorso – mai smentita da nessuno dei personaggi chiamati in causa, a cominciare dal Pontefice regnante – ha obbligato il vertice della Chiesa a convocare un summit di tutte le conferenze episcopali. Non esaminiamo ora i dettagli di questo appuntamento, anche se qualche noticina ci sarà da fare. Ma non si può non riconoscere che senza il drammatico memoriale delle sue esperienze personali in Segreteria di Stato e come Nunzio negli Stati Uniti per quanto concerne fortuna e coperture di un cardinale abusatore, e legami dello stesso non solo in loco, ma anche a Roma, il gruppo di potere che gestisce la Chiesa non si sarebbe sentito obbligato a trovare una risposta mediatica e di immagine per superare la sostanziale afasia di fronte alla crisi.
Quando più di un anno fa è esplosa la crisi cilena, con lo scandalo e l’imbarazzo delle risposte di papa Bergoglio sull’aereo, in cui criticava le vittime, comunque l’affaire è stato trattato come una questione dell’episcopato locale. E nello stesso modo il silenzio ha quasi subito coperto lo scandalo di Tegucigalpa, dove il vescovo ausiliare Pineda, braccio destro del braccio destro del Pontefice, il cardinale Maradiaga, è stato costretto a dimettersi dalla denuncia pubblica di decine si seminaristi molestati. E anche il Report del Grand Jury della Pennsylvania, con il quadro desolante di scandali e coperture che giungevano a toccare l’arcivescovo di Washington, il cardinale Wuerl, sarebbe stato derubricato a un problema americano. Ma la testimonianza di Viganò ha scombinato tutti gli abituali giochi al ribasso, e ha reso imperativa una risposta. Non quella, auspicabile ma evidentemente impossibile, alle accuse dirette. Ma una risposta abbastanza sontuosa da essere ostentata agli occhi del pubblico come momento corale e teatrale.
L’ironia delle cose è che mons. Viganò, ovviamente assente dal consesso dei vescovi, comparsa silenziose dello spettacolo, è apparso qua e là nel corso delle vetrine stampa della manifestazione.
Lo è stato quando il card. O’Malley, incredibilmente escluso dall’organizzazione per far posto al manovratore Cupich, è stato ripescato (vergogna? Resipiscenza? Opportunismo?) per una conferenza stampa, dove ha ripetuto il motto di Giovanni Paolo II: «La gente deve sapere che nel sacerdozio e nella vita religiosa non c’è posto per chi potrebbe far del male ai giovani». E ha chiesto che la storia di McCarrick non si concluda con la decapitazione, ma vengano alla luce complicità e amicizie. Esattamente quello che mons. Viganò ha cercato di fare con la sua testimonianza.
Poi, inaspettatamente è stata la volta del cardinale Reinhard Marx, uno degli uomini forti della squadra di Bergoglio, che, indirettamente, ha assolto da una delle colpe che gli vengono attribuite e rinfacciate l’ex Nunzio negli Stati Uniti. Mi riferisco a quando ha chiesto che si lavori per una modifica della “Definizione del fine e dei limiti del segreto pontificio":
«I mutamenti sociali del nostro tempo - ha detto Marx - sono sempre più caratterizzati da modelli di comunicazione in cambiamento. Nell’era dei social media, in cui è possibile per tutti e ognuno di noi stabilire quasi immediatamente un contatto e scambiare informazioni attraverso Facebook, Twitter, e così via, è necessario ridefinire la confidenzialità e il segreto, e distinguerli dalla protezione dei dati. Se non ci riusciremo, sprecheremo l’opportunità di mantenere un livello di autodeterminazione riguardo all’informazione oppure ci esporremo al sospetto di insabbiare». Allora mons. Viganò ha fatto bene?
E infine c’è stata la relazione di Valentina Alazraki, corrispondente di Televisa (Messico) e vaticanista storica. Parlava del silenzio: «Il rischio è molto alto e il prezzo di questo tipo di condotta è ancora più alto. Il silenzio dà la sensazione che le accuse che possono essere: totalmente false, o nel migliore dei casi mezzo false e mezzo vere, ma se si risponde con il silenzio tutti resteranno con l'idea che queste accuse sono vere. E se non rispondono, pensiamo che abbiano paura di rispondere perché hanno paura di essere smentiti subito dopo».
Certo parlava in generale. Ma c’è un silenzio che pesa sulla Chiesa dal 26 agosto, ed è quello del Pontefice, che non ha mai detto se è vero che mons. Viganò il 23 giugno 2013 gli ha spiegato chi e cosa ha fatto McCarrick, e come Benedetto XVI l’avesse punito. E non ha mai detto perché, se è vero che era stato informato, abbia utilizzato McCarrick, negli Usa e fuori, fino a quando la denuncia di un ex minore ha reso la situazione ingovernabile nel 2018.
Quindi veramente si può dire che questi giorni abbiano vendicato l’ex Nunzio delle sofferenze patite. Anche se alcune contraddizioni sfiorano il paradosso. Gli abusi nella Chiesa hanno come vittime almeno nell’80 per cento dei casi giovani maschi dai quattordici ai diciotto anni, quindi post-puberi, molestati da altri maschi. Ma la parola “omosessualità” non è mai stata pronunciata. Ci vuole del genio – o dell’improntitudine straordinaria - per convocare un Congresso mondiale sul Caffè senza mai nominare la Caffeina… Giù il cappello davanti a tanti Maestri.
Marco Tosatt
http://www.lanuovabq.it/it/la-rivincita-di-monsignor-vigano
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