ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

lunedì 25 febbraio 2019

Agrosummit

Non è clericalismo, è lussuria


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    Provate a immaginare un summit di agronomi. Convocati dal capo degli agronomi, arrivano da tutto il mondo e dicono di essere assai preoccupati. Alcune piante molto preziose, indispensabili per la vita sulla terra, si ammalano gravemente e in alcuni caso muoiono. La questione è dunque come curare le piante e soprattutto come mettersi al riparo dal pericolo, perché le piante non siano più colpite. Che si fa? Per prima cosa si cercano le cause, ma proprio qui nasce un problema. 
    Gli agronomi sanno che almeno nell’ottanta per cento dei casi la colpa dell’attacco alle piante è di un certo agente patogeno (lo sanno perché lo dicono le indagini condotte in varie coltivazioni, ma anche in base alla loro esperienza diretta), eppure, per un tacito accordo, evitano accuratamente non solo di occuparsi di quell’agente patogeno, ma perfino di nominarlo. Gli agronomi sostengono di avere a cuore la sorte delle piante, e probabilmente è vero. Prova ne sia che nel corso del summit hanno parole di grande tenerezza, partecipazione e condivisione per le sofferenze patite dalle povere piante. Inoltre, durante la loro assise mondiale, gli agronomi ripetono spesso che quanto è accaduto è di una gravità inaudita e non dovrà succedere mai più. Ecco perché, spiegano, ci saranno controlli sempre più severi. Tuttavia, in base a quel tacito accordo, il nome dell’agente patogeno non viene mai fatto.
    Orbene, come pensate che si possa concludere un tale summit? Si concluderà con espressioni molto accorate e con tanti buoni propositi, ma, purtroppo, nel segno di una sostanziale inefficacia. Perché se il principale responsabile della malattia non può essere neppure nominato, è chiaro che qualunque proposito di contrasto del contagio è destinato a rivelarsi inconcludente.
    Ecco, il summit mondiale sugli abusi che si è tenuto in Vaticano assomiglia sotto molti aspetti al nostro immaginario incontro di agronomi. Al summit infatti sono state spese parole forti a condanna degli abusi, in difesa delle vittime e per una prevenzione più efficace. Eppure quella che, secondo gli studi e l’esperienza diretta, appare come una delle componenti decisive all’origine degli abusi stessi (o forse addirittura la componente decisiva) non è stata mai nemmeno nominata. O, se è stata nominata, ciò è avvenuto solo per dire che quella componente in realtà non c’entra per nulla.
    La parola che non è stata mai nominata, l’avete capito, è omosessualità. E questa omissione inficia alla radice tutto ciò che è stato detto durante l’incontro mondiale.
    Le ricerche condotte sul campo, le notizie di cronaca e le rivelazioni che, di tanto in tanto, sia pure a fatica, rompono il muro dell’omertà dicono che nell’ottanta per cento dei casi gli abusi commessi da chierici hanno natura omosessuale e non sono casi di pedofilia (interesse sessuale di un adulto per soggetti prepuberi), ma di efebofilia (interesse sessuale di un adulto nei confronti della medio-tarda adolescenza, in una fascia d’età compresa tra i quattordici e i diciannove anni). Nella stragrande maggioranza dei casi siamo quindi di fronte a maschi che abusano di maschi adolescenti. Ma nel corso del summit vaticano questa realtà è stata ignorata. Anzi, fin dal titolo (La protezione dei minori nella Chiesa) la si è voluta distorcere.
    Sul banco degli imputati è stata messa una realtà inafferrabile e imprecisata: il clericalismo. Sarebbe questo il colpevole degli abusi, come ha confermato Francesco nell’intervento di chiusura. Ma che cos’è precisamente il clericalismo?
    Nell’accezione comune, il clericalismo è un tipo di ideologia che rivendica la possibilità di intervento da parte della Chiesa nella politica e negli affari di uno Stato. Bergoglio invece usa la parola in un senso diverso: fa coincidere il clericalismo con l’abuso di potere e sostiene che tale abuso sorge quando il prete per qualche ragione si sente superiore agli altri ed è distante dal popolo.
    Ora, ammesso e non concesso che la parola sia utilizzabile nell’accezione divenuta comune negli interventi di Bergoglio, non è difficile accorgersi che attribuire l’origine degli abusi al clericalismo sposta tutto il discorso sul piano dell’indeterminatezza e dell’ambiguità. Un po’ come succede quando si dice che se il mondo va male è colpa della società, sostenere che se nella Chiesa ci sono gli abusi è colpa del clericalismo in realtà non spiega molto. Anzi, non spiega niente.
    L’abuso di potere, che a giudizio del papa è l’elemento più importante per comprendere il fenomeno degli abusi sessuali, può essere senz’altro una concausa, come succede ogni volta che un superiore approfitta della sua posizione per sfruttare, manipolare e oltraggiare l’inferiore, ma di per sé non basta. Per andare più in profondità occorre entrare nella sfera sessuale. E se si fa questo ci si imbatte inevitabilmente nella questione dell’omosessualità.
    Non ci si venga ora a dire che ragionare così è sintomo di omofobia, perché qui nessuno sta sostenendo che c’è una relazione di causa-effetto tra omosessualità e abuso. Si sta dicendo che, per quanto concerne gli abusi da parte di esponenti della Chiesa, non è possibile ignorare la questione dei chierici omosessuali.
    In generale tutto il summit ha sofferto a causa di questo spostamento del focus verso una direzione poco chiara.
    Sentite che cosa mi scrive un prete, molto deluso dall’esito dell’incontro: “Questo meeting degli episcopati ha partorito solo vaghe indicazioni di tipo procedurale su trasparenza, denunce e processi, ma nulla sulle cause del fenomeno, in primis l’omosessualità e i costumi non casti dei consacrati, sia etero sia omosessuali. Ma solo partendo da queste cause è possibile affrontare il problema radicalmente e fare vera prevenzione. Il livello dell’analisi, così come la proposta dei rimedi, è rimasta nell’ambito giuridico, canonico e amministrativo, senza toccare la sfera morale. Come se il sesto comandamento in tutta la faccenda non c’entrasse per nulla! Ma questo è un modo pagano di affrontare la questione, non cristiano, né tanto meno cattolico”.
    Sono pienamente d’accordo. Aggiungerei che è un modo sociologico, e infatti durante i lavori (e anche leggendo l’intervento finale del papa) è sembrata emergere più la dimensione sociologica dell’analisi che quella teologica e spirituale.
    Resta una domanda: perché le cose sono andate così? Chi ha operato per estromettere la parola omosessualità dal confronto?  Chi ha voluto che dal titolo del summit  sparisse il riferimento agli adulti vulnerabili e restasse solo la tutela dei minori? Chi ha fatto in modo che certe realtà restassero avvolte nella nebbia?
    Rileggere la vicenda McCarrick (per limitarci alla più celebre) può aiutare a trovare la risposta. Nella Chiesa cattolica c’è una classe omosessualista in grado di condizionare, deviare, coprire. Questa è la rete nella quale occorre con coraggio mettere le mani. Questo è il bubbone che occorre far esplodere.
    Il vero clericalismo, se proprio vogliamo usare questo termine, è quello di chi non vuole fare chiarezza e chiamare le cose con il loro nome. Il dramma degli abusi nasce dal vizio e dal peccato della lussuria. Ed è sulla mancanza di fede che la Chiesa deve interrogarsi.
    Che cosa produce invece l’approccio sociologico, che tanto piace al mondo? Solo operazioni mediatiche. Che si traducono in generiche condanne e in una commiserazione sterile. Oltre che in un sostanziale insabbiamento.
    Aldo Maria Valli 

    La Chiesa non ha bisogno di un summit sugli abusi. Ha bisogno di indagare nelle proprie diocesi

    L’Incontro mondiale sugli abusi nella Chiesa si è chiuso ufficialmente ieri. Come noto, la linea adottata dagli organizzatori è stata quella di focalizzarsi sugli abusi sui minori. La questione della omosessualità è stata completamente scartata. Ciò ha deluso una parte degli osservatori, quanto meno quelli esterni all’assise.
    Vogliamo, invece ritornare sulla questione dell’omosessualità nella Chiesa con un interessante articolo del dott. Christian Spaemann, uno specialista in psichiatria e medicina psicoterapeutica.
    Di seguito l’articolo nella traduzione di Annarosa Rossetto.
    Il Papa con i vescovi nell'Aula del Sinodo (Vatican Media)
    Il Papa con i vescovi nell’Aula del Sinodo (Vatican Media)
    Il cardinale Blase Cupich, uno degli organizzatori del Summit, sembra pensare di poter sorvolare il problema delle reti omosessuali tra il clero con uno specioso stratagemma argomentativo. Sebbene l’80% dei casi di abuso siano “maschio su maschio”, egli sostiene che l’omosessualità stessa non è una delle cause. Alla luce dei fatti, questa affermazione del cardinale sembra abbastanza oltraggiosa.
    Non intendo gettare un sospetto generale sui motivi per i quali gli omosessuali chiedano il sacerdozio. Non si può negare che ci siano sacerdoti con inclinazioni omosessuali sinceri e santi. Tuttavia, è necessario dare uno sguardo onesto ai fatti. Non solo i casi di pedofilia e di pederastia sono molte volte più comuni tra gli omosessuali che tra gli eterosessuali, ma è anche significativo che le relazioni omosessuali siano statisticamente molto fragili. Secondo gli studi condotti dagli stessi omosessuali, tali relazioni durano in media solo un anno e mezzo. Inoltre, sono spesso accompagnati da numerosi rapporti sessuali di passaggio al di fuori della relazione. Questa fragilità o mutevolezza non deriva solo dalla mancanza di complementarietà tra le persone dello stesso sesso, ma anche come dimostra l’esperienza, dalla tendenza che questa forma di sessualità deve funzionare come meccanismo di compensazione che regola l’autostima e l’identità. I dati esistenti da soli rendono comprensibile il motivo per cui le reti omosessuali si formano in un modo non presente nel contesto dell’eterosessualità.
    Secondo studi recenti solo circa l’1,5% degli uomini nel mondo occidentale si considerano omosessuali stabili, considerati insieme a coloro che si considerano bisessuali, circa il 4,5% degli uomini ha una tendenza al comportamento omosessuale. Ma oltre l’80% dei casi di abuso nella Chiesa sono omosessuali. Come si possono guardare quei numeri e concludere onestamente che la Chiesa non ha problemi con la condotta omosessuale, o che tale comportamento non ha alcuna relazione causale con lo scandalo degli abusi?
    Il problema degli abusi sui minori, che è stato l’argomento esclusivo del Summit sull’abuso, è quindi solo la punta dell’iceberg. La dinamica degli abusi procede dalle reti omosessuali, che negli ultimi decenni sono state in grado di diffondersi senza ostacoli all’interno del clero. Se questo sviluppo sia connesso alla liberalizzazione della sessualità nella società e nella Chiesa nel periodo post-conciliare, dovrebbe essere oggetto di ulteriori ricerche. Certamente, la Chiesa ha dovuto affrontare problemi simili in epoche precedenti. E le reti omosessuali esistono anche tra il clero tradizionalista. Ma ciò che sembra unico è che nel presente e nell’attuale pontificato gli alti prelati più influenti nella Chiesa sembrano essere disorientati o male orientati nel loro approccio al problema.
    Secondo gli insegnamenti della Chiesa ci sono solo due forme di comportamento sessuale che sono compatibili con i comandamenti di Dio e la dignità della persona umana. Da un lato, i rapporti sessuali nel contesto del matrimonio tra un uomo e una donna, e l’altra la completa continenza sessuale. Secondo questo punto di vista, le vite sessuali di molti cristiani sono state (e continuano ad essere) ferite da peccati come la masturbazione, la pornografia, i rapporti sessuali extraconiugali, i rapporti omosessuali e così via. Ma la Chiesa lo ha sempre saputo e ha secoli di esperienza nel trattare questi peccati in modo paziente e umano.
    Non ha mai avuto bisogno di relativizzare i Comandamenti Divini dichiarandoli un ideale irrealizzabile o di sciogliere l’ordine sacramentale come questo viene propagato oggi dalle alte autorità. Ma l’esortazione apostolica Amoris Laetitia ha cambiato tutte queste cose. Il risultato non è “più misericordia”, ma più confusione. L’Ordine Sacro Cattolico è una protezione contro presunzione, sacrilegio e mancanza di orientamento intenzionale. Presenta una protezione sia per i fedeli preoccupati che per il pastore che in effetti ha un ambito determinato nel suo lavoro pastorale, senza dover temere di scavalcare il confine del rispetto della santità di Dio e dei suoi Comandamenti quando si sente pressato ad amministrare i Sacramenti ai fedeli che non si sentono pronti a cambiare la propria vita.
    Che cosa ha a che fare l’indebolimento dell’Ordine Sacro Cattolico con le reti omosessuali e lo scandalo degli abusi nella Chiesa cattolica? Si deve trovare una risposta semplice: i passi decisivi in Amoris Laetitia, in cui l’Ordine Sacro Cattolico è stato minato, non parlano solo dei divorziati risposati civilmente, ma in generale di “situazioni irregolari” (tra gli altri in AL 305 ). Perché i rapporti omosessuali non dovrebbero esservi inclusi? Perché non anche quelli tra i sacerdoti? Perché non anche quelli dei chierici che hanno l’età del consenso? C’è il sospetto che l’esortazione apostolica Amoris Laetitia sia stata creata nel contesto di un’agenda che mira all’istituzione nella Chiesa della cosiddetta “diversità sessuale”.
    Amoris Laetitia, insieme alla sottostante teologia morale eretica pluridecennale come è stata insegnata nelle università teologiche dell’Occidente, sono il fondamento per la mancanza di orientamento – o di orientamento viziato – quando si tratta della situazione sopra descritta. A questo quadro si adatta il passaggio continuo di rappresentanti di una teologia morale liberale attraverso le istituzioni della Chiesa. Pertanto, non è stupefacente che, in un momento in cui viene promossa la“diversità sessuale”, la famiglia naturale venga massicciamente contestata; i problemi della Chiesa con gli abusi omosessuali clericali vengono sempre più alla superficie, e vengono promossi i vescovi nei più alti ranghi della Chiesa che sono apertamente a favore di una normalizzazione dell’omosessualità praticata nella Chiesa.
    Questo è appena successo, ad esempio, con la nomina del cardinale Kevin Farrell come Camerlengo della Chiesa cattolica. Il cardinale Farrell è vissuto per sei anni in una casa insieme al cardinale McCarrick e afferma di non aver saputo nulla della sua ben nota cattiva condotta sessuale. Fu lui, Farrell, che – in aperta opposizione alle intenzioni del suo iniziatore, Giovanni Paolo II – ha aperto fattivamente l’ultimo Incontro mondiale delle famiglie in Irlanda alla comunità LGBT.
    Su questo sfondo, appare logico che, nel summit delle conferenze episcopali di tutto il mondo, la discussione sullo scandalo degli abusi si sia limitata ai crimini contro i bambini e che si sia dovuto evitare una discussione sul suo background reale.
    In questo modo ci si è messi in un posto sicuro. Dove si ha un terreno comune anche con le leggi civili e quindi non si ha bisogno di esporsi al ridicolo nel mondo discutendo la moralità sessuale di Gesù e della Sua Chiesa che è considerata obsoleta, anche da vescovi e cardinali di primo piano. In tal modo, ci si può anche proteggere da un possibile dibattito nella Chiesa su Amoris Laetitia e le sue conseguenze. Piuttosto si strizza l’occhio ai pregiudizi contro la Chiesa quando si accusa un preteso e poco definito clericalismo come causa di questo enorme scandalo. Quindi, si può mantenere la rotta e adattarsi allo Zeitgeist (lo spirito culturale che informa una determinata epoca, ndr)La laicizzazione (di McCarrick, ndr) sembra qui essere il sacrificio di una pedina. Ma esattamente questo ostruzionismo di un onesto dibattito sul tema della sessualità di fronte a Dio, ai suoi comandamenti, alla santità del sacerdozio è il vero clericalismo nel nostro tempo. È un clericalismo che cerca di proteggersi portando avanti il ​​clericalismo. È un clericalismo che – senza averne il mandato – pone la propria ideologia al di sopra dell’insegnamento della Chiesa, che ama solo parlare, ma evita di agire. Ciò di cui la Chiesa ha bisogno non è un summit sugli abusi a Roma che venga promosso con l’aiuto dei media, ma l’invio di commissari che, in base al diritto canonico, svolgano esami competenti e giusti nelle singole diocesi negli Stati Uniti e in altri Paesi per poi, al servizio di un rinnovamento, trarne conseguenze personali.
    Il Dr. Christian Spaemann è uno specialista in psichiatria e medicina psicoterapeutica. 
    Fonte: LifeSiteNews
    LA GRAVISSIMA ACCUSA

    Vaticano, Papa Francesco per la prima volta sotto accusa: "Così sui preti pedofili ci prende 

    in giro"




    Domenica in Vaticano si è concluso il summit sulla pedofilia ma le vittime di abusi hanno criticato pesantemente le conclusioni mettendo "sotto accusa" la stessa azione di Papa Francesco. Il suo discorso non ha ottenuto l’approvazione da parte di chi in passato è stato abusato da sacerdoti o da altri esponenti della Chiesa. Così, come riporta il Messaggero, parte delle vittime si è radunata in piazza San Pietro per contestare una dissertazione troppo sociologica anziché pratico-risolutiva del fenomeno.
    Jean Marie Furbringer, un 55enne di Losanna, si è fatto portavoce delle istanze più comuni. Da bambino è stato abusato da un frate della scuola in cui era iscritto e oggi, dopo il trauma, è uno degli attivisti di Sapec, l’organizzazione elvetica che contro la pedofilia clericale. "Il summit convocato da Papa Francesco era una opportunità molto interessante (…) peccato che il discorsodel Papa al termine del vertice sia stato così deludente. Si è limitato a ribadire che il problema degli abusi è globale e non riguarda solo la Chiesa (…) Mi sarei aspettato una analisi più diretta. Noi vittime avremmo voluto sapere che cosa fa il Papa già da domani con i vescovi che hanno insabbiato pedofili".

    Il pontefice, in una Sala Regia gremita di vescovi e cardinali, ha promesso che "è giunta l'ora di collaborare insieme per sradicare tale brutalità dal corpo della nostra umanità", ma di fatto, oltre alla promessa che all’interno della Chiesa non ci sarà più spazio per la violenza, non sono state indicate le misure con le quali si farà fronte al problema. Le vittime, dalla loro parte, reclamano trasparenza in tutte le fasi del processo, a partire dall’abolizione del segreto pontificio nei processi canonici e sull’esito delle sentenze. Più di ogni cosa però gli preme che gli uomini di Chiesa colpevoli vengano puniti severamente, così come coloro che coprono gli abusi.

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